Gli sbarchi non sono finiti
Molti, troppi, si sono lasciati sfuggire la proiezione del docufilm «La nave dolce» di Daniele Vicari, regista di «Diaz» sui fatti del G8 di Genova, il 3° film della 2ª edizione del CineCircolo promossa dal Circolo Culturale San Francesco e curata dalla dott.ssa Teresa Cona con lo Staff, nel suo andare incontro a ciascuno, l’altro e l’altra, «sui sentieri della misericordia». La presenza nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido sarebbe potuta essere numerosa e sarebbe davvero valsa la candela proiettarlo. «La nave dolce» non solo rendeva visibile e concreto ciò che altrimenti sarebbe stato soltanto immaginabile: coinvolgeva sia la sfera cognitiva che quella emotiva degli spettatori e lanciava a loro dei messaggi molto impressionanti, dotati di grande valore educativo. Sì, lo si doveva proiettare.
Il film racconta molto di noi e del nostro Bel Paese. È uno di quelle opere che sono “agenti di storia”, cioè costruttori o addirittura protagonisti di avvenimenti significativi, per l’incidenza sull’evoluzione della società. Si consideri, al riguardo, una pellicola come Katyń (2007) di Andrzej Wajda, dedicata alla terribile strage di 22 mila prigionieri polacchi, prevalentemente ufficiali e sottufficiali, uccisi dai comunisti sovietici nel 1940 a sangue freddo, con un colpo alla nuca. In Polonia il film – anche se esteticamente non eccelso – è diventato un “caso” nazionale ed è stato visto da circa 3 milioni di spettatori. Katyń è basato su Post mortem, il libro di Andrzej Mularczyk, e sul diario del maggiore Adam Solski, trovato durante l’esumazione del cadavere nel 1943. Lo stesso regista è figlio di uno degli ufficiali polacchi uccisi a Katyń, Jakub Wajda. La pellicola evidenzia il tentativo di occultamento effettuato dai comunisti sovietici per nascondere la loro responsabilità dell’eccidio. Marc Ferro, storico francese ed esperto della Russia e della storia del cinema, osserva che in passato erano le opere letterarie a incidere sull’opinione pubblica. Si pensi, per esempio, alla battaglia culturale che suscitò oltralpe il dramma Hernani di Victor Hugo nel 1830. Oggi, invece, sono i film, gli spettacoli televisivi e soprattutto Internet gli strumenti di informazione privilegiati, in grado di esercitare, talvolta, un’azione sulle vicende storiche, nel bene o nel male. Così anche il docu-film di Daniele Vicari, il film ‘dal vivo’, incentrato sulla ‘vita colta sul fatto’, riflettendo la società, contribuisce a modificarla in meglio. Ci ricorda che anche nei momenti più oscuri e inattesi si può trovare una voce dentro di noi che ci fa rimanere umani.
La proiezione è stata seguita da un breve dibattito sul dramma degli immigrati alla conquista di un “Eden” italiano. Dell’incredibile storia della nave mercantile albanese Vlora (dolce perché trasportava zucchero) che l’8 agosto 1991 con 20 mila profughi in cerca di libertà e di lavoro sbarcò nel porto di Bari e della successiva azione politico-repressiva che portò al rimpatrio forzato dei clandestini, Vicari fornisce un dettagliato e serrato racconto, grazie al materiale girato allora dalla Rai e da Tele Norba, ma anche grazie ai testimoni italiani e albanesi della vicenda: documenta alla perfezione la storia che è particolarmente istruttiva per capire quello che accadde da lì ai prossimi vent’anni come invasione extra-comunitaria nel nostro paese. Le immagini della Vlora, che si muove nel Mediterraneo, sono qualcosa di incredibile e di biblico: rappresentano il primo grande terremoto dei popoli poveri verso quello che sembrava il paese del Bengodi. È davvero difficile dimenticare quella nave attraccata al porto, ancora più conturbante di quella della Costa Crociere capovolta al largo delle coste dell’Isola del Giglio, e quella massa sterminata di maschi affamati, assetatati, stremati dal viaggio. Molti scesero dalla nave ancora prima che l’imbarcazione fosse ferma, in cerca di aiuto e di cure sanitarie, e di quella libertà tanto vagheggiata dopo decenni di miseria e di dittatura comunista. Di questi disperati, solo 1 500 circa riuscirono a sfuggire alla polizia e rimanere in Italia, mentre gli altri furono rispediti a bordo di aerei di Stato in Albania, facendogli credere che sarebbero stati trasferiti a Roma. Il sindaco del capoluogo pugliese, Enrico Dalfino, insieme a molti concittadini, diede prova di grande solidarietà, fornendo il proprio aiuto ai profughi.
Oggi, secondo Patrick Nicholson, responsabile del Servizio comunicazioni della Caritas Internationalis, «l’Europa soffre di una crisi di solidarietà nei confronti dei rifugiati che bussano alle sue porte in fuga dalla guerra». Dopo la decisione dell’Austria di limitare gli accessi ai migranti e l’annuncio, da parte dell’Ungheria, di voler indire un referendum sulle quote obbligatorie, i Paesi della “rotta balcanica” hanno introdotto analoghe misure restrittive, soprattutto alla frontiera greco-macedone, dove possono passare solo profughi dalla Siria e dall’Iraq, muniti di validi documenti di identità. «Si è creato un effetto domino»: persone che vengono trattate come merci o pacchi, rimpallate da un Paese all’altro. In Grecia, già colpita fortemente dalla crisi, sono rimaste bloccate migliaia di persone senza le adeguate condizioni per un soggiorno più lungo, come alloggi, cibo, accesso all’acqua. La Caritas non smette di distribuire confezioni di cibo, kit igienici, medicinali, ma allo stesso tempo chiede che «l’Unione europea dia priorità alla vita ed ai diritti delle persone, anziché al controllo delle frontiere». Infatti, i migranti non sono ‘flusso’ o ‘invasione’, ma uomini, donne, bambini e anziani a rischio. La ‘fortezza Europa’ – con muri, controlli e filo spinato – non scoraggerà le persone a rischiare la propria vita per arrivarci. Non è un fenomeno che nasce oggi. Tutti i trend relativi al numero di guerre, di rifugiati e di sfollati interni sono in aumento: il 2014 e il 2015 hanno costituito i picchi di un fenomeno ben noto. Le drammatiche testimonianze che ci giungono non fanno che rafforzare, di fatto, una preoccupazione rispetto all’Europa che ha perso lo smalto nelle sue qualità di accoglienza, di rispetto, di promozione umana. Si è chiusa in se stessa ed è diventata egoista. Per qualsiasi cosa che la tocchi, o le dia un po’ fastidio, si chiude a riccio. Meravigliano anche i Paesi scandinavi che per tradizione sono stati sempre molto accoglienti: la Svezia vuole rimandarne via 80 mila e così la Finlandia; la Danimarca, poi, si prende tutti i beni di questa gente.
E’ un problema l’immigrazione. Un coraggio e una disperazione senza fine: gente che vende, lascia tutto, scappa e si imbarca nelle carrette del mare… Un sussulto di compassione, di dignità e di solidarietà, da parte nostra.
La serata si è conclusa con un aperitivo. Il prossimo appuntamento è per venerdì 4 marzo, con la proiezione del film «Il padre» del regista tedesco di origine turca Fatih Akin, seguito dal cinedibattito sul genocidio degli armeni, il male e la sofferenza, la guerra e la migrazione, il potere di amore di speranza.
(pa)
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