Donna che sogna un mondo migliore

È stata accolta con fervore, come esistenziale, vitale ed attuale, la 5ª Serata cinematografica, la 225ª di seguito, che si è svolta venerdì 9 dicembre 2022, alla vigilia del triduo di preghiera a s. Lucia († 304), protettrice degli occhi, dei ciechi, degli oculisti, di tutti coloro che soffrono di disturbi visivi: i non vedenti, i miopi, gli astigmatici… e chi è affetto da cataratta, patrona di Siracusa e compatrona di Venezia.

È stata giustamente Lucia Scarpetta, ‘particella’ dello Staff del Circolo, a presentare la trama del «Tutta la vita davanti» di Paolo Virzì e condurre il cinedibattito «Donna che sogna un mondo migliore per sé e per la bambina cui fa da baby-sitter›», tenendo conto del motto della 10ª edizione del CineCircolo: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›, per immagini», ma la Serata si è aperta esemplarmente con il videoclip contenente la canzone «Ho imparato a sognare» dei Negrita, riproposta dalla cantante romana Fiorella Mannaia, una delle protagoniste femminili della canzone popolare italiana, dalla voce leggera e soave. «I sogni sono la spinta propulsiva della nostra vita – ha confidato in una intervista. – Non è poi indispensabile che si realizzino, l’importante è averli perché spingono a fare meglio», a donare se stessi, ad aprirsi agli altri, «in un momento delicato come quello che stiamo vivendo, così pieno di paure» e chiusure.

Lucia ha quindi catalizzato l’attenzione dei presenti nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido sulla proiezione curata con diligenza dall’operatore audiovisivo Ghenadi Cimino. Il regista livornese, considerato da molti l’unico continuatore della commedia all’italiana dal sapore provinciale e un po’ agrodolce con una sana spruzzatina di ispirato neo-realismo, ha introdotto gli spettatori nella favola nera di Marta, ventiquattrenne siciliana trapiantata a Roma e neolaureata con il 110 e lode, abbraccio accademico e pubblicazione della tesi in filosofia teoretica. Umile, curiosa e un poco ingenua, Marta si vede chiudere in faccia le porte del mondo accademico ed editoriale, per ritrovarsi a essere “scelta” come «baby-sitter» dalla figlia della sbandata e fragile ragazza madre Sonia, interpretata con struggente intensità da Micaela Ramazzotti. È proprio questa “Marilyn di borgata” – scrive Chiara Renda nella sua recensione – a introdurla nel Call Center della Multiple, azienda specializzata nella vendita di un apparecchio di depurazione dell’acqua apparentemente miracoloso. Da qui inizia il viaggio di Marta in un mondo alieno, quello dei tanti giovani, carini e “precariamente occupati” italiani: in una periferia romana spaventosamente deserta e avveniristica, isolata dal resto del mondo come un reality, la Multiple si rivela pian piano al suo sguardo ingenuo come una sorta di mostro che fagocita i giovani lavoratori, illudendoli con premi e incoraggiamenti (sms motivazionali quotidiani della capo-reparto), «training» da villaggio vacanze (coreografie di gruppo per “iniziare bene la giornata”) per poi punirli con eliminazioni alla Grande fratello. Un mondo plasticamente sorridente e spaventato, in cui vittime e carnefici sono accomunati da una stessa ansia per il futuro che si tramuta in folle disperazione. Non c’è scampo per nessuno all’interno di queste logiche di sfruttamento, e a poco servirà il tentativo dell’onesto, ma evanescente sindacalista Giorgio Conforti di cambiare idealisticamente un mondo che difficilmente può essere cambiato.

Prendendo spunto dal libro della blogger sarda Michela Murgia, «Il mondo deve sapere», Virzì esplora con gli occhi di Marta l’inferno di questo precariato con tutta la vita davanti; e lo fa con lo spirito comico e amaro che da sempre lo contraddistingue. Accentuando stavolta i toni tragicomici e grotteschi da commedia nera, il regista toscano dà vita a un’opera corale, matura e agghiacciante, che rivisita (attualizzandola) la miglior tradizione della commedia amara alla Monicelli, costruendo – grazie anche all’apporto del fido sceneggiatore Francesco Bruni – personaggi complessi e sfaccettati, teneri e feroci, comici e tragici a un tempo, ma tutti disperatamente umani e autentici.

