11° CineCircolo: cos’è?
L’11° CineCircolo è la rassegna cinematografica, con il cinedibattito, che si terrà dal 13 ottobre 2023 al 21 giugno 2024 e si snoderà tra le Serate conviviali del WikiCircolo, in successione alterna. Il Circolo, tingendole, anch’esse, per la seconda volta, dei colori tradizionalmente associati alle donne: rosa, blu e giallo, e assegnandole il motto: «Donne pioniere, generative, altruiste e coraggiose, in un mondo dispari, per immagini», intende ridare graziosità, tenerezza, bellezza, coraggio e speranza a un mondo acromatico, travolto dalle violenze e persecuzioni, oscurato dai nazionalismi ed estremismi, marcato dalle migrazioni e sfigurato dalle calamità. Lo intende fare con le 15 pellicole, ponderatamente selezionate dallo Staff e focalizzate sulle donne straordinarie, generative, altruiste, coraggiose. Per gustare maggiormente tutta la rassegna cinematografica, propone anche le 3 Serate speciali: 1. Mer 21 dic 2023 – ‹Reading› in musica, per l’8° centenario del Natale di Greccio [262]; 2. Ve 7 giu 2024 – «Giubilo del cuore, in onore del Sacro Cuore» [283]; 3. Ve 21 giu 2024 – «‹Reading› in musica, in elogio delle donne» [285].
È da ricordare che il CineCircolo, fin dall’inizio, ha la sua peculiarità: ogni Serata cinematografica, dopo la proiezione del film, catalizza l’attenzione dei suoi cinefili su un argomento di attualità, sollevato e illustrato dal regista. L’argomento viene approfondito, dibattuto e illuminato dalla Serata conviviale precedente o successiva. Tutto si svolge in un contesto che ci ha fatto capire che «tutti siamo fratelli e ‹sorelle›» (Fratelli tutti, n. 278), tutti connessi, tutti in relazione, tutti «sulla stessa barca» (ivi, 30), e il nostro esistere è un «pro-esistere», impensabile senza guardare «il volto del fratello, toccare la sua carne, sentire la sua prossimità» (ivi, 115), senza «costituirci in un “noi”» (ivi, 17), senza aver cura della «sora nostra matre Terra» (Cant, v. 9: FF 263), che, «oppressa e devastata (…), “geme e soffre le doglie del parto” (Rm 8,22)» (Laudato si’, n. 2).
Il motto o, meglio, il filo conduttore dell’11ª edizione del CineCircolo, si ispira agli stessi documenti del 11° WikiCircolo (vedi il dépliant). Ambedue le edizioni, inserendosi appieno nell’8° centenario sanfrancescano, celebrato nel triennio 2023-2026, e nella fase universale del cammino sinodale, articolata nelle due sessioni della 16ª assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi in Vaticano (ottobre 2023 e ottobre 2024), si illumineranno a vicenda: veicoleranno, integreranno e approfondiranno lo stesso argomento, e saranno in ideale sintonia con lo spirito del Circolo: «diffondere la cultura e prendersi cura dell’altro, all’insegna del dialogo, dell’accoglienza, della fraternità e sororità». Ogni venerdì racconteranno e proietteranno figure femminili positive e propositive. In tal modo potranno generare speranza, coraggio e bellezza, tenendo vivo l’orizzonte sognato da frate Francesco, nel suo Cantico di frate Sole, e da papa Francesco, nella sua enciclica Fratelli tutti.
Le emergenze planetarie, che stiamo vivendo, ci offrono opportunità straordinarie. Le donne dell’attuale edizione, capaci di stare in prima linea in contesti di guerra, fame, povertà, tratta, in ogni periferia esistenziale, sfidando schemi e preconcetti, ci aiuteranno, indubbiamente, con il loro «genio» e l’ingegno femminile, a ridisegnare i nostri confini, allargare i nostri orizzonti, scoprire e scegliere anche inedite rotte di senso e nuovi approcci alla vita. Il loro contributo è stato sempre impareggiabile per l’avvenire della società. È tempo che tutte «si sentano non ospiti, ma pienamente partecipi» di vari settori della vita sociale ed ecclesiale, svegliando anche in noi uomini il «cervello materno» (cfr. Evangelii gaudium, 46). Il «cervello materno» reagisce creativamente davanti alle emergenze, moltiplica la propria forza, sa rischiare e decentrarsi: passare dall’essere per sé all’essere per l’altro.
Piotr Anzulewicz OFMConv
11° WikiCircolo: cos’è?
L’11° WikiCircolo, in programma dal 6 ottobre 2023 al 21 giugno 2024, è la rassegna delle 16 Serate conviviali con «aperitivo». Il Circolo, tingendole, per la seconda volta, dei colori tradizionalmente associati alle donne: rosa, blu e giallo, e assegnandole il motto: «Donne pioniere, generative, altruiste e coraggiose, in un mondo dispari», intende ridare tenerezza e bellezza, coraggio e speranza a un mondo tristemente acromatico, e lo vuole fare con le donne speciali.
Nel calendario della rassegna 2023-2024 compaiono allora alcune donne, selezionate dall’équipe, che hanno fatto la storia del mondo o la stanno facendo con l’audacia del quotidiano e la speranza del nuovo, donne straordinarie, protagoniste meravigliose, muse stupende. C’è ne sono tantissime altre, anche quelle anticonvenzionali, irregolari, dissidenti, ‘invisibili’, per tutti i gusti e le categorie, da riscoprire magari nelle prossime edizioni e celebrare nel buio dei nostri tempi.
Ad animare le Serate ci saranno Marialuisa, Lucia, Tonia, Elisabetta, Maria Rita, Luigi e Piotr, ma anche gli altri «habitué», amici e fan del Circolo, vicini o lontani. Il loro reale e fattivo coinvolgimento potrà renderle ancora più belle, dinamiche, interattive, stimolanti ed emozionanti. Il format delle Serate continuerà ad essere innovativo e ospiterà interventi, dialoghi, interviste e intermezzi musicali virtuali, digitali, da remoto, e reali, fisici, in presenza. Tutti sono quindi invitati a inviare entusiasticamente alla Segreteria un disegno, una poesia, una canzone o un video sulla specifica figura femminile, da condividere nel corso della rispettiva Serata, a partire da quella del WikiCircolo dedicata a sr Marcella Catozza (6.10.2023), «donna francescana, in missione, con il cuore, per gli orfani», e quella del CineCircolo focalizzata su sr Francesca Saverio Cabrini (13.10.2023), missionaria ed educatrice, «patrona degli emigrati». A coronare tutte le Serate, ci sarà un momento di convivialità, con cocktail o aperitivo, tra pizze e gâteaux…
Inserendosi appieno nell’8° centenario sanfrancescano (2023-2026) e nella fase universale del cammino sinodale, il WikiCircolo, nella preparazione dei programmi delle sue Serate, avrà come fonti di ispirazioni e di orientamenti gli stessi documenti dell’11° CineCircolo (vedi il dépliant). Ambedue le edizioni del resto si illuminano a vicenda: veicolano, catalizzano, integrano e approfondiscono per lo più l’argomento della Serata precedente o successiva. Oltre agli «Scritti di s. Francesco d’Assisi», si ispirano ai seguenti documenti dell’autorità didattica della Chiesa: 1. Lettera apostolica «Mulieris dignitatem» sulla dignità e vocazione della donna (15.08.1988) e «Lettera alle donne» di Giovanni Paolo II (29.06.1995); 2. Esortazione apostolica «Evangelii gaudium» sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale (24.11.2013) ed Enciclica «Fratelli tutti» sulla fraternità universale e l’amicizia sociale di Francesco (3.10.2020); 3. «Sintesi nazionale della fase diocesana» del Sinodo 2021-2023 «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione» della CEI (15.08.2022) e «Instrumentum laboris» per la prima sessione della 16ª assemblea del Sinodo dei vescovi in Vaticano (4-24.10.2023).
L’impegno di tutti sarà però determinante. Se riusciremo a sentirci protagonisti, compagni e discepoli, e costituirci in un noi’ generativo, riusciremo certamente a coinvolgere sempre di più gli attori delle nostre comunità religiose e civili e ad offrire a tutti una fraternità educante rigenerata e nuovamente generativa, in cui ciascuno avrà l’opportunità di essere riconosciuto per la propria dignità e peculiarità.
Davanti a noi, Amici, un susseguirsi di atmosfere – speriamo – suggestive e trainanti, per la qualità di tematiche, e sostenute e apprezzate – ci auguriamo – con entusiasmo da molti, tanto più che al nostro fianco ci sarà un corifeo e tutore speciale: p. Rocco Predoti, parroco del «Sacro Cuore».
