Al via l’11° Wiki- e CineCircolo

È ora di rimettersi in moto. Il Circolo è pronto per voi, Amici, e non vede l’ora di poter accogliervi ogni venerdì, dalle ore 19.30 alle 21.00, per farvi gustare l’11ª edizione del Wiki– e CineCircolo con il focus, come l’edizione precedente, sulle donne, ‘sorelle tutte’, fari e luci nella società, soprattutto nei momenti difficili. «Donne pioniere, generative, altruiste e coraggiose, in un mondo dispari/per immagini»: questo è, infatti, il filo rosso sul quale si misureranno le 16 Serate conviviali con «aperitivo» del WkiCircolo e le 15 Serate cinematografiche con «cocktail» del CineCircolo, in programma dal 6 ottobre 2023 al 21 giugno 2024, ma anche su cui si svilupperanno approfondimenti, interventi, testimonianze. Ad impreziosirle, ci saranno le 3 Serate speciali: 1. Mer 21 dic 2023 – ‹Reading› in musica, per l’8° centenario del Natale di Greccio [262]; 2. Ve 7 giu 2024 – «Giubilo del cuore, in onore del Sacro Cuore» [283]; 3. Ve 21 giu 2024 – «‹Reading› in musica, in elogio delle donne» [285].

Tutte le 34 Serate si inseriranno appieno nell’8° centenario sanfrancescano celebrato nel triennio 2023-2026 per riportarci alla memoria i passaggi salienti della vita di frate Francesco d’Assisi (1223: l’approvazione della Regola bollata e il Natale di Greccio; 1224: l’impressione delle stimmate a La Verna; 1225: la stesura del Cantico delle creature ; 1226: il ‘transito’), ma anche nella fase universale del cammino sinodale dal titolo: «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione», articolata nelle due sessioni della 16ª assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi in Vaticano (ottobre 2023 e ottobre 2024). Sarà questo un surplus che darà tocco speciale a questa nuova edizione: coraggio e speranza. Il Circolo continuerà così a dar spazio alle voci delle donne coraggiose, pioniere e generative, al fine di ispirare la speranza del futuro, quella che «riempie il cuore ed eleva lo spirito verso la verità, la bontà e la bellezza, la giustizia e l’amore» (Fratelli tutti, n. 55), rende visibili donne invisibili e apre alla parità tra femmine e maschi rispetto ai loro diritti, trattamento, responsabilità ed opportunità in tutti i settori della società civile e religiosa. Il tema della parità di genere è quanto mai attuale e di trattazione non più rimandabile. I dati sul mondo femminile sono sconfortanti: ci parlano di una condizione lavorativa, salariale, istruttiva, culturale, caratterizzata da una segregazione non soltanto verticale, il famoso ‘soffitto di cristallo’, ma anche di tipo orizzontale. Tradotto: le donne sono concentrate per lo più in alcuni settori della produzione, servizi e ciò che attiene alla cura che sono poi quei settori in cui circola meno denaro. L’idea di questa edizione è anche stimolare un dialogo e agire in contrasto agli stereotipi e pregiudizi, comprendendo che ciascuno deve fare la propria parte, uomini compresi. Le donne tuttavia hanno nelle loro mani l’arma più grande: sono donne. Già provano un ‘sussulto di gioia’, sentendo che possono votare al Sinodo della Chiesa che cambia e che le dà visibilità anche nei ruoli apicali.

Nei due dépliant dell’attuale edizione, che si illuminano a vicenda: veicolano, catalizzano, integrano e approfondiscono per lo più l’argomento della Serata precedente o successiva, compaiono donne che hanno fatto la storia del mondo o la stanno facendo con il coraggio del quotidiano e la speranza del nuovo, donne straordinarie, ideatrici eccezionali, protagoniste meravigliose, muse stupende. C’è ne sono comunque tante, tantissime, anche anticonvenzionali, irregolari, ‘trasgressive’, dissidenti, ‘invisibili’, per tutti i gusti e le categorie, da riscoprire e celebrare nel buio dei tempi. L’équipe dell’edizione aveva l’imbarazzo di scelta su queste «artefici della tenerezza che libera il mondo dalle orrende guerre», dai dolorosi ‹calvari› e dalle diffuse paure, e lo fa egualitario, inclusivo e fraterno.

Ad animare le Serate ci saranno Marialuisa, Lucia, Tonia, Maria Rita, Luigi e Piotr, ma anche gli altri «habitué», amici e fan del Circolo, vicini o lontani. Il loro reale e fattivo coinvolgimento potrà rendere le Serate ancora più belle, dinamiche, interattive, stimolanti ed emozionanti. Il format delle Serate continuerà ad essere innovativo e ospiterà interventi, dialoghi, interviste e intermezzi musicali virtuali, digitali, da remoto, e reali, fisici, in presenza. Tutti sono quindi invitati a inviare entusiasticamente alla Segreteria un disegno, una poesia, una canzone o un video sulla specifica figura femminile, da condividere nel corso della rispettiva Serata, a partire da quella del WikiCircolo dedicata a sr Marcella Catozza (6.10.2023), «donna francescana, in missione, con il cuore, per gli orfani», e quella del CineCircolo focalizzata su sr Francesca Saverio Cabrini (13.10.2023), missionaria ed educatrice, «patrona degli emigrati». A coronare tutte le Serate, ci sarà un momento di convivialità, con cocktail o aperitivo, tra pizze e gâteaux…

Inserendosi nelle celebrazioni degli 800 anni della Pasqua di frate Francesco e nel solco del Sinodo sulla comunione, partecipazione e missione, il Wiki- e CineCircolo, nella preparazione dei programmi delle Serate, avrà come fonti di ispirazioni, di suggerimenti e di orientamenti, oltre gli «Scritti di s. Francesco d’Assisi», i seguenti documenti dell’autorità didattica della Chiesa: 1. Lettera apostolica «Mulieris dignitatem» sulla dignità e vocazione della donna (15.08.1988) e «Lettera alle donne» di Giovanni Paolo II (29.06.1995); 2. Esortazione apostolica «Evangelii gaudium» sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale (24.11.2013) ed Enciclica «Fratelli tutti» sulla fraternità universale e l’amicizia sociale di Francesco (3.10.2020); 3. «Sintesi nazionale della fase diocesana» del Sinodo 2021-2023 «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione» della CEI (15.08.2022) e «Instrumentum laboris» per la prima sessione della 16ª assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi in Vaticano (4-24.10.2023).

L’impegno di tutti sarà però determinante. Se riusciremo a sentirci attivi, a costituirci in un noi’ generativo, a coinvolgere sempre di più gli attori delle nostre comunità religiose e civili, ad essere compagni e discepoli, donne e uomini di coraggio e di speranza, riusciremo ad offrire a tutti una fraternità educante rigenerata e nuovamente generativa, in cui ciascuno avrà l’opportunità di essere riconosciuto per la propria dignità e peculiarità. La crisi epocale, che stiamo vivendo, ci offre straordinarie opportunità per ridisegnare, grazie al «genio» e all’ingegno femminile, i nostri confini ed allargare i nostri orizzonti. Le donne dell’attuale edizione ci aiuteranno a scoprire e scegliere anche inedite rotte di senso e nuovi approcci alla vita, in una società amebica, liquida, orfana di certezze assolute, dimentica di aspetti solidi e sodi.

Davanti a noi, Amici, un susseguirsi di atmosfere – speriamo – suggestive e trainanti, per la qualità di tematiche, e sostenute e apprezzate – ci auguriamo – con entusiasmo da molti, tanto più che al nostro fianco ci sarà un corifeo e tutore speciale: p. Rocco Predoti, parroco del «Sacro Cuore».

Lo Staff del Cine– e Wiki-Circolo si riunirà intanto ogni mercoledì, alle ore 19, per riuscire a preparare e pubblicare – in anticipo, sul sito web e sulla pagina social – i programmi dettagliati, unitamente ai poster, e regalare a tutti le Serate cinematografiche e conviviali vivaci, godibili ed imperdibili.  «La donna è l’armonia, la poesia, la bellezza» (Papa Francesco). A lei «è affidata la vita» e a lei «spetta salvare la pace del mondo» (Paolo VI). Immischiamoci allora con lei e mettiamoci in mezzo e in rete.

Piotr Anzulewicz OFMConv




Che strano essere figli fluidi con genitori complici!

Quel tempo, che tanto ci strugge e corre come un treno ad alta velocità verso i confini della realtà, rallentò la sua corsa venerdì 26 maggio 2023 e permise ai fan del Circolo Culturale San Francesco di partecipare alla 16ª Serata conviviale con «aperitivo», focalizzata su «Bennate e bellenate che espongono la prole ‹gender fluid›», ideata nell’ambito della 10ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», e nel solco della fase narrativa del cammino sinodale, ed aperta gratuitamente a tutti: credenti e «laici», vicini e lontani – la 247ª di seguito.

È iniziata con lo scambio di emozioni e di reminiscenze suscitate da un ospite speciale: il m° Cesare Mauro, vocalista, tenore leggero, compositore e autore di brani musicali, «pilastro della musica calabrese», come lo ha definito il m° Luigi Cimino, presentandolo al pubblico nel Salone di S. Elisabetta d’Ungheria presso la chiesa «Sacro Cuore» in Catanzaro Lido. Il cantautore, amatissimo da chi ama la Città delle tre “V” (Vitaliano, vento, velluto), l’ha decantata con il brano «Catanzaro», corredato di bellissime immagini, proiettate da Ghenadi Cimino, che hanno evocato le sue remote grandezze e bellezze. Gli habitué del Circolo hanno già gioito della performance canora dell’Artista, il 27 gennaio scorso, durante l’8ª Serata conviviale con il focus su Maria Tecla Artemisia Montessori, educatrice dei bambini. Tuttora si ricordano come tornavano bambini, spalancando la bocca dallo stupore, mentre eseguiva i suoi brani: «A perdi tempo», «Mi hanno detto» e «Terra lontana». Ora ha rilanciato, niente meno, gli incanti catanzaresi, ‘regalando’ le altre due composizioni: «Borgo antico» e «Mi hanno detto». Il presidente Luigi Cimino e la sottosegretaria Lucia Scarpetta lo hanno quindi premiato, consegnandoli un Attestato e un segno di ringraziamento. Un ringraziamento e un riconoscimento simbolico che ha un valore prezioso anche per tutti coloro che con il massimo della loro professionalità, in arte, cultura e spiritualità, «fanno bello il mondo».