Con la stessa umiltà e onestà intellettuale di Marta, Virzì si muove tra le spaventose dinamiche del mondo moderno senza mai cadere nel facile giudizio, nel pietismo o – vista l’attualità del tema – nella trappola del film a tesi, mantenendo sempre in primo piano il suo amore per gli ultimi e una compassione per le sue creature disperate e perfide, figlie di una società malata, ma forse non ancora in fase terminale. E se Marta può ancora sognare un mondo migliore per sé e per la bambina cui fa da «baby-sitter», un mondo che balla spensierato ascoltando i Beach Boys e si affeziona a una voce telefonica, tutto attorno resta – conclude Renda – un ritratto allarmante dell’Italia di oggi, che Virzì svela sapientemente sotto una patina di sinistra comicità. Un’Italia dolce e amara quella di Tutta la vita davanti, che commuove e angoscia, lasciandoci con un groppo in gola, come quell’ovo sodo che non andava né su né giù.

La proiezione del film, con un ‘taglio’ della sua parte centrale che finisce per annoiare – ‘perpetrato’ abilmente da Ghenadi – ha innescato un vivace e a tratti infuocato dibattito, condotto nel modo fluido e ritmico da Lucia Scarpetta. Al microfono si alternavano Tonia Speranza, Maria Rainone, Ninetta Crea, Maria Rosa Cunia, Luigi Cimino… Ha fatto seguito la riflessione di Papa Francesco sul ruolo della donna nella Chiesa e sull’urgenza di trovare criteri e modalità nuove affinché «le donne non si sentano ospiti, ma pienamente partecipi nei vari ambiti della vita sociale ed ecclesiale». Il denso dibattito si è concluso con la lettura di un brano della «Lettera alle donne» di Giovanni Paolo II, fatta con un’intensa commozione da Marialuisa Mauro: «[…] Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l’indispensabile contributo che dai all’elaborazione di una cultura capace di coniugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del “mistero”, alla edificazione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità» (n. 2).

Il presidente Luigi ha annuncio quindi il prossimo evento che si terrà venerdì 16 dicembre (6ª Serata conviviale, focalizzata su «Caterina de’ Ricci († 1590), Veronica Giuliani († 1727) e le altre donne, bambinaie celesti» [226]), e ha invitato alla foto di gruppo e al «cocktail», reso particolarmente ricco e appetibile (castagnaccio di Gabriella, insalata russa e crostata di Tiziana, arancini di Loredana, Ferrero Rocher e Pocket Coffee di Antonella, mandarini di Maria Rainone). È stato impossibile a non pensare, anche questa volta, alle donne e ai bambini della martoriata Ucraina. Il videoclip «Рождественские попурри» con i canti natalizi in quattro lingue: russo, ucraino, inglese e spagnolo, ha rasserenato tutti, ha allargato il perimetro della fraternità e ha spronato a sognare un mondo migliore.

Piotr Anzulewicz OFMConv


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«Nabat»: la forza d’animo di una donna sola

Un’altra Serata cinematografica gradita, innovativa, avanguardistica, da infilare nel Pantheon delle avanguardie, arricchendolo con le storie di donne intrepide, decise, coraggiose, storie che possono aiutare altre donne ad aprire gli occhi anche sulle insidie, sulle trappole, sui pericoli nascosti dietro i falsi modelli di successo, di autoaffermazione, di liberazione.