Piotr Anzulewicz OFMConv
Oh happy day
Con questo post, un po’ tardivo, ma non meno vivido e caloroso, ringrazio gli amici del Circolo e quanti, tramite i social media (Messenger, WhatsApp, SMS, E-mail), hanno reso meraviglioso il 29 giugno: giorno del mio onomastico e della mia ordinazione sacerdotale. Ringrazio il presidente Luigi Cimino e la sottosegretaria Lucia Scarpetta che in gran segreto hanno ‘rivoluzionato’ il preannunciato incontro di lavoro in un commovente, gioioso e spettacolare «Happening», all’aperto, davanti al Salone di S. Elisabetta d’Ungheria e la sede del Circolo a Catanzaro Lido, una combinazione indistinta di amicizia, fraternità, vita e cultura, con il coinvolgimento attivo di tanti fan del Circolo, tutti in una perfetta corrispondenza di intenti. Il «clou» di questo «Happening» fu la torta, lo champagne e il canto «Oh happy day», in italiano. Un giorno davvero felice, come quel giorno in cui Gesù lavò via i miei peccati e mi insegnò come guardare, lottare, pregare e vivere con gioia ogni giorno… «Oh happy day when Jesus washed my sins away!». Ringrazio a lui, soprattutto, per quel giorno in cui con le mani dell’indimenticabile Giovanni Battista Montini mi consegnò quel «precious gift». Sono passati tanti anni, ma quel «precious gift» e quel «happy day» si presentano come un eterno presente.
Grazie a chi mi ha inviato gli auguri, grazie a chi ha pregato per me, grazie a chi mi ha fatto visita, grazie a chi avrebbe voluto farlo, grazie a chi non ha potuto fare nulla. Grazie, «last but non least», a p. Rocco Predoti, mio Superiore al «Sacro Cuore», e ai Confratelli…
Invito tutti ad essere promotori del Circolo e protagonisti della nuova edizione, l’11ª, con il filo rosso «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹diffondono il bello in un mondo› dis/pari / per immagini», all’insegna della sinodalità. Se il Cielo vorrà, la 1ª Serata conviviale, la 251ª di seguito, inizierà venerdì 6 ottobre prossimo e sarà focalizzata su Ève Lavallière (†1929), stella della commedia parigina, musa degli autori di teatro in voga, terziaria francescana. L’attuale Staff ribadisce, una volta in più, con consapevole e ferma determinazione, che il Circolo vuole essere ciò che è sempre stato: il cuore pulsante e creativo nel tessuto sociale, culturale e parrocchiale, il laboratorio di idee, ricerche e approfondimenti, il ‘luogo’ di incontro, dialogo, fraternità e sororità.
Intanto, ora è «summer break», estate, tempo di vacanze, per rigenerarsi e ritemprarsi. A tutti, quindi, buone vacanze, di cuore!
Piotr Anzulewicz OFMConv
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Che strano essere figli fluidi con genitori complici!
Quel tempo, che tanto ci strugge e corre come un treno ad alta velocità verso i confini della realtà, rallentò la sua corsa venerdì 26 maggio 2023 e permise ai fan del Circolo Culturale San Francesco di partecipare alla 16ª Serata conviviale con «aperitivo», focalizzata su «Bennate e bellenate che espongono la prole ‹gender fluid›», ideata nell’ambito della 10ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», e nel solco della fase narrativa del cammino sinodale, ed aperta gratuitamente a tutti: credenti e «laici», vicini e lontani – la 247ª di seguito.
È iniziata con lo scambio di emozioni e di reminiscenze suscitate da un ospite speciale: il m° Cesare Mauro, vocalista, tenore leggero, compositore e autore di brani musicali, «pilastro della musica calabrese», come lo ha definito il m° Luigi Cimino, presentandolo al pubblico nel Salone di S. Elisabetta d’Ungheria presso la chiesa «Sacro Cuore» in Catanzaro Lido. Il cantautore, amatissimo da chi ama la Città delle tre “V” (Vitaliano, vento, velluto), l’ha decantata con il brano «Catanzaro», corredato di bellissime immagini, proiettate da Ghenadi Cimino, che hanno evocato le sue remote grandezze e bellezze. Gli habitué del Circolo hanno già gioito della performance canora dell’Artista, il 27 gennaio scorso, durante l’8ª Serata conviviale con il focus su Maria Tecla Artemisia Montessori, educatrice dei bambini. Tuttora si ricordano come tornavano bambini, spalancando la bocca dallo stupore, mentre eseguiva i suoi brani: «A perdi tempo», «Mi hanno detto» e «Terra lontana». Ora ha rilanciato, niente meno, gli incanti catanzaresi, ‘regalando’ le altre due composizioni: «Borgo antico» e «Mi hanno detto». Il presidente Luigi Cimino e la sottosegretaria Lucia Scarpetta lo hanno quindi premiato, consegnandoli un Attestato e un segno di ringraziamento. Un ringraziamento e un riconoscimento simbolico che ha un valore prezioso anche per tutti coloro che con il massimo della loro professionalità, in arte, cultura e spiritualità, «fanno bello il mondo».
La Serata ha riproposto un tema complesso, ma caldo, o meglio, rovente e a tratti scottante, entrato ormai nel tessuto sociale ed espresso laconicamente con le due parole: «gender fluid». Si è svolta a poca distanza dalla 19ª giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia (17.05), il cui obiettivo è quello di tenere accesi i riflettori sulle inaccettabili persecuzioni e sugli intollerabili abusi che le persone subiscono, in diverse nazioni del mondo, a causa del loro orientamento sessuale. La questione del «gender fluid», e quindi della diversità di genere, è enorme e trasversale: tocca antropologia e teologia, pedagogia e medicina, diritto e costume. Riguarda la famiglia che si tinge arcobaleno, la famiglia «queer». È una realtà diversa e drammaticamente seria. Nel 2021 ci fu una mostra all’8° piano della Manhattan Gallery, dal titolo «Kindret solidarieties: queer community and chosen families», con opera a tecnica mista che ritraevano una «nozione ampliata» di famiglia, definita «dall’alleanza piuttosto che dalla genetica». In una serie di fotografie in video, l’artista Jamie Diamond proponeva di capovolgere il ritratto della famiglia inteso come «ideale stereotipato di vita felice, perché la famiglia è una performance continua in cui vengono assegnati ruoli con costante aspettativa di un pubblico». Un po’ quello che dice da anni Judith Butler, filosofa post-strutturalista statunitense, quando scrive contro l’innatismo di genere in favore della ‘performatività’: “Tu sei maschio o femmina a seconda della performance. Il genere è una maschera che indossi e deponi in base allo spettacolo che reciti e alla vita che vivi. M e F sono come lettere in cima ai bus che si prendono o lasciano a seconda di che aria tira”. La opere più note di Butler: Gender trouble e Bodies that matter, ridiscutono la nozione di genere e sviluppano la sua teoria, appunto, della performatività di genere, che oggi, nella riflessione femminista e «queer», ha un ruolo di primo piano.
Per capire un po’ meglio cosa accade fuori e preparare la «road map» della Serata, seguendo Ginevra Leganza, ricercatrice presso la Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine e direttore editoriale di House Organ, ho digitato «queer family» su YouTube e sono finito anch’io sul canale Truly dove ho trovato un video titolato così: «My extraordinary family». È una storia statunitense di una donna e di due transessuali che si amano e crescono due figlie. Si definiscono ‘tre mamme’. La femmina – si suppone che sia madre biologica – dichiara che una di queste bambine è «non-binary». L’altra è invece «anti-gender». La prima ha deciso a quattro anni di non essere né maschio né femmina. La seconda, che dal video di anni sembra averne due o tre, cresce così, per volere delle adulte, come fosse né maschio né femmina, senza genere. Le mamme poliamorose si scambiano effusioni e portano le figlie al parco, nel paese reale. La mamma femmina è sobria, mascolina. Le transessuali hanno vestiti giromanica a fiori, lunghi sino ai piedi: due anticaglie tipo prendisole sormontate da vocione e doppio mento. La madre biologica spiega che non c’è nulla di cui scandalizzarsi: loro amano i figli come gli altri. In effetti, scandalizzarsi di cosa? Chi si scandalizza è banale, dice il poeta, e come possa sentirsi maschio o femmina – e dunque sicuro di sé – un bambino accerchiato da genitali incerti, chi può dirlo. E poi siamo a Orlando, in Florida, fra «non-binary» e negromanti. E siamo ancora in Gran Bretagna dove nasce uno dei primi bambini con donazione mitocondriale, cioè con DNA di tre genitori. Bambino che crescendo neppure potrà scandalizzarci, definendosi «queer»… Altri mondi, quasi mitologici o esoterici, fra letteratura e ‘hybris’. Mentre qui, in Italia, il «queer», e il «queer family», è una cosa diversa. È un fatto di status più di ‘hybris’ o di follia. Una formula magica per varcare salotti. Un’etichetta, una toppa, un capriccio da dirimpettai. Un stigma provinciale, per scrittori, attori e politici della porta accanto. Una maschera (allegra) da ottimati. E come tale nasconde volti, di solito tristi. Minimo sforzo: calzini colorati. Massimo rendimento: il «queer». Si dà un tono, ma di fatto si è in sintonia con ciò che è sempre stato. Magari meno maschio e meno femmina. Etero stanco, ma «queer», per posa. Quella maschera, non meno dalle altre che l’hanno preceduta, non ci strappa dall’innatismo di genere: dal nostro essere maschi e femmine, pur con mille pulsioni e desideri. Quella maschera ci strappa soltanto dal vuoto o dalla solitudine senza faccia e senza nome, dove il «queer» è al tempo stesso maschera (colorata) e nome (impreciso). Sarà interessante ritornare a questo tema, a patto che il Circolo ce l’ha farà e sopravvivrà.
