«Cold War»: guerra fredda riscaldata da un amore
Il Circolo ha messo in pista, venerdì 22 ottobre, una Serata avvincente e struggente: la 2ª della 9ª edizione del CineCircolo, con la pellicola «Cold War» (tit. orig. «Zimna wojna») di Paweł Pawlikowski e con il cinedibattito «Un amore totalizzante, ma perennemente ostacolato e osteggiato da una barriera politica e psicologica».
Quando la musica è soave, l’immagine perfetta, la storia commovente, ci si avvicina inevitabilmente a quella sostanza speciale che rende alcuni momenti indelebili. «Cold War», proiettato nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, preceduto dal music video «Nei giardini che nessuno sa» di Renato Zero e seguito dal videoclip «La libertà» di Giorgio Gaber e un breve cinedibattito, è apparso così, come un’opera dalla traboccante bellezza, priva di colori, ma carica di senso e di significato. Un bianco e un nero dell’anima e del ricordo che infiammavano e lasciavano attoniti, una musica centrata sugli occhi che piangevano e non si incontravano mai e una regia che riusciva a carpire l’invisibile e a restituirlo sotto forma di emozione, avvolgeva i presenti nel Salone e li conduceva nella dimensione dell’incredibile storia d’amore di Wiktor Warski e Zuzanna, detta Zula: lui, musicista e storico musicale, con l’incarico di dirigere un corpo di ballerini-cantanti che possano portare nei teatri dei Paesi sotto il dominio sovietico i grandi classici della musica popolare polacca, e lei, giovane e ambiziosa cantante, che lo stregava tanto artisticamente quanto emotivamente; entrambi persi in un romantico e viscerale amore che si contrapponeva all’afflato stalinista di cui era partecipe la loro Polonia, durante la guerra fredda. I cuori dei due erano destinati ad appartenersi e a incendiare ciò che il regime cercava di controllare, ma, benché l’amore bruci ardentemente, il gelo della guerra non combattuta è sempre opprimente e soffocante e non lascia scampo: dall’essere un conflitto mondiale giunge fino alla più profonda intimità della coppia.
La pellicola è stata dedicata dal regista polacco alla memoria dei propri genitori, «persone forti e meravigliose». Sono loro i veri combattenti di questa intima guerra fredda, fra il 1949 e il 1964: uno di quegli amori a cui si fugge per tornare regolarmente indietro, senza poterci fare niente. Le distanze incolmabili e il loro tormentato e tragico amore sembrano essere il diretto riflesso dell’Europa del tempo, divisa e spaccata in due dalla cortina di ferro, dove nulla lascia presagire per il meglio. I due, follemente innamorati, non riescono a far funzionare il loro legame in Francia, nonostante gli sforzi profusi lungo 15 anni tra la Polonia postbellica, Berlino Est, Parigi e la Jugoslavia. Zula decide quindi di tornare a casa e Wiktor, incurante del rischio, decide di seguirla, ma, in quanto fuggiasco, viene condannato a 15 anni di carcere duro. «Zula e Wiktor – scrive Giorgio Crico – vivono tra loro metaforicamente ciò che l’Europa sta vivendo politicamente: la guerra fredda tra i due artisti è gelida e soffocante esattamente quanto quella con la G maiuscolo in cui sono invischiati i famosi blocchi, orientale e occidentale».
Non è fatto di solo tragiche passioni «Cold War», vincitore di cinque Oscar europei (European Film Awards) e di premio miglior regia al Festival di Cannes 2018. «La raffinata potenza narrativa di quest’opera – si legge nella recensione pubblicata su eco del cinema. com – “si sporca” dell’affannosa, faticosa e a tratti violenta ricerca della libertà. Un desiderio che si fa inappagabile nel momento in cui la persona amata, non condivide i metodi per il raggiungimento dell’agognato obiettivo e si percepisce come un ostacolo. Si imbastisce così una storia fatta di fughe, di rincorse, di improvvise assenze, in cui la musica, bellissima, lenisce le ferite, ma non risolve tutto e assurge a luogo privato in cui nascondersi per riflettere sulla propria vita e sul proprio destino. Anche la poesia trova il suo spazio insinuandosi nella macchina da presa, nei dialoghi sopra le righe e in un mirabile non detto». «Cold War» è un gioiello che abbiamo seguito tutto d’un fiato, investendoci di un’ondata di commozione, meraviglia ed empatia.
La Serata si è svolta nel giorno pregno di grandi eventi: 1. in Vaticano si stava svolgendo il convegno internazionale sul tema: «Solidarietà, cooperazione e responsabilità: gli antidoti per combattere ingiustizie, ineguaglianze ed esclusioni»; 2, a Taranto era in corso la 49ª Settimana sociale dei cattolici italiani su «Il Pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro e futuro. #tuttoèconnesso»; 3. nella memoria liturgica della Chiesa si celebrava s. Giovanni Paolo II († 2.04.2005), il 263° successore di Pietro che iniziò il suo ministero petrino il 22 ottobre 1978, «papa pellegrino del mondo», promotore di riconciliazione, dialogo e pace («spirito di Assisi»), «cantore della civiltà dell’amore». Cruciale fu il suo ruolo nella caduta del Muro di Berlino (9.11.1989) e il suo contributo al superamento della guerra fredda e alla nascita della nuova Europa.
Tutto è iniziato nel giugno del 1979, quando egli è andato in Polonia. Lì a Varsavia, in Piazza della Vittoria, davanti ad un milione di polacchi, ha detto che con l’elezione di un Papa polacco la Polonia era chiamata ad essere terra di una responsabilità cristiana particolarmente forte. E poi, congedandosi davanti ad una folla immensa, ha invocato la Spirito Santo: «Vieni e rinnova la faccia della terra». Si è fermato per un attimo e poi ha aggiunto: «Di questa terra!». Quella sera un grande filosofo, don Jósef Tischner, ha detto: «Qualcosa deve accadere. Nessuno sa cosa, ma nulla potrà essere come prima». Nell’agosto dell’80, un anno dopo, Lech Wałesa ha scavalcato i cancelli dei Cantieri Navali di Danzica ed è iniziata l’epopea di Solidarność. L’ordine (o, forse meglio, il disordine) europeo sancito a Yalta, che aveva consegnato metà del continente al totalitarismo comunista ed all’imperialismo sovietico, è stato sfidato da una rivoluzione cristiana pacifica e non violenta che non ha mai sparso il sangue dei suoi avversari, ma solo quello dei propri martiri ed ha fatto appello alla coscienza degli oppressori. È stata la rivoluzione delle coscienze. Con il crollo del Muro si è sbriciolata, in seguito, la frontiera ferrea, politica e psicologica, che osteggiava e ostacolava ogni amore totalizzante tra le persone.
Ed è stato questo l’argomento del cinedibattito della Serata. Bravo Ghenadi che l’ha trasformata, in parte, in un incontro virtuale, rendendola visibile, in diretta «streaming», sulla pagina social del Circolo, ai lontani. Nei presenti alla proiezione ha lasciato comunque forte l’impressione che si è nel Salone in carne ed ossa per qualcosa di più grande: per ricostruire insieme un ‘noi’, per ricreare punti di contatto e di dialogo faccia a faccia, per ritessere le relazioni interpersonali, frantumate dalla pandemia, senza ricorso a uno schermo e una tastiera, per tenersi vicini, per stringersi in un abbraccio, e trovare che sia bello…
Piotr Anzulewicz OFMConv
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