Ruth Bader Ginsburg: Donne, pari diritti

Non sono donne femministe, anticlericali, agnostiche o atee, che partecipano alla 10ª edizione del Wiki- e CineCircolo, inserita nel solco della fase narrativa del cammino sinodale, ispirata ai grandi testi dell’autorità educativa della Chiesa, promossa dal Circolo Culturale San Francesco ed aperta gratuitamente a tutti: credenti e «laici», vicini e lontani. Sono invece «donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», donne assettate di giustizia e di verità, donne in ricerca di orizzonti di fede sempre più dilatati e più profondi, donne orientate verso una spiritualità semplice e allo stesso tempo aperta al soffio dello Spirito, donne che con gratitudine e gioia accolgono l’invito, accorrono al Salone di S. Elisabetta d’Ungheria presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido o si connettono da casa alla diretta streaming trasmessa sulla pagina social, donne, insomma, che praticano – nell’umiltà, ma anche nel coraggio della testimonianza – la sororità e la fraternità di cui Gesù è stato testimone lungimirante.

È alla 10ª Serata conviviale con «aperitivo», la 235ª di seguito, focalizzata sul tema: «Ruth Bader Ginsburg († 2020), la giudice pioniera della parità di genere», svoltasi venerdì 24 febbraio scorso, che qui voglio riferirmi. Essa si è impressa saldamente nella memoria, con un’impronta che non è stata soltanto tematica. Tuttora si percepisce nitidamente il suono di uno degli strumenti musicali più gravi in assoluto, più elaborati e massicci, molto belli e particolari, insostituibili in molte formazioni orchestrali: il basso tuba, appartenente alla classe degli ottoni. Impressionò il suo aspetto e incuriosì il suo gestore: il m° Tommaso Cristofaro, strumentista di Borgia (CZ). È stato lui – presentato al pubblico dal presidente del Circolo, m° Luigi Cimino – ad aprire questa singolare Serata, eseguendo splendidamente il brano «Fantasy for Tuba» di Malcolm Arnold († 2006), compositore, direttore d’orchestra e trombettista inglese. Tutti i presenti, fonoassorbenti, acustici, elastici, estasiati dalla sua performance strumentale, espressero la loro ammirazione sonoramente, in una calorosa «standing ovation».

Il suono si è propagato poi in tutte le direzioni del Salone, si è steso su ogni punto del programma ed è fortemente risuonato ancora, per ben altre due volte, durante il panel, lasciando tutti al ‘settimo cielo’. Ecco allora il seguito del programma:

3. Occhio sulla Serata precedente con «aperitivo» (233), dedicata a Etty Hillesum, e sulla galleria delle foto

4. Panel [4.1. Papa Francesco: «Un anno di guerra in Ucraina» (1:24′); 4.2. «Tango» di Tananai (3:45′); 4.3. Marialuisa Mauro: «Ruth Bader Ginsburg e la sua battaglia per la parità di genere» (10:00′); 4.4. M° TOMMASO CRISTOFARO: «Concertpiece, op. 88, per trombone e organo» di FÉLIX-ALEXANDRE GUILMANT (6:00′); 4.5. Valeria Filì: «Il tempo delle donne» (13:22′); 4.6. M° Tommaso Cristofaro: «Oblivion» di Astor Pantaléon Piazzolla (3:38′); 4.7. Consegna al Maestro di un Attestato di gratitudine (Luigi Cimino) e di un ‘segno’ (Lucia Scarpetta); 4.8. «L’autunno del patriarca» (28:30′); 4.9. «Via Crucis 2022: una donna ucraina e una russa insieme per la pace» (1:27′)]

5. Comunicazioni del presidente Luigi Cimino relative al Circolo,annuncio del prossimo evento da parte della sottosegretaria Lucia Scarpetta [mercoledì 1 marzo: 2° incontro del Laboratorio musicale avviato il 22 febbraio; venerdì 3 marzo: 10ª Serata cinematografica (236) con la proiezione del film «E ora dove andiamo?» di Nadine Labaki e con il cinedibattito «Donne che fanno da collante e mettono pace»], foto di gruppo e momento conviviale [In sottofondo,il music video. «Улетают дни» di Группа Мелодия & Ольга Андрощук (8:01′)]

Il panel si è aperto, come si può notare, con l’abbraccio e l’omaggio all’eroico popolo ucraino che dal 24 febbraio 2022 difende la propria libertà: un anno di resistenza contro l’invasione russa del Paese che lo sta insanguinando e mietendo morte e distruzione e i cui effetti di natura economica stanno colpendo tutta l’Europa, un triste anniversario di una guerra atroce, assurda e crudele, come testimonia il bilancio dei morti, feriti, profughi, distruzioni, danni economici e sociali, dodici intensi mesi di sofferenze di cui seguiamo gli sviluppi in una spirale sempre più minacciosa. I presenti alla Serata, guardando il video «Un anno di guerra in Ucraina», hanno quindi ripercorso questi mesi attraverso le parole del Papa che ha sempre chiesto di non dimenticare il martoriato popolo ucraino e di non abituarsi alla barbarie delle armi. È stato un anno pieno di dolore, di perdite e di sfide, ma al tempo stesso di solidarietà, di assistenza e di amore. I nostri fratelli ucraini stanno mostrando ai tiranni di tutto il mondo quando possa essere difficile mettere le catene a un popolo libero.

Commovente è stato quindi il videoclip con la canzone «Tango» che il Circolo ha voluto dedicare, insieme al cantautore milanese Tananai (nome d’arte di Alberto Cotta Raamusino), non soltanto ad una giovane coppia (Olga e Maxim) e alla loro figlia (Liza), ma a migliaia di famiglie separate dalla guerra che è sempre mostruosa. La clip si è conclusa con le parole di Maxim, intrise di amore e di speranza, mandate a Olga dal fronte dove la colonnina di mercurio rilevava 12 gradi sotto zero: «Mi sta scaldando il tuo amore… e il tè. Va tutto bene».

Altrettanto commovente, e struggente, è stato rivedere il video «Via Crucis 2022: una donna ucraina e una russa insieme per la pace», a conclusione del panel. Papa Francesco ha voluto per il 13° approdo (Gesù è deposto dalla croce) della tradizionale «Via Crucis» al Colosseo, che si è svolta venerdì 15 aprile 2022, due donne, a portare insieme la croce: un’infermiera ucraina, Irina, del Centro di Cure Palliative “Insieme nella Cura” del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma, e una studentessa russa, Albina, del corso di laurea in infermieristica dello stesso Campus. In tal modo il Circolo è tornato a ripetere il suo deciso ‘no’ a tutte le forme di violenza e di sopraffazione e il suo saldo ‘sì’ alla pace e alla riconciliazione.

È stato molto gradito e apprezzato l’intervento dell’avv. Marialuisa Mauro che con abilità e competenza ha tracciato la storia di Ruth Bader Ginsburg, nata a New York nel 1933 da genitori ebrei immigrati ucraini e «divenuta straordinaria per aver cercato di essere semplicemente ordinaria», «vera e propria icona femminista che, pur occupandosi di una materia poco glamour come il diritto, ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo della parità di genere, della libertà e della democrazia». La ‘galassia’ del Circolo ha potuto conoscere per immagini le sue battaglie, durante la 9ª Serata della 10ª edizione del CineCircolo, svoltasi il 17 febbraio scorso, con la proiezione della pellicola «Una giusta causa» (tit. orig. «On the Basis of Sex») di Mimi Leder, regista e produttrice televisiva statunitense, notabene la prima donna a essere ammessa all’American Film Institute, e con il cinedibattito «La parità di genere e la giustizia dei diritti per tutti».

«Ginsburg si conquistò la fama di accanita sostenitrice dell’uguaglianza di genere da comune cittadina – scrisse la giornalista e scrittrice americana Erin Blakemore su History.com, ricordando i diversi fronti su cui Ruth si era impegnata per sancire l’uguaglianza uomo-donna e garantire una effettiva uguale protezione per donne e uomini. – Ha continuato a costruire su quella base prima durante i 13 anni da giudice della Corte d’Appello e poi durante i 27 anni da giudice della Corte Suprema. […] Facendo leva su precedenti sentenze riguardanti i diritti civili in relazione alla razza – in cause intentate da uomini – Ginsburg ha dimostrato le ragioni per cui la Corte Suprema doveva porre fine alla discriminazione di genere. Molti dei suoi casi erano imperniati sulla clausola di uguale protezione prevista dal 14° emendamento, che prevede che le persone ricevano uguale protezione dalle leggi statunitensi. Ha attaccato, attraverso una serie di cause minori, leggi discriminatorie».

L’appartenenza alla comunità ebraica ha influito notevolmente sulle sue convinzioni etiche, come aveva dichiarato lei stessa nel 2017, partecipando a una funzione religiosa per la ricorrenza di Rosh Hashanah, il capodanno ebraico. In quell’occasione aveva spiegato come la sua identità ebraica e i testi letti durante la sua formazione avevano inspirato in lei un senso di empatia per altri gruppi minoritari. «Se sei un membro di un gruppo di minoranza, in particolare un gruppo che è stato preso di mira, provi empatia – diceva – per quelli che si trovano in una situazione simile. La religione ebraica è una religione etica. Ci viene, cioè, insegnato a fare il bene, ad amare la misericordia, a rendere giustizia non perché ci sarà una ricompensa in paradiso o una punizione all’inferno. Viviamo rettamente perché è così che le persone dovrebbero vivere e non anticipare alcun premio nell’al di là».

