Wow… la nuova edizione!

Sono online i depliant della 5ª edizione del Wiki- e CineCircolo! L’occasione per lanciarla sarà però la 3ª Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato e la 12ª Giornata Nazionale per la Custodia del Creato, che si terrà nella sede del Circolo venerdì 1 settembre, alle ore 19, con la presentazione dei protagonisti straordinari delle Serate conviviali con «aperitivo» e delle Serate cinematografiche con «cocktail» (22 settembre − 22 dicembre). Da quel momento si comincerà a fare il conto alla rovescia per il 22 settembre: la 1ª Serata conviviale con «aperitivo» (96) dal logo: «Ecumenicamente per il creato» (Laudato si’, n. 7)!

Certo, alcune Serate potranno subire delle modifiche e altre aggiungersi, ma gli eventi principali intrisi di speranza e di fiducia sono ormai definiti, tutti gratuiti. Tra i protagonisti straordinari sono previsti: p. Vasyl Kulynyak, Beniamino Donnici, Bonaventura Bevilacqua, Walter Fratto e…  Tutti, comunque, possono fare la propria parte, come volontari, anche solo per poche decine di minuti, prima, durante e dopo ogni Serata conviviale e cinematografica. Potete anche voi mettervi in gioco, portare il vostro contributo e le vostre idee per costruire un domani migliore, lasciandovi interrogare da quelle parole di speranza e fiducia che frate Francesco d’Assisi ci ha consegnato in eredità: la cura responsabile di ‘sorella’ e ‘madre’ Terra e la cura dell’altro, la fraternità, l’incontro, il dialogo, la giustizia, la pace.

Il Circolo conta davvero su di voi! Per iscriversi ad esso, riceverne la tessera associativa o rinnovarla e saperne di più, non esitate a contattarci e frequentare questo portale e la pagina di Facebook. È una straordinaria opportunità!

Arrivederci, dunque, a settembre, in campo, pieni di energia, passione e creatività, per affrontare la nuova avventura e volare in alto, insieme, in squadra, uniti più che mai.

Staff del Circolo

 

 

 




Auguri di buona estate

È arrivato il momento di staccare la spina. I mesi di lavoro alle spalle, seppur gratificanti e appassionanti, si fanno sentire e impongono una pausa per la mente e il corpo. «Non c’è che una stagione: l’estate, tanto bella che le altre le girano attorno − scrisse Ennio Flaiano († 1972), sceneggiatore, scrittore, giornalista, critico cinematografico e drammaturgo italiano. − L’autunno la ricorda, l’inverno la invoca, la primavera la invidia e tenta puerilmente di guastarla».

Augurando a tutti una buona estate, «tanto bella», splendida e colorata, il Consiglio direttivo del Circolo esprime la gratitudine per il tempo trascorso insieme e invita alla 5ª edizione del Wiki- e del CineCircolo, cioè alle Serate conviviali con «aperitivo» e alle Serate cinematografiche con «cocktail» (venerdì 22 settembre è in programma la 1ª Serata conviviale e venerdì 29 settembre − la 1ª Serata cinematografica).

Entrambe le edizioni continueranno ad ispirarsi all’enciclica Laudato sì di Papa Francesco e alla poesia-preghiera Cantico delle creature di frate Francesco, ma anche al Messaggio per la 51ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali «“Non temere, perché io sono con te” (Is 43,5). Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo». Sarà questo un surplus che le darà un tocco speciale: speranza e fiducia, all’insegna dell’incontro, del dialogo, dell’accoglienza, secondo la logica della ‘buona notizia’, raccontando o proiettando storie positive e propositive. Il Consiglio direttivo del Circolo chiede di promuovere e sostenere queste edizioni e tutti i programmi non ancora attivati, in attesa di tempi migliori.

Il programma delle Serate? È la domanda che in tanti ci stanno ponendo. La risposta è vicina! L’occasione per lanciarlo sarà la 12ª Giornata Mondiale per la Custodia del Creato che si terrà nella sede del Circolo venerdì 1 settembre, con la presentazione dei loro principali protagonisti. Da quel momento si comincerà a fare il conto alla rovescia per il 22 settembre!

Già domani si potranno trovare su questo portale i dépliant digitali delle Serate. I dépliant cartacei saranno ritirati dalla Tipografia nei prossimi giorni e messi a disposizione di tutti. Navigare sul nostro portale è molto facile, ma anche fogliare una cara brochure cartacea ha i suoi meriti. Richiedetela nella sede del Circolo.

Pertanto, godetevi le vostre meritate vacanze. Siano esse rilassanti, ritempranti e rigeneranti… Con voi vorremmo anche noi alzare lo sguardo dalle creature verso il Creatore e con frate Francesco elevare il canto di lode: “Laudato si’, Signore, per il mare, le spiagge e il sole. Laudato si’, Signore, per i monti, i boschi e le sorgenti. Laudato si’, Signore, per le città, le chiese, le piazze e i monumenti d’arte”. «Laudato si’, mi’ Signore, ‘per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba» (Cant 9: FF 263).

Un affettuoso abbraccio a ciascuno di voi: soci, sostenitori, promotori, amici.

Piotr Anzulewicz OFMConv

a nome del Consiglio direttivo




Per esaltare l’armonia del creato e delle creature…

Tutto era sonoro ed armonioso, altisonante ed esaltante. La «Messa della Terra» (Earth Messa), che si è tenuta venerdì 30 giugno presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, a coronamento della 4ª edizione del Wiki- e CineCircolo, richiedeva dai presenti un’assoluta resa. E, infatti, al suono del sassofono tenore tanti si sono arresi subito. E’ stato il M° Luigi Cimino, sassofonista, arrangiatore-compositore, direttore del complesso bandistico «Giuseppe Cimino» di Cropani, docente di musica nelle scuole statali e membro del Consiglio direttivo del «Circolo Culturale San Francesco», a toccare le corde dei loro cuori e trascinarli verso «i territori che si trovano in noi stessi e in territori in cui è sospesa la nostra minuta e stupefacente Terra, con i suoi spazi trapassati dalle radiazioni delle stelle».

A dare l’avvio a questo evento di pathos estatico e conviviale è stata la lettura della preghiera «Absorbeat», conosciuta e recitata da frate Francesco d’Assisi e pubblicata sulla prima pagina di questo sito Internet del Circolo: «Rapisca, ti prego, o Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore, la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell’amor tuo, come tu ti sei degnato di morire per amore dell’amor mio» (Fonti francescane 277).

La dott.ssa Teresa Cona, segretaria del Circolo, ha presentato quindi il programma della Serata e con lo sguardo retrospettivo ha rievocato il percorso della 4ª edizione del Wiki– e Cine-Circolo, focalizzando l’attenzione sulle ultime due Serate: quelle del 16 e del 23 giugno, già commentate nell’articolo «Gratitudine – Mondo fragile – Happening». Prima di lasciarci rapire dai brani musicali, ha spalancato le nostre menti e i nostri cuori al repertorio «Un tocco di armonia», pubblicato in anticipo su questo portale e riportato anche sulla brochure a disposizione dei presenti, e insieme all’avv. Peppino Frontera ha rammentato il «curriculum» professionale del Maestro, colonna portante del Circolo e anima trainante di questa Serata (al riguardo si legga ad esempio l’articolo: «Concerto natalizio: una star con il sassofono»). Tutti i brani, eseguiti da lui in chiave jazzistica ed accompagnati dai toccanti filmati musicali proiettati da Ghenadi Cimino sul grande schermo, hanno destato un’estasiata ammirazione e un cordiale applauso.

La pausa tra le due parti è stata attraversata sia dai versi degli animali (l’ululato del lupo di Gubbio e il canto della cicala), che dal mormorio delle foglie e dell’acqua e dalle parole del Maestro che ci ha offerto un “terzo orecchio”, per scoprire i segreti del jazz con affascinanti finezze in alcuni capolavori, e uno sguardo sulle profondità espressive e sui meccanismi di come ‘farlo’, dall’improvvisazione alle poliritmie e dal «sound» alle forme.

Al termine della sua «performance», tra emozione e commozione, i due presentatori, a nome di tutti i partecipanti, gli hanno donato un mazzo di fiori come segno di gratitudine e di apprezzamento per la sua maestria e per il suo certosino lavoro che soggiaceva ad ogni interpretazione. Il Circolo lo ringrazia vivamente e nel contempo è fiero di averlo come consigliere, conoscendone a fondo il suo «genio» e la sua bontà, qualità esaltate dall’umiltà che accomuna i “grandi”.

La segretaria ha quindi abbozzato la nuova edizione, la 5ª, del Wiki-e CineCircolo e ha invitato i convenuti all’«aperitivo» nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria»: un raffinato e delizioso rinfresco, tra pizze e dolciumi, e un augurio − con la base musicale in sottofondo («Fratello Francesco») − per una rigenerante pausa estiva. La conclusione della Serata è stata suggellata dalla foto comune che ha ‘immortalato’ lo Staff ed alcuni dei partecipanti all’evento.