La Serata ha riproposto un tema complesso, ma caldo, o meglio, rovente e a tratti scottante, entrato ormai nel tessuto sociale ed espresso laconicamente con le due parole: «gender fluid». Si è svolta a poca distanza dalla 19ª giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia (17.05), il cui obiettivo è quello di tenere accesi i riflettori sulle inaccettabili persecuzioni e sugli intollerabili abusi che le persone subiscono, in diverse nazioni del mondo, a causa del loro orientamento sessuale. La questione del «gender fluid», e quindi della diversità di genere, è enorme e trasversale: tocca antropologia e teologia, pedagogia e medicina, diritto e costume. Riguarda la famiglia che si tinge arcobaleno, la famiglia «queer». È una realtà diversa e drammaticamente seria. Nel 2021 ci fu una mostra all’8° piano della Manhattan Gallery, dal titolo «Kindret solidarieties: queer community and chosen families», con opera a tecnica mista che ritraevano una «nozione ampliata» di famiglia, definita «dall’alleanza piuttosto che dalla genetica». In una serie di fotografie in video, l’artista Jamie Diamond proponeva di capovolgere il ritratto della famiglia inteso come «ideale stereotipato di vita felice, perché la famiglia è una performance continua in cui vengono assegnati ruoli con costante aspettativa di un pubblico». Un po’ quello che dice da anni Judith Butler, filosofa post-strutturalista statunitense, quando scrive contro l’innatismo di genere in favore della ‘performatività’: “Tu sei maschio o femmina a seconda della performance. Il genere è una maschera che indossi e deponi in base allo spettacolo che reciti e alla vita che vivi. M e F sono come lettere in cima ai bus che si prendono o lasciano a seconda di che aria tira”. La opere più note di Butler: Gender trouble e Bodies that matter, ridiscutono la nozione di genere e sviluppano la sua teoria, appunto, della performatività di genere, che oggi, nella riflessione femminista e «queer», ha un ruolo di primo piano.

Per capire un po’ meglio cosa accade fuori e preparare la «road map» della Serata, seguendo Ginevra Leganza, ricercatrice presso la Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine e direttore editoriale di House Organ, ho digitato «queer family» su YouTube e sono finito anch’io sul canale Truly dove ho trovato un video titolato così: «My extraordinary family». È una storia statunitense di una donna e di due transessuali che si amano e crescono due figlie. Si definiscono ‘tre mamme’. La femmina – si suppone che sia madre biologica – dichiara che una di queste bambine è «non-binary». L’altra è invece «anti-gender». La prima ha deciso a quattro anni di non essere né maschio né femmina. La seconda, che dal video di anni sembra averne due o tre, cresce così, per volere delle adulte, come fosse né maschio né femmina, senza genere. Le mamme poliamorose si scambiano effusioni e portano le figlie al parco, nel paese reale. La mamma femmina è sobria, mascolina. Le transessuali hanno vestiti giromanica a fiori, lunghi sino ai piedi: due anticaglie tipo prendisole sormontate da vocione e doppio mento. La madre biologica spiega che non c’è nulla di cui scandalizzarsi: loro amano i figli come gli altri. In effetti, scandalizzarsi di cosa? Chi si scandalizza è banale, dice il poeta, e come possa sentirsi maschio o femmina – e dunque sicuro di sé – un bambino accerchiato da genitali incerti, chi può dirlo. E poi siamo a Orlando, in Florida, fra «non-binary» e negromanti. E siamo ancora in Gran Bretagna dove nasce uno dei primi bambini con donazione mitocondriale, cioè con DNA di tre genitori. Bambino che crescendo neppure potrà scandalizzarci, definendosi «queer»… Altri mondi, quasi mitologici o esoterici, fra letteratura e ‘hybris’. Mentre qui, in Italia, il «queer», e il «queer family», è una cosa diversa. È un fatto di status più di ‘hybris’ o di follia. Una formula magica per varcare salotti. Un’etichetta, una toppa, un capriccio da dirimpettai. Un stigma provinciale, per scrittori, attori e politici della porta accanto. Una maschera (allegra) da ottimati. E come tale nasconde volti, di solito tristi. Minimo sforzo: calzini colorati. Massimo rendimento: il «queer». Si dà un tono, ma di fatto si è in sintonia con ciò che è sempre stato. Magari meno maschio e meno femmina. Etero stanco, ma «queer», per posa. Quella maschera, non meno dalle altre che l’hanno preceduta, non ci strappa dall’innatismo di genere: dal nostro essere maschi e femmine, pur con mille pulsioni e desideri. Quella maschera ci strappa soltanto dal vuoto o dalla solitudine senza faccia e senza nome, dove il «queer» è al tempo stesso maschera (colorata) e nome (impreciso). Sarà interessante ritornare a questo tema, a patto che il Circolo ce l’ha farà e sopravvivrà.

Intanto la Serata di «bennate e bellenate che espongono la prole ‹gender fluid›», riuscì a delimitare il suo tema e – rispettando, con un po’ di disciplina e di cautela, il minutaggio e il rapimento acceso dal cantautore Mauro – guidare lo spettatore, senza inciampi, lungo il seguente percorso:

4.1. «Sanremo, Rosa Chemical e la generazione ‹gender fluid»: intervista di Irma D’Aria, giornalista scientifica, a Giancarlo Dimaggio, psichiatra e psicoterapeuta (11:04′); 4.2. «Maneskin e lo stile ‹gender fluid» (0:00′-1:57′; 5:54′-8:09′) e «Cosa significa essere ‹gender fluid› in Italia» (2:13′); 4.3. «Origini della teoria gender fluid» – Intervento di Elisabetta Guerrisi (6:00′); 4.4. Intervallo canoro di Cesare Mauro: «Borgo antico» (5:00′); 4.5. «No della Chiesa cattolica all’ideologia gender e sì al dialogo sulla differenza sessuale» – Intervento di Marialuisa Mauro (6:00′); 4.6. Performance canora di Cesare Mauro: «Mi hanno detto» (5:00′); 4.7. Consegna di un ‘girasole’ insieme ad un ‘pensiero’ di ringraziamento all’Artista catanzarese (2:00′); 4.8. Piotr Anzulewicz OFMConv: «La moda di esporre la prole gender fluid» (8:00′); 4.9. Music video «Limitless» di Jennifer Lopez (3.32′); 4.10. Condivisione (8:00′); 4.11. Music video «Where did our love go» (1981) di Amii Stewart (3:26′)

Da video mai visti e da documenti mai esplorati prendevano forma decine di volti noti e ignoti. Nel Salone e nella stanzetta della Segreteria del Circolo si avvicendavano silenziosamente altre decine di volti ‘nostrani’, ritratti con tatto da Antonella Vitale, fotografa. Tra loro si notavano: Francesca e Gino, Pina e Leo, Ninetta e Tonia, Elisabetta e Goffredo, Rosa e Rosanna, Stefania e Anna Rita, Marialuisa e Tina, Olga e Asia, Roberta e Maria Rita di Cropani Marina, e – che gioia e onore! – p. Rocco, superiore della fraternità conventuale del «Sacro Cuore». Sembra ancora sentire i loro sussurri e percepire la loro voglia di sapere… Cosa è questa «gender fluid»? È una moda? Una utopia o una realtà? Una questione di marketing e di monetizzazione o una trovata propagandistica e ideologica che distorce gli studi di genere? È una teoria antiscientifica? La biologia non conta più? Pur tanta confusione, i pazzi per il «gender» crescono ad un ritmo rapido, come i funghi porcini in una notte.

È stato quindi necessario sfogliare un autorevole documento al riguardo, nato dalla consapevolezza di una particolare emergenza educativa in atto, soprattutto sui temi dell’affettività e sessualità, e messo a punto dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica (degli Istituti di Studi), in collaborazione con esperti di pedagogia e filosofia, diritto e didattica: «Maschio e femmina li creò» Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione, firmato il 2 febbraio 2019 dal cardinale prefetto Giuseppe Versaldi. Il testo ha il pregio di ricordarci, in modo efficace, cosa è il «gender», ripercorrendone la storia: da quando, a metà del ‘900, sulla base di una lettura sociologica delle differenziazioni sessuali e sotto la spinta di un’enfasi libertaria, si cominciò a teorizzare «come l’identità sessuale avesse più a che fare con una costruzione sociale che con un dato naturale o biologico» (n. 8), per arrivare agli anni novanta del secolo scorso, quando si puntava a proporre “la radicale separazione tra genere (gender) e sesso (sex)” secondo un approccio del tutto soggettivistico alla persona perché “ciò che vale è l’assoluta libertà di autodeterminazione e la scelta circostanziata di ciascun individuo nel contesto di una qualsiasi relazione affettiva”. È difficile dialogare di fronte a un simile impianto ideologico. Quando però gli studi di genere “hanno la condivisibile e apprezzabile esigenza di lottare contro ogni espressione di ingiusta discriminazione”, non è difficile trovare punti di incontro, anche perché queste ricerche sottolineano «ritardi e mancanze» che hanno avuto influsso negativo all’interno della Chiesa. Vanno quindi superate «rigidità e fissità che hanno ritardato la necessaria e progressiva inculturazione del genuino messaggio con cui Gesù proclamava la pari dignità tra uomo e donna, dando luogo ad accuse di un certo maschilismo più o meno mascherato da motivazioni religiose» (Maschio e femmina…, n. 15). Superare le discriminazioni ingiuste, rispettare ogni persona al di là del colore della pelle, della religione e della tendenza affettiva, si traduce quindi in “un’educazione alla cittadinanza attiva e responsabile, in cui tutte le espressioni legittime della persona siano accolte con rispetto”. Le criticità verso il «gender» più fluido e oltranzista rimangono tuttavia intatte, del tutto inconciliabili con quell’ecologia umana integrale di cui spesso ha parlato Papa Francesco.

A questo proposito il documento riafferma la «radice metafisica» della differenza sessuale: uomo e donna, infatti, sono le due modalità in cui si esprime e realizza la realtà della persona umana. In questa prospettiva è sbagliato negare la dualità maschio e femmina, perché solo in questa cornice «l’uomo e la donna riconoscono il significato della sessualità e della genitalità in quell’intrinseca intenzionalità relazionale e comunicativa che attraversa la loro corporeità e li rimanda l’un verso l’altra mutuamente» (Maschio e femmina…, n. 35).

La scommessa è quella di aiutare quanti sono impegnati nell’educazione delle nuove generazioni ad affrontare «con metodo» le questioni oggi più dibattute sulla sessualità umana, alla luce del più ampio orizzonte dell’educazione all’amore. La prospettiva è dialogica, non polemica, che si potrebbe sintetizzare così: “No all’ideologia, sì alla ricerca; no alla discriminazione, sì all’accompagnamento; no all’‹antropologia del neutro›, sì all’antropologia delle differenze“. Dopo tanti anatemi e tante semplificazioni che hanno impedito di riconoscere l’opportunità di fare chiarezza in un arcipelago, in cui sono presenti rivendicazioni ideologiche quasi paradossali (già menzionata Judith Butler), chiusure segnate dal giuricidismo rigoroso e inflessibile, ma anche riflessioni approfondite e dialoganti nel segno del Vangelo, il documento si pone finalmente all’ascolto delle esigenze dell’altro, si apre alla comprensione delle diverse condizioni e incoraggia educatori e educatrici a stimolare «l’apertura all’altro come volto, come persona, come fratello e sorella da conoscere e rispettare, con la sua storia, i suoi pregi e difetti, ricchezze e limiti» (Maschio e femmina…, n. 57).

Chiniamoci ancora sui figli «gender fluid». In queste settimane si seguono le vicende del figlio androgino del capo di Tesla e SpaceX Elon Musk, il ribelle intenzionato a cambiare genere, nome e cognome, per tagliare i ponti con il padre. E si scopre anche il lato “mamma complice” della cantante Jennifer Lopez che mostra al mondo la figlia Emme senza fissa identità sessuale, suo gioiello arcobaleno, e la accompagna in una manovra vincente. Le due si esibiscono insieme. La ragazza, mutante di sesso e di nome, sale sul palco del Blue Diamond Gala, e la madre le si rivolge con il pronome neutro they. Le dà del loro, nel senso del contrassegno del «gender» e non nel senso dell’allocutivo di cortesia. Sei JLo. Se il tuo tempo sta passando e senti odore di collasso, ti conviene esplodere nell’arcobaleno del «gender». E così il mondo torna a parlare di te.