«Tutto questo – concluse l’avv. Marialuisa – l’ha resa un simbolo, talvolta anche strumentalizzato fino al paradosso di trasformarla in icona stampata sulle magliette, non solo per le sue decisioni, ma soprattutto per le volte non rare in cui ha fatto sentire la sua opinione dissenziente». La si vede, con la scritta «I dissent», sulla copertina di un libro per bambini dai 4 agli 8 anni. Il suo ritratto viene riprodotto anche su sacche da spiaggia, tazzine e bicchieri. La sua immagine è uno dei tatuaggi più richiesti dagli studenti di diritto di Washington.

In un passato, neanche tanto lontano, la donna non aveva accesso a molte professioni, come l’avvocatura o la magistratura e poteva persino essere picchiata dal marito allo scopo di correggerla o esercitare su di lei la “potestà maritale”, come se fosse una bambina. Oggi tutto questo non accade, ma i casi di cronaca sono pieni di episodi terribili nei quali le donne sono vittime, soprattutto a causa di maschi violenti. È il segno che nella mente di molti uomini è ancora radicata l’idea di superiorità e di donna oggetto di cui sono in possesso. Nei Paesi civili le violenze e le umiliazioni si muovono più sotto traccia rispetto a Paesi in cui le donne vengono trattate quasi alla stregua di animali domestici e da compagnia.

La questione della presenza delle donne nella società e, in particolare, nella civiltà giudaico-cristiana, euroatlantica, non è una richiesta di spartizione di potere o di cooptazione all’interno del sistema sociale attuale, ma è, invece, la questione dell’assunzione nei fatti della centralità delle relazioni cui rinvia l’enunciato fondativo: «Maschio e femmina Dio li creò» (Gen 1,27). Queste relazioni tra donne e uomini sono ancora permeate di stereotipi ingessanti e di visioni svilenti, che ne deformano l’immagine negandole integrità. Da tali premesse il disvalore del femminile è logica conseguenza. «E non ci si risponda – scrivono le donne delle Comunità Cristiane di Base nella Lettera aperta dal titolo Chiesa, chiedici scusa – che il cristianesimo venera Maria, Madre del Signore, la quale sarebbe superiore a tutti gli apostoli, e quindi con essa venera tutte le donne; perché è la persona incarnata che va rispettata, le donne in carne e ossa, non la loro trasfigurazione immaginaria». Di quanto «l’esaltazione ideale della donna sia servita a coprire la sua insignificanza storica» abbiamo fatto, purtroppo, una millenaria esperienza. Il Vangelo parla un’altra lingua: quella del «discepolato di uguali», per dirla con la famosa espressione di Elisabeth Schüssler Fiorenza, una delle maggiori esponenti viventi della teologia femminista. E il Circolo Culturale San Francesco, con la sua attuale edizione, paladina delle donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo, non si stanca di usare questa lingua e veicolare questo «discepolato».

Piotr Anzulewicz OFMConv


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Spinti ad un volo, oltre i confini…

La chiave della 12ª Serata cinematografica, con la proiezione del film «Tre colori – Film blu» (tit. orig. «Trois couleurs: Bleu») di Krzysztof Kieślowski e con il cinedibattito «Donna che ritorna alla vita, consapevole che la vera libertà è la libertà di amare», ideata nell’ambito della 10ª edizione del CineCircolo dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›, per immagini», svoltasi il 31 marzo 2023, è tutta nello stupore. A stupire, già prima della sua apertura, notevolmente ritardata, a causa di una funzione in corso nella chiesa antistante, la presenza di p. Rocco Predoti, superiore del convento «Sacro Cuore», nel Salone di S. Elisabetta d’Ungheria e il suo stupefacente discorso, rivolto al Circolo nel suo insieme, nel momento in cui un suo coordinatore era intenzionato a dichiarare conclusa la sua parabola, con tutti gli ‘onori’, o sospesa, in attesa dei tempi migliori. Ed ecco che il Circolo, grazie alle splendide parole di p. Rocco, spicca, letteralmente, un altro volo, oltre i confini della Parrocchia catanzarese, rappresentando e divulgando con gioia gli ideali umanistici, cristici, evangelici, sanfrancescani. È ideato per il sogno ed amato da grandi sognatori, liberi dalle logiche di questo mondo, abbagliati dalla luce del Vangelo, ‘armati’ di coraggio e determinati a irradiare la pace, la fratellanza universale, l’amicizia sociale….

Adesso sa che non è orfano al «Sacro Cuore», ma è addirittura «nel cuore del convento “Sacro Cuore”», come affermò p. Rocco, ed è «il dono dei francescani alla Parrocchia, consegnato in occasione della chiusura del suo giubileo d’oro, e alla collettività civile», come scrisse il Vescovo sulla pergamena di benedizione.  

Con rinato coraggio quindi continuerà a bandire le sue consolidate Serate, in evoluzione e perfezionamento continuo, ‘contaminate’ da intermezzi musicali, interventi degli ospiti speciali, video in streaming, e il suo Laboratorio musicale, rivolto anch’esso a tutti, ma in particolare ai coristi, e diretto altruisticamente, splendidamente e gratuitamente, senza compenso, dal m° Luigi Cimino. Sarà lui, in veste di presidente, e Ghenadi Cimino, in quanto operatore audiovisivo, a curarne l’armonia programmatica e la qualità tecnica. Il sottoscritto veglierà sulla tematica e la fedeltà al progetto originario. La segretaria e la sottosegretaria, Lucia Scarpetta e Iolanda De Luca, provvederanno al resto. Lo Staff del Circolo crescerà e si sentirà sempre di più un ‘noi’ generativo, coinvolgendo donne e uomini di bellezza e di speranza e sfidando le leggi di gravità. Il Circolo un po’ cervellotico, elaborato, raffinato, ma creativo, ricco di ingredienti, a portata di tutti. La sua forza è e rimarrà la semplicità, avvertibile in un Oh!

Finalmente, dopo quasi un’ora di attesa, il Salone si è popolato e la Serata poteva ridestare lo stupore, la gioia, la gratitudine. Ecco allora il «clou» del cinedibattito, una vertiginosa sequenza a ritmo travolgente, con musiche, interventi, letture e video.

6.1. Marialuisa Mauro: «Film blu e donne che ritornano alla vita, consapevoli che la vera libertà è la libertà di amare» (5:00′); 6.2. Lettura di alcuni brani sulla libertà e l’amore: Sofocle, Rabindranath Tagore, Martin Luther King, don Tonino Bello, Leo Buscaglia, Fabio Volo, Papa Francesco…, a cura di Marialuisa Mauro [Leggono: Gabriela Sestito e Maria Rita Talarico di Cropani] (5:00′); 6.3. Videoclip «After the storm» dei Mumford and Sons (5:19′); 6.4. Valentina Carraro /TEDxPiacenza: «ll lutto come fonte di vita» (00:00′-12:39′); 6.5. «Il treno della vita» (2:25′); 6.6. «Requiem aeternam – Gegorian chant for the poor souls» del coro di musica sacra Harpa Dei (5:10′)]

Le foto qui sotto, scattate da Antonella Vitale e Ghenadi Cimino, dicono tutto. Ad maiora, per aspera ad astra!

Auguri quindi a tutti costruttori della Pasqua del mondo, habitués e fan del Circolo!

La Pasqua di Cristo non s’inerpica sui tornanti del Golgota, ma indica lo svincolo che porta ai piedi dei condannati, inermi, emarginati, afflitti, rifugiati e scartati…, e sospinge a schiodare tutti coloro che sono appesi sulla croce, a «sciogliere le catene inique, a togliere i legami del giogo, a rimandare liberi gli oppressi» (Is 58,6).

Piotr Anzulewicz OFMConv


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Anna Frank: l’ebrea tradita, tra le «donne, ‹sorelle tutte›»

Il Circolo Culturale San Francesco, con la sua 10ª edizione dal filo rosso «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», riesce a folgorarci. E lo fa ogni venerdì, nel Salone di S. Elisabetta d’Ungheria presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, in modo nuovo e inaspettato, perché non è da tutti avere a che fare con il «genio femminile». È sfuggente la stessa l’espressione, coniata da Giovanni Paolo II (Lettera alle donne, n. 9), spesso accompagnata da incomprensione e confusione. Il «genio femminile» è un mistero. «Ed è giusto così – ritiene Ashley Ackerman, insegnante di religione alle superiori, ministro del campus, oratrice e blogger, laureata in teologia alla Franciscan University di Steubenville (USA, Ohio). – I misteri sono belli e adorabili, e poiché sono misteri non possono mai essere pienamente compresi, il che è una cosa brillante creata da Dio. Ci rende misteriosi perché continua a riportarci indietro – non potremo mai risolvere il puzzle, ma ci teniamo tanto a farlo, quindi continuiamo a tornare su di esso. La femminilità come mistero ha completamente senso». Il «genio femminile» consiste semplicemente nel vivere la bellezza e la dignità di essere chi sono come donne, come figlie di Dio, ma lo fanno in un modo squisitamente unico e distinto.