Di meglio non si è potuto né concepire né sognare. «Chapeau», dunque, a tutti: all’équipe delle due sezioni del Circolo che ha lavorato con passione, gomito a gomito, incontrandosi, insieme ad altri, ogni mercoledì per dare un tocco magico ad ogni evento del venerdì (la dott.ssa Teresa Cona − direttrice del CineCircolo, e l’avv. Peppino Frontera − direttore del WikiCircolo, in collaborazione con il M° Luigi Cimino), a Ghenadi Cimino per il «service» audiovisivo portato sempre la sera precedente, montato e impostato nel giorno dell’evento e gestito d’incanto nel corso dell’evento, a coloro che con le piccole donazioni o le domestiche “creazioni” hanno pensato al palato («aperitivo» e «cocktail»), e ai fans del Circolo, in particolare a quelli presenti fino all’ultimo punto del programma delle Serate del venerdì e immortalati spesso nelle foto di gruppo. A tutti un immenso grazie per il loro costante ed ammirevole impegno, la fatica, la dedizione e la passione. Tutto ciò per esaltare l’armonia del creato e delle creature…

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Gratitudine – Mondo fragile – Happening

  1. Gratitudine ed elogio

Adorata è stata l’11ª Serata cinematografica, con la proiezione del film «Un mondo fragile» e la cineconversazione sull’amore per la terra d’origine, che si è svolta il 16 giugno nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» a Catanzaro Lido, cittadina balneare affacciata sul Mar Jonio. E’ stata l’ultima Serata della 4ª edizione del CineCircolo dal filo conduttore: «’Sorella’ Terra per immagini», ispirata all’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco e alla preghiera-inno Cantico delle creature di frate Francesco, promossa dal Circolo Culturale San Francesco ed aperta, a titolo gratuito, a tutti, vicini e lontani − la 93ª Serata di seguito, tra quelle cinematografiche e quelle conviviali, con decorrenza dal 10 gennaio 2014.

Merita parole di elogio lo Staff delle due sezioni del Circolo: la dott.ssa Teresa Cona − direttrice del CineCircolo, e l’avv. Pepino Frontera − direttore del WikiCircolo, in collaborazione con il M° Luigi Cimino, membro del Consiglio direttivo. Tutti e tre hanno lavorato con passione, gomito a gomito, l’uno accanto all’altro, incontrandosi, insieme ad altri volontari, ogni mercoledì per dare un tocco magico ad ogni evento del venerdì. «Chapeau» a Ghenadi Cimino, perché stramerita la medaglia d’oro per il service audiovisivo, portato la sera precedente, montato e impostato nel giorno dell’evento e gestito d’incanto nel corso dell’evento! A portare in classifica sono i fans del Circolo, presenti fino all’ultimo punto del programma delle Serate del venerdì e immortalati spesso nelle foto di gruppo. Nelle pagine della storia del Circolo entrano anche coloro che con le piccole donazioni o le domestiche “creazioni” hanno pensato al palato dei partecipanti («aperitivo» e «cocktail»). A tutti un immenso grazie per il loro costante ed ammirevole impegno, la fatica e la dedizione, senza eguali. Ai lettori un cordiale augurio del «sì» alla cultura dell’incontro, del dialogo e della comunione, nel segno del Santo d’Assisi.

 

  1. Mondo fragile

L’11ª ed ultima Serata cinematografica, con «cocktail», ha offerto un film di grande interesse e spessore culturale ed umano. Un mondo fragile (titolo orig.: La tierra y la sombra), diretto dal ventottenne César Augusto Acevedo, sceneggiatore e regista colombiano, premiato al Festival di Cannes 2015, ha fatto capire meglio l’enciclica Laudato si’ ed apprezzare di più la preghiera-inno Cantico delle creature. Una pellicola viva, fisica e immersa, capace di tradurre il senso di un profondo disagio collettivo in espressioni di rinascita. Un cinema ‘in marcia’, da vedere e far vedere, con una qualità pressoché unica oggi: quella di essere necessario.

Un’epica ancestrale della terra, della famiglia e della casa, diventati realtà devastate e negate ne La tierra y la sombra. «La tierra − scrive Zarar, critico cinematografico − è quella della Valle del Cauca, in Bolivia, dove la monocultura latifondistica della canna da zucchero ha devastato il suolo, azzerando le colture e i modi di vita. Terra ormai grigia, piatta e polverosa, percorsa dai fuochi e dalle ceneri degli incendi delle stoppie, simbolo trasparente di una situazione globale di sfruttamento insensato e desertificazione avanzante. La sombra invece – a sua volta simbolo di un’altra natura, fatta di campi verdi, di frutteti, di uccelli, protettiva e consolatoria – è quella, assediata da tutte le parti, del maestoso e frondoso albero, sopravvissuto accanto ad una casa contadina, che una vecchia madre difende con le unghie e con i denti – contro ogni logica – dalla marea avanzante: rifugio fragilissimo di pace, di ricordi, di momenti ‘umani’ in un contesto disumano».

La terra, che dovrebbe essere la terra-madre capace di nutrire i suoi figli, ha ormai perso la sua funzione: non nutre più nessuno, se non qualche compagnia che impiega e sottopaga i corteros de azucar, uomini-automi che tagliano le canne con metodi defatiganti e insalubri. Ora la sua funzione in pieno adempie l’ombra: l’albero del pane è l’unico e ultimo baluardo che si erge contro la desertificazione della campagna. Così, nel film, tornano «miti e archetipi della grande letteratura latino-americana − continua Zarar − fatti cenere e morte: il padre, che da anni ha abbandonato la casa e torna in extremis dal figlio malato e dalla moglie, sente ancora la forza di quei valori che lo hanno riportato indietro, ma sa anche che il ritorno è inutile, che il figlio morirà soffocato da quei fumi velenosi, che l’unica soluzione sarà quella di raccogliere quel che resta della giovane generazione, la nuora, il nipote, e fuggire via, rinunciando alla lotta. La vecchia e indomita madre sarà l’unica a restare, concentrando in sé il senso di una resistenza senza speranza. La resa filmica è particolare: in un vortice di polvere che percorre tutto il film, e che è l’unico vero ‘movimento’. […] Uomini e donne appaiono messi all’angolo, inchiodati ad una minimale resistenza per la sopravvivenza, ormai quasi senza voce». «Una critica vertiginosa della realtà − osserva Riccardo Tavani − che non è urlata, ma neanche propriamente detta: è solo mostrata […]. Un’angoscia straziante ti assale per quel bambino, senza gioie, giochi, giustizia sotto quel cielo di cenere e quella tierra della desolazione».

Un mondo fragile, con il minimo dei mezzi espressivi, riesce comunque a offrirci un minuscolo barlume di speranza, innescando un prolungato dialogo a più voci, sul legame con la propria terra − un ostacolo difficile da sormontare − e sui temi della crisi ambientale e sociale, argomenti tanto cari a Papa Francesco, che con l’enciclica Laudato si’ ha lanciato un accorato appello perché tutti adottino un atteggiamento di cura e di custodia della nostra «casa comune».

 

  1. Happening

Il prossimo appuntamento era fissato per venerdì 23 giugno, solennità del Sacro Cuore di Gesù che pulsa di amore per ogni bambino progettato e voluto dai genitori, per ogni ragazzo, per ogni adulto, per ogni anziano, ma soprattutto per ogni malato, sofferente, emarginato, rifugiato, povero, disoccupato della nostra terra; festa di un cuore che «governa il sole e gli astri» e che in tutto rappresenta l’amore di Dio. Per renderla più bella presso la chiesa «Sacro Cuore» dove ha sede il Circolo, è stato scelto il tema ad hoc: «Laudato si’: Custodi del creato e degli altri Francesco di Paola ed Elena Aiello», il tema dell’11 ed ultima Serata conviviale con «aperitivo» della 4ª edizione del WikiCircolo dal leitmotiv: «L’uomo e sua ‘sorella’ Terra», resa nota già nel gennaio scorso sul pieghevole e sul Sito Web del Circolo e successivamente con cura elaborata nel dettaglio e corredata da due interventi straordinari, quelli del prof. Filippo D’Andrea e del dott. Beniamino Donnici, la 94ª Serata di seguito. Ora questa Serata viene, purtroppo, annullata, cedendo il passo all’evento religioso organizzato oltre due settimane fa dall’Apostolato della Preghiera dell’arcidiocesi Catanzaro-Squillace in collaborazione con il gruppo omonimo locale, un evento che ha il suo momento «clou» alle ore 18.30: la celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo Vincenzo Bertolone e l’agape fraterna a conclusione. Lo Staff del WikiCircolo si scusa con i due Relatori e invita gli amici del Circolo a quest’evento di carattere religioso. Ci saranno altri eventi intrisi di cultura e di gioia da vivere insieme al Circolo.

L’appuntamento è a venerdì 30 giugno, alle ore 19. Vi sarà un happening speciale: «Messa della Terra» (Earth Messa) per cantare l’armonia del creato (oltre a stili musicali, anche la pittura paesaggistica e i versi degli animali: l’ululato del lupo di Gubbio o il canto della cicala), a conclusione della 4ª edizione del Wiki- e CineCircolo. Un evento di suggestivo pathos, musicale, estetico e conviviale. Il M° Luigi Cimino, toccando le corde dei nostri cuori, ci trascinerà verso i territori che si trovano in noi stessi e in territori in cui è sospesa la nostra minuta e stupefacente Terra, con i suoi spazi trapassati dalle radiazioni delle stelle.

Le Serate della nuova edizione, la 5ª, del WikiCircolo e del CineCircolo inizieranno dopo la pausa estiva: venerdì 22 settembre è in programma la 1ª Serata conviviale con «aperitivo» e venerdì 29 settembre la 1ª Serata cinematografica con «cocktail». Tutte e due le edizioni continueranno ad ispirarsi all’enciclica Laudato sì’ di Papa Francesco e alla poesia-preghiera Cantico delle creature di frate Francesco, ma anche al Messaggio per la 51ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali «“Non temere, perché io sono con te” (Is 43,5). Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo». Sarà questo un surplus che le darà un tocco speciale.