Bennati e bellenate, avidi di scena pubblica, devono faticare, sgomitare, impegnarsi, per dimostrare di valere qualcosa. I loro figli allora partono da qui: dallo sgobbo di dover dare nuova reputazione al nome di famiglia, fardello e blasone. E ci provano come possono.

In questo momento «la prole fluida – ritiene la stessa Leganza – è un megatrend hollywoodiano». Chi non ricorda la supermodella Emily Ratajkowski? Nel 2020 era in dolce attesa. Alla domanda: “Fiocco rosa o fiocco blu?”, rispondeva: “Non sapremo il sesso fino a quando nostro figlio non avrà 18 anni. Poi ce lo farà sapere”. Lapidaria, vero?

Lo «star system» alterna abilmente figli ribelli a genitori complici, ma la chiave fluidista è un concetto a stelle e strisce. In Italia arriva come un’eco. Il pensiero meridiano scorre lentamente e le nostre supernove hanno figli e figlie che ancora raccontano dei fidanzatini a zia Mara Venier. Età dell’innocenza. Il serpente arcobaleno arriverà e infonderà vita nuova. Sul fronte, in primissima linea, ci sono già gli ambasciatori di CityLife, gli apripista, i provinciali di mondo. Chiara e Fedez filmano e postano i loro bebè sin dai tempi placentari. E instradano i pupi al neutralismo di genere. Nella saga instagrammiana di famiglia spiegano che non esistono giochini per maschietti o femminucce. Nelle candide menti dei Ferragnez si è già infilato lo spirito del tempo e il fiuto commerciale. L’Italia dibatte d’altro e l’arcobaleno ancora indugia. Il verde è in forte ascesa. Negli Stati Uniti invece la prole è marketing, in sintonia con «tempora et mores». Un mezzo come un altro che oggi si accorda bene alla «queerness», al fluidismo, ma domani chissà. Qui genitori e figli hanno andamento impacciato, perché la fama logora, affatica, stanca e indebolisce. E poi non si è predisposti a fare troppa economia con la figliolanza. Nel frattempo bisogna vivere davvero, per gli altri e con gli altri, «aperti e interessati alla realtà, capaci di cura e di tenerezza» (Maschio e femmina…, n. 57).

Piotr Anzulewicz OFMConv


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Ruth Bader Ginsburg: Donne, pari diritti

Non sono donne femministe, anticlericali, agnostiche o atee, che partecipano alla 10ª edizione del Wiki- e CineCircolo, inserita nel solco della fase narrativa del cammino sinodale, ispirata ai grandi testi dell’autorità educativa della Chiesa, promossa dal Circolo Culturale San Francesco ed aperta gratuitamente a tutti: credenti e «laici», vicini e lontani. Sono invece «donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», donne assettate di giustizia e di verità, donne in ricerca di orizzonti di fede sempre più dilatati e più profondi, donne orientate verso una spiritualità semplice e allo stesso tempo aperta al soffio dello Spirito, donne che con gratitudine e gioia accolgono l’invito, accorrono al Salone di S. Elisabetta d’Ungheria presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido o si connettono da casa alla diretta streaming trasmessa sulla pagina social, donne, insomma, che praticano – nell’umiltà, ma anche nel coraggio della testimonianza – la sororità e la fraternità di cui Gesù è stato testimone lungimirante.

È alla 10ª Serata conviviale con «aperitivo», la 235ª di seguito, focalizzata sul tema: «Ruth Bader Ginsburg († 2020), la giudice pioniera della parità di genere», svoltasi venerdì 24 febbraio scorso, che qui voglio riferirmi. Essa si è impressa saldamente nella memoria, con un’impronta che non è stata soltanto tematica. Tuttora si percepisce nitidamente il suono di uno degli strumenti musicali più gravi in assoluto, più elaborati e massicci, molto belli e particolari, insostituibili in molte formazioni orchestrali: il basso tuba, appartenente alla classe degli ottoni. Impressionò il suo aspetto e incuriosì il suo gestore: il m° Tommaso Cristofaro, strumentista di Borgia (CZ). È stato lui – presentato al pubblico dal presidente del Circolo, m° Luigi Cimino – ad aprire questa singolare Serata, eseguendo splendidamente il brano «Fantasy for Tuba» di Malcolm Arnold († 2006), compositore, direttore d’orchestra e trombettista inglese. Tutti i presenti, fonoassorbenti, acustici, elastici, estasiati dalla sua performance strumentale, espressero la loro ammirazione sonoramente, in una calorosa «standing ovation».

Il suono si è propagato poi in tutte le direzioni del Salone, si è steso su ogni punto del programma ed è fortemente risuonato ancora, per ben altre due volte, durante il panel, lasciando tutti al ‘settimo cielo’. Ecco allora il seguito del programma:

3. Occhio sulla Serata precedente con «aperitivo» (233), dedicata a Etty Hillesum, e sulla galleria delle foto

4. Panel [4.1. Papa Francesco: «Un anno di guerra in Ucraina» (1:24′); 4.2. «Tango» di Tananai (3:45′); 4.3. Marialuisa Mauro: «Ruth Bader Ginsburg e la sua battaglia per la parità di genere» (10:00′); 4.4. M° TOMMASO CRISTOFARO: «Concertpiece, op. 88, per trombone e organo» di FÉLIX-ALEXANDRE GUILMANT (6:00′); 4.5. Valeria Filì: «Il tempo delle donne» (13:22′); 4.6. M° Tommaso Cristofaro: «Oblivion» di Astor Pantaléon Piazzolla (3:38′); 4.7. Consegna al Maestro di un Attestato di gratitudine (Luigi Cimino) e di un ‘segno’ (Lucia Scarpetta); 4.8. «L’autunno del patriarca» (28:30′); 4.9. «Via Crucis 2022: una donna ucraina e una russa insieme per la pace» (1:27′)]

5. Comunicazioni del presidente Luigi Cimino relative al Circolo,annuncio del prossimo evento da parte della sottosegretaria Lucia Scarpetta [mercoledì 1 marzo: 2° incontro del Laboratorio musicale avviato il 22 febbraio; venerdì 3 marzo: 10ª Serata cinematografica (236) con la proiezione del film «E ora dove andiamo?» di Nadine Labaki e con il cinedibattito «Donne che fanno da collante e mettono pace»], foto di gruppo e momento conviviale [In sottofondo,il music video. «Улетают дни» di Группа Мелодия & Ольга Андрощук (8:01′)]

Il panel si è aperto, come si può notare, con l’abbraccio e l’omaggio all’eroico popolo ucraino che dal 24 febbraio 2022 difende la propria libertà: un anno di resistenza contro l’invasione russa del Paese che lo sta insanguinando e mietendo morte e distruzione e i cui effetti di natura economica stanno colpendo tutta l’Europa, un triste anniversario di una guerra atroce, assurda e crudele, come testimonia il bilancio dei morti, feriti, profughi, distruzioni, danni economici e sociali, dodici intensi mesi di sofferenze di cui seguiamo gli sviluppi in una spirale sempre più minacciosa. I presenti alla Serata, guardando il video «Un anno di guerra in Ucraina», hanno quindi ripercorso questi mesi attraverso le parole del Papa che ha sempre chiesto di non dimenticare il martoriato popolo ucraino e di non abituarsi alla barbarie delle armi. È stato un anno pieno di dolore, di perdite e di sfide, ma al tempo stesso di solidarietà, di assistenza e di amore. I nostri fratelli ucraini stanno mostrando ai tiranni di tutto il mondo quando possa essere difficile mettere le catene a un popolo libero.

Commovente è stato quindi il videoclip con la canzone «Tango» che il Circolo ha voluto dedicare, insieme al cantautore milanese Tananai (nome d’arte di Alberto Cotta Raamusino), non soltanto ad una giovane coppia (Olga e Maxim) e alla loro figlia (Liza), ma a migliaia di famiglie separate dalla guerra che è sempre mostruosa. La clip si è conclusa con le parole di Maxim, intrise di amore e di speranza, mandate a Olga dal fronte dove la colonnina di mercurio rilevava 12 gradi sotto zero: «Mi sta scaldando il tuo amore… e il tè. Va tutto bene».

Altrettanto commovente, e struggente, è stato rivedere il video «Via Crucis 2022: una donna ucraina e una russa insieme per la pace», a conclusione del panel. Papa Francesco ha voluto per il 13° approdo (Gesù è deposto dalla croce) della tradizionale «Via Crucis» al Colosseo, che si è svolta venerdì 15 aprile 2022, due donne, a portare insieme la croce: un’infermiera ucraina, Irina, del Centro di Cure Palliative “Insieme nella Cura” del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma, e una studentessa russa, Albina, del corso di laurea in infermieristica dello stesso Campus. In tal modo il Circolo è tornato a ripetere il suo deciso ‘no’ a tutte le forme di violenza e di sopraffazione e il suo saldo ‘sì’ alla pace e alla riconciliazione.

È stato molto gradito e apprezzato l’intervento dell’avv. Marialuisa Mauro che con abilità e competenza ha tracciato la storia di Ruth Bader Ginsburg, nata a New York nel 1933 da genitori ebrei immigrati ucraini e «divenuta straordinaria per aver cercato di essere semplicemente ordinaria», «vera e propria icona femminista che, pur occupandosi di una materia poco glamour come il diritto, ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo della parità di genere, della libertà e della democrazia». La ‘galassia’ del Circolo ha potuto conoscere per immagini le sue battaglie, durante la 9ª Serata della 10ª edizione del CineCircolo, svoltasi il 17 febbraio scorso, con la proiezione della pellicola «Una giusta causa» (tit. orig. «On the Basis of Sex») di Mimi Leder, regista e produttrice televisiva statunitense, notabene la prima donna a essere ammessa all’American Film Institute, e con il cinedibattito «La parità di genere e la giustizia dei diritti per tutti».

«Ginsburg si conquistò la fama di accanita sostenitrice dell’uguaglianza di genere da comune cittadina – scrisse la giornalista e scrittrice americana Erin Blakemore su History.com, ricordando i diversi fronti su cui Ruth si era impegnata per sancire l’uguaglianza uomo-donna e garantire una effettiva uguale protezione per donne e uomini. – Ha continuato a costruire su quella base prima durante i 13 anni da giudice della Corte d’Appello e poi durante i 27 anni da giudice della Corte Suprema. […] Facendo leva su precedenti sentenze riguardanti i diritti civili in relazione alla razza – in cause intentate da uomini – Ginsburg ha dimostrato le ragioni per cui la Corte Suprema doveva porre fine alla discriminazione di genere. Molti dei suoi casi erano imperniati sulla clausola di uguale protezione prevista dal 14° emendamento, che prevede che le persone ricevano uguale protezione dalle leggi statunitensi. Ha attaccato, attraverso una serie di cause minori, leggi discriminatorie».

L’appartenenza alla comunità ebraica ha influito notevolmente sulle sue convinzioni etiche, come aveva dichiarato lei stessa nel 2017, partecipando a una funzione religiosa per la ricorrenza di Rosh Hashanah, il capodanno ebraico. In quell’occasione aveva spiegato come la sua identità ebraica e i testi letti durante la sua formazione avevano inspirato in lei un senso di empatia per altri gruppi minoritari. «Se sei un membro di un gruppo di minoranza, in particolare un gruppo che è stato preso di mira, provi empatia – diceva – per quelli che si trovano in una situazione simile. La religione ebraica è una religione etica. Ci viene, cioè, insegnato a fare il bene, ad amare la misericordia, a rendere giustizia non perché ci sarà una ricompensa in paradiso o una punizione all’inferno. Viviamo rettamente perché è così che le persone dovrebbero vivere e non anticipare alcun premio nell’al di là».