Intanto la Serata di «bennate e bellenate che espongono la prole ‹gender fluid›», riuscì a delimitare il suo tema e – rispettando, con un po’ di disciplina e di cautela, il minutaggio e il rapimento acceso dal cantautore Mauro – guidare lo spettatore, senza inciampi, lungo il seguente percorso:
4.1. «Sanremo, Rosa Chemical e la generazione ‹gender fluid›»: intervista di Irma D’Aria, giornalista scientifica, a Giancarlo Dimaggio, psichiatra e psicoterapeuta (11:04′); 4.2. «Maneskin e lo stile ‹gender fluid›» (0:00′-1:57′; 5:54′-8:09′) e «Cosa significa essere ‹gender fluid› in Italia» (2:13′); 4.3. «Origini della teoria ‹gender fluid›» – Intervento di Elisabetta Guerrisi (6:00′); 4.4. Intervallo canoro di Cesare Mauro: «Borgo antico» (5:00′); 4.5. «No della Chiesa cattolica all’ideologia ‹gender› e sì al dialogo sulla differenza sessuale» – Intervento di Marialuisa Mauro (6:00′); 4.6. Performance canora di Cesare Mauro: «Mi hanno detto» (5:00′); 4.7. Consegna di un ‘girasole’ insieme ad un ‘pensiero’ di ringraziamento all’Artista catanzarese (2:00′); 4.8. Piotr Anzulewicz OFMConv: «La moda di esporre la prole ‹gender fluid›» (8:00′); 4.9. Music video «Limitless» di Jennifer Lopez (3.32′); 4.10. Condivisione (8:00′); 4.11. Music video «Where did our love go» (1981) di Amii Stewart (3:26′)
Da video mai visti e da documenti mai esplorati prendevano forma decine di volti noti e ignoti. Nel Salone e nella stanzetta della Segreteria del Circolo si avvicendavano silenziosamente altre decine di volti ‘nostrani’, ritratti con tatto da Antonella Vitale, fotografa. Tra loro si notavano: Francesca e Gino, Pina e Leo, Ninetta e Tonia, Elisabetta e Goffredo, Rosa e Rosanna, Stefania e Anna Rita, Marialuisa e Tina, Olga e Asia, Roberta e Maria Rita di Cropani Marina, e – che gioia e onore! – p. Rocco, superiore della fraternità conventuale del «Sacro Cuore». Sembra ancora sentire i loro sussurri e percepire la loro voglia di sapere… Cosa è questa «gender fluid»? È una moda? Una utopia o una realtà? Una questione di marketing e di monetizzazione o una trovata propagandistica e ideologica che distorce gli studi di genere? È una teoria antiscientifica? La biologia non conta più? Pur tanta confusione, i pazzi per il «gender» crescono ad un ritmo rapido, come i funghi porcini in una notte.
È stato quindi necessario sfogliare un autorevole documento al riguardo, nato dalla consapevolezza di una particolare emergenza educativa in atto, soprattutto sui temi dell’affettività e sessualità, e messo a punto dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica (degli Istituti di Studi), in collaborazione con esperti di pedagogia e filosofia, diritto e didattica: «Maschio e femmina li creò» Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione, firmato il 2 febbraio 2019 dal cardinale prefetto Giuseppe Versaldi. Il testo ha il pregio di ricordarci, in modo efficace, cosa è il «gender», ripercorrendone la storia: da quando, a metà del ‘900, sulla base di una lettura sociologica delle differenziazioni sessuali e sotto la spinta di un’enfasi libertaria, si cominciò a teorizzare «come l’identità sessuale avesse più a che fare con una costruzione sociale che con un dato naturale o biologico» (n. 8), per arrivare agli anni novanta del secolo scorso, quando si puntava a proporre “la radicale separazione tra genere (gender) e sesso (sex)” secondo un approccio del tutto soggettivistico alla persona perché “ciò che vale è l’assoluta libertà di autodeterminazione e la scelta circostanziata di ciascun individuo nel contesto di una qualsiasi relazione affettiva”. È difficile dialogare di fronte a un simile impianto ideologico. Quando però gli studi di genere “hanno la condivisibile e apprezzabile esigenza di lottare contro ogni espressione di ingiusta discriminazione”, non è difficile trovare punti di incontro, anche perché queste ricerche sottolineano «ritardi e mancanze» che hanno avuto influsso negativo all’interno della Chiesa. Vanno quindi superate «rigidità e fissità che hanno ritardato la necessaria e progressiva inculturazione del genuino messaggio con cui Gesù proclamava la pari dignità tra uomo e donna, dando luogo ad accuse di un certo maschilismo più o meno mascherato da motivazioni religiose» (Maschio e femmina…, n. 15). Superare le discriminazioni ingiuste, rispettare ogni persona al di là del colore della pelle, della religione e della tendenza affettiva, si traduce quindi in “un’educazione alla cittadinanza attiva e responsabile, in cui tutte le espressioni legittime della persona siano accolte con rispetto”. Le criticità verso il «gender» più fluido e oltranzista rimangono tuttavia intatte, del tutto inconciliabili con quell’ecologia umana integrale di cui spesso ha parlato Papa Francesco.
A questo proposito il documento riafferma la «radice metafisica» della differenza sessuale: uomo e donna, infatti, sono le due modalità in cui si esprime e realizza la realtà della persona umana. In questa prospettiva è sbagliato negare la dualità maschio e femmina, perché solo in questa cornice «l’uomo e la donna riconoscono il significato della sessualità e della genitalità in quell’intrinseca intenzionalità relazionale e comunicativa che attraversa la loro corporeità e li rimanda l’un verso l’altra mutuamente» (Maschio e femmina…, n. 35).
La scommessa è quella di aiutare quanti sono impegnati nell’educazione delle nuove generazioni ad affrontare «con metodo» le questioni oggi più dibattute sulla sessualità umana, alla luce del più ampio orizzonte dell’educazione all’amore. La prospettiva è dialogica, non polemica, che si potrebbe sintetizzare così: “No all’ideologia, sì alla ricerca; no alla discriminazione, sì all’accompagnamento; no all’‹antropologia del neutro›, sì all’antropologia delle differenze“. Dopo tanti anatemi e tante semplificazioni che hanno impedito di riconoscere l’opportunità di fare chiarezza in un arcipelago, in cui sono presenti rivendicazioni ideologiche quasi paradossali (già menzionata Judith Butler), chiusure segnate dal giuricidismo rigoroso e inflessibile, ma anche riflessioni approfondite e dialoganti nel segno del Vangelo, il documento si pone finalmente all’ascolto delle esigenze dell’altro, si apre alla comprensione delle diverse condizioni e incoraggia educatori e educatrici a stimolare «l’apertura all’altro come volto, come persona, come fratello e sorella da conoscere e rispettare, con la sua storia, i suoi pregi e difetti, ricchezze e limiti» (Maschio e femmina…, n. 57).
Chiniamoci ancora sui figli «gender fluid». In queste settimane si seguono le vicende del figlio androgino del capo di Tesla e SpaceX Elon Musk, il ribelle intenzionato a cambiare genere, nome e cognome, per tagliare i ponti con il padre. E si scopre anche il lato “mamma complice” della cantante Jennifer Lopez che mostra al mondo la figlia Emme senza fissa identità sessuale, suo gioiello arcobaleno, e la accompagna in una manovra vincente. Le due si esibiscono insieme. La ragazza, mutante di sesso e di nome, sale sul palco del Blue Diamond Gala, e la madre le si rivolge con il pronome neutro they. Le dà del loro, nel senso del contrassegno del «gender» e non nel senso dell’allocutivo di cortesia. Sei JLo. Se il tuo tempo sta passando e senti odore di collasso, ti conviene esplodere nell’arcobaleno del «gender». E così il mondo torna a parlare di te.
Bennati e bellenate, avidi di scena pubblica, devono faticare, sgomitare, impegnarsi, per dimostrare di valere qualcosa. I loro figli allora partono da qui: dallo sgobbo di dover dare nuova reputazione al nome di famiglia, fardello e blasone. E ci provano come possono.
In questo momento «la prole fluida – ritiene la stessa Leganza – è un megatrend hollywoodiano». Chi non ricorda la supermodella Emily Ratajkowski? Nel 2020 era in dolce attesa. Alla domanda: “Fiocco rosa o fiocco blu?”, rispondeva: “Non sapremo il sesso fino a quando nostro figlio non avrà 18 anni. Poi ce lo farà sapere”. Lapidaria, vero?