Il Circolo Culturale San Francesco è una straordinaria opportunità per tutti. I suoi eventi e messaggi sono indirizzati non solo ai soci, simpatizzanti ed amici del luogo in cui ha la sua sede legale, ma anche ai lontani, ai credenti e ai non credenti, a quanti, grazie al Sito Web, vengono in contatto con il suo ideale: «la cultura e la cura dell’altro», nel segno di frate Francesco d’Assisi. Un legame speciale esso conserva tuttavia con la sua città, Catanzaro Lido, e in particolare con il quartiere Casciolino, dove sorge la chiesa «Sacro Cuore». Un intenso legame genetico, strutturale, ambientale. Il Circolo è sorto proprio qui, come leggiamo del resto nell’art. 1 dello Statuto: «In occasione del 50° anniversario della solenne proclamazione della parrocchia francescana “Sacro Cuore”, viene costituita con sede a Catanzaro Lido, Viale Crotone, n. 55, presso la chiesa “Sacro Cuore”, l’Associazione “Circolo Culturale San Francesco” quale libera Associazione a carattere culturale e spirituale, aperta a tutti coloro che ne condividono le finalità e per mantenere vivo il ricordo, lo spirito e l’umanità di s. Francesco d’Assisi». I parrocchiani del «Sacro Cuore» sono quindi nel cuore del Circolo fin dal principio: è il «cuore creativo della loro parrocchia», il «punto di socializzazione», l’«ambiente» o il «luogo» per eccellenza, diverso dai «non luoghi»: piazze, centri commerciali, lungomari, bancarelle, stazioni ferroviarie (al riguardo si legga l’articolo: Ideale del Circolo: la cultura e la cura dell’altro).

Partecipando fattivamente alle sue iniziative, programmi e progetti, possono «dimostrare cosa c’è di buono in una città nota come deserto intellettuale ed affettivo», «creare modalità nuove di fratellanza e di comunione, far crescere e consolidare l’esperienza del “noi”», «prestare attenzione alle sfide, tormenti e speranze», «lavorare non solo per noi stessi e per i nostri figli e nipoti, ma per tutti gli altri». In tal modo il Circolo potrà essere «una risposta ai “non luoghi”, al non vissuto, alla noia, all’accidia, alla passività, al silenzio… una risposta che forse la gente sognava, ma non osava immaginare… È tutto il nostro essere ed agire che ha bisogno di rinsanguarsi al di fuori di un pernicioso immobilismo, causato da inerzia o paura di un confronto con una visione attiva della vita». Grazie alla cultura, tutti possiamo «divenire sempre più uomini e imparare ad essere di più non solo “con gli altri”, ma anche “per gli altri”. Questo è anche il compito del Circolo, con le sue potenzialità, con il suo ruolo d’avanguardia e con i suoi progetti volti a ripristinare i valori umanistici, evangelici e francescani: fratellanza, solidarietà, dialogo, giustizia e pace…» (ivi, p. 6). Esso non è tuttavia un gruppo parrocchiale, ma – ripetiamo – è un’opera affidata alla parrocchia «Sacro Cuore», e come tale ha la benedizione di mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, attraverso una pergamena. È l’unica opera del genere sul territorio, l’opera che abbraccia tutti i gruppi parrocchiali e va oltre: è aperta ai vicini e ai lontani, a tutti senza distinzione alcuna. Tutti allora hanno un’eccezionale opportunità di farsi promotori di quest’opera, sostenere ed affiancare i suoi programmi, e imbarcarsi in nuovi progetti, con coraggio, entusiasmo e speranza. «Tutti dentro!» (Intra omnes)

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Come ci si sente ad essere “spogliati” di tutto?

Empatia e compassione sono stati sentimenti che ci ha regalato la 10ª Serata cinematografica della 4ª edizione del CineCircolo, che si è tenuta venerdì 26 maggio, nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» situato al lato destro della chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. Il film Gli invisibili di Oren Moverman e la cineconversazione su «cosa significa essere emarginati e “scartati” dalla società, privati persino del proprio passato e della propria identità, senza alcuna speranza di riscatto, reinserimento e riabilitazione», ci hanno proiettato verso il dramma delle periferie e delle banlieue, dei sobborghi della città e dei margini della società. Una proiezione illuminante, coinvolgente, rivitalizzante.

Papa Francesco molte volte ha ripetuto la frase, ormai famosa, che «il mondo si vede meglio dalle periferie che dal centro». La sua teologia, del resto, ha sempre nella periferia il suo punto focale, paradossalmente centrale. Con intensità ha vissuto la sua città, Buenos Aires, una tipica megapoli dell’era globale, e lì ha scoperto il dramma − appunto − delle periferie, facendole centro. Così è iniziato il suo viaggio verso l’incontro e l’amicizia, costruendo ponti tra le parti che non si parlano o che a volte sono in conflitto. C’è una sua intervista, straordinaria, che risale al marzo 2015, ma che inopinatamente non è nel catalogo delle più importanti del suo pontificato, surclassata da quelle rilasciate a braccio. Il Papa, parlando al Càrcova News, una rivista pubblicata in una delle tante ville miseria della grande Buenos Aires, afferma: «Quando parlo di periferie, parlo di confini. Normalmente noi ci muoviamo in spazi che controlliamo in un modo o nell’altro. Questo è il centro. Nella misura in cui usciamo dal centro e ci allontaniamo da esso, scopriamo nuove cose e, quando guardiamo al centro, da queste nuove cose che abbiamo scoperto (…) vediamo che la realtà è diversa». Ed è questo il punto al cuore della questione: «Una cosa è osservare la realtà dal centro e un’altra è guardarla dall’ultimo posto». E’ proprio questo che ci ha aiutato a comprendere meglio il mondo degli “invisibili” ed imprimerlo alla nostra mente durante la Serata della 4ª edizione del CineCircolo focalizzata sul tema: «’Sorella’ Terra per immagini» e ispirata all’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco e alla preghiera-inno Cantico delle creature di frate Francesco − la 91ª Serata di seguito, tra quelle cinematografiche e quelle conviviali, con decorrenza dal 10 gennaio 2014. «Guardando il mondo dalle periferie − ha detto la dott.ssa Teresa Cona, curatrice dell’edizione, presentando agli spettatori il programma della Serata −, ci rendiamo conto che abbiamo tanto da imparare».

La pellicola Gli invisibili ci ha immerso in un ambiente duro, sconcertante, degradante, umiliante, pieno di anime in pena, al Bellevue Hospital, il più grande centro di accoglienza di New York per gli homeless, i barboni, gli uomini senza tetto e senza dimora. Il protagonista, l’attore Richard Gere, privo di glamour e irriconoscibile nei panni disperati di George, è un barbone costretto a vivere circostanze che nessuno vorrebbe mai sperimentare. Cosciente della sua sconfitta umana e sociale, rispetto al modello americano, e confuso dagli incontri con il sottomondo e con la burocrazia che si occupa dei poveri, si aggira e non sa trovarsi… L’incontro più ossessivo è quello con un chiacchierone mitomane nero che finisce per comportarsi come un suo doppio. Cacciato dall’appartamento fatiscente, in cui era ospite a causa dello sfratto della sua amica affittuaria, si ritrova a vagabondare per le strade di Manhattan, passando dalla sala d’aspetto di un grande ospedale ad un affollato dormitorio pubblico, da un banco dei pegni, in cui racimolare qualche soldo, ad un ufficio dell’assistenza sociale dove riscattare le proprie credenziali, cercando nel frattempo di ricucire un improbabile rapporto con una figlia ormai adulta, abbandonata anni prima. La sua condizione di homeless  lo rende un reietto condannato a vivere ai margini della società, senza alcuna speranza di riscatto e privato persino del proprio passato e della propria identità. E’ pressoché invisibile agli occhi degli abitanti della città. La sua storia − per il regista Oren Moverman, filmaker di origini israeliane, ma newyorkese d’adozione, scrittore, giornalista e sceneggiatore − è un punto di partenza insolito per farci capire come ci si sente ad essere “spogliati” di tutto e a non avere nulla, senza nessuna possibilità di una catarsi. La precarietà esistenziale e l’indigenza sono le chiavi attraverso cui leggere anche la congiuntura socio-economica dei nostri giorni e mettere il dito su una piaga dolorante della nostra società, senza enfasi e senza sensazionalismi d’accatto.

C’è la città dei reietti e dei loro modi di sopravvivere, delle burocrazie assistenziali, delle piccole violenze e delle ancora più piccole solidarietà tra perduti, un mondo che il cinema affronta raramente e quasi sempre con un’estetica da studio. Comunque, nel film di Oren non c’è soltanto l’aggirarsi sperduto di un nuovo povero nella marginalità, che è di tanti, quella che sfioriamo ogni giorno facendo magari finta di non vederla. C’è anche la tradizione tutta hollywoodiana e americana del melodramma familiare. C’è l’usuale filigrana del romanzo che finisce con l’aggredire e lo svilire la forza del documentario. Il protagonista ha una figlia che non lo ama, ma che, alla fine, si pente e lo rincorre… «Tutto è bene quel che finisce bene, a Hollywood e a New York, ma di queste astuzie così predeterminate e insincere rispetto ai grandi problemi dell’ingiustizia e della miseria il cinema attuale − osserva Goffredo Fofi, critico e direttore della rivista Lo straniero − ha poco bisogno, e chiede altre verità, nel documentario, nel romanzo e nelle ibridazioni possibili tra documentario e romanzo. Gere non è un homeless, è un attore travestito da homeless. Moverman non è Jack London, è un regista che sa navigare nel mondo dei ricchi, come tanti suoi colleghi, parlando dei poveri. Anche nel cinema, oggi più che mai, ci sono ibridazioni necessarie e ce ne sono di fasulle, di modaiole. L’oscillazione di Moverman è di quelle meno sincere, e dunque delle più opportunistiche, delle meno simpatiche». «La sua America è quella marginale e sconfitta della Kelly Reichardt di Old Joy e Wendy and Lucy, un paese delle opportunità non andate a buon fine e di una ricerca di valori umani (l’amicizia, l’amore filiale, l’attaccamento al proprio cane) che sembrano gli unici antidoti ad un nichilismo esistenziale da cui non pare esserci scampo» (maurizio73).

