Gratitudine – Mondo fragile – Happening

  1. Gratitudine ed elogio

Adorata è stata l’11ª Serata cinematografica, con la proiezione del film «Un mondo fragile» e la cineconversazione sull’amore per la terra d’origine, che si è svolta il 16 giugno nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» a Catanzaro Lido, cittadina balneare affacciata sul Mar Jonio. E’ stata l’ultima Serata della 4ª edizione del CineCircolo dal filo conduttore: «’Sorella’ Terra per immagini», ispirata all’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco e alla preghiera-inno Cantico delle creature di frate Francesco, promossa dal Circolo Culturale San Francesco ed aperta, a titolo gratuito, a tutti, vicini e lontani − la 93ª Serata di seguito, tra quelle cinematografiche e quelle conviviali, con decorrenza dal 10 gennaio 2014.

Merita parole di elogio lo Staff delle due sezioni del Circolo: la dott.ssa Teresa Cona − direttrice del CineCircolo, e l’avv. Pepino Frontera − direttore del WikiCircolo, in collaborazione con il M° Luigi Cimino, membro del Consiglio direttivo. Tutti e tre hanno lavorato con passione, gomito a gomito, l’uno accanto all’altro, incontrandosi, insieme ad altri volontari, ogni mercoledì per dare un tocco magico ad ogni evento del venerdì. «Chapeau» a Ghenadi Cimino, perché stramerita la medaglia d’oro per il service audiovisivo, portato la sera precedente, montato e impostato nel giorno dell’evento e gestito d’incanto nel corso dell’evento! A portare in classifica sono i fans del Circolo, presenti fino all’ultimo punto del programma delle Serate del venerdì e immortalati spesso nelle foto di gruppo. Nelle pagine della storia del Circolo entrano anche coloro che con le piccole donazioni o le domestiche “creazioni” hanno pensato al palato dei partecipanti («aperitivo» e «cocktail»). A tutti un immenso grazie per il loro costante ed ammirevole impegno, la fatica e la dedizione, senza eguali. Ai lettori un cordiale augurio del «sì» alla cultura dell’incontro, del dialogo e della comunione, nel segno del Santo d’Assisi.

 

  1. Mondo fragile

L’11ª ed ultima Serata cinematografica, con «cocktail», ha offerto un film di grande interesse e spessore culturale ed umano. Un mondo fragile (titolo orig.: La tierra y la sombra), diretto dal ventottenne César Augusto Acevedo, sceneggiatore e regista colombiano, premiato al Festival di Cannes 2015, ha fatto capire meglio l’enciclica Laudato si’ ed apprezzare di più la preghiera-inno Cantico delle creature. Una pellicola viva, fisica e immersa, capace di tradurre il senso di un profondo disagio collettivo in espressioni di rinascita. Un cinema ‘in marcia’, da vedere e far vedere, con una qualità pressoché unica oggi: quella di essere necessario.

Un’epica ancestrale della terra, della famiglia e della casa, diventati realtà devastate e negate ne La tierra y la sombra. «La tierra − scrive Zarar, critico cinematografico − è quella della Valle del Cauca, in Bolivia, dove la monocultura latifondistica della canna da zucchero ha devastato il suolo, azzerando le colture e i modi di vita. Terra ormai grigia, piatta e polverosa, percorsa dai fuochi e dalle ceneri degli incendi delle stoppie, simbolo trasparente di una situazione globale di sfruttamento insensato e desertificazione avanzante. La sombra invece – a sua volta simbolo di un’altra natura, fatta di campi verdi, di frutteti, di uccelli, protettiva e consolatoria – è quella, assediata da tutte le parti, del maestoso e frondoso albero, sopravvissuto accanto ad una casa contadina, che una vecchia madre difende con le unghie e con i denti – contro ogni logica – dalla marea avanzante: rifugio fragilissimo di pace, di ricordi, di momenti ‘umani’ in un contesto disumano».