Lo «star system» alterna abilmente figli ribelli a genitori complici, ma la chiave fluidista è un concetto a stelle e strisce. In Italia arriva come un’eco. Il pensiero meridiano scorre lentamente e le nostre supernove hanno figli e figlie che ancora raccontano dei fidanzatini a zia Mara Venier. Età dell’innocenza. Il serpente arcobaleno arriverà e infonderà vita nuova. Sul fronte, in primissima linea, ci sono già gli ambasciatori di CityLife, gli apripista, i provinciali di mondo. Chiara e Fedez filmano e postano i loro bebè sin dai tempi placentari. E instradano i pupi al neutralismo di genere. Nella saga instagrammiana di famiglia spiegano che non esistono giochini per maschietti o femminucce. Nelle candide menti dei Ferragnez si è già infilato lo spirito del tempo e il fiuto commerciale. L’Italia dibatte d’altro e l’arcobaleno ancora indugia. Il verde è in forte ascesa. Negli Stati Uniti invece la prole è marketing, in sintonia con «tempora et mores». Un mezzo come un altro che oggi si accorda bene alla «queerness», al fluidismo, ma domani chissà. Qui genitori e figli hanno andamento impacciato, perché la fama logora, affatica, stanca e indebolisce. E poi non si è predisposti a fare troppa economia con la figliolanza. Nel frattempo bisogna vivere davvero, per gli altri e con gli altri, «aperti e interessati alla realtà, capaci di cura e di tenerezza» (Maschio e femmina…, n. 57).
Piotr Anzulewicz OFMConv
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Una suora in carcere…
La Serata non aveva per niente un tono, un timbro, un colore di distanziamento, detenzione, galera, gattabuia, ma al contrario, un sapore di vicinanza, accoglienza, calore, amore. E tutto questo grazie alle religiose, eroine nascoste della Chiesa. Di loro, del loro servizio e del loro ruolo che giocano negli Istituti Penitenziari, si è focalizzata la 15ª Serata conviviale, dal titolo «Nicoletta Vessoni: la suora in carcere per ritrovare ciò che era perduto», ideata nell’ambito della 10ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», inserita nel solco della fase narrativa del cammino sinodale, ispirata ai grandi testi dell’autorità educativa della Chiesa ed aperta gratuitamente a tutti: credenti e «laici», vicini e lontani – la 245ª di seguito. Si è svolta venerdì 12 maggio 2023 presso la Parrocchia «Sacro Cuore» in Catanzaro Lido, nel giorno in cui si celebrava la 45ª Giornata Mondiale dell’Infermiere, richiamando l’attenzione dell’opinione pubblica sui valori di cui è portatrice la professione infermieristica: una professione che trova il suo significato più originale e autentico nel servizio all’uomo.
È iniziata con la performance vocale di Giovanna Valleriani, giovanissima cantante di Catanzaro Lido, allieva del m° Elvira Mirabelli presso l’Accademia Musicale Fryderyk Chopin di Sellia Marina (CZ), che ha eseguito il brano «Nessun dolore» di Luccio Battisti, scritta con Giulio Rapetti Mogol nel 1978 e reinterpretata nel 1994 da Giorgia Todrani, cantante, attrice e produttrice discografica romana, una delle cantanti più note e apprezzate in Italia, ma anche all’estero, nominata dalla rivista statunitense Billboard, dedicata alla musica, “la quarta voce più grande e più bella al mondo”. Con ritmo concitato e parole come tamburelli, la Cantante catanzarese, premiata in numerosi concorsi e apprezzata perfino da Albano Antonio Carrisi, ha idealmente immerso i presenti nell’ambiente penitenziario, dove la famiglia e gli amici sono lontani, dove i nuovi giunti hanno la sensazione di essere ‘inghiottiti’ e intensamente consapevoli del proprio numero, stampigliato su ogni parte del vestiario che indossano, dove non li si chiama per nome, dove si sfila in silenzio fuori dal padiglione di pernottamento due volte al giorno, dove i contatti con i funzioni e con gli altri detenuti sono impersonali, dove si nota la fine di ogni sentimento e l’affiorare dell’apatia. «Non sento niente, no, adesso niente, no […] non c’è tensione, non c’è emozione, nessun dolore», cantava la brillante Valleriani, in modo grintoso, questo pezzo molto ballabile che risente dei postumi di una storia, finita proprio perché ha fatto diventare arido un sentimento d’amore. Nel corso del panel ha intonato le altre due ben note canzoni: «It’s a man’s man’s man’s world» di Christina Aguilera e «E poi» di Giorgia, incantando la platea che l’ha premiata con ‘wow’, applauso, affetto, gratitudine. Il m° Luigi Cimino le ha consegnato un Attestato di ringraziamento e Lucia Scarpetta un bouquet di fiori per aver reso bellissima, canora e armoniosa, la Serata, che si snodava, in formato ibrido, attorno a questi punti centrali:
4.1. «Un viaggio nelle carceri italiane» (7:52′); 4.2. «Storie dal carcere» – Intervento di sr. Nicoletta Vessoni di Santa Maria di Catanzaro (10:00′); 4.3. Dialogo con sr. Nicoletta (Lucia Scarpetta, Elisabetta Guerrisi, Tonia Speranza…); 4.4. Performance canora di Giovanna Valleriani: «It’s a man’s man’s man’s world» di Christina Aguilera (2:49′); 4.5. «I sogni delle detenute in carcere» (0:00′-3:09′; 8:03′-20:15′); 4.6. «Giudecca, sesso e droga e cellulari nel carcere dove lavorava Sissy» (2:29′); 4.7. Music video «Nella mia ora di libertà» di Fabrizio De André (5:15′); 4.8. «Maria Luisa, ex detenuta, racconta a Chicoria la vita nel carcere femminile» (15:23′-18:19′); 4.9. «Diritti e garanzie nel sistema penale» – Intervento di Marialuisa Mauro (5:00′); 4.10. Intervallo canoro di Giovanna Valleriani: «E poi» di Giorgia (4.28′); 4.11. Consegna di un Attestato di ringraziamento a sr. Nicoletta Vessoni e a Giovanna Valleriani (2:00′)
La Serata, come si può notare, ha regalato al pubblico, variopinto e fluido – ‘coccolato’ da Asia Bronieri, amatissima “mascotte” del Circolo, che con eleganza, finezza, savoir-faire delle signore, quasi in punta di piedi, gli portava dalla Segretaria i piattini di delizie e i bicchieri di spremuta d’arancia fresca, ‘made by Elisabetta Guerrisi – una protagonista speciale, una di quelle donne straordinarie che ‹fanno bello il mondo›, sr. Nicoletta Vessoni di Santa Maria di Catanzaro. È stata lei, raccontando la sua esperienza tra i detenuti, a ‘portarlo’ dietro le sbarre…
Nata a Lumezzane (Brescia) nel 1950, a vent’anni lasciò il suo paese ed entrò nella Congregazione delle Suore delle Poverelle di Bergamo. Riprese gli studi e si introdusse nel mondo del disagio minorile, familiare e sociale del territorio lombardo. L’obbedienza la portò in Sardegna, dove si immerse nel disagio al femminile a 360 gradi, iniziando la sua esperienza con le donne detenute. Trascorse poi due anni in Sicilia occupandosi della scuola, fino a quando, nel 2013, arrivò in Calabria, a Catanzaro, dove tuttora si dedica al servizio presso l’Istituto Penitenziario «Ugo Caridi». La sua esperienza l’ha vista sempre impegnata nella formazione professionale da una parte e nella formazione e nei percorsi formativi spirituali dall’altra. Nel 2020, per Carello Edizioni, ha curato Fasciati dalla Luce. Storie dal carcere (112 pp.), in cui fa narrare a detenuti, volontari ed operatori esperienze vissute in questa Casa Circondariale per aiutare a far comprendere l’importanza di mettere al centro l’essere umano.
Nel suo intervento ha ripercorso quindi la sua esperienza che dal 214 al 2019 condivideva anche con il cappellano Ilario Scali, parroco del «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, confondatore e corifeo del Circolo. «Il carcere – ha detto – è un mondo a parte. Non è mai come lo si immagina. È per eccellenza luogo di emarginazione. La visita in carcere vuole dire rifiuto dell’emarginazione e dell’isolamento. Per i detenuti noi siamo il mondo esterno e le nostre visite creano un ponte, un legame, una relazione con il mondo esterno. E mentre portiamo il mondo esterno tra le sbarre, allo stesso tempo portiamo nel mondo libero ciò che accade dietro le mura della prigione. Le situazioni di ingiustizia e di grave disagio che osserviamo sono infatti numerose e poco conosciute». Infatti, l’abbandono e l’assenza di ascolto, di risposte e di rispetto spesso portano il detenuto alla depressione e alla scelta di strumenti di lotta: lo sciopero della fame, il rifiuto della terapia, i gesti di autolesionismo. Essi sono il segno del profondo malessere provato dietro le sbarre. Parlare con qualcuno che non sia un parente, un avvocato o un magistrato, vuol dire essere rispettato e riconosciuto come persona e, in un certo modo, “reintegrato”. Fare un colloquio significa anche avviare un legame di amicizia e sr. Nicoletta ha tanti amici in questo luogo di emarginazione. Le sono grati in particolare quei detenuti che non hanno biancheria e indumenti né li ricevono dall’Amministrazione. Capita che chi viene arrestato in estate, finisce con il rimanere in maglietta anche a dicembre. È un compito importante, il suo, procurarli, con tenerezza, passione e compassione, comunicando istanze di umanità ai responsabili, ai legislatori e all’opinione pubblica.