«La povertà è una brutta bestia ed a poco serve addomesticarla e tenerla al guinzaglio» − sembra ammiccare Moverman, che vorrebbe rintuzzare la cattiva coscienza di un pubblico occidentale che osserva con indolenza le sorti di chi non c’è l’ha fatta, definitivamente tagliato fuori da un circuito produttivo e sociale che esclude e che ghettizza, capace al più della compassione e del rispetto che si deve a quella parte di umanità finita nell’angoscia del cul-de-sac [vicolo cieco] dell’assistenzialismo pubblico e della solidarietà privata, ma senza alcuna speranza di reinserimento e riabilitazione, men che meno meritevole dell’affetto dei suoi cari.

Non ci sono intenti moralistici o reprimende politiche per un film in cui lo stesso regista si mette dalla parte di chi osserva, con freddo distacco, le dignitose peregrinazioni di un uomo senza speranza, di una risalita dagli inferi della solitudine di un reietto che cerca di ricominciare là dove si era interrotto il suo percorso di vita, tra una moglie morta di cancro, nonostante i disastrosi sforzi economici che lo hanno condotto alla bancarotta, ed una figlia ancora piccola abbandonata alle cure dei nonni. Dopotutto, è un lungometraggio che ci permette di trascorrere del tempo con qualcuno che mai avvicineremmo se non fossimo nella sua stessa identica condizione. Di più, ci sprona a prestare attenzione a chi ci circonda − è già questo un atto di compassione − con la speranza che alla fine si guardi in maniera diversa a chi per mangiare fruga in un bidone della spazzatura.

Il nostro pensiero vola quindi, anche se «en passant», ai rifugiati, immigrati, anziani, bambini e ragazzi che vivono ai margini della nostra società, al loro entusiasmo quando giocano, con una palla sgonfia o fatta di stracci, alle periferie delle grandi città o nei piccoli paesi. Le sofferenze di questi “invisibili” non possono essere neglette, perché non sono mai banali. E’ importante, dunque, incoraggiare tutti – istituzioni, società sportive, realtà educative e sociali, comunità religiose – a lavorare insieme affinché questi bambini possano accedere allo sport in condizioni dignitose, in particolare quelli che ne sono esclusi a causa della povertà. «Il mondo si può cambiare, aprendo il cuore agli altri, ascoltando gli altri, ricevendo gli altri, condividendo le piccole cose (…) di ogni giorno, con la generosità, e creando atteggiamenti di fratellanza!». E’ questa l’esortazione rivolta da Papa Francesco a circa 6 mila giovani dell’esperienza educativa cristiana «Graal» e «I Cavalieri» ricevuti il 2 giugno scorso in Vaticano.

Grazie, Oren Moverman, per averci dato l’opportunità di elevarci dall’emotività e dall’«ego» e per averci messo su un percorso che porta alla compassione! La compassione è un sentimento di partecipazione alle sofferenze, ai dolori e alle disgrazie altrui, che fiorisce spontaneamente dall’empatia, ma che, per esprimersi, richiede altri ingredienti come immaginazione e attenzione verso gli altri. E se con il tempo e l’esperienza si aggiunge la consapevolezza di sé, degli altri, del dolore, del mondo, allora la compassione può diventare qualcosa di più: amore.

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Tre Serate con «sor’Acqua»

Il Circolo Culturale San Francesco è un singolare fenomeno creativo, in atto, in marcia, in movimento. Un movimento che permette uno sguardo positivo, propositivo, costruttivo. Un movimento di speranza. Una ricetta contro l’inerzia e l’accidia, il pessimismo e il lamento, la recriminazione e l’esclusione. Con le sue due sezioni: Wiki– e CineCircolo riesce ad attrarre intorno a sé le energie sparse qua e là ed associarle ai temi di attualità e di interesse sociale. Immagazzinando e ottimizzando varie suggestioni, lancia la sua proposta che comunica speranza e fiducia nel nostro tempo. Un antidoto alla disperazione e alla chiusura, alla disgregazione e alla frantumazione, e a favore dell’incontro, dell’armonia e dell’impegno. Non ammaliato da nessun colore politico, ma sempre fedele al suo Statuto, nel prodigarsi di creare «la comunione, irradiare la gioia ed edificare la pace» − è uno dei suoi messaggi centrali − ha il vantaggio di distinguere i fatterelli dagli eventi e le mode dai segni dei tempi. I suoi amici, vicini e lontani, vengono quindi spronati a non lasciarsi imprigionare dal pensiero debole ed uniforme, «prêt-à-porter», rubare l’entusiasmo e «guardare la vita dal balcone», ma andare controcorrente, oltre l’ordinario e il conformismo, coltivare progetti di ampio respiro e stare lì dove sono le grandi sfide, quelle inerenti alla vita, alla lotta per la dignità delle persone «scartate», alla custodia della «sora nostra matre Terra» (Cantico delle creature, v. 9), contro la povertà, lo sfruttamento, la distruzione e l’inquinamento di ogni sorta. E’ vitale capire bene i segni dei tempi ed essere «protagonisti degli accadimenti contemporanei», per dirlo con le parole di Papa Francesco.

Con tre settimane di seguito: due Serate cinematografiche [1. «Per amore dell’acqua» (28.04.2017), 2. «Una scomoda verità» (12.05.2017)] e una Serata conviviale dal tema: «Laudato si’: il diritto di tutti e per tutti all’acqua e al cibo» con l’intervento speciale dell’arch. Walter Fratto di Catanzaro (5.05.2017), il Circolo ha voluto scuotere gli animi puntando i riflettori sulla questione cruciale del nostro mondo: l’acqua, l’«oro blu», il bene più prezioso dell’umanità, l’elemento che fa del nostro Pianeta l’unico dove è possibile la vita.

«E’ interessante − si legge nell’articolo Laudato si’ per sor’Acqua! che sintetizza la Serata con la proiezione del film Per amore dell’acqua di Irena Salina e il cinedibattito intorno al tema: «Davvero qualcuno può detenere il possesso dell’acqua?» − come Papa Francesco nella Laudato si’, parlando dell’acqua, parli del diritto alla vita. Quando noi parliamo di questo diritto, di solito facciamo riferimento a eutanasia e aborto, ma lui ne parla in riferimento all’acqua: “L’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani” (ivi, n. 30). Un testo più forte non si poteva scrivere! L’acqua è vita». Eppure essa ha tanti nemici e rischia di non essere «res publica», ma alla portata di poche società senza scrupoli…

L’accesso a questa «sor’Acqua» (Cantico delle creature, v. 7) è un diritto inalienabile, individuale e collettivo. E’ di tutti e per tutti, come di tutti e per tutti è la «sora nostra matre Terra» (ivi, v. 9). Anch’essa è in pericolo. Siamo seduti su una bomba a orologeria e rischiamo l’estinzione. Il dibattito è finito da tempo e la verità va detta: l’«effetto serra» sta avendo effetti devastanti e, se non agiremo subito, saremo testimoni di una catastrofe di proporzioni terrificanti, impensabili, inimmaginabili.

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Secondo la maggior parte degli scienziati del mondo ci resta poco per evitare questa catastrofe che potrebbe innescare una spirale distruttiva nell’intero sistema climatico del Pianeta: scarseggerà l’acqua potabile, aumenteranno i periodi di siccità, si registreranno ondate di caldo letali, epidemie e grandi esodi. Sempre più frequenti saranno uragani violenti e di conseguenza si verificheranno gigantesche inondazioni di città… con morti, danni e perdite economiche. Questa è la scomoda verità che ci ha presentato il documentario di Davis Guggenheim, attraverso le parole di Al Gore. Scomoda ai governi, alle multinazionali, a coloro che non si rendono conto che lo sviluppo, così com’è stato concepito fino ad ora, non può essere infinito. Gore, che ha partecipato ai negoziati per il protocollo di Kyoto (1997), sembra essere uno dei pochi americani ad aver capito con chiarezza la drammaticità della situazione.

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Come però è possibile affrontare il surriscaldamento globale del Pianeta? Basterà lo sviluppo di energie alternative: eoliche, solari, termonucleari, e l’abbandono dei combustibili fossili tradizionali? Sarà sufficiente modificare le case con impianti solari e finestre termiche, cambiare le lampadine di casa con quelle a basso consumo, utilizzare l’aria condizionata solo quando necessario, mettere sulle auto impianti a gas o acquistare auto ibride, dedicarsi alla raccolta dei rifiuti abbandonati, piantare un albero? Comunque, per salvare il mondo dall’autodistruzione, bisogna agire, in fretta e alla svelta. E’ il momento di smettere di restare immobili. Bravissimo il regista Davis Guggenheim e ancor più bravo Al Gore, che è riuscito ad entusiasmarci con questo film, impegnandoci in una vera e propria missione: quella di partecipare alla grande sensibilizzazione dell’umanità sull’inquinamento e sul surriscaldamento della «sora nostra matre Terra». Grazie, Al! E grazie, Staff del Cine- e WikiCircolo!