La terra, che dovrebbe essere la terra-madre capace di nutrire i suoi figli, ha ormai perso la sua funzione: non nutre più nessuno, se non qualche compagnia che impiega e sottopaga i corteros de azucar, uomini-automi che tagliano le canne con metodi defatiganti e insalubri. Ora la sua funzione in pieno adempie l’ombra: l’albero del pane è l’unico e ultimo baluardo che si erge contro la desertificazione della campagna. Così, nel film, tornano «miti e archetipi della grande letteratura latino-americana − continua Zarar − fatti cenere e morte: il padre, che da anni ha abbandonato la casa e torna in extremis dal figlio malato e dalla moglie, sente ancora la forza di quei valori che lo hanno riportato indietro, ma sa anche che il ritorno è inutile, che il figlio morirà soffocato da quei fumi velenosi, che l’unica soluzione sarà quella di raccogliere quel che resta della giovane generazione, la nuora, il nipote, e fuggire via, rinunciando alla lotta. La vecchia e indomita madre sarà l’unica a restare, concentrando in sé il senso di una resistenza senza speranza. La resa filmica è particolare: in un vortice di polvere che percorre tutto il film, e che è l’unico vero ‘movimento’. […] Uomini e donne appaiono messi all’angolo, inchiodati ad una minimale resistenza per la sopravvivenza, ormai quasi senza voce». «Una critica vertiginosa della realtà − osserva Riccardo Tavani − che non è urlata, ma neanche propriamente detta: è solo mostrata […]. Un’angoscia straziante ti assale per quel bambino, senza gioie, giochi, giustizia sotto quel cielo di cenere e quella tierra della desolazione».

Un mondo fragile, con il minimo dei mezzi espressivi, riesce comunque a offrirci un minuscolo barlume di speranza, innescando un prolungato dialogo a più voci, sul legame con la propria terra − un ostacolo difficile da sormontare − e sui temi della crisi ambientale e sociale, argomenti tanto cari a Papa Francesco, che con l’enciclica Laudato si’ ha lanciato un accorato appello perché tutti adottino un atteggiamento di cura e di custodia della nostra «casa comune».

 

  1. Happening

Il prossimo appuntamento era fissato per venerdì 23 giugno, solennità del Sacro Cuore di Gesù che pulsa di amore per ogni bambino progettato e voluto dai genitori, per ogni ragazzo, per ogni adulto, per ogni anziano, ma soprattutto per ogni malato, sofferente, emarginato, rifugiato, povero, disoccupato della nostra terra; festa di un cuore che «governa il sole e gli astri» e che in tutto rappresenta l’amore di Dio. Per renderla più bella presso la chiesa «Sacro Cuore» dove ha sede il Circolo, è stato scelto il tema ad hoc: «Laudato si’: Custodi del creato e degli altri Francesco di Paola ed Elena Aiello», il tema dell’11 ed ultima Serata conviviale con «aperitivo» della 4ª edizione del WikiCircolo dal leitmotiv: «L’uomo e sua ‘sorella’ Terra», resa nota già nel gennaio scorso sul pieghevole e sul Sito Web del Circolo e successivamente con cura elaborata nel dettaglio e corredata da due interventi straordinari, quelli del prof. Filippo D’Andrea e del dott. Beniamino Donnici, la 94ª Serata di seguito. Ora questa Serata viene, purtroppo, annullata, cedendo il passo all’evento religioso organizzato oltre due settimane fa dall’Apostolato della Preghiera dell’arcidiocesi Catanzaro-Squillace in collaborazione con il gruppo omonimo locale, un evento che ha il suo momento «clou» alle ore 18.30: la celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo Vincenzo Bertolone e l’agape fraterna a conclusione. Lo Staff del WikiCircolo si scusa con i due Relatori e invita gli amici del Circolo a quest’evento di carattere religioso. Ci saranno altri eventi intrisi di cultura e di gioia da vivere insieme al Circolo.

L’appuntamento è a venerdì 30 giugno, alle ore 19. Vi sarà un happening speciale: «Messa della Terra» (Earth Messa) per cantare l’armonia del creato (oltre a stili musicali, anche la pittura paesaggistica e i versi degli animali: l’ululato del lupo di Gubbio o il canto della cicala), a conclusione della 4ª edizione del Wiki- e CineCircolo. Un evento di suggestivo pathos, musicale, estetico e conviviale. Il M° Luigi Cimino, toccando le corde dei nostri cuori, ci trascinerà verso i territori che si trovano in noi stessi e in territori in cui è sospesa la nostra minuta e stupefacente Terra, con i suoi spazi trapassati dalle radiazioni delle stelle.