Le narrazioni del Wiki– e CineCircolo sulle figure femminili procedono alacremente e sublimemente, a partire da venerdì 7 ottobre scorso, verso un nucleo del mistero in cui riecheggia il labile confine tra quotidiano, abituale, routinario e straordinario, eccezionale, inconsueto. È un andamento fantastico, online e offline, preparato laboriosamente dallo Staff, durante le sessioni di lavoro, e reso sinfonico e canoro, con le performance dei musicisti, cantautori e polistrumentisti (Maria Grazia Cucinotta, Cesare Mauro, Tommaso Cristofaro, Amerigo Marino, Mario Migliarese, Michele Stanizzi, Francesco Stanizzi…). La musica è un alloggio per i sentimenti: l’empatia, la compassione, l’amicizia, la gioia, la bellezza, ma anche la tristezza, la rabbia, la ribellione, lo sprone…

La protagonista della 12ª puntata conviviale con «aperitivo», la 239ª di seguito, è stata «Anna Frank († 1945), l’ebrea tradita», nome divenuto quasi eponimo della Shoah. La puntata si è svolta venerdì 24 marzo scorso, nel giorno in cui la Polonia celebrava la 5ª giornata nazionale in memoria dei suoi cittadini che salvavano gli ebrei durante l’occupazione tedesca (National Day of Remembrance of Poles Rescuing Jews under German Occupation). Tra di loro era la famiglia Ulma: Józef e Wiktoria con i loro sei figli, più un settimo in grembo alla madre. Gli Ulma, pur consapevoli del rischio e nonostante le ristrettezze economiche, mossi dal comandamento dell’amore e dall’esempio del «buon samaritano», nascondevano famiglie ebree fino a quando, all’alba del 24 marzo 1944, i gendarmi e i nazisti entrarono nella loro fattoria, assassinando gli ebrei e trucidando l’intera famiglia, compreso il bimbo che sarebbe dovuto venire alla luce. I bambini erano battezzati e coinvolti nella fede operosa dei genitori. Per il nascituro vi fu il battesimo di sangue. «Si sentivano grida tremende – narra un testimone –, il lamento delle persone e le voci dei bambini che chiamavano i genitori fucilati. Una scena raccapricciante». Il grande villaggio di Markowa, nella Polonia sud-orientale, aveva 4 442 abitanti, tra cui 120 ebrei. Józef Ulma era molto conosciuto perché dotato di talenti e intraprendente: gestiva un vivaio di alberi da frutta, si occupava di apicoltura e dell’allevamento del baco da seta. Buon cattolico, era impegnato in varie attività sociali: nell’associazione della gioventù cattolica era bibliotecario e fotografo. La fotografia era la passione di questo contadino «illuminato». Israele ha annoverato i membri della famiglia Ulma fra i «Giusti tra le Nazioni» e la Chiesa ha avviato il processo canonico per la loro beatificazione.

La puntata è stata aperta, come al solito, dal presidente del Circolo, il m° Luigi Cimino, che dopo i saluti ha presentato l’ospite d’eccezione: Francesco Stanizzi, il giovane cantautore catanzarese, in arte Zerorizzonti, e il suo repertorio. L’artista ha quindi eseguito il suo singolo «Come volevi te», conquistando il pubblico, presente nel Salone, fin dalle prime note, le note che si chiudevano «in un’eco […] al ritmo delle onde», irradiando un’energia prodigiosa, collettiva, montante e trasformante.

Il sottoscritto ha esposto il programma della Serata, postato sul sito web del Circolo, nella sezione «Eventi», e ha invitato alla lettura dell’articolo «Marise Ferro: l’antiromantica», anch’esso pubblicato sulla bacheca del sito web e corredato delle foto scattate da Lucia, Olga e Ghenadi, che immortalano la Serata precedente con «aperitivo» [237].

A moderare il panel, il trio: Marialuisa Mauro, Luigi Cimino e lo scrivente. Al centro dell’interesse, Anna Frank con il suo «Diario», ma catalizzava l’attenzione anche un’altra figura femminile: Wanda Półtawska, prigioniera nel lager femminile di Ravensbrück e grande amica di Giovanni Paolo II, ancora vivente. Un duetto affascinante ed intrigante, per certi versi enigmatico e scomodo. Il panel si snodava quindi tra i seguenti punti:

4.1. Video «La storia di Anna Frank?» (0:00′-15:55′); 4.2. Intermezzo canoro di Francesco Stanizzi: «Farei di tutto» (2:55′); 4.3. Marialuisa Mauro: «L’ebrea tradita» (6:00′); 4.4. Video «Il Diario di Anna Frank simbolo del dolore di milioni di ebrei che vissero l’incubo della Shoah» (3:54′); 4.5. Lettura dei brani tratti dal Diario di Anna Frank, a cura di Marialuisa Mauro (6:00′); 4.6. Intermezzo canoro di Francesco Stanizzi: «Nuvole» (3:02′); 4.7. Consegna al Cantautore – da parte del presidente Luigi Cimino e della sottosegretaria Lucia Scarpetta – di un Attestato di ringraziamento insieme ad un ‘segno’; 4.8. Maria Rita Talarico: «‹E ho paura dei miei sogni› di Wanda Półtawska, sopravvissuta al lager femminile di Ravensbrück, amica di Giovanni Paolo II» (5:00′); 4.9. «Canzone per la guerra in Ucraina» di Stefano Syzer Germanotta (3:04′)

I convenuti, ascoltando e guardando queste sequenze, proiettate anche sul grande schermo da Ghenadi Cimino, sentivano il Salone espandersi attorno a loro, specie durante le performance di Francesco Stanizzi. È questo che un corpo può fare ad un altro corpo: rivelare una libertà condivisa che penetra sotto pelle, la libertà che non è sbarazzarsi del peso del passato, ma guardare al futuro e sognare tutto il tempo. «Un corpo libero – scrisse Olivia Laing nel saggio «Everybody. Un libro sui corpi e sulla libertà», edito da Il Saggiatore (2022), che è un viaggio attraverso i corpi come motori di unione e trasformazione – non deve essere necessariamente intero o inviolato, o inalterato. […] Immaginate, per un momento, che cosa significhi abitare un corpo senza paura o senza bisogno di alcuna paura. Immaginate cosa potremo fare. Immaginate soltanto il mondo che potremo costruire». La trasformazione è il solo modo che le donne hanno di salvarsi la vita e di trovare la libertà… di amare.

Piotr Anzulewicz OFMConv




Marise Ferro: l’antiromantica

Il Circolo sa fare anche questo: resistere e marciare senza averne l’aria, dire «speranza contro ogni speranza» (Rom 4,18), scrollare animi insonnoliti e trainarli verso un futuro che può condurre a percorsi più vivibili e a esistenze meno asfissiate, da costrizioni varie ed eventuali. I suoi habitué sanno essere, anche a loro insaputa, un sorso d’acqua nel mezzo di tanta sete. E per quel sorso d’acqua, che vivifica, occorre ringraziare il cielo che ci sta addosso.

Il Circolo sa pure, a volte, incantare, come ha fatto venerdì 10 marzo scorso, durante l’11ª Serata conviviale – con il focus su «Marise Ferro († 1991), l’antiromantica» – ideata nell’ambito della 10ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», inserita nel solco della fase narrativa del cammino sinodale, ispirata ai grandi testi dell’autorità educativa della Chiesa ed aperta gratuitamente a tutti: credenti e «laici», vicini e lontani – la 237ª di seguito.

Incantevole e seducente è stato già il suo «incipit», con la performance dei due graditi ospiti: il m° Mario Migliarese e il dott. Michele Stanizzi, cantautori e polistrumentisti, di Petronà e di Cropani, discepoli del presidente del Circolo, m° Luigi Cimino, che presentò al pubblico i loro profili professionali e musicali. Il m° Migliarese, accompagnato dal dott. Stanizzi con la chitarra, ha eseguito in lingua calabrese «Tra cìelu e mare», la canzone che ha dato il nome al suo ultimo album discografico, dedicandola a tutte le donne, le mamme e le nonne, ma in particolare alla sua amata Rita, scomparsa nel 218, in seguito ad una grave malattia, e segnando per tutti l’accesso al «paradiso», “tra cielo e mare”, alla Calabria. «Bella, te viju – scaldava i cuori, omaggiandola con le parole semplicemente meravigliose – tra cìelu e mare / de la muntagna, cchi bella vista! / virde vestuta cumu a ‘nna hesta / cu llu tramontu chi ‘mpiamma ‘a horesta […] ppecchì me mpizzu quandu te guardu, quandu me guardi, oi bella; / cumu me sbampi quandu t’abrazzu quandu m’abbrazzi, oi bella». Incantevoli erano pure altri due brani, tratti dalla stessa «collection»: «U sùanu ‘e l’acqua» e «A serenata», eseguiti in seguito con il chitarrista Stanizzi, accolti dal pubblico con calore, applauso e gratitudine. È stato commovente il momento della consegna ai due artisti – da parte del presidente Cimino e della sottosegretaria Lucia Scarpetta – degli Attestati di ringraziamento e dei ‘segni’, con spettatori in piedi, estasiati e incantati.

La Serata è entrata nel vivo con il panel che si presentava lusinghiero e variegato, condotto dal trio: Marialuisa, Luigi e il sottoscritto, e avviato in «live streaming» da Ghenadi Cimino. In apertura lo sconvolgente videoclip «Non è un film» di Gerardina Trovato, cantautrice catanese, per ri-gridare a tutti che stiamo dalla parte di chi viene massacrato da ‘grandi soldati’.

Marialuisa Mauro ha descritto quindi Marise Ferro, la scrittrice di cultura italo-francese, nata a Ventimiglia nel 1905, che voleva, con la ragione, emancipare le donne. In tutti i suoi libri trattava di un tema che le fu molto caro: la condizione, l’educazione e la formazione femminile. Marise Ferro era un’antiromantica e cercava di educare le donne, come aveva fatto con se stessa, all’illuminismo. Per lei l’intelligenza era l’antidoto per decostruire le illusioni e uscire dalla sofferenza e dalla condizione di inferiorità sociale e culturale. Considerava le donne, per educazione, troppo romantiche, nel senso deteriore, e troppo esposte alle illusioni veicolate dalla letteratura. La razionalità illuminista è quella che vuole spazzare via le superstizioni e le credenze che ancorano al passato e rendono schiavi. Ferro riteneva che solo un bagno di ragione avrebbe aiutato le donne a capire la trappola nella quale erano state rinchiuse.