E’ stato consolante vedere i convenuti uscire dalle Serate con gli occhi luminosi. Chissà, forse sono riuscite a trasformare il bagaglio di delusioni, di sofferenze e di sconfitte, che ognuno di noi si porta nel cuore, in un racconto, in una narrazione, in una pensabilità positiva? Essere positivi è già un grande passo in avanti. L’urgenza di un racconto di speranza e di fiducia, contrassegnato dalla logica della buona notizia: è quella che predomina nel mondo di oggi e che il Circolo deve e sa intercettare.

Piotr Anzulewicz OFMConv

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«Laudato si’ per sor’Acqua!»

E’ stato importante esserci, venerdì 28 aprile, all’8ª Serata cinematografica, con la proiezione del film Per amore dell’acqua – FLOW di Irena Salina e il cinedibattito intorno al tema: «Davvero qualcuno può detenere il possesso dell’acqua?», promossa dal Circolo Culturale San Francesco all’interno della 4ª edizione del CineCircolo, il cui leitmotiv è: «’Sorella’ Terra per immagini», l’edizione ispirata all’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco e alla preghiera-inno Cantico delle creature di frate Francesco.

Far parte del Circolo significa anche imparare a condividere… e la condivisione è qualcosa di veramente grande e bello, perché essa ci fa sentire famiglia, comunità, casa. Ci si forma e ci si documenta insieme, si dialoga e si apprende insieme, insieme si conoscono le grandi sfide e tormenti, idee e progetti, e alla fine si esce con gioia e passione, per trasmetterli agli altri, nei gesti e atti. C’è tanto da fare per migliorare il nostro micro- e macrocosmo. «Ci troviamo in un momento critico della storia della Terra, un periodo in cui l’umanità deve scegliere il suo futuro. […] La scelta è nostra: dar vita ad una condivisione/collaborazione globale per prendersi cura della Terra e gli uni degli altri, oppure rischiare la distruzione di noi stessi e della diversità della vita» (Unesco, Carta della Terra, 2000). Oltre che il grido della Terra occorre ascoltare il grido dei poveri, cioè di coloro che in modo diretto e drammatico pagano i nostri egoismi e la mancanza di cura per «madre e sorella Terra». Papa Francesco ci ha regalato una Lettera-enciclica di straordinaria importanza sulla cura della nostra casa comune, che prende il titolo dal ritornello del Cantico di frate Francesco: Laudato si’».

Non sembra che molti di noi siano coscienti della sfida che abbiamo di fronte. Tuttavia alla Serata non sono mancati i cinofili, quelli appassionati, fervidi, fedeli, attratti dal programma pubblicato in anticipo su questo portale e su facebook del Circolo, esposto sulla bacheca della chiesa «Sacro Cuore» e presentato all’inizio dell’evento dalla dott.ssa Teresa Cona, curatrice delle edizioni del CineCircolo. I più «tosti» a lungo, dopo la proiezione della pellicola, sono rimasti “incollati” all’argomento della Serata, con un obiettivo tostissimo: difendere la «sor’Acqua» come un bene pubblico. Meritatissimi. Eccoli sulle foto… Uno di loro ha comunque un volto dolente, perché avrebbe voluto vedere tra i presenti coloro che ogni domenica, giovedì e venerdì mattina sentono i suoi appelli e «promemoria».

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«Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Acqua!» (Cantico di frate sole, v. 7: FF 263). E’ una lode che è nata dall’esperienza di frate Francesco, un uomo credente nel Dio della Bibbia. E’ importante ricordarlo per non falsare il significato di questa «laus» e non strumentalizzarla a sostegno di ideologie o sensibilità che erano estranee al tempo in cui egli visse. C’è una teologia che per la maggior parte va al suo tempo e alla quale anche lui è debitore. Ogni creatura è portatrice di frammenti di valore, di unità, di bellezza, e come tale è simile a Dio Creatore da cui proviene. Simile non è sinonimo di uguale. «Simile − ci spiega Chiara Francesca Lacchini − è l’incrocio tra uguale e diverso! Il mondo scaturisce da Dio come una cascata di luce che, allargandosi e degradando, penetra e configura tutto. Qui inizia il movimento di Dio di uscire, di discendere, per preparare il ritorno, l’ascesa, la riconquista di quel cielo perduto a causa del peccato, la salita dell’uomo a Dio attraverso le cose» (Aa. Vv., Sorella Terra. Il Cantico di s. Francesco, Padova 2016, pp. 77-78).

Attenzione, però. Vi è anche una novità che frate Francesco immette dentro questo dinamismo: il cammino dell’uomo attraverso il reale, illuminato dalla Bibbia. Egli ha intuito che non è il creato il termine-fine della lode, non sono le creature l’oggetto della lode, non è il creato lo scopo della realizzazione dell’uomo. Il senso del cammino umano-cristiano è ritrovare l’alleanza con Dio e tornare a lui capaci di riconoscere la concretezza dei suoi doni. Il suo amore è l’orizzonte o il luogo entro cui si compie il cammino e in cui anche la creazione, specchio del suo amore divino, acquista l’identità. Il Cantico non loda, dunque, le creature, ma il Creatore. Il suo autore non è cantore del creato, ma di Dio. Tutte portano la sua «significazione», narrano la sua gloria, sono lo specchio della sua bontà e il segno del suo amore. Non è il sole che ci illumina, ma è lui, il Signore, che «allumina noi per lui». Non sono l’acqua, le piogge, il vento a garantirci ciò di cui abbiamo bisogno per vivere, ma tutti questi elementi sono lo strumento attraverso cui lui, il Signore, «a le Sue creature dà sustentamento» (v. 6). L’«altissimu, onnipotente, bon Signore» (v. 1), che Francesco invoca, è il Dio-Padre che crea non per sé, a proprio uso e consumo, per il proprio comodo, ma con gioia di una vita donata. Nel momento in cui crea l’uomo relativizza e de-assolutizza la sua presenza, si ritrae e lascia che l’uomo possa liberamente esercitare la propria responsabilità. L’Assisiate, con la sua intuizione di fraternità, ci insegna che tutto ciò, che vediamo e tocchiamo, è un dono e un «tu» per noi e noi siamo un «tu» per esso. Ecco perché bisogna porgere l’orecchio non solo al nostro fratello umano, ma anche alla nostra sorella Acqua e al fratello Sole… al creato, perché Dio è nel dettaglio:

«Fratelli − dice starets Zosima ne’ I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij − non temete il peccato degli uomini. Amate l’uomo anche nel suo peccato, perché questa immagine dell’amore di Dio è anche il culmine dell’amore sopra la terra. Amate tutta la creazione divina, nel suo insieme e in ogni granello di sabbia. Amate ogni piccola foglia, ogni raggio di sole! Amate gli animali, amate le piante, amate ogni cosa. Se amerai tutte le cose, coglierai in esse il mistero di Dio» (p. II, lib. VI, III).

Veniamo a noi e alla «sor’Acqua». Siamo noi che alla fine decideremo quello che avverrà a questa sorella e madre della nostra vita. E’ interessante come Papa Francesco nella Laudato si’ torni sul tema e, parlando dell’acqua, parli del diritto alla vita. Quando noi parliamo di questo diritto, di solito facciamo riferimento a eutanasia e aborto, ma lui ne parla in riferimento all’acqua: «L’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani» (n. 30). Un testo più forte non si poteva scrivere! L’acqua è vita. Senza petrolio si può vivere, ma senza acqua non si può vivere, al massimo tre o quattro giorni. Se oggi abbiamo 50 milioni di morti di fame, e non perché non ci sia cibo, ma perché i poveri non hanno i soldi per comprarselo (a livello mondiale buttiamo via tanto di quel cibo che basterebbe per sfamare tutti, ma se però i poveri non hanno i soldi, muoiono di fame), domani avremo 100 milioni di morti di sete: è questo il futuro che attende i poveri?

Sul nostro Pianeta c’è acqua a non finire. Il problema grave è che di acqua buona e potabile ne abbiamo poca: solo il 2,5%. Il 70% di questo 2,5% è usato per l’agricoltura. L’agribusiness delle grandi multinazionali non solo consuma, ma inquina e sporca, con tutte le sostanze erbicide e pesticide che penetrano ed entrano nell’acqua. L’acqua scorre ancora, fluisce e si dona a chiunque incontri, come fosse consapevole di essere indispensabile alla vita, ma in alcuni luoghi ha smesso di farlo ed ora ristagna soltanto, segnalandoci la possibilità di un futuro drammatico.

Attraverso il film Per amore dell’acqua. FLOW (titolo orig.: For Love Of Water) abbiamo scoperto che l’acqua e il suo uso sicuro ha tanti nemici, alcuni dai nomi strani o esotici. Il primo si chiama “atrazina”, un terribile erbicida ad alta tossicità il cui uso è vietato in Europa, ma non in America. Il secondo nemico si chiama il complesso delle grandi multinazionali (come Vivendi o Nestlè), che ispirate ed orientate solamente dalla logica del profitto a tutti costi, aspirano a mettere sempre più in commercio – e sempre più in regime di monopolio – le forniture di acqua, rendendola un bene assai più costoso e raro di quanto effettivamente già non sia diventato. Il terzo nemico è la mancanza di purezza dell’acqua stessa – anche per effetto di mancanza di veri controlli – che rendono pericolosa l’acqua del rubinetto, ma ancora di più le cosiddette acque in bottiglia. Tutto questo spiega come e perché le morti collegate all’uso di acque non sicure e non pure siano superiori a quelle determinate da altri grandi flagelli, come l’Aids o le guerre del terzo mondo.