Le Serate della nuova edizione, la 5ª, del WikiCircolo e del CineCircolo inizieranno dopo la pausa estiva: venerdì 22 settembre è in programma la 1ª Serata conviviale con «aperitivo» e venerdì 29 settembre la 1ª Serata cinematografica con «cocktail». Tutte e due le edizioni continueranno ad ispirarsi all’enciclica Laudato sì’ di Papa Francesco e alla poesia-preghiera Cantico delle creature di frate Francesco, ma anche al Messaggio per la 51ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali «“Non temere, perché io sono con te” (Is 43,5). Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo». Sarà questo un surplus che le darà un tocco speciale.

Il Circolo Culturale San Francesco è una straordinaria opportunità per tutti. I suoi eventi e messaggi sono indirizzati non solo ai soci, simpatizzanti ed amici del luogo in cui ha la sua sede legale, ma anche ai lontani, ai credenti e ai non credenti, a quanti, grazie al Sito Web, vengono in contatto con il suo ideale: «la cultura e la cura dell’altro», nel segno di frate Francesco d’Assisi. Un legame speciale esso conserva tuttavia con la sua città, Catanzaro Lido, e in particolare con il quartiere Casciolino, dove sorge la chiesa «Sacro Cuore». Un intenso legame genetico, strutturale, ambientale. Il Circolo è sorto proprio qui, come leggiamo del resto nell’art. 1 dello Statuto: «In occasione del 50° anniversario della solenne proclamazione della parrocchia francescana “Sacro Cuore”, viene costituita con sede a Catanzaro Lido, Viale Crotone, n. 55, presso la chiesa “Sacro Cuore”, l’Associazione “Circolo Culturale San Francesco” quale libera Associazione a carattere culturale e spirituale, aperta a tutti coloro che ne condividono le finalità e per mantenere vivo il ricordo, lo spirito e l’umanità di s. Francesco d’Assisi». I parrocchiani del «Sacro Cuore» sono quindi nel cuore del Circolo fin dal principio: è il «cuore creativo della loro parrocchia», il «punto di socializzazione», l’«ambiente» o il «luogo» per eccellenza, diverso dai «non luoghi»: piazze, centri commerciali, lungomari, bancarelle, stazioni ferroviarie (al riguardo si legga l’articolo: Ideale del Circolo: la cultura e la cura dell’altro).

Partecipando fattivamente alle sue iniziative, programmi e progetti, possono «dimostrare cosa c’è di buono in una città nota come deserto intellettuale ed affettivo», «creare modalità nuove di fratellanza e di comunione, far crescere e consolidare l’esperienza del “noi”», «prestare attenzione alle sfide, tormenti e speranze», «lavorare non solo per noi stessi e per i nostri figli e nipoti, ma per tutti gli altri». In tal modo il Circolo potrà essere «una risposta ai “non luoghi”, al non vissuto, alla noia, all’accidia, alla passività, al silenzio… una risposta che forse la gente sognava, ma non osava immaginare… È tutto il nostro essere ed agire che ha bisogno di rinsanguarsi al di fuori di un pernicioso immobilismo, causato da inerzia o paura di un confronto con una visione attiva della vita». Grazie alla cultura, tutti possiamo «divenire sempre più uomini e imparare ad essere di più non solo “con gli altri”, ma anche “per gli altri”. Questo è anche il compito del Circolo, con le sue potenzialità, con il suo ruolo d’avanguardia e con i suoi progetti volti a ripristinare i valori umanistici, evangelici e francescani: fratellanza, solidarietà, dialogo, giustizia e pace…» (ivi, p. 6). Esso non è tuttavia un gruppo parrocchiale, ma – ripetiamo – è un’opera affidata alla parrocchia «Sacro Cuore», e come tale ha la benedizione di mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, attraverso una pergamena. È l’unica opera del genere sul territorio, l’opera che abbraccia tutti i gruppi parrocchiali e va oltre: è aperta ai vicini e ai lontani, a tutti senza distinzione alcuna. Tutti allora hanno un’eccezionale opportunità di farsi promotori di quest’opera, sostenere ed affiancare i suoi programmi, e imbarcarsi in nuovi progetti, con coraggio, entusiasmo e speranza. «Tutti dentro!» (Intra omnes)

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Famiglia, custodisci il creato con tenerezza e gratitudine!