«Tutto questo – concluse l’avv. Marialuisa – l’ha resa un simbolo, talvolta anche strumentalizzato fino al paradosso di trasformarla in icona stampata sulle magliette, non solo per le sue decisioni, ma soprattutto per le volte non rare in cui ha fatto sentire la sua opinione dissenziente». La si vede, con la scritta «I dissent», sulla copertina di un libro per bambini dai 4 agli 8 anni. Il suo ritratto viene riprodotto anche su sacche da spiaggia, tazzine e bicchieri. La sua immagine è uno dei tatuaggi più richiesti dagli studenti di diritto di Washington.

In un passato, neanche tanto lontano, la donna non aveva accesso a molte professioni, come l’avvocatura o la magistratura e poteva persino essere picchiata dal marito allo scopo di correggerla o esercitare su di lei la “potestà maritale”, come se fosse una bambina. Oggi tutto questo non accade, ma i casi di cronaca sono pieni di episodi terribili nei quali le donne sono vittime, soprattutto a causa di maschi violenti. È il segno che nella mente di molti uomini è ancora radicata l’idea di superiorità e di donna oggetto di cui sono in possesso. Nei Paesi civili le violenze e le umiliazioni si muovono più sotto traccia rispetto a Paesi in cui le donne vengono trattate quasi alla stregua di animali domestici e da compagnia.

La questione della presenza delle donne nella società e, in particolare, nella civiltà giudaico-cristiana, euroatlantica, non è una richiesta di spartizione di potere o di cooptazione all’interno del sistema sociale attuale, ma è, invece, la questione dell’assunzione nei fatti della centralità delle relazioni cui rinvia l’enunciato fondativo: «Maschio e femmina Dio li creò» (Gen 1,27). Queste relazioni tra donne e uomini sono ancora permeate di stereotipi ingessanti e di visioni svilenti, che ne deformano l’immagine negandole integrità. Da tali premesse il disvalore del femminile è logica conseguenza. «E non ci si risponda – scrivono le donne delle Comunità Cristiane di Base nella Lettera aperta dal titolo Chiesa, chiedici scusa – che il cristianesimo venera Maria, Madre del Signore, la quale sarebbe superiore a tutti gli apostoli, e quindi con essa venera tutte le donne; perché è la persona incarnata che va rispettata, le donne in carne e ossa, non la loro trasfigurazione immaginaria». Di quanto «l’esaltazione ideale della donna sia servita a coprire la sua insignificanza storica» abbiamo fatto, purtroppo, una millenaria esperienza. Il Vangelo parla un’altra lingua: quella del «discepolato di uguali», per dirla con la famosa espressione di Elisabeth Schüssler Fiorenza, una delle maggiori esponenti viventi della teologia femminista. E il Circolo Culturale San Francesco, con la sua attuale edizione, paladina delle donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo, non si stanca di usare questa lingua e veicolare questo «discepolato».

Piotr Anzulewicz OFMConv


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Spinti ad un volo, oltre i confini…

La chiave della 12ª Serata cinematografica, con la proiezione del film «Tre colori – Film blu» (tit. orig. «Trois couleurs: Bleu») di Krzysztof Kieślowski e con il cinedibattito «Donna che ritorna alla vita, consapevole che la vera libertà è la libertà di amare», ideata nell’ambito della 10ª edizione del CineCircolo dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›, per immagini», svoltasi il 31 marzo 2023, è tutta nello stupore. A stupire, già prima della sua apertura, notevolmente ritardata, a causa di una funzione in corso nella chiesa antistante, la presenza di p. Rocco Predoti, superiore del convento «Sacro Cuore», nel Salone di S. Elisabetta d’Ungheria e il suo stupefacente discorso, rivolto al Circolo nel suo insieme, nel momento in cui un suo coordinatore era intenzionato a dichiarare conclusa la sua parabola, con tutti gli ‘onori’, o sospesa, in attesa dei tempi migliori. Ed ecco che il Circolo, grazie alle splendide parole di p. Rocco, spicca, letteralmente, un altro volo, oltre i confini della Parrocchia catanzarese, rappresentando e divulgando con gioia gli ideali umanistici, cristici, evangelici, sanfrancescani. È ideato per il sogno ed amato da grandi sognatori, liberi dalle logiche di questo mondo, abbagliati dalla luce del Vangelo, ‘armati’ di coraggio e determinati a irradiare la pace, la fratellanza universale, l’amicizia sociale….

Adesso sa che non è orfano al «Sacro Cuore», ma è addirittura «nel cuore del convento “Sacro Cuore”», come affermò p. Rocco, ed è «il dono dei francescani alla Parrocchia, consegnato in occasione della chiusura del suo giubileo d’oro, e alla collettività civile», come scrisse il Vescovo sulla pergamena di benedizione.  

Con rinato coraggio quindi continuerà a bandire le sue consolidate Serate, in evoluzione e perfezionamento continuo, ‘contaminate’ da intermezzi musicali, interventi degli ospiti speciali, video in streaming, e il suo Laboratorio musicale, rivolto anch’esso a tutti, ma in particolare ai coristi, e diretto altruisticamente, splendidamente e gratuitamente, senza compenso, dal m° Luigi Cimino. Sarà lui, in veste di presidente, e Ghenadi Cimino, in quanto operatore audiovisivo, a curarne l’armonia programmatica e la qualità tecnica. Il sottoscritto veglierà sulla tematica e la fedeltà al progetto originario. La segretaria e la sottosegretaria, Lucia Scarpetta e Iolanda De Luca, provvederanno al resto. Lo Staff del Circolo crescerà e si sentirà sempre di più un ‘noi’ generativo, coinvolgendo donne e uomini di bellezza e di speranza e sfidando le leggi di gravità. Il Circolo un po’ cervellotico, elaborato, raffinato, ma creativo, ricco di ingredienti, a portata di tutti. La sua forza è e rimarrà la semplicità, avvertibile in un Oh!

Finalmente, dopo quasi un’ora di attesa, il Salone si è popolato e la Serata poteva ridestare lo stupore, la gioia, la gratitudine. Ecco allora il «clou» del cinedibattito, una vertiginosa sequenza a ritmo travolgente, con musiche, interventi, letture e video.

6.1. Marialuisa Mauro: «Film blu e donne che ritornano alla vita, consapevoli che la vera libertà è la libertà di amare» (5:00′); 6.2. Lettura di alcuni brani sulla libertà e l’amore: Sofocle, Rabindranath Tagore, Martin Luther King, don Tonino Bello, Leo Buscaglia, Fabio Volo, Papa Francesco…, a cura di Marialuisa Mauro [Leggono: Gabriela Sestito e Maria Rita Talarico di Cropani] (5:00′); 6.3. Videoclip «After the storm» dei Mumford and Sons (5:19′); 6.4. Valentina Carraro /TEDxPiacenza: «ll lutto come fonte di vita» (00:00′-12:39′); 6.5. «Il treno della vita» (2:25′); 6.6. «Requiem aeternam – Gegorian chant for the poor souls» del coro di musica sacra Harpa Dei (5:10′)]

Le foto qui sotto, scattate da Antonella Vitale e Ghenadi Cimino, dicono tutto. Ad maiora, per aspera ad astra!

Auguri quindi a tutti costruttori della Pasqua del mondo, habitués e fan del Circolo!

La Pasqua di Cristo non s’inerpica sui tornanti del Golgota, ma indica lo svincolo che porta ai piedi dei condannati, inermi, emarginati, afflitti, rifugiati e scartati…, e sospinge a schiodare tutti coloro che sono appesi sulla croce, a «sciogliere le catene inique, a togliere i legami del giogo, a rimandare liberi gli oppressi» (Is 58,6).

Piotr Anzulewicz OFMConv


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Anna Frank: l’ebrea tradita, tra le «donne, ‹sorelle tutte›»

Il Circolo Culturale San Francesco, con la sua 10ª edizione dal filo rosso «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», riesce a folgorarci. E lo fa ogni venerdì, nel Salone di S. Elisabetta d’Ungheria presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, in modo nuovo e inaspettato, perché non è da tutti avere a che fare con il «genio femminile». È sfuggente la stessa l’espressione, coniata da Giovanni Paolo II (Lettera alle donne, n. 9), spesso accompagnata da incomprensione e confusione. Il «genio femminile» è un mistero. «Ed è giusto così – ritiene Ashley Ackerman, insegnante di religione alle superiori, ministro del campus, oratrice e blogger, laureata in teologia alla Franciscan University di Steubenville (USA, Ohio). – I misteri sono belli e adorabili, e poiché sono misteri non possono mai essere pienamente compresi, il che è una cosa brillante creata da Dio. Ci rende misteriosi perché continua a riportarci indietro – non potremo mai risolvere il puzzle, ma ci teniamo tanto a farlo, quindi continuiamo a tornare su di esso. La femminilità come mistero ha completamente senso». Il «genio femminile» consiste semplicemente nel vivere la bellezza e la dignità di essere chi sono come donne, come figlie di Dio, ma lo fanno in un modo squisitamente unico e distinto.

Le narrazioni del Wiki– e CineCircolo sulle figure femminili procedono alacremente e sublimemente, a partire da venerdì 7 ottobre scorso, verso un nucleo del mistero in cui riecheggia il labile confine tra quotidiano, abituale, routinario e straordinario, eccezionale, inconsueto. È un andamento fantastico, online e offline, preparato laboriosamente dallo Staff, durante le sessioni di lavoro, e reso sinfonico e canoro, con le performance dei musicisti, cantautori e polistrumentisti (Maria Grazia Cucinotta, Cesare Mauro, Tommaso Cristofaro, Amerigo Marino, Mario Migliarese, Michele Stanizzi, Francesco Stanizzi…). La musica è un alloggio per i sentimenti: l’empatia, la compassione, l’amicizia, la gioia, la bellezza, ma anche la tristezza, la rabbia, la ribellione, lo sprone…

La protagonista della 12ª puntata conviviale con «aperitivo», la 239ª di seguito, è stata «Anna Frank († 1945), l’ebrea tradita», nome divenuto quasi eponimo della Shoah. La puntata si è svolta venerdì 24 marzo scorso, nel giorno in cui la Polonia celebrava la 5ª giornata nazionale in memoria dei suoi cittadini che salvavano gli ebrei durante l’occupazione tedesca (National Day of Remembrance of Poles Rescuing Jews under German Occupation). Tra di loro era la famiglia Ulma: Józef e Wiktoria con i loro sei figli, più un settimo in grembo alla madre. Gli Ulma, pur consapevoli del rischio e nonostante le ristrettezze economiche, mossi dal comandamento dell’amore e dall’esempio del «buon samaritano», nascondevano famiglie ebree fino a quando, all’alba del 24 marzo 1944, i gendarmi e i nazisti entrarono nella loro fattoria, assassinando gli ebrei e trucidando l’intera famiglia, compreso il bimbo che sarebbe dovuto venire alla luce. I bambini erano battezzati e coinvolti nella fede operosa dei genitori. Per il nascituro vi fu il battesimo di sangue. «Si sentivano grida tremende – narra un testimone –, il lamento delle persone e le voci dei bambini che chiamavano i genitori fucilati. Una scena raccapricciante». Il grande villaggio di Markowa, nella Polonia sud-orientale, aveva 4 442 abitanti, tra cui 120 ebrei. Józef Ulma era molto conosciuto perché dotato di talenti e intraprendente: gestiva un vivaio di alberi da frutta, si occupava di apicoltura e dell’allevamento del baco da seta. Buon cattolico, era impegnato in varie attività sociali: nell’associazione della gioventù cattolica era bibliotecario e fotografo. La fotografia era la passione di questo contadino «illuminato». Israele ha annoverato i membri della famiglia Ulma fra i «Giusti tra le Nazioni» e la Chiesa ha avviato il processo canonico per la loro beatificazione.