Gli esperti e studiosi intervistati nel corso del film, da Vandana Shiva a Peter Gleick, Maude Barlow, Ashok Gadgil, Erik D. Olson, William E. Marks, Wernonah Hauter, Shri Rajendra Singh, Jim Shultz, Michel Camdessus, Tyron B. Hayes, Gérard Mestrallet, Ronnie Kasrils, David Hemson, James M. Olson, Patrick McCully, Holly Wren Spaulding, Jean-Luc Touly, ciascuno dal proprio punto di vista e dall’osservatorio particolare del proprio lavoro di ricerca, non hanno dubbi: per le cause ricordate prima, negli ultimi 50 anni siamo stati capaci di sporcare una alta percentuale di acque nel nostro Pianeta, avvelenando le falde e colpendo a morte perfino il mare. Il futuro è ancora più minaccioso: se nulla cambia e se si lasceranno i signori dell’acqua ancora liberi di sfruttare questo bene primario, esso determinerà la nascita di grandi conflitti, vere e proprie guerre tra i poveri, per accedere ad una parte delle risorse idriche. Il FLOW ha raccolto dati, ascoltato testimonianze, cercato storie per comporre un quadro completo di quello che gli esperti chiamano «21st century’s global water crisis».

Ci sono nel film i grandi cartelli mondiali dell’acqua, che mirano a una privatizzazione globale delle risorse idriche, ci sono gli scienziati che spiegano perché stiamo raggiungendo il punto di non ritorno, ci sono gli attivisti che lottano contro le multinazionali, c’è la nostra quotidiana stupidità di comprare acqua in bottiglia che è meno pura e meno sana di quella che esce dai nostri rubinetti. E, come ha calcolato uno studio voluto dalle Nazioni Unite, «meno della metà di quanto il mondo spende per comprare acqua in bottiglia basterebbe per dare acqua pulita a tutta l’umanità». Sotto tale aspetto il film è non solo un grido di denuncia, ma anche l’individuazione di un filone di lotta perché l’acqua divenga un bene alla portata di tutti e non di poche società senza scrupoli.

Non cediamo a nessuno la nostra «sor’Acqua». E’ di tutti e per tutti… Arrivederci alla prossima Serata, con l’intervento speciale dell’arch. Walter Fratto!

Piotr Anzulewicz OFMConv




L’«inutilità» del silenzio?

Sono stati in tanti coloro che venerdì 24 marzo hanno colto al volo l’occasione per riflettere sul valore del silenzio, del distacco dal mondo, della preghiera, del lavoro. Quest’occasione è stata offerta dalla 6ª Serata cinematografica, con la proiezione del film «Il grande silenzio» di Philip Gröning, ideata all’interno della 4ª edizione del CineCircolo, il cui leitmotiv è: «’Sorella’ Terra per immagini», l’edizione ispirata all’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco e alla preghiera-inno Cantico delle creature di frate Francesco, promossa dal Circolo Culturale San Francesco ed aperta a tutti, l’83ª Serata di seguito, tra quelle cinematografiche e quelle conviviali. Ricco è stato il suo programma, pubblicato in anticipo − insieme alle recensioni e all’intervista al regista e sceneggiatore tedesco, autore di tre lungometraggi di fiction (Sommer del 1986, Die Terroristen! del 1993, L’amour, l’argent, l’amour del 2001 − su questo Sito Web, nella sezione «Prossimi Eventi», e presentato al pubblico, come d’abitudine, dalla dott.ssa Teresa Cona, segretaria del Circolo e curatrice principale dell’edizione:

  1. Ascolto dei brani dell’enciclica Laudato si’ (n. 235-237) [Audio-libro realizzato nel 2016 dall’editore Luca Sossella ed accompagnato da una guida alla lettura e all’ascolto del testo, scritta da Antonio Spadaro SJ, direttore diCiviltà Cattolica]
  2. Nelle paludi di Venezia Francesco si fermò a pregare e tutto tacque − il testo tratto dalla Leggenda maggiore di s. Bonaventura (LegM VIII 9: FF 1154), musicato e cantato da Angelo Branduardi, musicista varesotto, insieme con Teresa Salgueiro, cantante portoghese
  3. Note preliminari riguardanti il regista Philip Gröning, la trama del suo film e il tema del cinedibattito («Il distacco dal mondo e il valore del silenzio, della preghiera, del tempo e del lavoro»)
  4. Proiezione del film Il grande silenzio (Intervallo: 10′)
  5. Impressioni, osservazioni e condivisioni sul tema del cinedibattito
  6. Comunicazioni relative al Circolo ed annuncio del prossimo evento
  7. Recita della Preghiera cristiana con il creato (Laudato si’, n. 246)
  8. Foto di gruppo e «cocktail»

Nel corso della Serata si è aggiunto, con sorpresa di molti, un altro punto: quello con un brindisi augurale per quanti di noi il 19 marzo hanno festeggiato l’onomastico: Peppino Frontera, Pino Aversa e Pina Lista. In quest’occasione il nostro operatore tecnico Ghenadi Cimino ha proiettato il video Oh Happy Day (Sister Act 2), la performance di Ryan Toby e del Coro della St. Francis High School di San Francisco, che ha ulteriormente riacceso la gioia e la bellezza di stare insieme come fratelli ed amici.

Non occorreva essere mistici, e neppure credenti, per partecipare a questo appuntamento con un film-monolito, straordinario e ipnotico. Bastava saper rinunciare a una “storia” ed entrare in un ritmo solenne e insieme lieve, in uno spazio e in un tempo a parte. Un antidoto alle false priorità del nostro tempo. Un film in cui dall’apparente monotonia della quotidianità emergeva subito una semplice certezza: serenità. Un film ancora capace di comunicare, come solo il grande cinema sa fare: con una sequenza, ad esempio, di primi piani, tutti uguali e tutti diversi: quelli dei monaci certosini della Grande Chartreuse, silenziosamente arroccata sulle Alpi francesi nei pressi di Grenoble, e naturalmente tutti in silenzio, quello delle nostre ormai rarissime occasioni.

Il silenzio conta, eccome. Ne hanno parlato, tra l’altro, Peppino Frontera, Sebastiana Ciambrone, Nunzio Familiari e il sottoscritto. Il presbitero, ad esempio, che accompagna un malato giunto ai suoi ultimi giorni di vita, si confronta spesso con questa dimensione quasi perduta o uccisa nella nostra società, anche dagli mp3 o i social network. Chiusa la porta della stanza, soli di fronte al mistero della vita, che si trasforma attraversando quello della sofferenza, non si può fare a meno di sentirsi come calati in un’atmosfera diversa, di avvertirne quasi il palpitare. Eppure «oggi vale soltanto ciò che è contenuto nel brusio, solo ciò che in esso accade», a tal punto che, per usare le parole di Søren Kierkegaard († 1855), filosofo, teologo e scrittore danese, «gli individui amanti della solitudine e del silenzio sono classificati insieme ai delinquenti» o perlomeno guardati con molto sospetto. Al riguardo sarebbe molto utile leggere il libro di Max Picard († 1965), medico, poeta e pensatore svizzero, dal titolo Il mondo del silenzio, riproposto nella nuova traduzione italiana a cura di Jean-Luc Egger, aggiornato e perfezionato sulla prima edizione tedesca del 1948 (Servitium, 2014). E’ un’opera affascinate per lo stile piano e poetico, ma soprattutto per l’armonia che trae dagli infiniti “incontri” che descrive, come una “anti-fuga” di variazioni sul tema essenziale del “silenzio”. Non l’apologia, non fuga dalla parola, bensì riscoperta del silenzio, quale luogo originario della parola, di ogni elemento del creato e soprattutto dell’uomo nella sua essenza originaria e incontaminata.

«Viviamo in un mondo − scrive Silvano Zucal, docente nel Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Trento, rifacendosi a Picard − nel quale sembra ormai dominare soltanto il puro brusio verbale (Wortgeräusch), ovvero una parola ormai uccisa», come un continuo rumore di fondo nel quale si va progressivamente perdendo la capacità di stare in silenzio, di rispettare l’altrui silenzio e, in ultima analisi, di ascoltare. L’ascolto, quello dell’orecchio e quello del cuore, è secondo Zucal «una virtù sconosciuta (…), assolutamente trasgressiva perché va a incidere su una società per lo più abitata da inascoltanti a tutti i livelli (…), narcisisti e replicanti che parlano sempre e non ascoltano mai». Se si perde la dimensione del silenzio non si è più capaci di dare peso alle parole e non si riesce più ad ascoltare l’uomo, specie quando quest’ultimo è malato e non ha più la forza di imporre a nessuno il proprio discorso e le proprie ragioni. E così se, come diceva Pier Paolo Pasolini († 1975), poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, attore, paroliere, drammaturgo e giornalista, «la morte non consiste nel non poter più comunicare, ma nel non potere più essere compresi», il malato muore davvero, relegato in un angolo nel quale, incompreso, sarà considerato solo un fardello inutile.