È stato decisamente il giorno giusto, venerdì 25 novembre 2022, per chinarsi sull’«ostinazione delle donne a non cedere alla barbarie, sulla loro resilienza, sulla loro capacità di cura» e proiettare il film «Nabat» di Elchin Musaoglu, selezionato dallo Staff del Circolo Culturale San Francesco per la 10ª edizione del CineCircolo dal leitmotiv: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›, per immagini», ideata dentro la fase narrativa del cammino sinodale della Chiesa. In quel giorno ricorreva la 23ª Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne, indetta dall’ONU e messa in risalto in Italia dal lancio della campagna della Polizia di Stato «Questo non è amore», l’appello a «mettere in salvo» le donne, cioè a garantire loro sicurezza da soprusi, maltrattamenti e abusi, minacce e recidive, frequenti anche dopo un’eventuale pena, e ad accompagnarle in ogni fase. Papa Francesco, parlando ai componenti della Direzione Centrale Anticrimine, ricevuti all’indomani della Giornata in Vaticano, nella Sala Clementina, ha indicato quelli che sono i punti cardine per estirpare la violenza contro le donne, fenomeno permanente, diffuso, trasversale, aggravato dalla pandemia e alimentato dai media: prevenzione e protezione, educazione e accompagnamento. «Per vincere questa battaglia – ha rimarcato – non basta un corpo specializzato (…) e non bastano l’opera di contrasto e le necessarie azioni repressive (…). Bisogna unirsi, collaborare, fare rete: e non solo una rete difensiva, ma soprattutto una rete preventiva!». È prezioso avere anche «una mirata preparazione psicologica e spirituale – ha detto il Papa – perché solo a livello profondo si può trovare e custodire una serenità e una calma che permettono di trasmettere fiducia a chi è preda di violenze brutali». Tante donne cristiane, venerate come martiri, ne sono esempio. Il Papa ne ha citato alcune, da s. Lucia di Siracusa († 304) e s. Maria Goretti († 1902) alla b. Maria Laura Mainetti († 2000), la religiosa assassinata a Chiavenna (SO) da tre ragazze durante un rito satanico. Ci sono tante «sante della porta accanto» che con la loro vita «testimoniano che non bisogna rassegnarsi, che l’amore, la vicinanza, la solidarietà delle sorelle e dei fratelli può salvare dalla schiavitù». La loro testimonianza va proposta a ragazze e ragazzi di oggi: «Nelle scuole, nei gruppi sportivi, negli Oratori, nelle associazioni – ha esortato il Papa – presentiamo storie vere di liberazione e di guarigione, storie di donne che sono uscite dal tunnel della violenza e possono aiutare altre donne.

È una benedizione donne gioiosamente presenti nello Staff del Circolo e nel Salone di S. Elisabetta in cui si tengono le Serate: Iolanda De Luca, Maria Rainone, Rina Gullà, Gabriela Sestito, Tonia Speranza, Marialuisa Mauro, Elisabetta Guerrisi, Patrizia Corapi, Loredana Olivadoti, Lucia Scarpetta, Antonella Vitale, Federica Astarita, Asia Brogeri…, le donne che possono meglio capire altre donne, ascoltarle e sostenerle, e ‹fare bello il mondo›. Sono centrali nel Circolo e indispensabili in un mondo che invece troppo spesso le mette agli angoli. «Devono essere rispettate – sottolineò con forza Papa Francesco il 15 settembre scorso, nel discorso di chiusura del 7° Congresso delle Religioni Mondiali e Tradizionali, riprendendo uno dei punti contenuti nella Dichiarazione finale dell’assise a Nur Sultan, in Kazakhstan – riconosciute e coinvolte. (…) A loro vanno affidati ruoli di responsabilità maggiore». Ci sono luoghi dove questo è ancora sogno. Le costanti notizie di cronaca, che si susseguono sui giornali e nelle trasmissioni televisive, radiofoniche e pubblicitarie, ci portano a pensare che siamo ancora lontani dal considerare la donna per ciò che è e racchiude in sé: una bellezza profonda, da scoprire; una capacità infinita di accoglienza, di intuizione e di donazione, da valorizzare; una genialità stupefacente nel trasmettere l’armonia, la pace e l’amore, da valorizzare. La donna non è un oggetto da “usare e gettare” o una merce da comperare e consumare. Sia quindi “benedetta”.

La 4ª Serata cinematografica iniziò allora con il videoclip Che sia benedetta, mandato in onda dall’operatore Ghenadi Cimino, in omaggio a colei “che dona l’amore che ha dentro” e ci invita a tenerci stretta la vita, per quanto ci sembri assurda e complessa, incoerente e testarda. A cantare il suo bellissimo brano, Erika Mineo, in arte Amara, dalla voce graffiante, artista di strada toscana e autrice di splendide canzoni portate al successo da altre voci.