Secondo Francesca Sensini, docente di italianistica all’Université Côte d’Azur di Nizza e curatrice delle nuove edizioni di libri e scritti di Marise Ferro, «la sua visione del femminile era severa e mai tenera». Era molto interessata alle figure femminili ingiustamente dimenticate, dotate di talenti da riscoprire in chiave nuova o da celebrare perché irregolari, trasgressive, dissidenti, anticonvenzionali, innovative. Le sue romantiche sono soprattutto francesi e – se si escludono George Sand ed Emily Brontë – sono rimaste sepolte sotto la polvere del tempo. Era femminista, ma il femminismo non le piaceva. Non si sentiva mai vicina al movimento femminista protestatario per tante ragioni – la sua mentalità, il suo milieu, la diffidenza verso l’intruppamento politico-ideologico – ma è sempre stata attenta alla società e ha anticipato l’analisi dei ruoli sessuali, mettendo l’accento sull’amore, l’affettività, l’autocoscienza come strumenti per arrivare alle radici dell’umano. «Per lei – riteneva Sensini – i progressi nella ‘polis’, la possibilità di lavorare e guadagnare denaro, l’inserimento nelle professioni non cambiano la condizione femminile se non muta l’idea di sé. La parità è una falsa soluzione: quello che le donne rivelano nell’intimità attraverso i loro desideri dice che molto poco è cambiato e che le ragazze sono prigioniere della stessa trappola in cui sono state rinchiuse le loro madri». Era un’intellettuale che aveva orrore per le narrazioni consolatorie. Il suo sguardo rimaneva sempre lucido e non assumeva mai toni rivendicativi o apologetici.

Marise Ferro è morta 32 anni fa. Nel 1970 aveva pubblicato da Rizzoli il trattatello di storia del costume dal titolo La donna dal sesso debole all’unisex, un «excursus» lungo il secolo fino agli anni sessanta, in cui polemizzava con l’ultimo feticcio dell’uguaglianza, la moda che confonde i generi, «genderless», si direbbe oggi. «Unisex» oggi è una parola innocente: tutti portano ormai «jeans e «t-shirt», ma allora non era così. «Marise Ferro – scrisse Annamaria Guadagni nel suo articolo L’antiromantica, pubblicato su Il Foglio del 13-14 novembre 2021 – considerò lo stile ‘unisex’ come una forma di mascheramento in abiti maschili che nasconde una negazione del femminile, il suo depotenziamento. Una nuova illusione egualitaria, che non può modificare il corpo né il ruolo di moglie e madre che le donne non solo svolgono, ma desiderano» (p. IX). Una consapevolezza della specificità femminile molto forte. Anche se lei – per sé – aveva deciso di non avere figli, sapeva che decostruire i ruoli sessuali e confonderli sono due cose molto diverse. «Marise Ferro – affermò il sottoscritto durante il suo intervento – era una pensatrice della differenza ante litteram».

Una Serata incantata, da sogno, «tra cìelu e mare», illuminante grazie anche agli spunti di riflessione offerti da Elisabetta Guerrisi («‹Non c’è salvezza senza la donna›, eppure…»), solidale grazie ai due brevi filmati, in omaggio alle donne ostaggio della guerra in Ucraina («Via Crucis 2022: una donna ucraina e una russa insieme per la pace») e a quelle vittime del naufragio a Steccato di Cutro («La Via Crucis a Cutro in memoria dei migranti»), e deliziosa grazie al «cocktail», affabilmente servito dalle donne dello Staff, insieme ad Asia Bronieri, la tenera e amabile ‘mascotte’. Tutte quindi siano protette da una Donna speciale, Maria, Madre dell’umanità intera.

Piotr Anzulewicz OFMConv


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Buon 8 marzo a tutte!

Il Circolo Culturale San Francesco, con le sue due attuali edizioni dal filo rosso: «Donne, sorelle tutte, che ‘fanno bello il mondo’», dedica il primo pensiero dell’8 marzo alle donne che, scappando da una realtà di oppressione e di violenza, si sono imbarcate con i loro bambini su un peschereccio e hanno trovato la morte davanti alle coste calabresi di Steccato di Cutro; alle donne afghane celate sotto il burka e senza più diritti; alle donne iraniane che continuano tenacemente la rivolta e il cui slogan «#Donne #vita #libertà» rimbalza nelle manifestazioni di solidarietà delle principali capitali europee; alle donne ‘dimenticate’, ‘invisibili’ ed emarginate, costrette a matrimoni precoci e a mutilazioni genitali o condannate ad una vita di soprusi, senza la possibilità di studiare o di compiere le azioni quotidiane ‘normali’; alle donne vittime dei reati di tratta e di riduzione in schiavitù; alle volontarie ed operatrici delle organizzazioni umanitarie, impegnate in prima linea nel dare aiuto nelle zone del mondo devastate dalle guerre e dai disastri naturali; alle religiose e consacrate laiche, coraggiose e forti, attive nella pastorale, nell’accompagnamento spirituale, nel sociale e nei settori dell’educazione e della sanità, con istituzioni mediche ed ospedaliere, coinvolte nel lavoro con i carcerati e i rifugiati, nella lotta per i diritti umani e la responsabilità per il creato.

Il Circolo rivolge un omaggio speciale alle donne ucraine che, sopraffatte dagli orrori della guerra di aggressione che macchia di sangue la loro terra e costrette a fermarsi alla ‘Passione’, anticipano l’alba del ‘terzo giorno’, privandosi di ogni cosa per difendere e proteggere la vita dei bambini. A guidare le loro vite, anche nella sofferenza, è sempre l’amore!

Una gratitudine particolare indirizza alle giornaliste che mettono a repentaglio la loro vita per garantire l’informazione, permettendo a tutti di essere vicini al dramma del popolo che soffre…

Un augurio vivissimo porge infine al «genio» femminile delle Serate conviviali e cinematografiche e del Laboratorio musicale.

L’8 marzo non si esaurisce nella giornata del calendario, ma si snoda lungo l’intera 10ª edizione del Wiki- e CineCircolo, che si è avviata rispettivamente il 7 e il 14 ottobre 2022 e si concluderà il 23 giugno 2023 con la Serata straordinaria dal titolo: «Giubilo del cuore in omaggio a tutte le donne» [250].

L’8 marzo sia comunque un potente faro di luce affinché l’attenzione sul «genio femminile» non venga mai meno, perché il loro destino è anche il nostro.

(pa)




Un grido di pace e un tributo di riconoscenza

Una Serata deliziosa e preziosa, a ventiquattro carati, quella cinematografica, con la proiezione del film «Gli alberi della pace» («Trees of Peace»), la 228ª di seguito. Avvolti ancora dall’aura sacro-profana dell’Epifania, il 6 gennaio 2023, in tanti, stupendamente, si sono presentati all’evento, per dar risalto al grido di pace delle donne in Ucraina e nel mondo e unirsi al coro di infiniti grazie a Benedetto XVI, sepolto il 5 gennaio nelle Grotte vaticane, nello stesso luogo del suo predecessore, Giovanni Paolo II.

La canzone «Beautiful that way» («La vita è bella») di Achinoam Nini (Noa per tutti), la stella della «world music» e l’«artista per la pace» (Assisi), dal fortissimo impegno sociale e umanitario, aprendo la Serata, ha messo in moto l’immaginazione e i suoi poteri creativi che chiunque ti passi accanto sul marciapiede possa essere un messaggero di pace. La sua voce, che mescola jazz, rock americano e suggestioni mediorientali ed emana il calore di un abbraccio pieno di simpatia, ha toccato i cuori dei presenti nel Salone di S. Elisabetta d’Ungheria presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, aiutando ad annullare le loro inquietudini e cogliere la più bella ricchezza del mondo: l’amore. Ascoltando questo stupendo brano della colonna sonora del film di Roberto Benigni «La vita è bella», si aveva la prova che canzoni come questa, interpretate da una voce così limpida, sono realmente un dono. E un dono è anche lo «shalôm» (pace) che Noa rivolge a tutti. Un saluto e un augurio che esclude l’odio e il pregiudizio e comunica un’idea della vita.

Sorridi senza una ragione / Ama come se fossi un bambino / Sorridi, non importa cosa dicono / Non ascoltare una parola di quello che dicono / perché la vita è bella così.

Lacrime, un’ondata di lacrime / Luce che lentamente scompare / Aspetta prima di chiudere le tende / C’è ancora un altro gioco da giocare /e la vita è bella così.

Di…didididi…

Qui nei suoi occhi eterni / sarò sempre vicina quanto te / Ricorda com’era prima / ora che sei là fuori con te stesso / Ricorda cos’è vero / e quel che sogniamo è solo amore.

Conserva la risata nei tuoi occhi / Presto ti verrà dato il premio che hai tanto atteso / Dimenticheremo i nostri dolori / e penseremo ad un giorno più allegro / perché la vita è bella così.

Di…didididi….

Dimenticheremo i nostri dolori / e penseremo ad un giorno più allegro / perché la vita è bella così / C’è ancora un altro gioco da giocare / e la vita è bella così.

Noa, donna piccola ed esile, con una grazia innocente e felina e un sorriso che è pieno di vita, diede quindi corso alla Serata che avvinse il pubblico. Dopo un veloce sguardo retrospettivo, sulla Serata precedente, la 5ª cinematografica, che si è svolta venerdì 9 dicembre 2022, con la proiezione della pellicola «Tutta la vita davanti» di Paolo Virzì e il cinedibattito «Donna che sogna un mondo migliore per sé e per la bambina cui fa da ‹baby-sitter›» – la Serata accolta con fervore, come vitale ed attuale – la sottosegretaria Lucia Scarpetta ha presentato affabilmente la sinossi del film «Gli alberi della pace» di Alanna Brown e ha annunciato il tema del cinedibattito: «Guerra attraverso gli occhi delle donne che si fanno forza a vicenda, diventando vere sorelle».