L’ultima Serata ci deve ancora arrivare. Venerdì 9 giugno si è tenuta la penultima, quella conviviale a tema, ideata nell’ambito della 4ª edizione del WikiCircolo, il cui filo conduttore è: «L’uomo e sua ‘sorella’ Terra», l’edizione ispirata all’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco e alla preghiera-inno Cantico delle creature di frate Francesco − la 92ª di seguito, tra quelle cinematografiche e quelle conviviali, con decorrenza dal 10 gennaio 2014. Una Serata stimolante. «Laudato si’: l’’ecologia integrale’ − educare all’alleanza tra l’umanità e l’ambiente» era il suo titolo che suggeriva come andava a finire, secondo il programma, pubblicato previamente sul Sito Web e su Facebook del Circolo e presentato dalla dott.ssa Teresa Cona, segretaria dell’Associazione. Ne è rimasta una sentita traccia nei cuori degli astanti.

Il video musicale d’apertura sulla natura calabrese, creato da Vitali Frontera, con le straordinarie foto paesaggistiche di Maria Luisa Mauro e il Cantico delle creature eseguito dal cantautore Angelo Branduardi, ha colpito l’immaginazione dei presenti che si è espressa spontaneamente con un vivo applauso, metafora di un abbraccio a tutti e tre, e al Creatore, in quanto causa prima del creato e della vita: «A Te solo buon Signore / Si confanno gloria e onore / A Te ogni laude et benedizione / A Te solo si confanno / Che l’altissimo Tu sei / E null’omo degno / Te mentovare / Si laudato mio Signore / Con le Tue creature».

E’ seguita la lettura di un brano dell’enciclica Laudato si’ (n. 211), relativo al tema della Serata, con la base musicale in sottofondo tratta dal CD «Fratello Francesco», e di alcuni passaggi del libro di Leonida Rèpaci, Calabria grande e amara (Rubbettino Editore, 2002).

La bellezza della natura calabrese, da custodire con cura e da rispettare con gratitudine, è stata abilmente messa in risalto dall’avv. Peppino Frontera, tutore/curatore principale delle Serate conviviali a tema,

A monte di tutto galleggiava il tema centrale, con una forte connotazione educativa, quella che favorisce la crescita di una cultura e di una civiltà attenta all’ambiente e capace di custodirlo con tenerezza e saggezza. Si è detto che, alla luce del magistero della Chiesa e della Laudato si’, a motivare l’impegno per il creato è pur sempre la passione verso l’uomo e la ricerca della solidarietà ispirata dai valori della carità, della giustizia e del bene comune. Il credente guarda alla natura con riconoscenza e gratitudine verso il Creatore e per questo non la considera un tabù intoccabile o tanto meno ne abusa con spregiudicatezza: il creato è suo dono, perché in esso l’uomo, ogni uomo, tutto l’uomo, si sviluppi e faccia sviluppare il creato stesso in tutte le sue componenti: uomini, animali, piante… «La natura è espressione di un disegno di amore e di verità. Essa ci precede e ci è donata come ambiente di vita. Ci parla del Creatore (cfr. Rm 1,20) e del suo amore per l’umanità. È destinata ad essere “ricapitolata” in Cristo alla fine dei tempi (cfr. Ef 1,9-10; Col 1,19-20). Anch’essa, quindi, è una “vocazione”. La natura è a nostra disposizione non come “un mucchio di rifiuti sparsi a caso”, bensì come un dono del Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, affinché l’uomo ne tragga gli orientamenti doverosi per “custodirla e coltivarla” (Gen 2,15)» (Caritas in veritate, n. 48).

Oggi, purtroppo, constatiamo che l’uomo moderno ha tradito la sua missione, quella di esserne attento, fedele e intelligente custode. Uscito dall’Eden, da quel giardino in cui Dio lo aveva posto, si è sentito lui, e lui solo, il padrone della propria vita e del mondo, «provocando la ribellione della natura, tiranneggiata piuttosto che governata da lui», come ha scritto Giovanni Paolo II nella Lettera-enciclica Centesimus annus. Abbandonandosi ad un faustiano godimento del presente − è il «tutto oggi per me e per nessun altro» − e ad una ossessiva e sfrenata ricerca del consumo immediato, ha causato squilibri dalle conseguenze drammatiche. Papa Francesco non manca di far notare: «Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, quella non è notizia, sembra normale, ma non può essere così! Eppure queste cose entrano nella normalità: che alcune persone senza tetto muoiano di freddo per la strada non fa notizia. Al contrario, un abbassamento di dieci punti nelle borse di alcune città costituisce una tragedia… Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti» (Udienza generale, 5 giugno 2013).