Dopo i saluti istituzionali e l’introduzione al programma della Serata, Lucia Scarpetta relazionò la trauma del film «Nabat», dalla splendida fotografia e dall’eccellente interpretazione della convincente protagonista, di straordinaria attualità proprio oggi, in pieno periodo della guerra russo-ucraina. Una accorata riflessione sul destino dei Paesi devastati dalla guerra. Infatti, il film, presentato nella sezione Orizzonti della 71ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2014, viene dall’ex-Repubblica sovietica, dall’Azerbaidžan, il Paese più grande del Caucaso. Nabat è il titolo, ma anche il nome della protagonista, una donna non più giovane che vive nei pressi di un villaggio di montagna cui il conflitto armato ha strappato l’amato figlio. Le truppe nemiche stanno per arrivare nella sua remota regione e pochi abitanti del villaggio fuggono a causa dei bombardamenti, ma lei rifiuta caparbiamente di lasciare la casa e il marito Iskender, un ex lavoratore forestale vecchio e moribondo, preferendo andare incontro a un destino segnato: solitudine, isolamento, privazioni. Nabat lotta e resiste con coraggio e dignità alla fatica e alla disperazione, ma le sue forze si spengono a poco a poco come i lumi a petrolio che lei si ostina a tenere accesi nelle case ormai disabitate affinché le notti sui monti siano meno buie e un barlume di vita possa continuare a illuminare il vuoto. Madre coraggio certamente, Nabat incarna ben altre immagini. È la madre per antonomasia. È la patria che si prende cura dei propri figli. «Last but non least», la conservatrice di una memoria che altrimenti andrebbe perduta. Figura esemplare, dunque, cui presta il proprio volto l’intensa attrice iraniana Fatemeh Motamed-Arya chiamata sul set dopo che il regista Elchin Musaoglu aveva fallito ogni ricerca in patria. Il ruolo, quasi totalmente muto, poggia sulla sua straordinaria intensità mimica e fisica: corpo-madre piegato dal dolore, dalla fatica del vivere e dal peso dei ricordi. Pochi i dialoghi e i suoni rarefatti: il respiro affannoso della protagonista e l’eco dei suoi passi lungo i sentieri, l’ululato lamentoso di un lupo solitario che si aggira nei dintorni della casa, il rimbombo lontano delle cannonate. La guerra – suggerisce il regista – non conosce confini. Ogni vittima è vittima del mondo. Una tesi non nuova, ma le immagini, di cui si serve per enunciarla, raccomandano coerenza stilistica, respiro narrativo, rigore formale. Finale quietamente malinconico e dolcemente visionario.

Film rigoroso e al tempo stesso doloroso, in cui la figura femminile assurge a simbolo della forza d’animo che non si arrende di fronte alle avversità del destino e dell’abbandono, alla crudeltà della guerra e alle morse della solitudine. Sentirsi soli o sentirsi amati sulla terra? La visione della pellicola rese cristallina la risposta: «Da soli siamo dei ‘freaks’. Insieme siamo qualcosa di meraviglioso, cercando di essere degni di essere amati l’uno dall’altro, complementari, solidali». Il desiderio di essere insieme si rendeva ancora più palese durante il cinedibattito che si snodava affabilmente in queste sequenze:

3.1. Interventi: «Nabat» – una potente parabola sulla resilienza femminile, sulla capacità di cura delle donne, e sull’ostinazione a non cedere alla barbarie (10:00′); 3.2. Notturno dall’Italia – Donne della Resistenza di Giuni Russo (3:36′); 3.3. P. Anzulewicz OFMConv: «Perché la non accettazione di vecchiaia e malattia porta la società a non accettare défaillance in una donna?» (5:00′); 3.4. Lettura di alcuni passaggi della «Lettera alle donne» di Giovanni Paolo II (nn.10-12).

Seguirono quindi le comunicazioni del presidente Luigi Cimino, relative al Circolo, l’annuncio del prossimo evento [venerdì 2 dicembre: 5ª Serata conviviale, focalizzata sul tema: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia († 1684), la prima donna a potersi fregiare del titolo di Doctor»], la foto di gruppo, l’ascolto della canzone «Le poche cose che contano» di Amara e Simone Cristicchi, trasmessa da Ghenadi nel videoclip, e il «cocktail», preparato premurosamente da Iolanda e Loredana e servito graziosamente da altre donne, «lasciando larga e benefica impronta di sé» nel Salone di S. Elisabetta d’Ungheria presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. Le prossime Serate non mancheranno, certo, di registrare nuove e mirabili manifestazioni del «genio femminile».