La puntata è stata aperta, come al solito, dal presidente del Circolo, il m° Luigi Cimino, che dopo i saluti ha presentato l’ospite d’eccezione: Francesco Stanizzi, il giovane cantautore catanzarese, in arte Zerorizzonti, e il suo repertorio. L’artista ha quindi eseguito il suo singolo «Come volevi te», conquistando il pubblico, presente nel Salone, fin dalle prime note, le note che si chiudevano «in un’eco […] al ritmo delle onde», irradiando un’energia prodigiosa, collettiva, montante e trasformante.

Il sottoscritto ha esposto il programma della Serata, postato sul sito web del Circolo, nella sezione «Eventi», e ha invitato alla lettura dell’articolo «Marise Ferro: l’antiromantica», anch’esso pubblicato sulla bacheca del sito web e corredato delle foto scattate da Lucia, Olga e Ghenadi, che immortalano la Serata precedente con «aperitivo» [237].

A moderare il panel, il trio: Marialuisa Mauro, Luigi Cimino e lo scrivente. Al centro dell’interesse, Anna Frank con il suo «Diario», ma catalizzava l’attenzione anche un’altra figura femminile: Wanda Półtawska, prigioniera nel lager femminile di Ravensbrück e grande amica di Giovanni Paolo II, ancora vivente. Un duetto affascinante ed intrigante, per certi versi enigmatico e scomodo. Il panel si snodava quindi tra i seguenti punti:

4.1. Video «La storia di Anna Frank?» (0:00′-15:55′); 4.2. Intermezzo canoro di Francesco Stanizzi: «Farei di tutto» (2:55′); 4.3. Marialuisa Mauro: «L’ebrea tradita» (6:00′); 4.4. Video «Il Diario di Anna Frank simbolo del dolore di milioni di ebrei che vissero l’incubo della Shoah» (3:54′); 4.5. Lettura dei brani tratti dal Diario di Anna Frank, a cura di Marialuisa Mauro (6:00′); 4.6. Intermezzo canoro di Francesco Stanizzi: «Nuvole» (3:02′); 4.7. Consegna al Cantautore – da parte del presidente Luigi Cimino e della sottosegretaria Lucia Scarpetta – di un Attestato di ringraziamento insieme ad un ‘segno’; 4.8. Maria Rita Talarico: «‹E ho paura dei miei sogni› di Wanda Półtawska, sopravvissuta al lager femminile di Ravensbrück, amica di Giovanni Paolo II» (5:00′); 4.9. «Canzone per la guerra in Ucraina» di Stefano Syzer Germanotta (3:04′)

I convenuti, ascoltando e guardando queste sequenze, proiettate anche sul grande schermo da Ghenadi Cimino, sentivano il Salone espandersi attorno a loro, specie durante le performance di Francesco Stanizzi. È questo che un corpo può fare ad un altro corpo: rivelare una libertà condivisa che penetra sotto pelle, la libertà che non è sbarazzarsi del peso del passato, ma guardare al futuro e sognare tutto il tempo. «Un corpo libero – scrisse Olivia Laing nel saggio «Everybody. Un libro sui corpi e sulla libertà», edito da Il Saggiatore (2022), che è un viaggio attraverso i corpi come motori di unione e trasformazione – non deve essere necessariamente intero o inviolato, o inalterato. […] Immaginate, per un momento, che cosa significhi abitare un corpo senza paura o senza bisogno di alcuna paura. Immaginate cosa potremo fare. Immaginate soltanto il mondo che potremo costruire». La trasformazione è il solo modo che le donne hanno di salvarsi la vita e di trovare la libertà… di amare.

Piotr Anzulewicz OFMConv




Marise Ferro: l’antiromantica

Il Circolo sa fare anche questo: resistere e marciare senza averne l’aria, dire «speranza contro ogni speranza» (Rom 4,18), scrollare animi insonnoliti e trainarli verso un futuro che può condurre a percorsi più vivibili e a esistenze meno asfissiate, da costrizioni varie ed eventuali. I suoi habitué sanno essere, anche a loro insaputa, un sorso d’acqua nel mezzo di tanta sete. E per quel sorso d’acqua, che vivifica, occorre ringraziare il cielo che ci sta addosso.

Il Circolo sa pure, a volte, incantare, come ha fatto venerdì 10 marzo scorso, durante l’11ª Serata conviviale – con il focus su «Marise Ferro († 1991), l’antiromantica» – ideata nell’ambito della 10ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», inserita nel solco della fase narrativa del cammino sinodale, ispirata ai grandi testi dell’autorità educativa della Chiesa ed aperta gratuitamente a tutti: credenti e «laici», vicini e lontani – la 237ª di seguito.

Incantevole e seducente è stato già il suo «incipit», con la performance dei due graditi ospiti: il m° Mario Migliarese e il dott. Michele Stanizzi, cantautori e polistrumentisti, di Petronà e di Cropani, discepoli del presidente del Circolo, m° Luigi Cimino, che presentò al pubblico i loro profili professionali e musicali. Il m° Migliarese, accompagnato dal dott. Stanizzi con la chitarra, ha eseguito in lingua calabrese «Tra cìelu e mare», la canzone che ha dato il nome al suo ultimo album discografico, dedicandola a tutte le donne, le mamme e le nonne, ma in particolare alla sua amata Rita, scomparsa nel 218, in seguito ad una grave malattia, e segnando per tutti l’accesso al «paradiso», “tra cielo e mare”, alla Calabria. «Bella, te viju – scaldava i cuori, omaggiandola con le parole semplicemente meravigliose – tra cìelu e mare / de la muntagna, cchi bella vista! / virde vestuta cumu a ‘nna hesta / cu llu tramontu chi ‘mpiamma ‘a horesta […] ppecchì me mpizzu quandu te guardu, quandu me guardi, oi bella; / cumu me sbampi quandu t’abrazzu quandu m’abbrazzi, oi bella». Incantevoli erano pure altri due brani, tratti dalla stessa «collection»: «U sùanu ‘e l’acqua» e «A serenata», eseguiti in seguito con il chitarrista Stanizzi, accolti dal pubblico con calore, applauso e gratitudine. È stato commovente il momento della consegna ai due artisti – da parte del presidente Cimino e della sottosegretaria Lucia Scarpetta – degli Attestati di ringraziamento e dei ‘segni’, con spettatori in piedi, estasiati e incantati.

La Serata è entrata nel vivo con il panel che si presentava lusinghiero e variegato, condotto dal trio: Marialuisa, Luigi e il sottoscritto, e avviato in «live streaming» da Ghenadi Cimino. In apertura lo sconvolgente videoclip «Non è un film» di Gerardina Trovato, cantautrice catanese, per ri-gridare a tutti che stiamo dalla parte di chi viene massacrato da ‘grandi soldati’.

Marialuisa Mauro ha descritto quindi Marise Ferro, la scrittrice di cultura italo-francese, nata a Ventimiglia nel 1905, che voleva, con la ragione, emancipare le donne. In tutti i suoi libri trattava di un tema che le fu molto caro: la condizione, l’educazione e la formazione femminile. Marise Ferro era un’antiromantica e cercava di educare le donne, come aveva fatto con se stessa, all’illuminismo. Per lei l’intelligenza era l’antidoto per decostruire le illusioni e uscire dalla sofferenza e dalla condizione di inferiorità sociale e culturale. Considerava le donne, per educazione, troppo romantiche, nel senso deteriore, e troppo esposte alle illusioni veicolate dalla letteratura. La razionalità illuminista è quella che vuole spazzare via le superstizioni e le credenze che ancorano al passato e rendono schiavi. Ferro riteneva che solo un bagno di ragione avrebbe aiutato le donne a capire la trappola nella quale erano state rinchiuse.

Secondo Francesca Sensini, docente di italianistica all’Université Côte d’Azur di Nizza e curatrice delle nuove edizioni di libri e scritti di Marise Ferro, «la sua visione del femminile era severa e mai tenera». Era molto interessata alle figure femminili ingiustamente dimenticate, dotate di talenti da riscoprire in chiave nuova o da celebrare perché irregolari, trasgressive, dissidenti, anticonvenzionali, innovative. Le sue romantiche sono soprattutto francesi e – se si escludono George Sand ed Emily Brontë – sono rimaste sepolte sotto la polvere del tempo. Era femminista, ma il femminismo non le piaceva. Non si sentiva mai vicina al movimento femminista protestatario per tante ragioni – la sua mentalità, il suo milieu, la diffidenza verso l’intruppamento politico-ideologico – ma è sempre stata attenta alla società e ha anticipato l’analisi dei ruoli sessuali, mettendo l’accento sull’amore, l’affettività, l’autocoscienza come strumenti per arrivare alle radici dell’umano. «Per lei – riteneva Sensini – i progressi nella ‘polis’, la possibilità di lavorare e guadagnare denaro, l’inserimento nelle professioni non cambiano la condizione femminile se non muta l’idea di sé. La parità è una falsa soluzione: quello che le donne rivelano nell’intimità attraverso i loro desideri dice che molto poco è cambiato e che le ragazze sono prigioniere della stessa trappola in cui sono state rinchiuse le loro madri». Era un’intellettuale che aveva orrore per le narrazioni consolatorie. Il suo sguardo rimaneva sempre lucido e non assumeva mai toni rivendicativi o apologetici.

Marise Ferro è morta 32 anni fa. Nel 1970 aveva pubblicato da Rizzoli il trattatello di storia del costume dal titolo La donna dal sesso debole all’unisex, un «excursus» lungo il secolo fino agli anni sessanta, in cui polemizzava con l’ultimo feticcio dell’uguaglianza, la moda che confonde i generi, «genderless», si direbbe oggi. «Unisex» oggi è una parola innocente: tutti portano ormai «jeans e «t-shirt», ma allora non era così. «Marise Ferro – scrisse Annamaria Guadagni nel suo articolo L’antiromantica, pubblicato su Il Foglio del 13-14 novembre 2021 – considerò lo stile ‘unisex’ come una forma di mascheramento in abiti maschili che nasconde una negazione del femminile, il suo depotenziamento. Una nuova illusione egualitaria, che non può modificare il corpo né il ruolo di moglie e madre che le donne non solo svolgono, ma desiderano» (p. IX). Una consapevolezza della specificità femminile molto forte. Anche se lei – per sé – aveva deciso di non avere figli, sapeva che decostruire i ruoli sessuali e confonderli sono due cose molto diverse. «Marise Ferro – affermò il sottoscritto durante il suo intervento – era una pensatrice della differenza ante litteram».