Oltre al creato che «geme e soffre» (Rm 8,22), «tiranneggiato piuttosto che governato», è la stessa famiglia umana a soffrire, per la fame, la desertificazione, i cambiamenti climatici, l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, e teme per il suo futuro. «Il progetto ideologico consumista − afferma mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia − mercifica tutto, uomini e natura, rovina le reti ecologiche e le reti sociali, si fonda sull’egoismo, l’avidità, la competizione, la sopraffazione, dimenticando la gratuità, la reciprocità, la cooperazione. Così cessiamo di pensarci come famiglia. Il mercato ci vuole individui consumatori e la famiglia luogo di consumo prima che di amore e socialità. Il mercato − basti pensare alla pubblicità dei prodotti di consumo − si riempie la bocca della parola “famiglia”, ma ne svuota il senso facendo emergere il consumismo individuale. Lo stereotipo di famiglia del consumismo è solo un “io formalmente allargato”, non è mai un “noi”. E’ l’opposto della famiglia, in particolare della famiglia cristiana, che trova il suo valore in un amore che spinge a superare continuamente se stessi per allargare sempre più il “noi” sino ai poveri» (AA.VV, Famiglia custodisci il creato! A cura di Gianfranco Grieco OFMConv, Città del Vaticano 2015, p. 20).

Il sistema economico consumista, per diffondere i propri valori edonistici, sfrutta la famiglia piegandola ai suoi scopi e degradandola a modello di una visione mercantilistica della vita e della realtà. Dalla nascita di un figlio alla scuola, all’alimentazione, al vestire, al matrimonio, e così oltre, a tutto, c’è già il mercato che ci pensa. Alle persone non resta che lasciarsi docilmente guidare e condurre per mano nella piazza del consumo, il centro commerciale, dove ogni desiderio verrà soddisfatto, come in un moderno paese dei balocchi. L’umanità e la natura appaiono allora concetti astratti e lontani. Ogni festa è snaturata dalla sua mercificazione. Il Natale diviene la fiera del consumo e la frenetica ricerca del regalo giusto, dell’ultimo modello di smartphone. La domenica diviene il giorno ideale per lo shopping, e così ogni festa religiosa o laica. Il calendario è scandito dal consumo. Di più, non c’è più alcuna distinzione fra l’utile e l’inutile, perché tutto è funzionale al conseguimento dell’obiettivo del mercato, che non è certo la felicità vera, ma la produzione e il consumo. Non è un caso che non viene utilizzato il verbo “usare“, ma “consumare“, in quanto l’uso non comporta necessariamente la distruzione di ciò che si usa, mentre il consumo implica la rapida trasformazione di risorse naturali in beni e dei beni in rifiuti. Così stiamo consumando il creato, per soddisfare capricci dei ricchi e far vivere i poveri nell’illusione che un giorno potranno fare altrettanto.

Se i credenti di ogni religione e i non credenti non si renderanno consapevoli che alla base della distruzione del creato c’è un errore antropologico, non si salverà né l’uomo né il creato. Se prevarrà la cultura dell’utilitarismo che relega l’uomo a mero strumento di consumo, di produzione e di profitto, avrà la meglio la “cultura dello scarto“, come l’ha definita Papa Francesco: si cominceranno a “scartare” gli anziani, i disabili, i deboli e i poveri, perché consumano poco e non “producono”, ma richiedono tempo e cure.