Piotr Anzulewicz OFMConv


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Sandra Sabattini, Chiara Luce Badano e le altre che ‹fanno bello il mondo›

Non c’è che dire: le Serate della 10ª edizione del Cine– e WikiCircolo, dal filo rosso: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», sono «travolgenti», come scrive in un post Patrizia. «Mi piace la loro fluidità, la scioltezza, la leggerezza. Pare che dal pulpito e dallo schermo, che mettono in moto i profili di donne stupende, parta una corda invisibile che attira emotivamente e spiritualmente gli sguardi dei presenti nel Salone “S. Elisabetta d’Ungheria” presso la chiesa “Sacro Cuore” di Catanzaro Lido e genera il desiderio di essere simili a loro», nel loro essere per gli altri. «Ieri, venerdì 18 novembre, sono dovuta scappare – confida –, ma ho assistito abbastanza per capire che anche questa Serata dal titolo: «Sandra Sabattini († 1984), l’artista della carità, e le altre donne come lei», è stata una Serata trainante. Grazie di cuore per queste Serate di elevato valore culturale, spirituale e morale. Dio vi benedica».

In realtà le Serate sono ancora lontane dal profilo tracciato da Patrizia, anche se vengono preparate con la massima genialità e cura dallo Staff. Grazie al sito web del Circolo e la pagina social, vengono intercettate e ‘frequentate’ dentro ai telefoni cellulari di altre città, europee ed extraeuropee, ma all’interno dei confini della propria parrocchia, guarda caso, restano paradossalmente ‘invisibili’, a causa dell’atteggiamento di quanti dovrebbero «avere a cuore – come scrive l’Arcivescovo sulla pergamena con la benedizione – le sorti della collettività parrocchiale e civile». Il Circolo comunque prosegue la sua avventura con vivo entusiasmo, veicolando e rivitalizzando i valori evangelici, francescani e umanistici con coloro che colgono in essi il proprio codice identitario. 

Ad aprire la 4ª Serata conviviale con «aperitivo», la 222ª di seguito, è stata la canzone «A modo tuo», dedicata a tutte le donne e interpretata da Elisa Toffoli, cantautrice, musicista, attrice teatrale e scrittrice triestina. Come dice il brano, scritto da Luciano Ligabue, cantautore e scrittore emiliano, per sua figlia Linda: «Sarà difficile diventar grande», ma ne vale la pena scoprire «quella che si sarà»»: sicura che alle spalle si avrà l’amore genitoriale.

Dopo il saluto iniziale e l’introduzione al tema della Serata, la regia di Ghenadi Cimino ha proiettato le immagini che accompagnano il trafiletto Donne che lottano per la loro libertà e dignità, pubblicato in mattinata sul sito web del Circolo. Il trafiletto racconta, in forma concisa, la Serata precedente: la 3ª Serata cinematografica, con la proiezione del film «Il Sabba».

Il panel si è avviato con il video «La santa fidanzata, la storia di Sandra Sabattini», la storia di una ragazza semplice, dolce, piena di entusiasmo per la vita donata ai poveri, ai disabili e ai tossicodipendenti, dichiarata beata il 24 ottobre 2021 a Rimini, un vero modello per i giovani d’oggi. Amava dipingere, suonava il pianoforte e correva come velocista in una squadra di atletica leggera.

A 12 anni incontrò don Oreste Benzi († 2007), educatore e fondatore della Comunità «Papa Giovanni XXIII». Partecipò ad una vacanza di condivisione con gli handicappati – come si diceva allora – presso la Casa Madonna delle Vette ad Alba di Canazei, sulle Dolomiti. La proposta di don Benzi era di fare «un incontro simpatico con Gesù». Un’esperienza intensa, immersa nella natura e faticosa per l’accudimento delle persone disabili. Sandra rimase folgorata. Tornata a casa disse alla mamma: «Ci siamo spezzati le ossa, ma quella è gente che non abbandonerò più». Questo incontro cambiò per sempre la sua vita: iniziò a seguire i poveri a domicilio, scendeva in piazza per i diritti delle persone disabili, dedicava il suo tempo libero ai ragazzi in recupero dalla tossicodipendenza. All’inizio degli anni ’80 il problema di droga emergeva ovunque nella sua drammaticità. L’associazione di don Benzi aveva da poco aperto comunità terapeutiche e Sandra, a soli vent’anni, riusciva a convincere tanti giovani ad abbandonare la via della droga per iniziare un percorso di rinascita. Studiosa di medicina coltivava il sogno di partire come missionaria in Africa. La sua vita non le apparteneva. Una volta incontrato Cristo, non aveva più potuto fare a meno di vivere per lui, di puntare su di lui, di amarlo, nella Chiesa. Il fidanzamento con Guido Rossi, conosciuto a 18 anni, anch’egli membro della Comunità «Papa Giovanni XXIII», viveva come un orizzonte più ampio per aprirsi allo spazio d’amore sconfinato di Dio. A soli 23 anni, il 2 maggio 1984, fu investita da un’auto. Per sua intercessione una persona ebbe la guarigione da un tumore. Da morta continua a fare il bene che aveva iniziato in vita, nel servizio per i più fragili. A confermarlo anche la canzone «Tutto è in Dio» di Manlio Santini e Daniele Serafini, che risuonò nel Salone, aprendo lo spazio a interventi del sottoscritto, di Lucia Scarpetta e di Maria Rainone.