Il solerte Ghenadi Cimino, a cui è affidata la direzione cinematografica, da tempo suonava l’allarme che la pellicola è freschissima, uscita appena il 10 giugno scorso e quindi è disponibile soltanto su Netflix, uno dei servizi di streaming. Il Circolo non è, purtroppo, iscritto a questo servizio, a causa del suo budget in rosso. Lo Staff, selezionando questo film, ne era consapevole, ma ugualmente lo inserì nella rassegna, con l’intento di proiettarlo, seppure il suo «trailer», nel primo venerdì dopo la 56ª Giornata Mondiale per la Pace sul tema: «Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace», e in tal modo rafforzare il grido di pace delle donne che combattono e resistono, al buio e al gelo, tra minacce e sofferenze, distruzione e morte. E così fu…

«E’ ora – ci ha sollecitato Papa Francesco nel suo Messaggio, pubblicato l’8 dicembre 2022, per la celebrazione di questa Giornata – di prendere un tempo per interrogarci, imparare, crescere e lasciarci trasformare, come singoli e come comunità; un tempo privilegiato per […] rimettere al centro la parola “insieme”. Infatti, è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi. […] Solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali», tra cui quella terribile sciagura che si è abbattuta sull’umanità: la guerra in Ucraina, guidata da scelte umane colpevoli, che «miete vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso e indiscriminato per tutti, anche per quanti, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali – basti solo pensare ai problemi del grano e ai prezzi del carburante».

Cosa, dunque, ci è chiesto di fare? Anzitutto, di lasciarci cambiare il cuore e pensarci alla luce del bene comune, come un “noi”, aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, perché tutte le crisi sono interconnesse. Siamo quindi chiamati a promuovere insieme azioni di pace, per mettere fine ai conflitti e alle guerre che continuano a generare vittime e povertà, a «combattere il virus delle disuguaglianze e a garantire il cibo e un lavoro dignitoso per tutti, sostenendo quanti non hanno neppure un salario minimo e sono in grande difficoltà». Ci ferisce lo scandalo dei popoli affamati. Abbiamo bisogno di sviluppare l’accoglienza e l’integrazione, in particolare nei confronti dei rifugiati, migranti e scartati nelle nostre società. Solo spendendoci in queste situazioni, con un desiderio altruista, ispirato all’amore infinito e sconfinato, potremo contribuire a edificare il mondo di amore, libertà, giustizia e pace.

«Gli alberi della pace» è un film di guerra, ma la guerra non viene mostrata quasi mai direttamente. Lo spettatore la vede attraverso gli occhi e le paure delle quattro protagoniste, travolte dal conflitto, ognuna con la propria storia e la propria sofferenza. Annicke, Jeanette, Akimana e Peyton non si conoscono affatto, ma, nonostante le difficoltà e alcuni momenti di astio, si fanno forza a vicenda diventando vere sorelle. A unirle, la condivisione del dolore. Lo scantinato, in cui sono costrette ad agire, è il luogo che consente loro di salvarsi da una morte certa, ma diventa anche il campo in cui proiettare incubi e sogni, come le lettere che Akimana scrive a suo figlio, unico motivo per lottare e continuare a vivere: «Tu sarai la mia gioia più grande. Ti scrivo perché così conoscerai la verità che non sempre può essere svelata». Lo scantinato, da luogo freddo e squallido, diventa colorato e accogliente.

È la solidarietà femminile uno dei temi portanti del film. Le quattro donne sono portatrici di caratteri globali e al contempo intimi del Paese. Il conflitto militare acquisisce così una concretezza palpabile, tattile e reale, che travolge ogni aspetto della società. Sono, appunto, le donne a pagare il prezzo più alto di una guerra tra due etnie vissute in pace per secoli, fino a quel momento: molte di loro furono anche stuprate, prima di essere trucidate senza pietà. Come indicano le didascalie, che scorrono sulle ultime immagini del film, le donne sopravvissute guidano un movimento politico «Guarigione e Perdono». Grazie al loro impegno i responsabili dei crimini di guerra vengono consegnati alla giustizia e il Paese ritrova la riconciliazione. Il film si pone dunque come un inno alla resistenza delle donne contro l’assurdità della guerra. La loro lotta è uno strumento fondamentale per conquistare la luce, la libertà e la pace, attraverso il nuovo seme della vita.

È stato gratificante per tutti partecipare al cinedibattito. Il suo filo rosso, unitamente all’omaggio a Benedetto XVI, era suggestivamente visibile e leggibile. Ecco le sue sequenze:

4.1. Condivisione sul tema («Guerra attraverso gli occhi delle donne che si fanno forza a vicenda diventando sorelle»), a partire dalla trama del film (10:00′); 4.2. «La guerra vista dalle donne»: testimonianza di tre note giornaliste (1:48′); 4.3. «Bellezze in divisa» (1:30′); 4.4. «La ragazza con il cannone e le donne soldato di Kiev» (1:02′); 4.5. «Due soldatesse al fronte cantano ‘Bella Ciao’, versione Ucraina» (1:32′); 4.6Kordon» di Alice Tomassini (1:39′); 4.7. «Prayer of the Mothers» di Yael Deckelbaum (5:20′); 4.8. «Benedetto XVI: le parole che hanno scandito un pontificato» (5:18′); 4.9. «La vera vite» di Marco Frisina, in omaggio a Benedetto XVI (3:02′)

Un cinedibattito dinamico, interattivo, virtuale e reale, in linea con il format della 10ª edizione del Cine– e WikiCircolo, un format che è sempre creativo, illuminante e trainante, che non conosce momenti di opacità, che non perde in vivacità ed acutezza, che offre quel gusto della varietà che innesca la contemplazione di quanto le donne, ‘sorelle tutte’, sono tanto singolari quanto meravigliose, attraenti e coraggiose. Le donne che per scelta combattono una guerra a rovescio, sobbarcandosi il peso di portare vita, libertà e pace laddove la follia produce morte, schiavitù e violenza.

A concludere la Serata, il M° Luigi Cimino, presidente del Circolo, che ha ringraziato fervorosamente coloro che dedicano il loro tempo a preparare ogni incontro e ha invitato coloro che sono rimasti nel Salone, incantati e affascinati, alla foto di gruppo, all’«aperitivo» e al prossimo appuntamento con il focus su «Emilce Cuda, la teologa “atipica”» (13.01.2023). Con lei, «che sa leggere Papa Francesco», il Circolo continuerà a veicolare un’autentica cultura di pace, fondata sull’amore, e «fare bello il mondo», fraterno, compassionevole, estraneo alla violenza, perché «la vita è bella».

Piotr Anzulewicz OFMConv


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‹Reading› in musica in onore della Madre…

Il Circolo non finisce mai di sorprenderci. Mercoledì 21 dicembre 2022 ci ha stupito con la Serata straordinaria: musicale, lirica e conviviale, che si è tenuta nel Salone di S. Francesco della Parrocchia «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, in presenza e in diretta streaming, dal titolo: «‹Reading› in musica in onore della Madre del Signore» con lo scambio di auguri per il Natale e l’Anno 2023, ideata nell’ambito della 10ª edizione del Wiki– e CineCircolo dal filo rosso «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo» e inserita nel solco della fase narrativa del cammino sinodale della Chiesa, la 227ª Serata di seguito tra quelle conviviali con «aperitivo» e quelle cinematografiche con «cocktail».

È stata straordinaria, perché si svolgeva, da tradizione, nell’imminenza del Natale e, per la prima volta, in un momento di grandi conflittualità, con una terribile «escalation» nel cuore dell’Europa, che offusca la luce natalizia e genera la paura collettiva.

È stata straordinaria, la Serata, perché si teneva a conclusione dell’’anno dedicato a don Lorenzo Perosi († 1956), aperto il 21 dicembre 2021 al Pontificio Istituto di Musica Sacra a Roma, in occasione del 150° anniversario della sua nascita. Per 12 mesi scorreva un fiume di eventi, concerti e «meeting», sotto il patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura, del Pontifico Istituto di Musica Sacra e dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Pontefice, per ricordare questo illustre compositore piemontese, direttore del coro italiano e maestro della Cappella Musicale Pontificia Sistina (dal 1902 al 1952), nato a Tortona il 21 dicembre 1872, noto per i suoi oratori, le sue Messe polifoniche e i suoi mottetti e considerato la guida e l’esponente del cosiddetto movimento ceciliano.

È stata straordinaria, la Serata, per tanti altri motivi, tra cui per la presenza di p. Rocco Predoti, corifeo del Circolo, superiore del convento «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido e docente di teologia catechetica e teoria e prassi della comunicazione presso l’Istituto Teologico Calabro «S. Pio X» a Catanzaro e presso la Pontificia Facoltà Teologica «S. Bonaventura»-Seraphicum a Roma, e per la partecipazione di Anna Daniela Sestito, musicologa, soprano, concertatore, fondatore dell’Ensemble Quadrivium Ars et Musica a Parigi.