Le sue “storie dal carcere” hanno innescato nel Salone un proficuo dialogo sulla complessità del carcere, sul dolore delle vite recluse, sulle questioni che richiederebbero analisi piuttosto che sentenze. Come spalancare una finestra nella vita dei ristretti per indicare loro orizzonti nuovi? È possibile trasformare la marginalità in opportunità? Quali attività pastorali si debba mettere in atto? E come si viveva nelle carceri in tempo di distanziamento, quando tutto era rallentato e ostacolato dall’emergenza Covid-19? Tanti interrogativi sui quali riflettere.
Si alternavano quindi al microfono Lucia Scarpetta, Elisabetta Guerrisi, Tonia Speranza, Marialuisa Mauro. Quest’ultima, laureata in giurisprudenza all’Università degli Studi di Messina, ha presentato l’Associazione Antigone che dal 1991 svolge attività di promozione e tutela dei diritti delle persone private della libertà, raccoglie e divulga informazioni sulla realtà carceraria, assicura consulenza e tutela legale ai detenuti, si occupa di ricerca sui temi della pena e delle garanzie nel sistema processuale e penitenziario. È triste quando i detenuti e le detenute vengono trattati come carne da macello e non persone con sentimenti, con le loro gioie e i loro dolori, e quasi sempre con una gran voglia di riscatto.
In sr. Nicoletta, il Circolo ha potuto quindi omaggiare tutte le religiose e i volontari che stanno facendo un lavoro magnifico. Non vedono i detenuti come numeri, ma come persone che hanno la loro storia e che sentono bisogno di accoglienza, di affetto, di libertà. Non guardano alla religione, alla cultura, alla provenienza. Hanno il coraggio di andare in posti dove gli uomini a volte hanno paura di andare: uno spazio senza luce, chiuso da mura spesse, da porte pesanti, da chiavistelli rugginosi. Questa immagine di prigione continuano a trasmetterci i film in costume, i romanzi, le incisioni di Giambattista Piranesi († 1778), architetto e teorico dell’architettura. Quel luogo aveva per secoli un suo orrore scenografico. Jeremy Bentham († 1832), giurista ed economista inglese, uno dei primi proponenti dell’utilitarismo filosofico, in realtà aveva immaginato una prigione abbastanza diversa, controllata da un guardiano invisibile. Panopticon (l’occhio che vede tutto) è il titolo dii un suo opuscolo scritto nel 1786. Paul-Michel Foucault († 1984), sociologo, filosofo, “archeologo dei saperi”, saggista letterario e docente presso il Collège de France, così descriveva questo luogo dei “delinquenti” e dei criminali: «Alla periferia una costruzione ad anello; al centro una torre agliata da larghe finestre, che si aprono verso la faccia interna dell’anello; la costruzione periferica è divisa in celle, che occupano ciascuna tutto lo spessore della costruzione; le celle hanno due finestre: una verso l’interno, corrispondente alla finestra della torre, l’altra verso l’esterno, che permette alla luce di attraversare la cella da parte a parte. Basta allora mettere un sorvegliante nella torre centrale […]. Per effetto del controluce si possono cogliere dalla torre, ben stagliate, le piccole silhouettes prigioniere nelle celle della periferia. Tante gabbie, altrettanti piccoli teatri, in cui ogni attore è solo, perfettamente individuabile e costantemente visibile» (Sorvegliare e punire, Einaudi, 2014 ).
Jeremy Bentham «pensava – ritiene Michele Magno nell’articolo Prigioni & galere – che la sua invenzione potesse avere un gran numero di applicazioni, non solo nell’ambito dell’Amministrazione penitenziaria, ma in ogni settore della società. “Sia che si tratti di punire i criminali incalliti, sorvegliare i pazzi, riformare i viziosi, isolare i sospetti, impiegare gli oziosi, mantenere gli indigenti, guarire i malati, addestrare quelli che vogliono entrare nell’industria, o fornire l’istruzione alle future generazioni”, il Panottico poteva trasformarsi in manicomio, fabbrica, ospedale, scuola, brefotrofio. In ogni caso, diventò subito un “carcere ideale” nel 1795 nell’isolotto di Santo Stefano, nell’arcipelago pontino. Su incarico di re Ferdinando IV di Borbone, l’architetto Francesco Carpi lo progetto seguendo i dettami del filosofo inglese: verrà chiuso solo nel 1965. Oggi strutture analoghe sono ancora presenti in Cile, nella Russia e negli USA» (Il Foglio Quotidiano, 30 [2023] II).
Sr. Nicoletta, donna eccezionale, gracile e forte, dal sorriso emozionante, raccontando la sua esperienza e le storie dei ‘suoi’ detenuti – storie ruvide di emarginazione, di dolore, di bisogno d’amore e di separazioni strazianti – ci ha trasmesso un messaggio straordinario: Si può sbagliare e si deve pagare, ma il carcere deve rieducare e offrire la possibilità di un riscatto.
Ognuno di noi deve essere vigilante perché il confine che divide il bene dal male è molto labile. Nulla ci dà il diritto di giudicare. Ogni persona è immensamente altro da ciò che appare e compie. Nel carcere c’è il volto di un’umanità ferita dal male, ma non sconfitta: vuole e può rialzarsi, lavorare, scrivere, comporre poesie, compiere gesti di solidarietà,aiutarsi vicendevolmente, giocare a pallavolo per il solo gusto di divertirsi, ballare per sentirsi libera.
Possiamo solo sperare che le religiose come sr. Nicoletta e i volontari possano continuare a seminare amore e prospettare alle persone recluse la possibilità di credere ancora in se stesse, di vedersi come uomini e donne a cui scelte sbagliate hanno portato via affetti e sicurezze, ma a cui è possibile restituire dignità e comprensione. Essere suora e volontaria in carcere è un’opportunità unica, in cui si ha l’occasione di trovarsi cuore a cuore con l’errore e il dolore, ma anche con la speranza e il sogno.
«È importante sogna insieme», perché «da soli si rischia di avere dei miraggi […]. Sogniamo allora come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!» (Fratelli tutti, 8).
Piotr Anzulewicz OFMConv
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Ruth Bader Ginsburg: Donne, pari diritti
Non sono donne femministe, anticlericali, agnostiche o atee, che partecipano alla 10ª edizione del Wiki- e CineCircolo, inserita nel solco della fase narrativa del cammino sinodale, ispirata ai grandi testi dell’autorità educativa della Chiesa, promossa dal Circolo Culturale San Francesco ed aperta gratuitamente a tutti: credenti e «laici», vicini e lontani. Sono invece «donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», donne assettate di giustizia e di verità, donne in ricerca di orizzonti di fede sempre più dilatati e più profondi, donne orientate verso una spiritualità semplice e allo stesso tempo aperta al soffio dello Spirito, donne che con gratitudine e gioia accolgono l’invito, accorrono al Salone di S. Elisabetta d’Ungheria presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido o si connettono da casa alla diretta streaming trasmessa sulla pagina social, donne, insomma, che praticano – nell’umiltà, ma anche nel coraggio della testimonianza – la sororità e la fraternità di cui Gesù è stato testimone lungimirante.
È alla 10ª Serata conviviale con «aperitivo», la 235ª di seguito, focalizzata sul tema: «Ruth Bader Ginsburg († 2020), la giudice pioniera della parità di genere», svoltasi venerdì 24 febbraio scorso, che qui voglio riferirmi. Essa si è impressa saldamente nella memoria, con un’impronta che non è stata soltanto tematica. Tuttora si percepisce nitidamente il suono di uno degli strumenti musicali più gravi in assoluto, più elaborati e massicci, molto belli e particolari, insostituibili in molte formazioni orchestrali: il basso tuba, appartenente alla classe degli ottoni. Impressionò il suo aspetto e incuriosì il suo gestore: il m° Tommaso Cristofaro, strumentista di Borgia (CZ). È stato lui – presentato al pubblico dal presidente del Circolo, m° Luigi Cimino – ad aprire questa singolare Serata, eseguendo splendidamente il brano «Fantasy for Tuba» di Malcolm Arnold († 2006), compositore, direttore d’orchestra e trombettista inglese. Tutti i presenti, fonoassorbenti, acustici, elastici, estasiati dalla sua performance strumentale, espressero la loro ammirazione sonoramente, in una calorosa «standing ovation».
