Usciremo alla gloria… e l’amore sarà pieno

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Le ‘acrobazie’ del Circolo sono alla fine sempre premiate. Venerdì 10 novembre 2017, la 103ª Serata di seguito − 4ª cinematografica della 5ª edizione del CineCircolo − ha visto, come la precedente, un inatteso “ritocco” nel programma. La pellicola «Il superstite» di Paul Wright è stata felicemente sostituita con un’altra: L’attesa di Piero Messina, lasciando invariato comunque l’impianto generale del programma e il tema della conversazione: Lutto. Ospite d’eccezione, presente all’intera Serata, don Vincenzo Lopasso, professore e direttore dell’Istituto Teologico Calabro «S. Pio X», biblista di chiara fama, salutato a metà della proiezione anche dal gruppo parrocchiale del Rinnovamento nello Spirito con la responsabile Giulia Ariosto.

La Serata ha avuto inizio con un video musicale «Amazing Grace» («Grazia incredibile») di John Newton, su cui lapide nel cimitero di Londra sono incise, per sua volontà, le parole pronunciate poco prima di morire (1807): «John Newton, ecclesiastico, un tempo un infedele e un libertino, servo degli schiavisti in Africa, fu, per grazia del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, conservato, redento, perdonato e inviato a predicare quella fede che aveva cercato di distruggere».

Ha seguito dunque la proiezione del lungometraggio di Piero Messina, regista siciliano, classe ’81, allievo di Paolo Sorrentino, un altro che ha più fan tra gli spettatori che critici a favore. Un film con un vuoto, un buco, un assente in mezzo: il figlio morto della matrona fatto diventare il fidanzato “lontano” della ragazza francese, da rimpianto a desiderio. Il cinema di Messina, così acerbo, eppure così vivo e orgogliosamente borghese, si struttura attorno a questo vuoto, lo guarda e ne ha paura, lo costeggia e lo nasconde, ne sta alla larga. E mette continuamente in scena questa dinamica, i drappi di velluto sugli specchi, le finestre chiuse, la processione mascherata e ovviamente le bugie della protagonista. Accattivante la colonna sonora: pezzi originali del regista e pezzi celebri, come Missing di XX e Waiting for the Miracle di Leonard Cohen. Gli uomini sono sempre muti o di passaggio. Il mondo è delle Madonne e per il loro patire. A parere di Gianluca Arnone, giornalista e critico cinematografico, è «un film di donne e di fantasmi, di crepe e vertigini di cuore, e di manipolazioni, per schermare il dolore, truccare la vita. Ispirato a una novella pirandelliana e ambientato in una villa decadente nell’aspra campagna siciliana (Chiaramonte Gulfi), L’attesa ricorda un po’ il Godot di Samuel Beckett e molto L’avventura antononiana, dove la sparizione di Lea Massari era il motore del racconto e la stessa ingegneria poetica del film».

E’ ‘oscenamente’ bello, senza la bara e il carro funebre, ma con due donne, Anna e Jeanne, unite da un lutto da esorcizzare. Brava Juliette Binoche dal volto sofferente e magnetico, ma che sorpresa Lou de Laâge dal volto ingenuo e candido! Anna vive in una grande villa nella campagna siciliana, ancora allestita a lutto, quando riceve la telefonata di una ragazza Jeanne, ragazza del figlio Giuseppe, che l’ha invitata a passare qualche giorno da lui. Anna la invita volentieri, anche se il figlio non c’è. È come sparito, ma entrambe sono disposte ad aspettare il suo arrivo che forse non ci sarà mai. Ciò che gli altri sostengono debba scorgersi in filigrana, Messina lo fa traboccare, con un tripudio di effetti estetizzanti e continue sovrapposizioni di luci e suoni, in superficie, esteriorizzando i sentimenti e raccontando l’assenza con la sovrabbondanza stilistica, il vuoto con il pieno. «Questo film nasce da ricordi d’infanzia – confida il regista −, da una serie di suggestioni e soprattutto da una cosa che mi ha raccontato un amico, ovvero la storia un padre che, dopo la morte del figlio, aveva deciso di non parlarne tanto che a un certo punto anche chi gli era intorno faceva finta che quel fatto non fosse mai davvero accaduto». «È terribile – aggiunge – nei funerali vedere tante persone, anche bambini, che piangono verso un pezzo di legno. Così è anche possibile decidere di credere a una cosa che è al di là della realtà».

La verità della morte, nascosta ai più, dura e incomprensibile, ha ricevuto una luce. Gesù risorto ha svelato il suo mistero. Siamo immortali, nati per la vita duratura, perenne, eterna. Questo del resto spiega l’inaudita sproporzione tra il nostro desiderio di felicità e ciò che riusciamo ad ottenere in questa vita. Siamo immortali nel momento del nostro concepimento, e questa vita ci è data per scoprire la nostra autentica dignità, la misura della grandezza della nostra chiamata, il nostro destino immortale. Il cimitero allora non contiene il loculo del destino ultimo del singolo uomo. Non è una buca nera del nulla e, conseguentemente, la storia non è la “fossa comune” dell’intera famiglia umana. Questa è la nostra granitica fede: la nostra tomba, per la potenza della risurrezione di Cristo, diventerà una culla, da cui usciremo alla gloria. Per la sua risurrezione, «una parola prima quasi impronunciabile e poi grido da irradiare dai tetti del mondo», come ha detto il 3 novembre 2014 Papa Francesco, durante la Messa presieduta nella basilica di S. Pietro, in suffragio dei cardinali e vescovi defunti nel corso dell’anno. La risurrezione: in Cristo questo mistero così grande, decisivo, sovrumano «non solo si rivela pienamente, ma si attua, avviene, diventa per la prima volta e definitivamente realtà». In quell’istante zero la fede cristiana conquista la sua unicità. Egli è risorto, anzi, egli è la risurrezione. Per il cristiano allora il problema è quello di guardare in faccia la morte, di non mutarle nome, di vigilare perché non si taccia su di essa, ma anche di impedire che si enfatizzi fino a ritenerla la forma unica e ultima della realtà. La morte, «sora nostra morte corporale» (Cantico delle creature, v. 12: FF 263), va vista come passaggio verso un’altra dimensione di questa stessa vita, verso la pienezza che Dio desidera darci: l’amore sarà pieno e totale.

Dopo le comunicazioni relative al Circolo e l’annuncio del prossimo evento, è risuonato quindi il gioioso «Hallelujah», cantato da Artem, Julia, Marsel e Xenia, fantastici bambini russi.

Una Serata triste, ma al contempo lieta, ricca di contenuti, vivace e stimolante per noi e per il pubblico. Alla prossima. L’appuntamento è a venerdì 17 novembre, con la Serata conviviale dal titolo: «Gratitudine per i doni della creazione».

 

pa/tc

 

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