Una Serata incantata, da sogno, «tra cìelu e mare», illuminante grazie anche agli spunti di riflessione offerti da Elisabetta Guerrisi («‹Non c’è salvezza senza la donna›, eppure…»), solidale grazie ai due brevi filmati, in omaggio alle donne ostaggio della guerra in Ucraina («Via Crucis 2022: una donna ucraina e una russa insieme per la pace») e a quelle vittime del naufragio a Steccato di Cutro («La Via Crucis a Cutro in memoria dei migranti»), e deliziosa grazie al «cocktail», affabilmente servito dalle donne dello Staff, insieme ad Asia Bronieri, la tenera e amabile ‘mascotte’. Tutte quindi siano protette da una Donna speciale, Maria, Madre dell’umanità intera.

Piotr Anzulewicz OFMConv


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«Bambinaie celesti» al Circolo

Per farla breve, la 6ª Serata conviviale con «aperitivo» [226], focalizzata sul tema: «Caterina de’ Ricci († 1590), Veronica Giuliani († 1727) e le altre donne, bambinaie celesti», ideata nell’ambito della 10ª edizione del WikiCircolo 2022/23 dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», e svolta venerdì 16 dicembre 2022, presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, aveva tutto o quasi tutto: tre mirabili momenti sonori, creati magnificamente e regalati nobilmente  da Amerigo Marino di Pentone (CZ), tenore lirico di fama internazionale, con un repertorio vasto che spazia dalla lirica alle canzoni classiche italiane e napoletane, tre video sulle «bambinaie celesti», tre interventi e condivisioni dei presenti nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria».

Non ce l’ha fatta ad esserci solo un relatore, con amabili scuse, che però avrebbe portato un contributo di rilievo e indiscusso nella presentazione delle «bambinaie», selezionate proprio in vista di lui e in accordo con lui, in settembre scorso. A mezzogiorno, ahimè, il programma della Serata ha dovuto virare e ribaltarsi. Quando la melanconia, cioè il sentirsi abbandonati, afflitti o tristi, minaccia non più un evento, ma il mondo intero, chi è integro si sgretola. E chi è sgretolato e da sempre inadatto, si scopre, d’improvviso, lucido e potente. Come il cieco avverte il sole senza vederlo. Spicca un balzo, rimbocca le maniche e, con buona lena e tenacia, si dà da fare, per ‘salvare’ tutti, piccoli e grandi, stolti e saggi, poveri e ricchi… Così avvenne anche venerdì, pomeriggio.

La Serata ha potuto quindi snodarsi fluidamente e sinfonicamente, seguendo il programma modificato e «rendere bello il mondo». Il M° Amerigo Marino, presentato alla platea dal M° Luigi Cimino, con la sua alta voce ha aperto l’evento, interpretando l’«Ave Maria» di Franz Peter Schubert († 1828), compositore austriaco. Ha deliziato la platea durante il panel con «La voce del silenzio» di Elio Isola († 1996), compositore, direttore d’orchestra e arrangiatore genovese, e con la «White Christmas» di Irving Berlin († 1989), compositore russo-statunitense, a conclusione, prima della foto di gruppo e del momento conviviale accompagnato dal bellissimo videoclip «Рождественские попурри»: i canti natalizi in russo, ucraino, inglese e spagnolo, eseguiti dalla Группа Мелодия, SOL Family Church e друзья. Ed ecco il nucleo del programma:

3.1. Piotr Anzulewicz OFMConv: «Chi è s. Caterina de’ Ricci? Vita, novità, attualità» (20:00′); 3.2. Videoclip «La Santa Caterina» di Lisetta Luchini (4:08′); 3.3 Video «Il raro stendardo di s. Caterina de Ricci» (00:50′); 3.4. «La vita di s. Veronica Giuliani» – Intervista alla giornalista Lucia Bigozzi, insieme ai collegamenti da Mercatello sul Metauro di Giacomo Avanzi (00-18:37′); 3.5. Condivisione (10:00′); 3.6. M° Amerigo Marino: «La voce del silenzio» di Elio Isola; 3.7. «In piedi, signori, davanti a una donna» (3:06′)

La Serata meriterebbe un articolo ben corposo e decisamente ‘a toni angelici’, ma qui un cenno solo ad una delle «bambinaie celesti», s. Caterina de’ Ricci, la mistica domenicana fiorentina che ha legato indissolubilmente il proprio nome a Prato, città in cui ha vissuto gran parte della sua vita. Quest’anno ricorrono i 500 anni dalla sua nascita (23.03.1522). Un fiume di eventi, tra cui quello di venerdì 14 ottobre scorso: il convegno nel Salone consiliare di Prato sulla storia della compatrona della città,promosso nell’ambito delle iniziative del cinquecentenario della Santa. Ne hanno parlato quattro donne ricercatrici, esperte di storia della Chiesa e del monachesimo: Roberta Franchi, Isabella Gagliardi e Anna Scattigno dell’Università di Firenze e la ricercatrice e docente Veronica Vestri, tratteggiando la figura della Santa e inquadrando la sua grandezza nel contesto del suo tempo.

Il monastero domenicano fu il luogo dove, una volta fatta la professione di fede, il 24 giugno 1536, Caterina rimase fino al giorno della sua morte avvenuta il 2 febbraio 1590. Il suo corpo riposa nella basilica omonima, una delle chiese che esprime al meglio il tardo barocco presente a Prato, con il bellissimo coro monastico, dono di uno dei figli spirituali della Santa, il fiorentino Filippo Salviati.  Da febbraio 1542 la Santa iniziò a essere soggetta a una serie di rapimenti estatici che si verificarono ogni settimana per dodici anni. La sua devozione al Crocifisso, ancora oggi conservato nel monastero, era instancabile, come la sua capacità di saper guidare la comunità, nei decenni in cui fu priora, e intrattenere rapporti con esponenti della società del suo tempo, testimoniata da un prezioso Epistolario che documenta come fosse capace di arrivare lontano, pur rimanendo nella clausura. Il 24 agosto 1542 nel monastero avvenne un fatto prodigioso: il Cristo in legno, presente in una cella, si staccò dalla croce per abbracciare Caterina. Fu uno dei miracoli più stupefacenti che si raccontano della vita della Santa. A testimoniarlo furono le consorelle che assistettero al prodigio: il Crocefisso chiese alla Santa tre processioni di espiazione per i peccatori. Così, da quasi cinque secoli, le monache domenicane non sono mai venute meno a quella richiesta. Per tre giorni, il 22, il 23 e il 24 agosto, ogni anno, le claustrali all’interno dell’antico monastero portano in processione quello stesso Crocifisso che abbracciò Caterina de’ Ricci.

C’è chi – tra gli studiosi – la definisce «bambinaia celeste», un’espressione, a prima vista, bizzarra, strana, insolita. Nella raccolta delle sue visioni, i Ratti, possono essere individuate alcune scene in cui la Mistica domenicana vezzeggia Gesù Bambino, lo stringe fra le sue braccia, e lo bacia teneramente. L’apice di questo amorevole atteggiamento nei confronti di Gesù Bambino «è raggiunto – scrive Mattia Zangari nel suo studio Santità femminile e disturbi mentali fra Medioevo ed età moderna (Edizioni Laterza, 2022) – nel corso della visione del Natale del 1542. Caterina ebbe un rapimento in cui le si materializzarono davanti agli occhi la Vergine e Gesù Bambino: la Madonna indossava un vestito azzurro ricamato, un velo e un ammanto di seta bianca. A un certo punto Maria le consegnò Gesù e le mostrò il modo in cui avrebbe dovuto cullarlo, raccomandandogli di ninnarlo lentamente. […] La Mistica rimosse il velo adagiato sulla culla per vedere meglio il Piccolo; gli baciò le “manine”, i “piedini”, le “braccine”, la “golina” […], dopodiché Gesù Bambino si lavò il “visino” con le lacrime di Caterina, che intanto si era commossa» (p. 46).

II desiderio di maternità, negato alle donne mistiche del Medioevo e dell’età moderna, veniva sublimato, dando luogo alla devozione al Divino Infante, cullato e vezzeggiato, quasi fosse un bambino vero. Sembra che la messa in scena di questa devozione, anche con l’uso di bambole, sia stato per le religiose, che avevano fatto voto di castità, modo alternativo di vivere la maternità e la sessualità. È possibile rinvenire numerosi esempi di questa maternità sublimata: la mistica francescana Angela da Foligno († 1309), che afferma di aver visto la Madonna mentre era nella chiesa di frati minori di Foligno: la Vergine protese le braccia in avanti e le offrì Gesù Bambino in fasce, e la mistica domenica Benvenuta Bojanni († 1292), alla quale compaiono molteplici personaggi celesti: Gesù Bambino, Vergine, s. Domenico, gli angeli…

E questo è un po’ la missione delle donne, ricca di tenerezza, amorevolezza e devozione, oltre che di parole: «Il contributo delle donne è impareggiabile – affermò Papa Francesco, rivolgendosi il 7 febbraio 2015 alla Plenaria del Dicastero della Cultura, incentrata sul tema Le culture femminili: uguaglianza e differenza – per l’avvenire della Chiesa». Allargando lo sguardo alla società, denunciò la mercificazione del corpo femminile e «le tante forme di schiavitù», a cui sono sottomesse, e lanciò un appello affinché, per vincere la subordinazione, sia promossa la reciprocità. Sull’argomento tornò anche nell’udienza alla Pontificia Accademia della Vita, il 5 ottobre scorso, e chiese di ripartire «da una rinnovata cultura dell’identità e della differenza». Criticò «l’utopia del neutro» e «la manipolazione biologica e psichica della differenza sessuale». È necessaria, secondo lui, «un’alleanza dell’uomo e della donna», chiamata «a prendere nelle sue mani la regia dell’intera società».

«In piedi, allora, signori, davanti a una donna»: protagoniste sono le donne del Circolo! E arrivederci alla prossima meraviglia: la Serata speciale, perché musicale, lirica e conviviale, dal titolo «Reading in musica in onore della Madre del Signore».

Piotr Anzulewicz OFMConv


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Donna che sogna un mondo migliore

È stata accolta con fervore, come esistenziale, vitale ed attuale, la 5ª Serata cinematografica, la 225ª di seguito, che si è svolta venerdì 9 dicembre 2022, alla vigilia del triduo di preghiera a s. Lucia († 304), protettrice degli occhi, dei ciechi, degli oculisti, di tutti coloro che soffrono di disturbi visivi: i non vedenti, i miopi, gli astigmatici… e chi è affetto da cataratta, patrona di Siracusa e compatrona di Venezia.

È stata giustamente Lucia Scarpetta, ‘particella’ dello Staff del Circolo, a presentare la trama del «Tutta la vita davanti» di Paolo Virzì e condurre il cinedibattito «Donna che sogna un mondo migliore per sé e per la bambina cui fa da baby-sitter›», tenendo conto del motto della 10ª edizione del CineCircolo: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›, per immagini», ma la Serata si è aperta esemplarmente con il videoclip contenente la canzone «Ho imparato a sognare» dei Negrita, riproposta dalla cantante romana Fiorella Mannaia, una delle protagoniste femminili della canzone popolare italiana, dalla voce leggera e soave. «I sogni sono la spinta propulsiva della nostra vita – ha confidato in una intervista. – Non è poi indispensabile che si realizzino, l’importante è averli perché spingono a fare meglio», a donare se stessi, ad aprirsi agli altri, «in un momento delicato come quello che stiamo vivendo, così pieno di paure» e chiusure.