E’, dunque, vitale soffermarsi sul valore del silenzio, dell’ascolto, della fuga dal mondo… Bisogna subito notare la radice comune tra perdita del silenzio e perdita dell’uomo tout court: la categoria che Picard riferisce positivamente al silenzio, «senza utilità», cioè «totalmente estraneo al mondo dell’utile», è la stessa che finisce, negativamente, per essere applicata al malato morente, in coma, in stato vegetativo, o al figlio in grembo non desiderato perché magari malformato. La soluzione eutanasica o abortista è spesso proprio figlia della perdita della capacità di ascoltare gli altri e prima ancora se stessi, dello stordimento mediatico che insinua conoscenze superficiali vendute come verità e «pressate negli uomini come una materia qualsiasi in vuoti barattoli» (Picard). Eppure, misteriosamente, nel silenzio o di fronte all’uomo ferito, a chi ascolta pare di sentire una voce nuova: «Proprio dal silenzio promanano più aiuto e più prosperità che da tutto quanto è utile. Esso, l’inutile, si pone accanto a ciò che è fin troppo utile, appare improvvisamente al suo fianco e spaventa per la sua assoluta mancanza di scopo, interrompe il flusso e la corsa di ciò che è fin troppo utile». Il silenzio, quasi come un atto liturgico o un uomo inchiodato dalla malattia, «rafforza ciò che vi è d’intangibile o di inviolabile nelle cose, attenua il danno che lo sfruttamento arreca alle cose, le restituisce nella loro integrità (…) poiché proprio questo è il silenzio: sacra inutilità» o, come ha scritto don Giuseppe Dossetti († 1996), presbitero, giurista, politico e teologo, «puro dono di Dio».

Evidentemente, luoghi di silenzio esteriore o ambienti lontani dal frastuono: montagne, deserti, monasteri, hanno la loro importanza, anche se non è neppure raro vedere oggi persone che si portano lo «stereo» sulle vette dei monti, in mezzo ai boschi o nelle giornate di ritiro spirituale. Nei confronti del silenzio esteriore viviamo una sorta di amore-odio: sentiamo che ci manca, ma quando c’è, ci pesa. «Nulla ha tanto radicalmente mutato la fisionomia umana − ribadisce Picard − quanto la perdita di ogni relazione col silenzio». Il silenzio esteriore e la solitudine non sono però da confondere con la «fuga mundi», con l’isolamento, con il mutismo o con una sorta di ripiegamento su se stessi. Non sono né un corpo estraneo né una prigione, ma sono un luogo da abitare, una realtà in cui vivere, un ambiente in cui stare con tutta la propria persona. «Nel silenzio esteriore − scrive Adriano Parenti OFMCap nel suo libro A scuola di preghiera da Francesco e Chiara d’Assisi (Edizioni Messaggero, 1992) − troviamo un prezioso alleato (…) per incamminarci non verso il vuoto, ma verso un “silenzio pieno” e verso il “silenzio esteriore”». Ecco il punto. Il silenzio esteriore è solo un sostegno, una condizione, un ambiente che favorisce il dialogo con l’altro.

Per frate Francesco il silenzio e la solitudine sono il luogo dell’incontro con Dio, il luogo in cui essere presenti con tutta la propria persona e in cui liberi da altre presenze accogliere la presenza dell’«altissimo, onnipotente, bon Signore»: «…sottraendosi al chiasso del traffico e della gente, supplicava devotamente la clemenza divina, che si degnasse mostrargli quanto doveva fare» (Leggenda maggiore I 4: FF 1033); «…cercava luoghi solitari per poter lanciare completamente la sua anima in Dio» (Vita prima 71: FF 445).

Al di là del silenzio esteriore, che pure ha il suo peso, ciò che conta è entrare in un silenzio interiore, «pieno», «inclusivo», «ospitale», «abitato», dalla presenza del Signore. Il frastuono, cioè l’inquinamento da rumore, non è solo una realtà esterna alla nostra persona, ma è soprattutto una realtà interiore, quella che è dentro di noi ed è formata da sogni e fantasie, paure e rimpianti, ricordi e delusioni, gioie e speranze, desideri e progetti, persone e situazioni… Queste sono tutte realtà parlanti dentro di noi. A volte può capitare di temere il silenzio proprio per la paura del risveglio di tutto ciò che è in noi. Il grande silenzio è proprio quello di porci nella verità davanti a ciò che siamo. Non serve a niente soffocare, con il rumore, la realtà, il peccato, la fragilità. Non giova non accoglierci per ciò che siamo. A poco serve allontanare ciò che in noi ha qualcosa da dire. Il silenzio interiore non è uno spazio costruito artificiosamente. E’ piuttosto stare consapevolmente alla presenza del Signore nella verità di ciò che siamo. E’ fare spazio alla sua azione in noi, con recettività e apertura, pronti ad accogliere il suo amore. Si tratta, dunque, di abitare un silenzio che è «abitato» dalla presenza del Signore. Così esso diviene il luogo dell’incontro con lui.

Bisogna comunque ricordare che il peggiore nemico del silenzio interiore non è il rumore esteriore o interiore, ma il ripiegamento su noi stessi e la chiusura nei confronti dell’altro. Per questo frate Francesco non legava la preghiera al silenzio esteriore o alla solitudine: «Dovunque siamo o ci muoviamo, portiamo con noi la nostra cella: fratello corpo; l’anima è l’eremita che vi abita dentro a pregare Dio e meditare. E se l’anima non vive serena e solitaria nella sua cella, ben poco giova al religioso una cella eretta da mano d’uomo» (Leggenda perugina 80: FF 1636). E’ ovvio che questo genere di “eremo” è aperto a tutti: tutti hanno possibilità di vivere alla presenza dell’altro e del totalmente Altro, non dimenticando mai che il silenzio e il servizio sono due binari che devono segnare il nostro cammino. Ciascuno di noi, secondo le diverse tappe della sua vita, deve scoprire la forma e il ritmo dei tempi di silenzio, di solitudine e di ascolto che gli sono necessari per vivere, pena il rimanere degli eterni superficiali o il divenire dei «pappagalli religiosi». E’ importante anche allontanare la fretta. La parola dell’altro non la si può inghiottire come una pillola. Un rapporto frettoloso non è mai espressione di un ascolto vero e di un amore profondo. La fretta porta al monologo e ci rende introvabili… anche dal totalmente Altro.

A tanto ci portava la Serata. E’ rimasta ancora una cosa che si potrebbe fare il prima possibile: rivedere il film per intero, magari a casa, e riprendere i suoi temi di scottante attualità…

Piotr Anzulewicz OFMConv

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«Forza maggiore»: eroismo o codardia?

Una Serata piovosa e fredda all’esterno, quella del 10 marzo, eppure splendida e travolgente all’interno, nel «Salone di S. Elisabetta d’Ungheria»: la 5ª Serata della 4ª edizione del CineCircolo, il cui leitmotiv è: «’Sorella’ Terra per immagini», l’edizione ispirata all’enciclica «Laudato si’» di Papa Francesco e alla preghiera-inno «Cantico delle creature» di frate Francesco, promossa dal Circolo Culturale San Francesco ed aperta gratuitamente a tutti − l’81ª di seguito, tra quelle cinematografiche e quelle conviviali a tema.

La Serata si è svolta secondo il seguente programma, pubblicato previamente su questo Sito, insieme con le recensioni del film «Forza maggiore» di Ruben Östlund (https://circoloculturalesanfrancesco.org/site/event/forza-maggiore-5a-serata-cinematografica-dibattito-81/):

  1. Ascolto di un brano dell’enciclica «Laudato si’» (n. 25), letto dall’attore Toni Servillo [Audio-libro realizzato nel 2016 dall’editore Luca Sossella ed accompagnato da una guida alla lettura e all’ascolto del testo, scritta da Antonio Spadaro SJ, direttore di Civiltà Cattolica]
  2. Video «Dolce sentire» [Musica scritta da Riz Ortolani, per il film «Fratello sole, sorella luna» sulla vita di s. Francesco d’Assisi girato nel 1972 dal regista Franco Zeffirelli; canta Rosalia Misseri; durata: 2,38′]
  3. Note preliminari riguardanti il regista Ruben Östlund, la trama del suo film e il tema del cinedibattito
  4. Proiezione del film «Forza maggiore» (con l’intervallo di 10′)
  5. Impressioni, osservazioni e condivisioni sul tema del cinedibattito
  6. Comunicazioni relative al Circolo e annuncio del prossimo evento
  7. Recita della «Preghiera per la nostra terra» (Laudato si’, n. 246)
  8. Foto di gruppo e “Cocktail”

La pellicola ci ha fornito lo spunto per la riflessione su quanto sia labile il confine tra codardia ed eroismo in situazioni improvvise come una calamità naturale. Riflettere sull’idea della codardia, propriamente compresa, dovrebbe spingerci a confrontarci con noi stessi, con le nostre inadeguatezze, con le nostre paure. La verità è che tutti possiamo essere codardi, deboli, vulnerabili, vigliacchi, anche se essere un vigliacco non è facile. «Molto più facile essere un eroe − afferma Julian Barnes, scrittore britannico, nel suo ultimo romanzo Il rumore del tempo (Einaudi, 2016). − A un eroe basta mostrarsi coraggioso per un istante: quando estrae la pistola, quando lancia la bomba, attiva il detonatore, fa fuori il tiranno e poi se stesso. Essere un vigliacco significa invece imbarcarsi in un’impresa che dura una vita. Mai un po’ di riposo. C’è da anticipare l’occasione successiva in cui si dovrà tergiversare, mostrarsi servili, giustificarsi, riabituarsi al gusto di nuovi stivali da leccare e all’amarezza di constatare la propria rovinosa abiezione. Essere un vigliacco richiede costanza, fermezza, impegno a non cambiare, il che si risolve in una certa qual forma di coraggio». Infatti, il protagonista del suo romanzo è un vigliacco: Dmitrij Šostakovič, compositore russo, che non si oppose mai apertamente al regime sovietico. Il rumore del tempo lo racconta proprio attraverso tre momenti di umiliante sottomissione al potere. Ha già riscosso successi in mezzo mondo quando il compagno Stalin in persona emette la condanna: la sua non è musica, è solo caos. Da quel momento la vita del “nemico del popolo” Šostakovič è una foglia al vento, e la sua anima assediata dalla paura, il campo di battaglia fra codardia ed eroismo. Il 29 gennaio 1936 la «Pravda» commentava la recente esecuzione al Bol´šoj della Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Šostakovič titolando caos anziché musica e accusando l’opera di accarezzare «il gusto morboso del pubblico borghese con una musica inquieta e nevrastenica». Nell’età del terrore un editoriale del genere poteva interrompere la vita stessa. E per Šostakovič giunge il primo di vari di colloqui con il potere. È una trappola senza vie d’uscita, quella che gli si tende – piegarsi alla delazione o soccombere – e Šostakovič si dispone all’ineluttabile.