Il Circolo, promuovendo la cultura dell’incontro, dell’accoglienza e della solidarietà, rilancia dunque il suo impegno di custodire il creato e di contrastare la cultura dello scarto e dello spreco. Disprezzare il creato è disprezzare il dono più grande: la vita. Non c’è vita per l’uomo senza l’armonia di tutti gli esseri viventi, nella straordinaria biodiversità prodotta dal processo creativo, in cui siamo coinvolti noi stessi. Non possiamo quindi non rivolgerci alla meravigliosa avventura della vita con tenerezza amorevole. Il luogo privilegiato di tale tenerezza è proprio la famiglia. I genitori devono trasmettere ai figli il valore della sobrietà, della frugalità e della “sufficienza”, imprimere nel loro cuore lo stile di vita rispettoso del creato ed attento al prossimo, orientare le loro menti alla ricerca della felicità duratura, non effimera, superficiale, caduca, fugace. Il creato è di tutti e nessuno può appropriarsene né manipolarlo. Lì risiede il semplice principio di rispetto, di giustizia e di difesa. Per questo un’etica del consumo e dell’utilità deve lasciare il passo a un’etica della gratuità, della solidarietà, della responsabilità.

Il creato è armonia e la relazione tra l’uomo e il creato deve essere armonica! Ce lo ricorda frate Francesco d’Assisi. Nella “sua” Lettera ai difensori dell’ambiente propone qualcosa di previo e di fondamentale: creare nei cittadini una coscienza di custodia onerosa, un’attenzione speciale e una conversione alla natura. «Una delle sensazioni più profonde, gioiose e gratificanti − afferma l’Assisiate − è poter stare in mezzo alla natura scoprendo le meraviglie che ci circondano e godendo di esse. […] Sì, siamo nati per vedere, guardare e ammirare. E’ meraviglioso contemplare l’universo che canta e fa risuonare la sua voce. Voce non umana, ma di pianeti e di stelle che girano. Che festa per gli occhi è la natura! Che bello ciò che i nostri occhi possono vedere! Com’è gradevole ciò che i nostri orecchi possono ascoltare! […] Di fronte al grandioso spettacolo dell’universo ci deve cogliere lo stupore e l’ammirazione e per questo ringraziare il Creatore e legarci in fraternità con tutti gli esseri che ci circondano […], proclamare la grande fraternità universale di tutti gli esseri naturali e degli ecosistemi e porre le condizioni di possibilità per raggiungere il meraviglioso gemellaggio umano e cosmico» (José Antonio Merino, Lettere di Francesco d’Assisi dal suo esilio, Padova 2017, pp. 64-70).

La Serata si è conclusa con la comune recita della Preghiera per la nostra Terra (Laudato si’, n. 246) e si è sciolta in serenità, con l’appello: «Famiglia, riscopri la tua vocazione a “custodire” il creato per essere a sua volta custodita!», presso il tavolo della pizza offerta dallo Staff del Circolo. Alla prossima!

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Come ci si sente ad essere “spogliati” di tutto?

Empatia e compassione sono stati sentimenti che ci ha regalato la 10ª Serata cinematografica della 4ª edizione del CineCircolo, che si è tenuta venerdì 26 maggio, nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» situato al lato destro della chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. Il film Gli invisibili di Oren Moverman e la cineconversazione su «cosa significa essere emarginati e “scartati” dalla società, privati persino del proprio passato e della propria identità, senza alcuna speranza di riscatto, reinserimento e riabilitazione», ci hanno proiettato verso il dramma delle periferie e delle banlieue, dei sobborghi della città e dei margini della società. Una proiezione illuminante, coinvolgente, rivitalizzante.