Il suono si è propagato poi in tutte le direzioni del Salone, si è steso su ogni punto del programma ed è fortemente risuonato ancora, per ben altre due volte, durante il panel, lasciando tutti al ‘settimo cielo’. Ecco allora il seguito del programma:
3. Occhio sulla Serata precedente con «aperitivo» (233), dedicata a Etty Hillesum, e sulla galleria delle foto
4. Panel [4.1. Papa Francesco: «Un anno di guerra in Ucraina» (1:24′); 4.2. «Tango» di Tananai (3:45′); 4.3. Marialuisa Mauro: «Ruth Bader Ginsburg e la sua battaglia per la parità di genere» (10:00′); 4.4. M° TOMMASO CRISTOFARO: «Concertpiece, op. 88, per trombone e organo» di FÉLIX-ALEXANDRE GUILMANT (6:00′); 4.5. Valeria Filì: «Il tempo delle donne» (13:22′); 4.6. M° Tommaso Cristofaro: «Oblivion» di Astor Pantaléon Piazzolla (3:38′); 4.7. Consegna al Maestro di un Attestato di gratitudine (Luigi Cimino) e di un ‘segno’ (Lucia Scarpetta); 4.8. «L’autunno del patriarca» (28:30′); 4.9. «Via Crucis 2022: una donna ucraina e una russa insieme per la pace» (1:27′)]
5. Comunicazioni del presidente Luigi Cimino relative al Circolo,annuncio del prossimo evento da parte della sottosegretaria Lucia Scarpetta [mercoledì 1 marzo: 2° incontro del Laboratorio musicale avviato il 22 febbraio; venerdì 3 marzo: 10ª Serata cinematografica (236) con la proiezione del film «E ora dove andiamo?» di Nadine Labaki e con il cinedibattito «Donne che fanno da collante e mettono pace»], foto di gruppo e momento conviviale [In sottofondo,il music video. «Улетают дни» di Группа Мелодия & Ольга Андрощук (8:01′)]
Il panel si è aperto, come si può notare, con l’abbraccio e l’omaggio all’eroico popolo ucraino che dal 24 febbraio 2022 difende la propria libertà: un anno di resistenza contro l’invasione russa del Paese che lo sta insanguinando e mietendo morte e distruzione e i cui effetti di natura economica stanno colpendo tutta l’Europa, un triste anniversario di una guerra atroce, assurda e crudele, come testimonia il bilancio dei morti, feriti, profughi, distruzioni, danni economici e sociali, dodici intensi mesi di sofferenze di cui seguiamo gli sviluppi in una spirale sempre più minacciosa. I presenti alla Serata, guardando il video «Un anno di guerra in Ucraina», hanno quindi ripercorso questi mesi attraverso le parole del Papa che ha sempre chiesto di non dimenticare il martoriato popolo ucraino e di non abituarsi alla barbarie delle armi. È stato un anno pieno di dolore, di perdite e di sfide, ma al tempo stesso di solidarietà, di assistenza e di amore. I nostri fratelli ucraini stanno mostrando ai tiranni di tutto il mondo quando possa essere difficile mettere le catene a un popolo libero.
Commovente è stato quindi il videoclip con la canzone «Tango» che il Circolo ha voluto dedicare, insieme al cantautore milanese Tananai (nome d’arte di Alberto Cotta Raamusino), non soltanto ad una giovane coppia (Olga e Maxim) e alla loro figlia (Liza), ma a migliaia di famiglie separate dalla guerra che è sempre mostruosa. La clip si è conclusa con le parole di Maxim, intrise di amore e di speranza, mandate a Olga dal fronte dove la colonnina di mercurio rilevava 12 gradi sotto zero: «Mi sta scaldando il tuo amore… e il tè. Va tutto bene».
Altrettanto commovente, e struggente, è stato rivedere il video «Via Crucis 2022: una donna ucraina e una russa insieme per la pace», a conclusione del panel. Papa Francesco ha voluto per il 13° approdo (Gesù è deposto dalla croce) della tradizionale «Via Crucis» al Colosseo, che si è svolta venerdì 15 aprile 2022, due donne, a portare insieme la croce: un’infermiera ucraina, Irina, del Centro di Cure Palliative “Insieme nella Cura” del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma, e una studentessa russa, Albina, del corso di laurea in infermieristica dello stesso Campus. In tal modo il Circolo è tornato a ripetere il suo deciso ‘no’ a tutte le forme di violenza e di sopraffazione e il suo saldo ‘sì’ alla pace e alla riconciliazione.
È stato molto gradito e apprezzato l’intervento dell’avv. Marialuisa Mauro che con abilità e competenza ha tracciato la storia di Ruth Bader Ginsburg, nata a New York nel 1933 da genitori ebrei immigrati ucraini e «divenuta straordinaria per aver cercato di essere semplicemente ordinaria», «vera e propria icona femminista che, pur occupandosi di una materia poco glamour come il diritto, ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo della parità di genere, della libertà e della democrazia». La ‘galassia’ del Circolo ha potuto conoscere per immagini le sue battaglie, durante la 9ª Serata della 10ª edizione del CineCircolo, svoltasi il 17 febbraio scorso, con la proiezione della pellicola «Una giusta causa» (tit. orig. «On the Basis of Sex») di Mimi Leder, regista e produttrice televisiva statunitense, notabene la prima donna a essere ammessa all’American Film Institute, e con il cinedibattito «La parità di genere e la giustizia dei diritti per tutti».
«Ginsburg si conquistò la fama di accanita sostenitrice dell’uguaglianza di genere da comune cittadina – scrisse la giornalista e scrittrice americana Erin Blakemore su History.com, ricordando i diversi fronti su cui Ruth si era impegnata per sancire l’uguaglianza uomo-donna e garantire una effettiva uguale protezione per donne e uomini. – Ha continuato a costruire su quella base prima durante i 13 anni da giudice della Corte d’Appello e poi durante i 27 anni da giudice della Corte Suprema. […] Facendo leva su precedenti sentenze riguardanti i diritti civili in relazione alla razza – in cause intentate da uomini – Ginsburg ha dimostrato le ragioni per cui la Corte Suprema doveva porre fine alla discriminazione di genere. Molti dei suoi casi erano imperniati sulla clausola di uguale protezione prevista dal 14° emendamento, che prevede che le persone ricevano uguale protezione dalle leggi statunitensi. Ha attaccato, attraverso una serie di cause minori, leggi discriminatorie».
L’appartenenza alla comunità ebraica ha influito notevolmente sulle sue convinzioni etiche, come aveva dichiarato lei stessa nel 2017, partecipando a una funzione religiosa per la ricorrenza di Rosh Hashanah, il capodanno ebraico. In quell’occasione aveva spiegato come la sua identità ebraica e i testi letti durante la sua formazione avevano inspirato in lei un senso di empatia per altri gruppi minoritari. «Se sei un membro di un gruppo di minoranza, in particolare un gruppo che è stato preso di mira, provi empatia – diceva – per quelli che si trovano in una situazione simile. La religione ebraica è una religione etica. Ci viene, cioè, insegnato a fare il bene, ad amare la misericordia, a rendere giustizia non perché ci sarà una ricompensa in paradiso o una punizione all’inferno. Viviamo rettamente perché è così che le persone dovrebbero vivere e non anticipare alcun premio nell’al di là».
«Tutto questo – concluse l’avv. Marialuisa – l’ha resa un simbolo, talvolta anche strumentalizzato fino al paradosso di trasformarla in icona stampata sulle magliette, non solo per le sue decisioni, ma soprattutto per le volte non rare in cui ha fatto sentire la sua opinione dissenziente». La si vede, con la scritta «I dissent», sulla copertina di un libro per bambini dai 4 agli 8 anni. Il suo ritratto viene riprodotto anche su sacche da spiaggia, tazzine e bicchieri. La sua immagine è uno dei tatuaggi più richiesti dagli studenti di diritto di Washington.
In un passato, neanche tanto lontano, la donna non aveva accesso a molte professioni, come l’avvocatura o la magistratura e poteva persino essere picchiata dal marito allo scopo di correggerla o esercitare su di lei la “potestà maritale”, come se fosse una bambina. Oggi tutto questo non accade, ma i casi di cronaca sono pieni di episodi terribili nei quali le donne sono vittime, soprattutto a causa di maschi violenti. È il segno che nella mente di molti uomini è ancora radicata l’idea di superiorità e di donna oggetto di cui sono in possesso. Nei Paesi civili le violenze e le umiliazioni si muovono più sotto traccia rispetto a Paesi in cui le donne vengono trattate quasi alla stregua di animali domestici e da compagnia.
La questione della presenza delle donne nella società e, in particolare, nella civiltà giudaico-cristiana, euroatlantica, non è una richiesta di spartizione di potere o di cooptazione all’interno del sistema sociale attuale, ma è, invece, la questione dell’assunzione nei fatti della centralità delle relazioni cui rinvia l’enunciato fondativo: «Maschio e femmina Dio li creò» (Gen 1,27). Queste relazioni tra donne e uomini sono ancora permeate di stereotipi ingessanti e di visioni svilenti, che ne deformano l’immagine negandole integrità. Da tali premesse il disvalore del femminile è logica conseguenza. «E non ci si risponda – scrivono le donne delle Comunità Cristiane di Base nella Lettera aperta dal titolo Chiesa, chiedici scusa – che il cristianesimo venera Maria, Madre del Signore, la quale sarebbe superiore a tutti gli apostoli, e quindi con essa venera tutte le donne; perché è la persona incarnata che va rispettata, le donne in carne e ossa, non la loro trasfigurazione immaginaria». Di quanto «l’esaltazione ideale della donna sia servita a coprire la sua insignificanza storica» abbiamo fatto, purtroppo, una millenaria esperienza. Il Vangelo parla un’altra lingua: quella del «discepolato di uguali», per dirla con la famosa espressione di Elisabeth Schüssler Fiorenza, una delle maggiori esponenti viventi della teologia femminista. E il Circolo Culturale San Francesco, con la sua attuale edizione, paladina delle donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo, non si stanca di usare questa lingua e veicolare questo «discepolato».