La Serata, avvolta dal connubio di fratellanza e speranza, si è snodata idealmente secondo il programma, postato sul sito web e la pagina social del Circolo, ma anche stampato nel pieghevole dallo Studio grafico «Zetaenne». Ecco il suo «clou» musicale e lirico:

3. Musica e lirica: 3.1.White Christmas (4:00’); 3.2. «Saluto alla Beata Vergine Maria» di s. Francesco d’Assisi; 3.3. Jingle Bell Rock (4:05’); 3.4. «Natale» di Giuseppe Ungaretti; 3.5. Silent Night (4:00’); 3.6. «È Natale ogni volta» di Patrizia Varnier; 3.7. Feliz Navidad  (4:08’); 3.8. «Buon Natale» di Alda Merini

Il M° Luigi Cimino, sassofonista, arrangiatore-compositore, direttore del complesso bandistico “Giuseppe Cimino” di Cropani, nonché presidente del Circolo, eseguendo con il suo dorato sassofono quattro famosi brani musicali, evidenziati qui in grassetto e illustrati brillantemente sullo schermo da Ghenadi Cimino, ci ha innestato nell’atmosfera natalizia, già visibile nel Salone grazie alla «Stella di Natale», portata da Maria Luisa Mauro all’inizio di novena di Natale, tanto cara al suo adorato sposo, avvocato premuroso e curatore solerte delle Serate del Circolo, amatissimo ed indimenticabile Peppino Frontera, accolto dalla Sorella Morte il 24 gennaio 2018. È stata Antonella Vitale, da brava scenografa, a trasformare questo Salone in un ‘set’ natalizio, mettendo al suo centro un tenero Bambinello e al suo lato destro un luminoso albero di Natale.

Il pubblico con delizia e stupore catturava le note dei bellissimi canti natalizi, introdotti da Lucia Scarpetta e tesaurizzava le liriche (ad una di esse ha dato voce senza pari Gabriella Sestito), presentate dal sottoscritto, cullando il tempo e lo spazio della nascita dell’Infante divino a Betlemme da Miryam di Nazareth, piccola/grande donna di grande coraggio, che da due millenni fa sognare e scuotere le nostre coscienze e ci sprona a sognare con i sogni di Dio, la «Vergine Madre, figlia del suo figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’eterno consiglio» (Dante Alighieri, Paradiso, XXXIII 1).

La gratitudine al Maestro per la sua impeccabile «performance» si è espressa nella «standing ovation» e nella consegna del bouquet con il girasole che, ‘impazzito’ di luce, si volgeva verso il cielo, alla ricerca dell’infinito.

La felice Serata musicale, lirica e conviviale si è sciolta presso un ricco e saporito ‘buffet’, preparato per tutti i gusti da Iolanda, Lucia, Federica ed altre donne del Circolo, con lo scambio di auguri per il Natale e l’Anno 2023. Il resto ‘raccontano’ le foto scattate da Antonella Vitale e Lina Tarantino.

Sia un Natale solidale con tutti, ma in particolare – come ci ha chiesto Papa Francesco al termine dell’udienza generale celebrata in mattinata – con «i tanti bambini dell’Ucraina che soffrono […], che non riescono a sorridere […], che portano su di sé la tragedia di quella guerra che è così inumana». L’Anno nuovo restituisca a loro e alle loro madri, il più presto possibile, la pace e la giustizia. E Maria, «in cui fu ed è ogni pienezza di grazia e ogni bene» (frate Francesco), interceda per loro e per il mondo intero. Fermi la mano di Caino e abbi cura anche di lui. È nostro fratello.

Piotr Anzulewicz OFMConv


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«Bambinaie celesti» al Circolo

Per farla breve, la 6ª Serata conviviale con «aperitivo» [226], focalizzata sul tema: «Caterina de’ Ricci († 1590), Veronica Giuliani († 1727) e le altre donne, bambinaie celesti», ideata nell’ambito della 10ª edizione del WikiCircolo 2022/23 dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», e svolta venerdì 16 dicembre 2022, presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, aveva tutto o quasi tutto: tre mirabili momenti sonori, creati magnificamente e regalati nobilmente  da Amerigo Marino di Pentone (CZ), tenore lirico di fama internazionale, con un repertorio vasto che spazia dalla lirica alle canzoni classiche italiane e napoletane, tre video sulle «bambinaie celesti», tre interventi e condivisioni dei presenti nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria».

Non ce l’ha fatta ad esserci solo un relatore, con amabili scuse, che però avrebbe portato un contributo di rilievo e indiscusso nella presentazione delle «bambinaie», selezionate proprio in vista di lui e in accordo con lui, in settembre scorso. A mezzogiorno, ahimè, il programma della Serata ha dovuto virare e ribaltarsi. Quando la melanconia, cioè il sentirsi abbandonati, afflitti o tristi, minaccia non più un evento, ma il mondo intero, chi è integro si sgretola. E chi è sgretolato e da sempre inadatto, si scopre, d’improvviso, lucido e potente. Come il cieco avverte il sole senza vederlo. Spicca un balzo, rimbocca le maniche e, con buona lena e tenacia, si dà da fare, per ‘salvare’ tutti, piccoli e grandi, stolti e saggi, poveri e ricchi… Così avvenne anche venerdì, pomeriggio.

La Serata ha potuto quindi snodarsi fluidamente e sinfonicamente, seguendo il programma modificato e «rendere bello il mondo». Il M° Amerigo Marino, presentato alla platea dal M° Luigi Cimino, con la sua alta voce ha aperto l’evento, interpretando l’«Ave Maria» di Franz Peter Schubert († 1828), compositore austriaco. Ha deliziato la platea durante il panel con «La voce del silenzio» di Elio Isola († 1996), compositore, direttore d’orchestra e arrangiatore genovese, e con la «White Christmas» di Irving Berlin († 1989), compositore russo-statunitense, a conclusione, prima della foto di gruppo e del momento conviviale accompagnato dal bellissimo videoclip «Рождественские попурри»: i canti natalizi in russo, ucraino, inglese e spagnolo, eseguiti dalla Группа Мелодия, SOL Family Church e друзья. Ed ecco il nucleo del programma:

3.1. Piotr Anzulewicz OFMConv: «Chi è s. Caterina de’ Ricci? Vita, novità, attualità» (20:00′); 3.2. Videoclip «La Santa Caterina» di Lisetta Luchini (4:08′); 3.3 Video «Il raro stendardo di s. Caterina de Ricci» (00:50′); 3.4. «La vita di s. Veronica Giuliani» – Intervista alla giornalista Lucia Bigozzi, insieme ai collegamenti da Mercatello sul Metauro di Giacomo Avanzi (00-18:37′); 3.5. Condivisione (10:00′); 3.6. M° Amerigo Marino: «La voce del silenzio» di Elio Isola; 3.7. «In piedi, signori, davanti a una donna» (3:06′)

La Serata meriterebbe un articolo ben corposo e decisamente ‘a toni angelici’, ma qui un cenno solo ad una delle «bambinaie celesti», s. Caterina de’ Ricci, la mistica domenicana fiorentina che ha legato indissolubilmente il proprio nome a Prato, città in cui ha vissuto gran parte della sua vita. Quest’anno ricorrono i 500 anni dalla sua nascita (23.03.1522). Un fiume di eventi, tra cui quello di venerdì 14 ottobre scorso: il convegno nel Salone consiliare di Prato sulla storia della compatrona della città,promosso nell’ambito delle iniziative del cinquecentenario della Santa. Ne hanno parlato quattro donne ricercatrici, esperte di storia della Chiesa e del monachesimo: Roberta Franchi, Isabella Gagliardi e Anna Scattigno dell’Università di Firenze e la ricercatrice e docente Veronica Vestri, tratteggiando la figura della Santa e inquadrando la sua grandezza nel contesto del suo tempo.

Il monastero domenicano fu il luogo dove, una volta fatta la professione di fede, il 24 giugno 1536, Caterina rimase fino al giorno della sua morte avvenuta il 2 febbraio 1590. Il suo corpo riposa nella basilica omonima, una delle chiese che esprime al meglio il tardo barocco presente a Prato, con il bellissimo coro monastico, dono di uno dei figli spirituali della Santa, il fiorentino Filippo Salviati.  Da febbraio 1542 la Santa iniziò a essere soggetta a una serie di rapimenti estatici che si verificarono ogni settimana per dodici anni. La sua devozione al Crocifisso, ancora oggi conservato nel monastero, era instancabile, come la sua capacità di saper guidare la comunità, nei decenni in cui fu priora, e intrattenere rapporti con esponenti della società del suo tempo, testimoniata da un prezioso Epistolario che documenta come fosse capace di arrivare lontano, pur rimanendo nella clausura. Il 24 agosto 1542 nel monastero avvenne un fatto prodigioso: il Cristo in legno, presente in una cella, si staccò dalla croce per abbracciare Caterina. Fu uno dei miracoli più stupefacenti che si raccontano della vita della Santa. A testimoniarlo furono le consorelle che assistettero al prodigio: il Crocefisso chiese alla Santa tre processioni di espiazione per i peccatori. Così, da quasi cinque secoli, le monache domenicane non sono mai venute meno a quella richiesta. Per tre giorni, il 22, il 23 e il 24 agosto, ogni anno, le claustrali all’interno dell’antico monastero portano in processione quello stesso Crocifisso che abbracciò Caterina de’ Ricci.

C’è chi – tra gli studiosi – la definisce «bambinaia celeste», un’espressione, a prima vista, bizzarra, strana, insolita. Nella raccolta delle sue visioni, i Ratti, possono essere individuate alcune scene in cui la Mistica domenicana vezzeggia Gesù Bambino, lo stringe fra le sue braccia, e lo bacia teneramente. L’apice di questo amorevole atteggiamento nei confronti di Gesù Bambino «è raggiunto – scrive Mattia Zangari nel suo studio Santità femminile e disturbi mentali fra Medioevo ed età moderna (Edizioni Laterza, 2022) – nel corso della visione del Natale del 1542. Caterina ebbe un rapimento in cui le si materializzarono davanti agli occhi la Vergine e Gesù Bambino: la Madonna indossava un vestito azzurro ricamato, un velo e un ammanto di seta bianca. A un certo punto Maria le consegnò Gesù e le mostrò il modo in cui avrebbe dovuto cullarlo, raccomandandogli di ninnarlo lentamente. […] La Mistica rimosse il velo adagiato sulla culla per vedere meglio il Piccolo; gli baciò le “manine”, i “piedini”, le “braccine”, la “golina” […], dopodiché Gesù Bambino si lavò il “visino” con le lacrime di Caterina, che intanto si era commossa» (p. 46).