Papa Francesco molte volte ha ripetuto la frase, ormai famosa, che «il mondo si vede meglio dalle periferie che dal centro». La sua teologia, del resto, ha sempre nella periferia il suo punto focale, paradossalmente centrale. Con intensità ha vissuto la sua città, Buenos Aires, una tipica megapoli dell’era globale, e lì ha scoperto il dramma − appunto − delle periferie, facendole centro. Così è iniziato il suo viaggio verso l’incontro e l’amicizia, costruendo ponti tra le parti che non si parlano o che a volte sono in conflitto. C’è una sua intervista, straordinaria, che risale al marzo 2015, ma che inopinatamente non è nel catalogo delle più importanti del suo pontificato, surclassata da quelle rilasciate a braccio. Il Papa, parlando al Càrcova News, una rivista pubblicata in una delle tante ville miseria della grande Buenos Aires, afferma: «Quando parlo di periferie, parlo di confini. Normalmente noi ci muoviamo in spazi che controlliamo in un modo o nell’altro. Questo è il centro. Nella misura in cui usciamo dal centro e ci allontaniamo da esso, scopriamo nuove cose e, quando guardiamo al centro, da queste nuove cose che abbiamo scoperto (…) vediamo che la realtà è diversa». Ed è questo il punto al cuore della questione: «Una cosa è osservare la realtà dal centro e un’altra è guardarla dall’ultimo posto». E’ proprio questo che ci ha aiutato a comprendere meglio il mondo degli “invisibili” ed imprimerlo alla nostra mente durante la Serata della 4ª edizione del CineCircolo focalizzata sul tema: «’Sorella’ Terra per immagini» e ispirata all’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco e alla preghiera-inno Cantico delle creature di frate Francesco − la 91ª Serata di seguito, tra quelle cinematografiche e quelle conviviali, con decorrenza dal 10 gennaio 2014. «Guardando il mondo dalle periferie − ha detto la dott.ssa Teresa Cona, curatrice dell’edizione, presentando agli spettatori il programma della Serata −, ci rendiamo conto che abbiamo tanto da imparare».

La pellicola Gli invisibili ci ha immerso in un ambiente duro, sconcertante, degradante, umiliante, pieno di anime in pena, al Bellevue Hospital, il più grande centro di accoglienza di New York per gli homeless, i barboni, gli uomini senza tetto e senza dimora. Il protagonista, l’attore Richard Gere, privo di glamour e irriconoscibile nei panni disperati di George, è un barbone costretto a vivere circostanze che nessuno vorrebbe mai sperimentare. Cosciente della sua sconfitta umana e sociale, rispetto al modello americano, e confuso dagli incontri con il sottomondo e con la burocrazia che si occupa dei poveri, si aggira e non sa trovarsi… L’incontro più ossessivo è quello con un chiacchierone mitomane nero che finisce per comportarsi come un suo doppio. Cacciato dall’appartamento fatiscente, in cui era ospite a causa dello sfratto della sua amica affittuaria, si ritrova a vagabondare per le strade di Manhattan, passando dalla sala d’aspetto di un grande ospedale ad un affollato dormitorio pubblico, da un banco dei pegni, in cui racimolare qualche soldo, ad un ufficio dell’assistenza sociale dove riscattare le proprie credenziali, cercando nel frattempo di ricucire un improbabile rapporto con una figlia ormai adulta, abbandonata anni prima. La sua condizione di homeless  lo rende un reietto condannato a vivere ai margini della società, senza alcuna speranza di riscatto e privato persino del proprio passato e della propria identità. E’ pressoché invisibile agli occhi degli abitanti della città. La sua storia − per il regista Oren Moverman, filmaker di origini israeliane, ma newyorkese d’adozione, scrittore, giornalista e sceneggiatore − è un punto di partenza insolito per farci capire come ci si sente ad essere “spogliati” di tutto e a non avere nulla, senza nessuna possibilità di una catarsi. La precarietà esistenziale e l’indigenza sono le chiavi attraverso cui leggere anche la congiuntura socio-economica dei nostri giorni e mettere il dito su una piaga dolorante della nostra società, senza enfasi e senza sensazionalismi d’accatto.

C’è la città dei reietti e dei loro modi di sopravvivere, delle burocrazie assistenziali, delle piccole violenze e delle ancora più piccole solidarietà tra perduti, un mondo che il cinema affronta raramente e quasi sempre con un’estetica da studio. Comunque, nel film di Oren non c’è soltanto l’aggirarsi sperduto di un nuovo povero nella marginalità, che è di tanti, quella che sfioriamo ogni giorno facendo magari finta di non vederla. C’è anche la tradizione tutta hollywoodiana e americana del melodramma familiare. C’è l’usuale filigrana del romanzo che finisce con l’aggredire e lo svilire la forza del documentario. Il protagonista ha una figlia che non lo ama, ma che, alla fine, si pente e lo rincorre… «Tutto è bene quel che finisce bene, a Hollywood e a New York, ma di queste astuzie così predeterminate e insincere rispetto ai grandi problemi dell’ingiustizia e della miseria il cinema attuale − osserva Goffredo Fofi, critico e direttore della rivista Lo straniero − ha poco bisogno, e chiede altre verità, nel documentario, nel romanzo e nelle ibridazioni possibili tra documentario e romanzo. Gere non è un homeless, è un attore travestito da homeless. Moverman non è Jack London, è un regista che sa navigare nel mondo dei ricchi, come tanti suoi colleghi, parlando dei poveri. Anche nel cinema, oggi più che mai, ci sono ibridazioni necessarie e ce ne sono di fasulle, di modaiole. L’oscillazione di Moverman è di quelle meno sincere, e dunque delle più opportunistiche, delle meno simpatiche». «La sua America è quella marginale e sconfitta della Kelly Reichardt di Old Joy e Wendy and Lucy, un paese delle opportunità non andate a buon fine e di una ricerca di valori umani (l’amicizia, l’amore filiale, l’attaccamento al proprio cane) che sembrano gli unici antidoti ad un nichilismo esistenziale da cui non pare esserci scampo» (maurizio73).