L’affermazione di Barnes ci appare subito paradossale. Siamo abituati a pensare a un vigliacco come al contrario di un eroe. E “vigliacco”, “codardo”, “vile” sono tra le parole più offensive che usiamo. Un’etichetta infamante che si applica sempre a qualcun altro e mai a noi. «Dovremo invece smettere di definire gli altri codardi e concentrarci su noi stessi, sulla nostra idea di dovere morale e su ciò che ci impedisce di compierlo», leggiamo tra le pagine del saggio Codardia: una breve storia di Chris Walsh, docente della Boston University e direttore del College of Arts and Sciences Writings (Cowardice: a Brief History, Princenton University Press, 2014). I coraggiosi sono eroi per definizione e a loro sono dedicati saggi e romanzi, invece de los cobardes no se ha escrito nada, come dice un proverbio spagnolo.

Un sincero grazie a chi era presente a questa Serata ed è rimasto fino al momento della foto comune.

Le Serate conviviali a tema e quelle cinematografiche con il dibattito sono uniche, irripetibili, dialogiche e fraterne, preparate con passione e amore dallo Staff del Circolo. Non facciamole sfuggire, ma promuoviamole e sosteniamole fattivamente, anche con un veloce gesto di saluto o con una parola di benevolenza e di amicizia, e non solo con il pensiero.

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Immersi nella bellezza dell’AsproMonte

«AsproMonte»: è stato lo slogan della Serata cinematografica che si è svolta venerdì 24 febbraio presso la sede del Circolo a Catanzaro Lido, la 4ª Serata della 4ª edizione del CineCircolo, il cui leitmotiv è: «’Sorella’ Terra per immagini», ispirata all’enciclica «Laudato si’» di Papa Francesco e alla preghiera-inno «Cantico delle creature» di frate Francesco, la 79ª di seguito…

A presentare il suo programma (https://circoloculturalesanfrancesco.org/site/event/aspromonte-4a-serata-cinematografica-dibattito/) ed animarla è stata, come consuetudine, la dott.ssa Teresa Cona, segretaria del Circolo e curatrice delle Serate con dibattito, in collaborazione con l’avv. Peppino Frontera e il M° Luigi Cimino che questa volta ha indossato anche i panni dell’operatore tecnico, supplendo − insieme all’assistente Gabriele Milasi − Ghenadi Cimino, impegnato in un’altro evento culturale.

Il film «Aspromonte» di Hedy Krissane, preceduto dal video «Tu sia lodato, mio Signore» (il testo del «Cantico delle creature» adattato e musicato da Pietro Diambrini ed eseguito dai bambini della prescuola familiare di Nomadelfia, la comunità fondata nel 1948 da don Zeno Saltini), ha catapultato i presenti in una terra magica, piena di fascino e calore umano, dove le maestose montagne e i verdi boschi, fanno addirittura male agli occhi, tanto sono belli e intensi, e dove il cibo piccante e il vino fresco fanno venire l’acquolina in bocca. Al suono di ritmiche musiche, composte da Peppe Voltarelli, cantautore e attore nativo di Cosenza, si sono lasciati rapire dalle bellezze paesaggistiche, vere protagoniste della pellicola del cineasta di origini tunisine. Accompagnati dalla migliore guardia forestale e dal suo cane Farouq, hanno girato con Torquato, calabrese trapiantato al nord e diventato imprenditore, tutto l’AsproMonte alla “caccia” di Marco, il fratello presumibilmente rapito. Malgrado alcuni bloopers (papere), qualche difetto di recitazione e una storia in superficie, il film ha mostrato loro come sia bella la terra calabrese, specie là dove è rimasta incontaminata, e ha ricordato come le origini sono nel sangue e non vanno rinnegate.

Il dibattito, che è seguito alla proiezione, ha trasportato l’attenzione dei cinefili nel tempo primordiale, all’origine, alla creazione. Il paesaggio − si è detto − è soprattutto luogo dell’anima e non soltanto connubio estetico di forme e colori, odori e suoni che appagano il bisogno sensoriale, o uno strumento promozionale per valorizzare l’ambiente e mostrare aspetti inediti o poco noti del territorio, come ad esempio specialità gastronomiche, costumi, lingue e dialetti. Esso è − o può esserlo − scenario di viaggio spirituale, oltre che reale, dove è intenso il nostro rapporto con “il creato” e dove all’improvviso risuona nel “viatore” la corda troppo spesso tacitata della nostra ragione: il bisogno strettamente “religioso”, quello di Dio. Un bisogno che per l’uomo contemporaneo è diventato incosciente, censurato, soppresso, riempito da altro, alienato da bisogni diversi, immediati, a portata di mano, facili da soddisfare.

Non c’è nulla di nuovo. «E’ una tentazione in tutti e di tutti i tempi − afferma p. Mauro Giuseppe Lepori, abate generale dell’Ordine cistercense. − Dal peccato originale in poi, l’uomo mortifica il suo bisogno di Dio dentro l’idolatria». Eppure oggi pare esserci qualcosa di più, come se il cane Farouq faticasse a trovare le orme di Marco e come se esso stesso fosse preda di un disorientamento che non gli fa individuare l’invisibile che tuttavia c’è ed è soverchiante. «Forse − dice p. Lepori − l’invisibile è immerso in una cultura in cui opprimere il suo desiderio è diventato il fattore preponderante, il che è una sorta di negazione della vera cultura, che è sempre consistita in qualcosa mosso da un desiderio di bellezza, di verità e di benessere. Nelle società, in cui questo desiderio era coscientemente teso all’infinito, si è visto che l’espressione culturale era bella, proprio perché questa stessa cultura esprimeva tale desiderio». La cultura contemporanea invece «fa chiaramente emergere il tentativo di bloccare e di mortificare ogni desiderio del vero, del bello e del buono». Lo mortifica e lo censura, eppure esso «c’è, rimane, è invisibile». Serve un «input», una molla, una scossa che risvegli la sua «apertura all’infinito». E’ necessario, oggi più che mai, «riannodare un’amicizia tra l’uomo e il creato». Idea ambiziosa e attraente, ma come si fa? Innanzitutto è necessario partire da sé, in barba a tante narrazioni catastrofiche e catastrofiste, peana luttuosi e sensi di inferiorità. Chi lo fa, sperimenta che rispettando, custodendo ed ammirando il creato, la flora e la fauna, realizza la vita più umana e più piena. «La società in cui viviamo − continua Lepori − non è peggiore delle società d’un tempo». Certo, qualcosa è cambiato, se è vero che «questa è come fosse una società di cadaveri, di gente che non vive, che non sa cosa sia la felicità». Il problema è piuttosto che «l’uomo di oggi è meno inquieto. Ha paura dello stato dell’economia e di ciò che succede nel mondo, ma è una paura legata quasi esclusivamente al contingente. Appare invece meno inquieto del senso della vita, e questo è l’elemento più preoccupante. Quando l’uomo non è inquieto, è seduto».

Il rischio può essere quello di limitarsi a pensare secondo schemi mentali propri dell’Occidente: «E’ vero, in Africa e in Asia (…) si è immersi ancora in una cultura in cui rapporti sono prossimi al cuore. Il problema è che anche là è sempre più forte la tentazione portata dall’Occidente: un modello culturale teso solo a un progresso interno, ma non profondo», una tendenza di esportare lo stile di vita che ormai è per l’immediato e che soffoca i bisogni profondi del cuore. Un soffocamento progressivo. «Un’asfissia − ha chiosato Papa Francesco durante la Messa nella basilica romana di S. Sabina sull’Avventino (1.03.2017) − che soffoca lo spirito, restringe l’orizzonte, anestetizza il cuore». Un cuore cui si bada sempre meno. I più lo ignorano del tutto. Molti lo trattano come organo di reattività istintiva e sentimentale. Pochissimi lo mettono con le spalle al muro, rendendolo responsabile di un sentimento cosciente di sé. Può allora l’uomo ridestarsi da questa «asfissia dello spirito generata dall’egoismo, dall’indifferenza e dalla superficialità», mentre accanto a lui gli attentati sono quasi all’ordine del giorno e i preti vengono sgozzati sugli altari delle
chiese in mattine fresche dell’estate francese? Può essere questo buio, per paradosso, a svegliarlo dal torpore e spalancare un nuovo orizzonte? Lo può fare un’escursione in AsproMonte? Certamente sì. «I monti − ripeteva Carlo Alianello († 1981), scrittore e sceneggiatore − a ogni cima spalancano l’orizzonte». Di più, annullano i ritmi concitati della quotidianità, riposano la mente e scuotono il cuore, portandolo a riflettere sul senso della vita, così grande così fragile, così misera e così sublime, sfidata dal limite e tesa all’infinito, in eterna “caccia di Dio”.

La Serata, che ha fatto venire grande voglia di AsproMonte, si è conclusa con la recita della Preghiera cristiana per il creato, tratta dall’enciclica Laudato si’, e con un “cocktail”, tra dolcetti e croissant.

Piotr Anzulewicz OFMConv

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