II desiderio di maternità, negato alle donne mistiche del Medioevo e dell’età moderna, veniva sublimato, dando luogo alla devozione al Divino Infante, cullato e vezzeggiato, quasi fosse un bambino vero. Sembra che la messa in scena di questa devozione, anche con l’uso di bambole, sia stato per le religiose, che avevano fatto voto di castità, modo alternativo di vivere la maternità e la sessualità. È possibile rinvenire numerosi esempi di questa maternità sublimata: la mistica francescana Angela da Foligno († 1309), che afferma di aver visto la Madonna mentre era nella chiesa di frati minori di Foligno: la Vergine protese le braccia in avanti e le offrì Gesù Bambino in fasce, e la mistica domenica Benvenuta Bojanni († 1292), alla quale compaiono molteplici personaggi celesti: Gesù Bambino, Vergine, s. Domenico, gli angeli…

E questo è un po’ la missione delle donne, ricca di tenerezza, amorevolezza e devozione, oltre che di parole: «Il contributo delle donne è impareggiabile – affermò Papa Francesco, rivolgendosi il 7 febbraio 2015 alla Plenaria del Dicastero della Cultura, incentrata sul tema Le culture femminili: uguaglianza e differenza – per l’avvenire della Chiesa». Allargando lo sguardo alla società, denunciò la mercificazione del corpo femminile e «le tante forme di schiavitù», a cui sono sottomesse, e lanciò un appello affinché, per vincere la subordinazione, sia promossa la reciprocità. Sull’argomento tornò anche nell’udienza alla Pontificia Accademia della Vita, il 5 ottobre scorso, e chiese di ripartire «da una rinnovata cultura dell’identità e della differenza». Criticò «l’utopia del neutro» e «la manipolazione biologica e psichica della differenza sessuale». È necessaria, secondo lui, «un’alleanza dell’uomo e della donna», chiamata «a prendere nelle sue mani la regia dell’intera società».

«In piedi, allora, signori, davanti a una donna»: protagoniste sono le donne del Circolo! E arrivederci alla prossima meraviglia: la Serata speciale, perché musicale, lirica e conviviale, dal titolo «Reading in musica in onore della Madre del Signore».

Piotr Anzulewicz OFMConv


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«Dottorar le donne», senza paura

Una Serata sonora, interattiva, conviviale, con le persone che si stimano e si ammirano, quella che si è svolta venerdì 2 dicembre 2022 nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido e si è focalizzata sul tema: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia († 1684), la prima donna a potersi fregiare del titolo di Doctor», la 5ª della 10ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›».

Sonora, con la strepitosa performance del soprano Maria Grazia Cucinotta che ha cantato tre famosi brani: 1. «Ave Maria» di Charles François Gounod († 1893), all’inizio; 2. «Agnus Dei» di Georges Bizet († 1875), a metà; 3. «Astro del ciel» di Franz Xavier Gruber († 1863), a conclusione, rendendo bello il nostro mondo, più melodico, armonioso e soave e meno monocorde, uniforme, soliloquiale e privo di ritmo.

Interattiva, con il sostanzioso panel, che grazie alle sue peculiarità ha infervorato i presenti. Le sue sequenze digitali, virtuali, da remoto, e reali, fisici, in presenza, si snodavano così:

3.1. Monologo di Lucia Schierano: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia» [I] (3:06′); 3.2. Dr. Maria Luisa Mauro: «Vicenda accademica di Elena Lucrezia» (15:00′); 3.3. Monologo di Lucia Schierano: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia» [II] (3:59′); 3.4. Intervista a Alessandra Schiavon e a Tatiana Corretto, funzionarie archiviste nell’Archivio di Stato di Venezia (5:04′); 3.5. Monologo di Lucia Schierano: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia» [III] (1:42′); 3.6. Dr. Piotr Anzulewicz OFMConv: «Dottorar le donne, senza stereotipi di genere e paura» (10:00′); 3.7. Condivisione (10:00′); 3.8. M° Maria Grazia Cucinotta: «Agnus Dei» di Georges Bizet († 1875), compositore e pianista francese; 3.9. Lettura del «Messaggio alle donne» di Paolo VI

Conviviale, con la commovente consegna di un ‘segno’ e di un attestato di ringraziamento alla M° Maria Grazia Cucinotta, da parte del M° Luigi Cimino, presidente del Circolo, e della sottosegretaria Lucia Scarpetta, e con il piacevole momento di fraternità, presso il buffet, amorevolmente preparato da Gabriela, Pina, Loredana, Lucia, Luigi e Iolanda.

Nell’insieme, una Serata eccellente per l’orecchio, l’occhio, il palato.., con un finale omaggio – come nelle Serate precedenti – alle donne ucraine: il video, proiettato da Ghenadi Cimino, operatore audiovisivo e sonoro, con la canzone patriottica Ой, у лузі червона калина (Oj u luzi červona kalyna; lett. “Oh, viburno rosso nel prato”), scritta dal compositore Stepan Čarnec’kyj nel 1914, virale attualmente in Ucraina, ma vietata severamente nei territori occupati dalla Russia, pena multe, prigione o esilio.

Emozionante Serata ha disegnato, in poco più di un’ora e mezzo, il ritratto della prima donna laureata al mondo, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, intellettuale veneziana e oblata benedettina, oltre al composito mondo culturale, sociale e politico della seconda metà del sec. XVII, tra Venezia e Padova. Elena Lucrezia, affamata di cultura vera, intraprese un cammino nuovo, solitario, quasi scandaloso eppure esaltante e bellissimo, quando alle donne era consentito soltanto il matrimonio o il velo. Si consacrò allo studio e alla passione intellettuale. Appoggiata dal padre Giovanni Battista, facoltoso patrizio e colto procuratore della Repubblica di Venezia, nascose dietro la vocazione alla severità un temperamento orgoglioso, ribelle ed appassionato. Sfidò i costumi dell’epoca e la mentalità contraria all’istruzione delle donne e, nonostante l’opposizione del card. Gregorio Barbarigo († 1697), vescovo di Padova, riuscì a sostenere e superare l’esame pubblico davanti a una moltitudine di persone. A lei i notabili del Sacro Collegio dell’Università di Padova, il 25 giugno 1678, attribuirono il titolo di «magistra et doctrix in philosophia» e le consegnarono le insegne del dottorato. Non però – come avrebbe voluto – in teologia: quando, per volere del padre di Elena, venne fatta richiesta di riconoscerle la laurea in teologia, la reazione del card Barbarigo fu senza appello: «È uno sproposito dottorar una donna, ci renderebbe ridicoli a tutto il mondo». A lui, come a tanti altri come lui, la storia non ha dato né darà ragione, con buona pace della misoginia, ecclesiastica e non solo, ancora imperante.

Elena Lucrezia, con la sua laurea, è diventata emblema della ricerca di uguaglianza e del riscatto femminile. Questo per teologhe cristiane ha significato recuperare gli infiniti reperti di protagonismo femminile presenti anche nella Bibbia e portarli alla luce nella loro autenticità, cioè liberarli dalle scorie secolari di un’interpretazione sessista o, per dirlo con la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, dal pericolo di un’unica storia, quella maschile. Un lavoro arduo, scandito da domande che continuano a martellare: «Perché il filo memoriale delle donne bibliche che abbiamo ricostruito – si chiede la teologa Marinella Perroni su «Re-blog. Il post della rivista Il Regno» – non ce la fa a diventare patrimonio comune delle nostre Chiese, nelle quali domina ancora un’interpretazione dei testi biblici del tutto funzionale al mantenimento di un sistema fondato sulla gerarchia dei sessi?». Perché, evocando il card. Barbarigo, ci sono ancora tanti “santi” uomini che considerano uno sproposito «dottorar le donne»? Come è possibile che, ancora oggi, nel recente documento della Conferenza episcopale italiana, consegnato il 12 luglio scorso alle Chiese locali per orientare il secondo anno del cammino sinodale, dal titolo «I cantieri di Betania», si ratificano e si veicolano dolorosi stereotipi che, oltre tutto, alterano la comprensione del racconto evangelico della visita di Gesù alle sorelle di Betania? Perché nel paragrafo «Il cantiere dell’ospitalità e della casa» (p. 9), quando si delineano i caratteri della Chiesa domestica, si afferma che in essa la comunità vive «una maternità accogliente e una paternità che orienta», senza rendersi conto che questa considerazione apre in realtà uno squarcio sugli stereotipi di genere che pesano come un macigno sulle nostre Chiese?

Ha ragione Anita Prati quando ricorda nel suo bellissimo articolo dal titolo Lo sproposito di dottorar le donne, pubblicato il 27 luglio scorso su SettimanaNews, il portale dei Dehoniani, che «l’arco di tempo, che ha visto le donne impegnate a sanare il divario secolare, anzi millenario, in termini di disparità di educazione, di libertà e di possibilità di scelta, rispetto agli uomini, è ancora molto breve», e cita le parole con cui, nel 1622, Marie de Gournay stigmatizza le conseguenze di una cultura fondata sulla gerarchia dei sessi: «Beato te, lettore, se non appartieni al sesso cui tutti i beni sono vietati, con la privazione della libertà, nell’intento di costituirgli come sola felicità, come virtù sovrane e uniche: l’essere ignorante, fare la sciocca e servire».

La strada da percorrere è quindi lunga e forse per ora c’è solo da sperare che un numero crescente di padri, e di madri, sollecitino e orientino le figlie allo studio, senza paura di «dottorar le donne». È una speranza che viene da lontano.