Lucia ha quindi catalizzato l’attenzione dei presenti nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido sulla proiezione curata con diligenza dall’operatore audiovisivo Ghenadi Cimino. Il regista livornese, considerato da molti l’unico continuatore della commedia all’italiana dal sapore provinciale e un po’ agrodolce con una sana spruzzatina di ispirato neo-realismo, ha introdotto gli spettatori nella favola nera di Marta, ventiquattrenne siciliana trapiantata a Roma e neolaureata con il 110 e lode, abbraccio accademico e pubblicazione della tesi in filosofia teoretica. Umile, curiosa e un poco ingenua, Marta si vede chiudere in faccia le porte del mondo accademico ed editoriale, per ritrovarsi a essere “scelta” come «baby-sitter» dalla figlia della sbandata e fragile ragazza madre Sonia, interpretata con struggente intensità da Micaela Ramazzotti. È proprio questa “Marilyn di borgata” – scrive Chiara Renda nella sua recensione – a introdurla nel Call Center della Multiple, azienda specializzata nella vendita di un apparecchio di depurazione dell’acqua apparentemente miracoloso. Da qui inizia il viaggio di Marta in un mondo alieno, quello dei tanti giovani, carini e “precariamente occupati” italiani: in una periferia romana spaventosamente deserta e avveniristica, isolata dal resto del mondo come un reality, la Multiple si rivela pian piano al suo sguardo ingenuo come una sorta di mostro che fagocita i giovani lavoratori, illudendoli con premi e incoraggiamenti (sms motivazionali quotidiani della capo-reparto), «training» da villaggio vacanze (coreografie di gruppo per “iniziare bene la giornata”) per poi punirli con eliminazioni alla Grande fratello. Un mondo plasticamente sorridente e spaventato, in cui vittime e carnefici sono accomunati da una stessa ansia per il futuro che si tramuta in folle disperazione. Non c’è scampo per nessuno all’interno di queste logiche di sfruttamento, e a poco servirà il tentativo dell’onesto, ma evanescente sindacalista Giorgio Conforti di cambiare idealisticamente un mondo che difficilmente può essere cambiato.

Prendendo spunto dal libro della blogger sarda Michela Murgia, «Il mondo deve sapere», Virzì esplora con gli occhi di Marta l’inferno di questo precariato con tutta la vita davanti; e lo fa con lo spirito comico e amaro che da sempre lo contraddistingue. Accentuando stavolta i toni tragicomici e grotteschi da commedia nera, il regista toscano dà vita a un’opera corale, matura e agghiacciante, che rivisita (attualizzandola) la miglior tradizione della commedia amara alla Monicelli, costruendo – grazie anche all’apporto del fido sceneggiatore Francesco Bruni – personaggi complessi e sfaccettati, teneri e feroci, comici e tragici a un tempo, ma tutti disperatamente umani e autentici.

Con la stessa umiltà e onestà intellettuale di Marta, Virzì si muove tra le spaventose dinamiche del mondo moderno senza mai cadere nel facile giudizio, nel pietismo o – vista l’attualità del tema – nella trappola del film a tesi, mantenendo sempre in primo piano il suo amore per gli ultimi e una compassione per le sue creature disperate e perfide, figlie di una società malata, ma forse non ancora in fase terminale. E se Marta può ancora sognare un mondo migliore per sé e per la bambina cui fa da «baby-sitter», un mondo che balla spensierato ascoltando i Beach Boys e si affeziona a una voce telefonica, tutto attorno resta – conclude Renda – un ritratto allarmante dell’Italia di oggi, che Virzì svela sapientemente sotto una patina di sinistra comicità. Un’Italia dolce e amara quella di Tutta la vita davanti, che commuove e angoscia, lasciandoci con un groppo in gola, come quell’ovo sodo che non andava né su né giù.

La proiezione del film, con un ‘taglio’ della sua parte centrale che finisce per annoiare – ‘perpetrato’ abilmente da Ghenadi – ha innescato un vivace e a tratti infuocato dibattito, condotto nel modo fluido e ritmico da Lucia Scarpetta. Al microfono si alternavano Tonia Speranza, Maria Rainone, Ninetta Crea, Maria Rosa Cunia, Luigi Cimino… Ha fatto seguito la riflessione di Papa Francesco sul ruolo della donna nella Chiesa e sull’urgenza di trovare criteri e modalità nuove affinché «le donne non si sentano ospiti, ma pienamente partecipi nei vari ambiti della vita sociale ed ecclesiale». Il denso dibattito si è concluso con la lettura di un brano della «Lettera alle donne» di Giovanni Paolo II, fatta con un’intensa commozione da Marialuisa Mauro: «[…] Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l’indispensabile contributo che dai all’elaborazione di una cultura capace di coniugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del “mistero”, alla edificazione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità» (n. 2).

Il presidente Luigi ha annuncio quindi il prossimo evento che si terrà venerdì 16 dicembre (6ª Serata conviviale, focalizzata su «Caterina de’ Ricci († 1590), Veronica Giuliani († 1727) e le altre donne, bambinaie celesti» [226]), e ha invitato alla foto di gruppo e al «cocktail», reso particolarmente ricco e appetibile (castagnaccio di Gabriella, insalata russa e crostata di Tiziana, arancini di Loredana, Ferrero Rocher e Pocket Coffee di Antonella, mandarini di Maria Rainone). È stato impossibile a non pensare, anche questa volta, alle donne e ai bambini della martoriata Ucraina. Il videoclip «Рождественские попурри» con i canti natalizi in quattro lingue: russo, ucraino, inglese e spagnolo, ha rasserenato tutti, ha allargato il perimetro della fraternità e ha spronato a sognare un mondo migliore.

Piotr Anzulewicz OFMConv


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«Dottorar le donne», senza paura

Una Serata sonora, interattiva, conviviale, con le persone che si stimano e si ammirano, quella che si è svolta venerdì 2 dicembre 2022 nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido e si è focalizzata sul tema: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia († 1684), la prima donna a potersi fregiare del titolo di Doctor», la 5ª della 10ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›».

Sonora, con la strepitosa performance del soprano Maria Grazia Cucinotta che ha cantato tre famosi brani: 1. «Ave Maria» di Charles François Gounod († 1893), all’inizio; 2. «Agnus Dei» di Georges Bizet († 1875), a metà; 3. «Astro del ciel» di Franz Xavier Gruber († 1863), a conclusione, rendendo bello il nostro mondo, più melodico, armonioso e soave e meno monocorde, uniforme, soliloquiale e privo di ritmo.

Interattiva, con il sostanzioso panel, che grazie alle sue peculiarità ha infervorato i presenti. Le sue sequenze digitali, virtuali, da remoto, e reali, fisici, in presenza, si snodavano così:

3.1. Monologo di Lucia Schierano: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia» [I] (3:06′); 3.2. Dr. Maria Luisa Mauro: «Vicenda accademica di Elena Lucrezia» (15:00′); 3.3. Monologo di Lucia Schierano: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia» [II] (3:59′); 3.4. Intervista a Alessandra Schiavon e a Tatiana Corretto, funzionarie archiviste nell’Archivio di Stato di Venezia (5:04′); 3.5. Monologo di Lucia Schierano: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia» [III] (1:42′); 3.6. Dr. Piotr Anzulewicz OFMConv: «Dottorar le donne, senza stereotipi di genere e paura» (10:00′); 3.7. Condivisione (10:00′); 3.8. M° Maria Grazia Cucinotta: «Agnus Dei» di Georges Bizet († 1875), compositore e pianista francese; 3.9. Lettura del «Messaggio alle donne» di Paolo VI

Conviviale, con la commovente consegna di un ‘segno’ e di un attestato di ringraziamento alla M° Maria Grazia Cucinotta, da parte del M° Luigi Cimino, presidente del Circolo, e della sottosegretaria Lucia Scarpetta, e con il piacevole momento di fraternità, presso il buffet, amorevolmente preparato da Gabriela, Pina, Loredana, Lucia, Luigi e Iolanda.

Nell’insieme, una Serata eccellente per l’orecchio, l’occhio, il palato.., con un finale omaggio – come nelle Serate precedenti – alle donne ucraine: il video, proiettato da Ghenadi Cimino, operatore audiovisivo e sonoro, con la canzone patriottica Ой, у лузі червона калина (Oj u luzi červona kalyna; lett. “Oh, viburno rosso nel prato”), scritta dal compositore Stepan Čarnec’kyj nel 1914, virale attualmente in Ucraina, ma vietata severamente nei territori occupati dalla Russia, pena multe, prigione o esilio.

Emozionante Serata ha disegnato, in poco più di un’ora e mezzo, il ritratto della prima donna laureata al mondo, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, intellettuale veneziana e oblata benedettina, oltre al composito mondo culturale, sociale e politico della seconda metà del sec. XVII, tra Venezia e Padova. Elena Lucrezia, affamata di cultura vera, intraprese un cammino nuovo, solitario, quasi scandaloso eppure esaltante e bellissimo, quando alle donne era consentito soltanto il matrimonio o il velo. Si consacrò allo studio e alla passione intellettuale. Appoggiata dal padre Giovanni Battista, facoltoso patrizio e colto procuratore della Repubblica di Venezia, nascose dietro la vocazione alla severità un temperamento orgoglioso, ribelle ed appassionato. Sfidò i costumi dell’epoca e la mentalità contraria all’istruzione delle donne e, nonostante l’opposizione del card. Gregorio Barbarigo († 1697), vescovo di Padova, riuscì a sostenere e superare l’esame pubblico davanti a una moltitudine di persone. A lei i notabili del Sacro Collegio dell’Università di Padova, il 25 giugno 1678, attribuirono il titolo di «magistra et doctrix in philosophia» e le consegnarono le insegne del dottorato. Non però – come avrebbe voluto – in teologia: quando, per volere del padre di Elena, venne fatta richiesta di riconoscerle la laurea in teologia, la reazione del card Barbarigo fu senza appello: «È uno sproposito dottorar una donna, ci renderebbe ridicoli a tutto il mondo». A lui, come a tanti altri come lui, la storia non ha dato né darà ragione, con buona pace della misoginia, ecclesiastica e non solo, ancora imperante.

Elena Lucrezia, con la sua laurea, è diventata emblema della ricerca di uguaglianza e del riscatto femminile. Questo per teologhe cristiane ha significato recuperare gli infiniti reperti di protagonismo femminile presenti anche nella Bibbia e portarli alla luce nella loro autenticità, cioè liberarli dalle scorie secolari di un’interpretazione sessista o, per dirlo con la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, dal pericolo di un’unica storia, quella maschile. Un lavoro arduo, scandito da domande che continuano a martellare: «Perché il filo memoriale delle donne bibliche che abbiamo ricostruito – si chiede la teologa Marinella Perroni su «Re-blog. Il post della rivista Il Regno» – non ce la fa a diventare patrimonio comune delle nostre Chiese, nelle quali domina ancora un’interpretazione dei testi biblici del tutto funzionale al mantenimento di un sistema fondato sulla gerarchia dei sessi?». Perché, evocando il card. Barbarigo, ci sono ancora tanti “santi” uomini che considerano uno sproposito «dottorar le donne»? Come è possibile che, ancora oggi, nel recente documento della Conferenza episcopale italiana, consegnato il 12 luglio scorso alle Chiese locali per orientare il secondo anno del cammino sinodale, dal titolo «I cantieri di Betania», si ratificano e si veicolano dolorosi stereotipi che, oltre tutto, alterano la comprensione del racconto evangelico della visita di Gesù alle sorelle di Betania? Perché nel paragrafo «Il cantiere dell’ospitalità e della casa» (p. 9), quando si delineano i caratteri della Chiesa domestica, si afferma che in essa la comunità vive «una maternità accogliente e una paternità che orienta», senza rendersi conto che questa considerazione apre in realtà uno squarcio sugli stereotipi di genere che pesano come un macigno sulle nostre Chiese?