Piotr Anzulewicz OFMConv
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Marise Ferro: l’antiromantica
Il Circolo sa fare anche questo: resistere e marciare senza averne l’aria, dire «speranza contro ogni speranza» (Rom 4,18), scrollare animi insonnoliti e trainarli verso un futuro che può condurre a percorsi più vivibili e a esistenze meno asfissiate, da costrizioni varie ed eventuali. I suoi habitué sanno essere, anche a loro insaputa, un sorso d’acqua nel mezzo di tanta sete. E per quel sorso d’acqua, che vivifica, occorre ringraziare il cielo che ci sta addosso.
Il Circolo sa pure, a volte, incantare, come ha fatto venerdì 10 marzo scorso, durante l’11ª Serata conviviale – con il focus su «Marise Ferro († 1991), l’antiromantica» – ideata nell’ambito della 10ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», inserita nel solco della fase narrativa del cammino sinodale, ispirata ai grandi testi dell’autorità educativa della Chiesa ed aperta gratuitamente a tutti: credenti e «laici», vicini e lontani – la 237ª di seguito.
Incantevole e seducente è stato già il suo «incipit», con la performance dei due graditi ospiti: il m° Mario Migliarese e il dott. Michele Stanizzi, cantautori e polistrumentisti, di Petronà e di Cropani, discepoli del presidente del Circolo, m° Luigi Cimino, che presentò al pubblico i loro profili professionali e musicali. Il m° Migliarese, accompagnato dal dott. Stanizzi con la chitarra, ha eseguito in lingua calabrese «Tra cìelu e mare», la canzone che ha dato il nome al suo ultimo album discografico, dedicandola a tutte le donne, le mamme e le nonne, ma in particolare alla sua amata Rita, scomparsa nel 218, in seguito ad una grave malattia, e segnando per tutti l’accesso al «paradiso», “tra cielo e mare”, alla Calabria. «Bella, te viju – scaldava i cuori, omaggiandola con le parole semplicemente meravigliose – tra cìelu e mare / de la muntagna, cchi bella vista! / virde vestuta cumu a ‘nna hesta / cu llu tramontu chi ‘mpiamma ‘a horesta […] ppecchì me mpizzu quandu te guardu, quandu me guardi, oi bella; / cumu me sbampi quandu t’abrazzu quandu m’abbrazzi, oi bella». Incantevoli erano pure altri due brani, tratti dalla stessa «collection»: «U sùanu ‘e l’acqua» e «A serenata», eseguiti in seguito con il chitarrista Stanizzi, accolti dal pubblico con calore, applauso e gratitudine. È stato commovente il momento della consegna ai due artisti – da parte del presidente Cimino e della sottosegretaria Lucia Scarpetta – degli Attestati di ringraziamento e dei ‘segni’, con spettatori in piedi, estasiati e incantati.
La Serata è entrata nel vivo con il panel che si presentava lusinghiero e variegato, condotto dal trio: Marialuisa, Luigi e il sottoscritto, e avviato in «live streaming» da Ghenadi Cimino. In apertura lo sconvolgente videoclip «Non è un film» di Gerardina Trovato, cantautrice catanese, per ri-gridare a tutti che stiamo dalla parte di chi viene massacrato da ‘grandi soldati’.
Marialuisa Mauro ha descritto quindi Marise Ferro, la scrittrice di cultura italo-francese, nata a Ventimiglia nel 1905, che voleva, con la ragione, emancipare le donne. In tutti i suoi libri trattava di un tema che le fu molto caro: la condizione, l’educazione e la formazione femminile. Marise Ferro era un’antiromantica e cercava di educare le donne, come aveva fatto con se stessa, all’illuminismo. Per lei l’intelligenza era l’antidoto per decostruire le illusioni e uscire dalla sofferenza e dalla condizione di inferiorità sociale e culturale. Considerava le donne, per educazione, troppo romantiche, nel senso deteriore, e troppo esposte alle illusioni veicolate dalla letteratura. La razionalità illuminista è quella che vuole spazzare via le superstizioni e le credenze che ancorano al passato e rendono schiavi. Ferro riteneva che solo un bagno di ragione avrebbe aiutato le donne a capire la trappola nella quale erano state rinchiuse.
Secondo Francesca Sensini, docente di italianistica all’Université Côte d’Azur di Nizza e curatrice delle nuove edizioni di libri e scritti di Marise Ferro, «la sua visione del femminile era severa e mai tenera». Era molto interessata alle figure femminili ingiustamente dimenticate, dotate di talenti da riscoprire in chiave nuova o da celebrare perché irregolari, trasgressive, dissidenti, anticonvenzionali, innovative. Le sue romantiche sono soprattutto francesi e – se si escludono George Sand ed Emily Brontë – sono rimaste sepolte sotto la polvere del tempo. Era femminista, ma il femminismo non le piaceva. Non si sentiva mai vicina al movimento femminista protestatario per tante ragioni – la sua mentalità, il suo milieu, la diffidenza verso l’intruppamento politico-ideologico – ma è sempre stata attenta alla società e ha anticipato l’analisi dei ruoli sessuali, mettendo l’accento sull’amore, l’affettività, l’autocoscienza come strumenti per arrivare alle radici dell’umano. «Per lei – riteneva Sensini – i progressi nella ‘polis’, la possibilità di lavorare e guadagnare denaro, l’inserimento nelle professioni non cambiano la condizione femminile se non muta l’idea di sé. La parità è una falsa soluzione: quello che le donne rivelano nell’intimità attraverso i loro desideri dice che molto poco è cambiato e che le ragazze sono prigioniere della stessa trappola in cui sono state rinchiuse le loro madri». Era un’intellettuale che aveva orrore per le narrazioni consolatorie. Il suo sguardo rimaneva sempre lucido e non assumeva mai toni rivendicativi o apologetici.
Marise Ferro è morta 32 anni fa. Nel 1970 aveva pubblicato da Rizzoli il trattatello di storia del costume dal titolo La donna dal sesso debole all’unisex, un «excursus» lungo il secolo fino agli anni sessanta, in cui polemizzava con l’ultimo feticcio dell’uguaglianza, la moda che confonde i generi, «genderless», si direbbe oggi. «Unisex» oggi è una parola innocente: tutti portano ormai «jeans e «t-shirt», ma allora non era così. «Marise Ferro – scrisse Annamaria Guadagni nel suo articolo L’antiromantica, pubblicato su Il Foglio del 13-14 novembre 2021 – considerò lo stile ‘unisex’ come una forma di mascheramento in abiti maschili che nasconde una negazione del femminile, il suo depotenziamento. Una nuova illusione egualitaria, che non può modificare il corpo né il ruolo di moglie e madre che le donne non solo svolgono, ma desiderano» (p. IX). Una consapevolezza della specificità femminile molto forte. Anche se lei – per sé – aveva deciso di non avere figli, sapeva che decostruire i ruoli sessuali e confonderli sono due cose molto diverse. «Marise Ferro – affermò il sottoscritto durante il suo intervento – era una pensatrice della differenza ante litteram».
Una Serata incantata, da sogno, «tra cìelu e mare», illuminante grazie anche agli spunti di riflessione offerti da Elisabetta Guerrisi («‹Non c’è salvezza senza la donna›, eppure…»), solidale grazie ai due brevi filmati, in omaggio alle donne ostaggio della guerra in Ucraina («Via Crucis 2022: una donna ucraina e una russa insieme per la pace») e a quelle vittime del naufragio a Steccato di Cutro («La Via Crucis a Cutro in memoria dei migranti»), e deliziosa grazie al «cocktail», affabilmente servito dalle donne dello Staff, insieme ad Asia Bronieri, la tenera e amabile ‘mascotte’. Tutte quindi siano protette da una Donna speciale, Maria, Madre dell’umanità intera.
Piotr Anzulewicz OFMConv
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Buon 8 marzo a tutte!
Il Circolo Culturale San Francesco, con le sue due attuali edizioni dal filo rosso: «Donne, sorelle tutte, che ‘fanno bello il mondo’», dedica il primo pensiero dell’8 marzo alle donne che, scappando da una realtà di oppressione e di violenza, si sono imbarcate con i loro bambini su un peschereccio e hanno trovato la morte davanti alle coste calabresi di Steccato di Cutro; alle donne afghane celate sotto il burka e senza più diritti; alle donne iraniane che continuano tenacemente la rivolta e il cui slogan «#Donne #vita #libertà» rimbalza nelle manifestazioni di solidarietà delle principali capitali europee; alle donne ‘dimenticate’, ‘invisibili’ ed emarginate, costrette a matrimoni precoci e a mutilazioni genitali o condannate ad una vita di soprusi, senza la possibilità di studiare o di compiere le azioni quotidiane ‘normali’; alle donne vittime dei reati di tratta e di riduzione in schiavitù; alle volontarie ed operatrici delle organizzazioni umanitarie, impegnate in prima linea nel dare aiuto nelle zone del mondo devastate dalle guerre e dai disastri naturali; alle religiose e consacrate laiche, coraggiose e forti, attive nella pastorale, nell’accompagnamento spirituale, nel sociale e nei settori dell’educazione e della sanità, con istituzioni mediche ed ospedaliere, coinvolte nel lavoro con i carcerati e i rifugiati, nella lotta per i diritti umani e la responsabilità per il creato.