Piotr Anzulewicz OFMConv


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«Nabat»: la forza d’animo di una donna sola

Un’altra Serata cinematografica gradita, innovativa, avanguardistica, da infilare nel Pantheon delle avanguardie, arricchendolo con le storie di donne intrepide, decise, coraggiose, storie che possono aiutare altre donne ad aprire gli occhi anche sulle insidie, sulle trappole, sui pericoli nascosti dietro i falsi modelli di successo, di autoaffermazione, di liberazione.

È stato decisamente il giorno giusto, venerdì 25 novembre 2022, per chinarsi sull’«ostinazione delle donne a non cedere alla barbarie, sulla loro resilienza, sulla loro capacità di cura» e proiettare il film «Nabat» di Elchin Musaoglu, selezionato dallo Staff del Circolo Culturale San Francesco per la 10ª edizione del CineCircolo dal leitmotiv: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›, per immagini», ideata dentro la fase narrativa del cammino sinodale della Chiesa. In quel giorno ricorreva la 23ª Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne, indetta dall’ONU e messa in risalto in Italia dal lancio della campagna della Polizia di Stato «Questo non è amore», l’appello a «mettere in salvo» le donne, cioè a garantire loro sicurezza da soprusi, maltrattamenti e abusi, minacce e recidive, frequenti anche dopo un’eventuale pena, e ad accompagnarle in ogni fase. Papa Francesco, parlando ai componenti della Direzione Centrale Anticrimine, ricevuti all’indomani della Giornata in Vaticano, nella Sala Clementina, ha indicato quelli che sono i punti cardine per estirpare la violenza contro le donne, fenomeno permanente, diffuso, trasversale, aggravato dalla pandemia e alimentato dai media: prevenzione e protezione, educazione e accompagnamento. «Per vincere questa battaglia – ha rimarcato – non basta un corpo specializzato (…) e non bastano l’opera di contrasto e le necessarie azioni repressive (…). Bisogna unirsi, collaborare, fare rete: e non solo una rete difensiva, ma soprattutto una rete preventiva!». È prezioso avere anche «una mirata preparazione psicologica e spirituale – ha detto il Papa – perché solo a livello profondo si può trovare e custodire una serenità e una calma che permettono di trasmettere fiducia a chi è preda di violenze brutali». Tante donne cristiane, venerate come martiri, ne sono esempio. Il Papa ne ha citato alcune, da s. Lucia di Siracusa († 304) e s. Maria Goretti († 1902) alla b. Maria Laura Mainetti († 2000), la religiosa assassinata a Chiavenna (SO) da tre ragazze durante un rito satanico. Ci sono tante «sante della porta accanto» che con la loro vita «testimoniano che non bisogna rassegnarsi, che l’amore, la vicinanza, la solidarietà delle sorelle e dei fratelli può salvare dalla schiavitù». La loro testimonianza va proposta a ragazze e ragazzi di oggi: «Nelle scuole, nei gruppi sportivi, negli Oratori, nelle associazioni – ha esortato il Papa – presentiamo storie vere di liberazione e di guarigione, storie di donne che sono uscite dal tunnel della violenza e possono aiutare altre donne.

È una benedizione donne gioiosamente presenti nello Staff del Circolo e nel Salone di S. Elisabetta in cui si tengono le Serate: Iolanda De Luca, Maria Rainone, Rina Gullà, Gabriela Sestito, Tonia Speranza, Marialuisa Mauro, Elisabetta Guerrisi, Patrizia Corapi, Loredana Olivadoti, Lucia Scarpetta, Antonella Vitale, Federica Astarita, Asia Brogeri…, le donne che possono meglio capire altre donne, ascoltarle e sostenerle, e ‹fare bello il mondo›. Sono centrali nel Circolo e indispensabili in un mondo che invece troppo spesso le mette agli angoli. «Devono essere rispettate – sottolineò con forza Papa Francesco il 15 settembre scorso, nel discorso di chiusura del 7° Congresso delle Religioni Mondiali e Tradizionali, riprendendo uno dei punti contenuti nella Dichiarazione finale dell’assise a Nur Sultan, in Kazakhstan – riconosciute e coinvolte. (…) A loro vanno affidati ruoli di responsabilità maggiore». Ci sono luoghi dove questo è ancora sogno. Le costanti notizie di cronaca, che si susseguono sui giornali e nelle trasmissioni televisive, radiofoniche e pubblicitarie, ci portano a pensare che siamo ancora lontani dal considerare la donna per ciò che è e racchiude in sé: una bellezza profonda, da scoprire; una capacità infinita di accoglienza, di intuizione e di donazione, da valorizzare; una genialità stupefacente nel trasmettere l’armonia, la pace e l’amore, da valorizzare. La donna non è un oggetto da “usare e gettare” o una merce da comperare e consumare. Sia quindi “benedetta”.

La 4ª Serata cinematografica iniziò allora con il videoclip Che sia benedetta, mandato in onda dall’operatore Ghenadi Cimino, in omaggio a colei “che dona l’amore che ha dentro” e ci invita a tenerci stretta la vita, per quanto ci sembri assurda e complessa, incoerente e testarda. A cantare il suo bellissimo brano, Erika Mineo, in arte Amara, dalla voce graffiante, artista di strada toscana e autrice di splendide canzoni portate al successo da altre voci.

Dopo i saluti istituzionali e l’introduzione al programma della Serata, Lucia Scarpetta relazionò la trauma del film «Nabat», dalla splendida fotografia e dall’eccellente interpretazione della convincente protagonista, di straordinaria attualità proprio oggi, in pieno periodo della guerra russo-ucraina. Una accorata riflessione sul destino dei Paesi devastati dalla guerra. Infatti, il film, presentato nella sezione Orizzonti della 71ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2014, viene dall’ex-Repubblica sovietica, dall’Azerbaidžan, il Paese più grande del Caucaso. Nabat è il titolo, ma anche il nome della protagonista, una donna non più giovane che vive nei pressi di un villaggio di montagna cui il conflitto armato ha strappato l’amato figlio. Le truppe nemiche stanno per arrivare nella sua remota regione e pochi abitanti del villaggio fuggono a causa dei bombardamenti, ma lei rifiuta caparbiamente di lasciare la casa e il marito Iskender, un ex lavoratore forestale vecchio e moribondo, preferendo andare incontro a un destino segnato: solitudine, isolamento, privazioni. Nabat lotta e resiste con coraggio e dignità alla fatica e alla disperazione, ma le sue forze si spengono a poco a poco come i lumi a petrolio che lei si ostina a tenere accesi nelle case ormai disabitate affinché le notti sui monti siano meno buie e un barlume di vita possa continuare a illuminare il vuoto. Madre coraggio certamente, Nabat incarna ben altre immagini. È la madre per antonomasia. È la patria che si prende cura dei propri figli. «Last but non least», la conservatrice di una memoria che altrimenti andrebbe perduta. Figura esemplare, dunque, cui presta il proprio volto l’intensa attrice iraniana Fatemeh Motamed-Arya chiamata sul set dopo che il regista Elchin Musaoglu aveva fallito ogni ricerca in patria. Il ruolo, quasi totalmente muto, poggia sulla sua straordinaria intensità mimica e fisica: corpo-madre piegato dal dolore, dalla fatica del vivere e dal peso dei ricordi. Pochi i dialoghi e i suoni rarefatti: il respiro affannoso della protagonista e l’eco dei suoi passi lungo i sentieri, l’ululato lamentoso di un lupo solitario che si aggira nei dintorni della casa, il rimbombo lontano delle cannonate. La guerra – suggerisce il regista – non conosce confini. Ogni vittima è vittima del mondo. Una tesi non nuova, ma le immagini, di cui si serve per enunciarla, raccomandano coerenza stilistica, respiro narrativo, rigore formale. Finale quietamente malinconico e dolcemente visionario.

Film rigoroso e al tempo stesso doloroso, in cui la figura femminile assurge a simbolo della forza d’animo che non si arrende di fronte alle avversità del destino e dell’abbandono, alla crudeltà della guerra e alle morse della solitudine. Sentirsi soli o sentirsi amati sulla terra? La visione della pellicola rese cristallina la risposta: «Da soli siamo dei ‘freaks’. Insieme siamo qualcosa di meraviglioso, cercando di essere degni di essere amati l’uno dall’altro, complementari, solidali». Il desiderio di essere insieme si rendeva ancora più palese durante il cinedibattito che si snodava affabilmente in queste sequenze:

3.1. Interventi: «Nabat» – una potente parabola sulla resilienza femminile, sulla capacità di cura delle donne, e sull’ostinazione a non cedere alla barbarie (10:00′); 3.2. Notturno dall’Italia – Donne della Resistenza di Giuni Russo (3:36′); 3.3. P. Anzulewicz OFMConv: «Perché la non accettazione di vecchiaia e malattia porta la società a non accettare défaillance in una donna?» (5:00′); 3.4. Lettura di alcuni passaggi della «Lettera alle donne» di Giovanni Paolo II (nn.10-12).

Seguirono quindi le comunicazioni del presidente Luigi Cimino, relative al Circolo, l’annuncio del prossimo evento [venerdì 2 dicembre: 5ª Serata conviviale, focalizzata sul tema: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia († 1684), la prima donna a potersi fregiare del titolo di Doctor»], la foto di gruppo, l’ascolto della canzone «Le poche cose che contano» di Amara e Simone Cristicchi, trasmessa da Ghenadi nel videoclip, e il «cocktail», preparato premurosamente da Iolanda e Loredana e servito graziosamente da altre donne, «lasciando larga e benefica impronta di sé» nel Salone di S. Elisabetta d’Ungheria presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. Le prossime Serate non mancheranno, certo, di registrare nuove e mirabili manifestazioni del «genio femminile».

Piotr Anzulewicz OFMConv


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