«La povertà è una brutta bestia ed a poco serve addomesticarla e tenerla al guinzaglio» − sembra ammiccare Moverman, che vorrebbe rintuzzare la cattiva coscienza di un pubblico occidentale che osserva con indolenza le sorti di chi non c’è l’ha fatta, definitivamente tagliato fuori da un circuito produttivo e sociale che esclude e che ghettizza, capace al più della compassione e del rispetto che si deve a quella parte di umanità finita nell’angoscia del cul-de-sac [vicolo cieco] dell’assistenzialismo pubblico e della solidarietà privata, ma senza alcuna speranza di reinserimento e riabilitazione, men che meno meritevole dell’affetto dei suoi cari.

Non ci sono intenti moralistici o reprimende politiche per un film in cui lo stesso regista si mette dalla parte di chi osserva, con freddo distacco, le dignitose peregrinazioni di un uomo senza speranza, di una risalita dagli inferi della solitudine di un reietto che cerca di ricominciare là dove si era interrotto il suo percorso di vita, tra una moglie morta di cancro, nonostante i disastrosi sforzi economici che lo hanno condotto alla bancarotta, ed una figlia ancora piccola abbandonata alle cure dei nonni. Dopotutto, è un lungometraggio che ci permette di trascorrere del tempo con qualcuno che mai avvicineremmo se non fossimo nella sua stessa identica condizione. Di più, ci sprona a prestare attenzione a chi ci circonda − è già questo un atto di compassione − con la speranza che alla fine si guardi in maniera diversa a chi per mangiare fruga in un bidone della spazzatura.

Il nostro pensiero vola quindi, anche se «en passant», ai rifugiati, immigrati, anziani, bambini e ragazzi che vivono ai margini della nostra società, al loro entusiasmo quando giocano, con una palla sgonfia o fatta di stracci, alle periferie delle grandi città o nei piccoli paesi. Le sofferenze di questi “invisibili” non possono essere neglette, perché non sono mai banali. E’ importante, dunque, incoraggiare tutti – istituzioni, società sportive, realtà educative e sociali, comunità religiose – a lavorare insieme affinché questi bambini possano accedere allo sport in condizioni dignitose, in particolare quelli che ne sono esclusi a causa della povertà. «Il mondo si può cambiare, aprendo il cuore agli altri, ascoltando gli altri, ricevendo gli altri, condividendo le piccole cose (…) di ogni giorno, con la generosità, e creando atteggiamenti di fratellanza!». E’ questa l’esortazione rivolta da Papa Francesco a circa 6 mila giovani dell’esperienza educativa cristiana «Graal» e «I Cavalieri» ricevuti il 2 giugno scorso in Vaticano.

Grazie, Oren Moverman, per averci dato l’opportunità di elevarci dall’emotività e dall’«ego» e per averci messo su un percorso che porta alla compassione! La compassione è un sentimento di partecipazione alle sofferenze, ai dolori e alle disgrazie altrui, che fiorisce spontaneamente dall’empatia, ma che, per esprimersi, richiede altri ingredienti come immaginazione e attenzione verso gli altri. E se con il tempo e l’esperienza si aggiunge la consapevolezza di sé, degli altri, del dolore, del mondo, allora la compassione può diventare qualcosa di più: amore.

Piotr Anzulewicz OFMConv

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