Il Circolo rivolge un omaggio speciale alle donne ucraine che, sopraffatte dagli orrori della guerra di aggressione che macchia di sangue la loro terra e costrette a fermarsi alla ‘Passione’, anticipano l’alba del ‘terzo giorno’, privandosi di ogni cosa per difendere e proteggere la vita dei bambini. A guidare le loro vite, anche nella sofferenza, è sempre l’amore!
Una gratitudine particolare indirizza alle giornaliste che mettono a repentaglio la loro vita per garantire l’informazione, permettendo a tutti di essere vicini al dramma del popolo che soffre…
Un augurio vivissimo porge infine al «genio» femminile delle Serate conviviali e cinematografiche e del Laboratorio musicale.
L’8 marzo non si esaurisce nella giornata del calendario, ma si snoda lungo l’intera 10ª edizione del Wiki- e CineCircolo, che si è avviata rispettivamente il 7 e il 14 ottobre 2022 e si concluderà il 23 giugno 2023 con la Serata straordinaria dal titolo: «Giubilo del cuore in omaggio a tutte le donne» [250].
L’8 marzo sia comunque un potente faro di luce affinché l’attenzione sul «genio femminile» non venga mai meno, perché il loro destino è anche il nostro.
(pa)
«Dottorar le donne», senza paura
Una Serata sonora, interattiva, conviviale, con le persone che si stimano e si ammirano, quella che si è svolta venerdì 2 dicembre 2022 nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido e si è focalizzata sul tema: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia († 1684), la prima donna a potersi fregiare del titolo di Doctor», la 5ª della 10ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›».
Sonora, con la strepitosa performance del soprano Maria Grazia Cucinotta che ha cantato tre famosi brani: 1. «Ave Maria» di Charles François Gounod († 1893), all’inizio; 2. «Agnus Dei» di Georges Bizet († 1875), a metà; 3. «Astro del ciel» di Franz Xavier Gruber († 1863), a conclusione, rendendo bello il nostro mondo, più melodico, armonioso e soave e meno monocorde, uniforme, soliloquiale e privo di ritmo.
Interattiva, con il sostanzioso panel, che grazie alle sue peculiarità ha infervorato i presenti. Le sue sequenze digitali, virtuali, da remoto, e reali, fisici, in presenza, si snodavano così:
3.1. Monologo di Lucia Schierano: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia» [I] (3:06′); 3.2. Dr. Maria Luisa Mauro: «Vicenda accademica di Elena Lucrezia» (15:00′); 3.3. Monologo di Lucia Schierano: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia» [II] (3:59′); 3.4. Intervista a Alessandra Schiavon e a Tatiana Corretto, funzionarie archiviste nell’Archivio di Stato di Venezia (5:04′); 3.5. Monologo di Lucia Schierano: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia» [III] (1:42′); 3.6. Dr. Piotr Anzulewicz OFMConv: «Dottorar le donne, senza stereotipi di genere e paura» (10:00′); 3.7. Condivisione (10:00′); 3.8. M° Maria Grazia Cucinotta: «Agnus Dei» di Georges Bizet († 1875), compositore e pianista francese; 3.9. Lettura del «Messaggio alle donne» di Paolo VI
Conviviale, con la commovente consegna di un ‘segno’ e di un attestato di ringraziamento alla M° Maria Grazia Cucinotta, da parte del M° Luigi Cimino, presidente del Circolo, e della sottosegretaria Lucia Scarpetta, e con il piacevole momento di fraternità, presso il buffet, amorevolmente preparato da Gabriela, Pina, Loredana, Lucia, Luigi e Iolanda.
Nell’insieme, una Serata eccellente per l’orecchio, l’occhio, il palato.., con un finale omaggio – come nelle Serate precedenti – alle donne ucraine: il video, proiettato da Ghenadi Cimino, operatore audiovisivo e sonoro, con la canzone patriottica Ой, у лузі червона калина (Oj u luzi červona kalyna; lett. “Oh, viburno rosso nel prato”), scritta dal compositore Stepan Čarnec’kyj nel 1914, virale attualmente in Ucraina, ma vietata severamente nei territori occupati dalla Russia, pena multe, prigione o esilio.
Emozionante Serata ha disegnato, in poco più di un’ora e mezzo, il ritratto della prima donna laureata al mondo, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, intellettuale veneziana e oblata benedettina, oltre al composito mondo culturale, sociale e politico della seconda metà del sec. XVII, tra Venezia e Padova. Elena Lucrezia, affamata di cultura vera, intraprese un cammino nuovo, solitario, quasi scandaloso eppure esaltante e bellissimo, quando alle donne era consentito soltanto il matrimonio o il velo. Si consacrò allo studio e alla passione intellettuale. Appoggiata dal padre Giovanni Battista, facoltoso patrizio e colto procuratore della Repubblica di Venezia, nascose dietro la vocazione alla severità un temperamento orgoglioso, ribelle ed appassionato. Sfidò i costumi dell’epoca e la mentalità contraria all’istruzione delle donne e, nonostante l’opposizione del card. Gregorio Barbarigo († 1697), vescovo di Padova, riuscì a sostenere e superare l’esame pubblico davanti a una moltitudine di persone. A lei i notabili del Sacro Collegio dell’Università di Padova, il 25 giugno 1678, attribuirono il titolo di «magistra et doctrix in philosophia» e le consegnarono le insegne del dottorato. Non però – come avrebbe voluto – in teologia: quando, per volere del padre di Elena, venne fatta richiesta di riconoscerle la laurea in teologia, la reazione del card Barbarigo fu senza appello: «È uno sproposito dottorar una donna, ci renderebbe ridicoli a tutto il mondo». A lui, come a tanti altri come lui, la storia non ha dato né darà ragione, con buona pace della misoginia, ecclesiastica e non solo, ancora imperante.
Elena Lucrezia, con la sua laurea, è diventata emblema della ricerca di uguaglianza e del riscatto femminile. Questo per teologhe cristiane ha significato recuperare gli infiniti reperti di protagonismo femminile presenti anche nella Bibbia e portarli alla luce nella loro autenticità, cioè liberarli dalle scorie secolari di un’interpretazione sessista o, per dirlo con la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, dal pericolo di un’unica storia, quella maschile. Un lavoro arduo, scandito da domande che continuano a martellare: «Perché il filo memoriale delle donne bibliche che abbiamo ricostruito – si chiede la teologa Marinella Perroni su «Re-blog. Il post della rivista Il Regno» – non ce la fa a diventare patrimonio comune delle nostre Chiese, nelle quali domina ancora un’interpretazione dei testi biblici del tutto funzionale al mantenimento di un sistema fondato sulla gerarchia dei sessi?». Perché, evocando il card. Barbarigo, ci sono ancora tanti “santi” uomini che considerano uno sproposito «dottorar le donne»? Come è possibile che, ancora oggi, nel recente documento della Conferenza episcopale italiana, consegnato il 12 luglio scorso alle Chiese locali per orientare il secondo anno del cammino sinodale, dal titolo «I cantieri di Betania», si ratificano e si veicolano dolorosi stereotipi che, oltre tutto, alterano la comprensione del racconto evangelico della visita di Gesù alle sorelle di Betania? Perché nel paragrafo «Il cantiere dell’ospitalità e della casa» (p. 9), quando si delineano i caratteri della Chiesa domestica, si afferma che in essa la comunità vive «una maternità accogliente e una paternità che orienta», senza rendersi conto che questa considerazione apre in realtà uno squarcio sugli stereotipi di genere che pesano come un macigno sulle nostre Chiese?
Ha ragione Anita Prati quando ricorda nel suo bellissimo articolo dal titolo Lo sproposito di dottorar le donne, pubblicato il 27 luglio scorso su SettimanaNews, il portale dei Dehoniani, che «l’arco di tempo, che ha visto le donne impegnate a sanare il divario secolare, anzi millenario, in termini di disparità di educazione, di libertà e di possibilità di scelta, rispetto agli uomini, è ancora molto breve», e cita le parole con cui, nel 1622, Marie de Gournay stigmatizza le conseguenze di una cultura fondata sulla gerarchia dei sessi: «Beato te, lettore, se non appartieni al sesso cui tutti i beni sono vietati, con la privazione della libertà, nell’intento di costituirgli come sola felicità, come virtù sovrane e uniche: l’essere ignorante, fare la sciocca e servire».
La strada da percorrere è quindi lunga e forse per ora c’è solo da sperare che un numero crescente di padri, e di madri, sollecitino e orientino le figlie allo studio, senza paura di «dottorar le donne». È una speranza che viene da lontano.
Piotr Anzulewicz OFMConv
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