Ha ragione Anita Prati quando ricorda nel suo bellissimo articolo dal titolo Lo sproposito di dottorar le donne, pubblicato il 27 luglio scorso su SettimanaNews, il portale dei Dehoniani, che «l’arco di tempo, che ha visto le donne impegnate a sanare il divario secolare, anzi millenario, in termini di disparità di educazione, di libertà e di possibilità di scelta, rispetto agli uomini, è ancora molto breve», e cita le parole con cui, nel 1622, Marie de Gournay stigmatizza le conseguenze di una cultura fondata sulla gerarchia dei sessi: «Beato te, lettore, se non appartieni al sesso cui tutti i beni sono vietati, con la privazione della libertà, nell’intento di costituirgli come sola felicità, come virtù sovrane e uniche: l’essere ignorante, fare la sciocca e servire».

La strada da percorrere è quindi lunga e forse per ora c’è solo da sperare che un numero crescente di padri, e di madri, sollecitino e orientino le figlie allo studio, senza paura di «dottorar le donne». È una speranza che viene da lontano.

Piotr Anzulewicz OFMConv


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«Nabat»: la forza d’animo di una donna sola

Un’altra Serata cinematografica gradita, innovativa, avanguardistica, da infilare nel Pantheon delle avanguardie, arricchendolo con le storie di donne intrepide, decise, coraggiose, storie che possono aiutare altre donne ad aprire gli occhi anche sulle insidie, sulle trappole, sui pericoli nascosti dietro i falsi modelli di successo, di autoaffermazione, di liberazione.

È stato decisamente il giorno giusto, venerdì 25 novembre 2022, per chinarsi sull’«ostinazione delle donne a non cedere alla barbarie, sulla loro resilienza, sulla loro capacità di cura» e proiettare il film «Nabat» di Elchin Musaoglu, selezionato dallo Staff del Circolo Culturale San Francesco per la 10ª edizione del CineCircolo dal leitmotiv: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›, per immagini», ideata dentro la fase narrativa del cammino sinodale della Chiesa. In quel giorno ricorreva la 23ª Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne, indetta dall’ONU e messa in risalto in Italia dal lancio della campagna della Polizia di Stato «Questo non è amore», l’appello a «mettere in salvo» le donne, cioè a garantire loro sicurezza da soprusi, maltrattamenti e abusi, minacce e recidive, frequenti anche dopo un’eventuale pena, e ad accompagnarle in ogni fase. Papa Francesco, parlando ai componenti della Direzione Centrale Anticrimine, ricevuti all’indomani della Giornata in Vaticano, nella Sala Clementina, ha indicato quelli che sono i punti cardine per estirpare la violenza contro le donne, fenomeno permanente, diffuso, trasversale, aggravato dalla pandemia e alimentato dai media: prevenzione e protezione, educazione e accompagnamento. «Per vincere questa battaglia – ha rimarcato – non basta un corpo specializzato (…) e non bastano l’opera di contrasto e le necessarie azioni repressive (…). Bisogna unirsi, collaborare, fare rete: e non solo una rete difensiva, ma soprattutto una rete preventiva!». È prezioso avere anche «una mirata preparazione psicologica e spirituale – ha detto il Papa – perché solo a livello profondo si può trovare e custodire una serenità e una calma che permettono di trasmettere fiducia a chi è preda di violenze brutali». Tante donne cristiane, venerate come martiri, ne sono esempio. Il Papa ne ha citato alcune, da s. Lucia di Siracusa († 304) e s. Maria Goretti († 1902) alla b. Maria Laura Mainetti († 2000), la religiosa assassinata a Chiavenna (SO) da tre ragazze durante un rito satanico. Ci sono tante «sante della porta accanto» che con la loro vita «testimoniano che non bisogna rassegnarsi, che l’amore, la vicinanza, la solidarietà delle sorelle e dei fratelli può salvare dalla schiavitù». La loro testimonianza va proposta a ragazze e ragazzi di oggi: «Nelle scuole, nei gruppi sportivi, negli Oratori, nelle associazioni – ha esortato il Papa – presentiamo storie vere di liberazione e di guarigione, storie di donne che sono uscite dal tunnel della violenza e possono aiutare altre donne.

È una benedizione donne gioiosamente presenti nello Staff del Circolo e nel Salone di S. Elisabetta in cui si tengono le Serate: Iolanda De Luca, Maria Rainone, Rina Gullà, Gabriela Sestito, Tonia Speranza, Marialuisa Mauro, Elisabetta Guerrisi, Patrizia Corapi, Loredana Olivadoti, Lucia Scarpetta, Antonella Vitale, Federica Astarita, Asia Brogeri…, le donne che possono meglio capire altre donne, ascoltarle e sostenerle, e ‹fare bello il mondo›. Sono centrali nel Circolo e indispensabili in un mondo che invece troppo spesso le mette agli angoli. «Devono essere rispettate – sottolineò con forza Papa Francesco il 15 settembre scorso, nel discorso di chiusura del 7° Congresso delle Religioni Mondiali e Tradizionali, riprendendo uno dei punti contenuti nella Dichiarazione finale dell’assise a Nur Sultan, in Kazakhstan – riconosciute e coinvolte. (…) A loro vanno affidati ruoli di responsabilità maggiore». Ci sono luoghi dove questo è ancora sogno. Le costanti notizie di cronaca, che si susseguono sui giornali e nelle trasmissioni televisive, radiofoniche e pubblicitarie, ci portano a pensare che siamo ancora lontani dal considerare la donna per ciò che è e racchiude in sé: una bellezza profonda, da scoprire; una capacità infinita di accoglienza, di intuizione e di donazione, da valorizzare; una genialità stupefacente nel trasmettere l’armonia, la pace e l’amore, da valorizzare. La donna non è un oggetto da “usare e gettare” o una merce da comperare e consumare. Sia quindi “benedetta”.

La 4ª Serata cinematografica iniziò allora con il videoclip Che sia benedetta, mandato in onda dall’operatore Ghenadi Cimino, in omaggio a colei “che dona l’amore che ha dentro” e ci invita a tenerci stretta la vita, per quanto ci sembri assurda e complessa, incoerente e testarda. A cantare il suo bellissimo brano, Erika Mineo, in arte Amara, dalla voce graffiante, artista di strada toscana e autrice di splendide canzoni portate al successo da altre voci.

Dopo i saluti istituzionali e l’introduzione al programma della Serata, Lucia Scarpetta relazionò la trauma del film «Nabat», dalla splendida fotografia e dall’eccellente interpretazione della convincente protagonista, di straordinaria attualità proprio oggi, in pieno periodo della guerra russo-ucraina. Una accorata riflessione sul destino dei Paesi devastati dalla guerra. Infatti, il film, presentato nella sezione Orizzonti della 71ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2014, viene dall’ex-Repubblica sovietica, dall’Azerbaidžan, il Paese più grande del Caucaso. Nabat è il titolo, ma anche il nome della protagonista, una donna non più giovane che vive nei pressi di un villaggio di montagna cui il conflitto armato ha strappato l’amato figlio. Le truppe nemiche stanno per arrivare nella sua remota regione e pochi abitanti del villaggio fuggono a causa dei bombardamenti, ma lei rifiuta caparbiamente di lasciare la casa e il marito Iskender, un ex lavoratore forestale vecchio e moribondo, preferendo andare incontro a un destino segnato: solitudine, isolamento, privazioni. Nabat lotta e resiste con coraggio e dignità alla fatica e alla disperazione, ma le sue forze si spengono a poco a poco come i lumi a petrolio che lei si ostina a tenere accesi nelle case ormai disabitate affinché le notti sui monti siano meno buie e un barlume di vita possa continuare a illuminare il vuoto. Madre coraggio certamente, Nabat incarna ben altre immagini. È la madre per antonomasia. È la patria che si prende cura dei propri figli. «Last but non least», la conservatrice di una memoria che altrimenti andrebbe perduta. Figura esemplare, dunque, cui presta il proprio volto l’intensa attrice iraniana Fatemeh Motamed-Arya chiamata sul set dopo che il regista Elchin Musaoglu aveva fallito ogni ricerca in patria. Il ruolo, quasi totalmente muto, poggia sulla sua straordinaria intensità mimica e fisica: corpo-madre piegato dal dolore, dalla fatica del vivere e dal peso dei ricordi. Pochi i dialoghi e i suoni rarefatti: il respiro affannoso della protagonista e l’eco dei suoi passi lungo i sentieri, l’ululato lamentoso di un lupo solitario che si aggira nei dintorni della casa, il rimbombo lontano delle cannonate. La guerra – suggerisce il regista – non conosce confini. Ogni vittima è vittima del mondo. Una tesi non nuova, ma le immagini, di cui si serve per enunciarla, raccomandano coerenza stilistica, respiro narrativo, rigore formale. Finale quietamente malinconico e dolcemente visionario.

Film rigoroso e al tempo stesso doloroso, in cui la figura femminile assurge a simbolo della forza d’animo che non si arrende di fronte alle avversità del destino e dell’abbandono, alla crudeltà della guerra e alle morse della solitudine. Sentirsi soli o sentirsi amati sulla terra? La visione della pellicola rese cristallina la risposta: «Da soli siamo dei ‘freaks’. Insieme siamo qualcosa di meraviglioso, cercando di essere degni di essere amati l’uno dall’altro, complementari, solidali». Il desiderio di essere insieme si rendeva ancora più palese durante il cinedibattito che si snodava affabilmente in queste sequenze:

3.1. Interventi: «Nabat» – una potente parabola sulla resilienza femminile, sulla capacità di cura delle donne, e sull’ostinazione a non cedere alla barbarie (10:00′); 3.2. Notturno dall’Italia – Donne della Resistenza di Giuni Russo (3:36′); 3.3. P. Anzulewicz OFMConv: «Perché la non accettazione di vecchiaia e malattia porta la società a non accettare défaillance in una donna?» (5:00′); 3.4. Lettura di alcuni passaggi della «Lettera alle donne» di Giovanni Paolo II (nn.10-12).

Seguirono quindi le comunicazioni del presidente Luigi Cimino, relative al Circolo, l’annuncio del prossimo evento [venerdì 2 dicembre: 5ª Serata conviviale, focalizzata sul tema: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia († 1684), la prima donna a potersi fregiare del titolo di Doctor»], la foto di gruppo, l’ascolto della canzone «Le poche cose che contano» di Amara e Simone Cristicchi, trasmessa da Ghenadi nel videoclip, e il «cocktail», preparato premurosamente da Iolanda e Loredana e servito graziosamente da altre donne, «lasciando larga e benefica impronta di sé» nel Salone di S. Elisabetta d’Ungheria presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. Le prossime Serate non mancheranno, certo, di registrare nuove e mirabili manifestazioni del «genio femminile».

Piotr Anzulewicz OFMConv


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