Le beate, come Sandra e tante, tantissime altre «della porta acanto» (cfr. Esortazione apostolica «Gaudete et exsultate», nn. 6-9), sono sempre vive ed attuali. Mantengono con noi legami d’amore e di comunione, ci circondano, ci guidano, ci proteggono. Il loro fascino innesca nuovi dinamismi spirituali nella Chiesa e nella società. La forza della loro testimonianza sostiene e trasforma famiglie e comunità. «Questo dovrebbe entusiasmare e incoraggiare ciascuno a dare tutto sé stesso, per crescere verso quel progetto unico e irripetibile che Dio ha voluto per lui o per lei da tutta l’eternità: “Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato” (Ger 1,5)» (Ivi, 13).

La canzone «Luce» di Gen Rosso ‘introdusse’ nel Salone una di esse: Chiara Luce Badano († 1984), giovane e bella focolarina, soprannominata appunto «Luce» per il suo sorriso. Ogni sua giornata fu una gemma da innalzare a Dio, dando un senso eterno ad ogni gesto di amore per tutti, credenti e “laici”. Vivace, sportiva, simpatica e trainante, si sentiva amata da Dio e lo voleva portare a quanti incontrava sulla sua strada. Nacque a Sassello, in Provincia di Savona il 29 ottobre 1971. In terza elementare conobbe il Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich († 2008), ed entrò così fra le gen (generazione nuova). La gioia di vivere, la felicità di godere dell’amicizia, l’entusiasmo per le piccole cose, la contemplazione del creato erano il nutrimento delle sue giornate. A 17 anni iniziò il pellegrinaggio negli ospedali di Torino, affetta da un tumore osseo di quarto grado. Prima di entrare nella sala operatoria disse alla mamma: «Se dovessi morire, celebrate una bella Messa e di’ ai gen che cantino forte». Si sottopose alla chemioterapia e alle sedute di radioterapia, affrontando tutto come identificazione con i dolori di Cristo. Conosceva la gravità del male che l’aveva colpita, eppure, accanto a lei, parenti e amici respiravano aria di festa. Chiara chiacchierava, giocava, scherzava. La vita continuava a fuoriuscire da lei e gli altri si abbeveravano a questa straordinaria fonte. Si consumava e si offriva per amore di Gesù ai dolori della Chiesa, al Movimento dei Focolari e ai giovani. Predispose tutto per il suo funerale, che chiamava la sua Messa o le sue nozze con Gesù: dovrà essere lavata con l’acqua, segno di purificazione, e pettinata in modo giovanile; chiese alla mamma di non piangere perché «quando in cielo arriva una ragazza di 18 anni, si fa festa!». Il suo vestito da sposa lo voleva bianco, lungo, semplice, con una fascia rosa in vita. La sua amica del cuore, Chicca, lo provò di fronte a lei: le piacque molto, era semplice come lo desiderava. Morì il 7 ottobre 1990, festa della Beata Vergine Maria del Rosario, pronunciando le parole intrise di fede e di amore: «Mamma, sii felice, perché io lo sono. Ciao!», a coronamento di una sofferenza vissuta nella luce radiosa e consolante della fede che stupì gli stessi medici e le persone che le stavano intorno. La luce del suo incantevole sguardo non si spense perché i suoi occhi sono stati donati a due ragazzi. Il 25 settembre 2010, al Santuario del Divino Amore di Roma, fu proclamata beata.

«Corri, corri, corri, brilla accanto a me, nella stessa luce. […] Corri, corri, dimmi che non c’è nulla da temere. […] Corri, corri, brilla, brilla che la tua luce ora è in me». Riecheggiano ancora nel Salone queste parole della canzone di Gen Rosso, potenziate dalle affettuose confidenze di Maria Teresa e Ruggero, genitori di Chiara Luce, e visualizzate da Ghenadi sullo schermo, con il filmato «Vita della b. Chiara Luce Badano». Loredana Olivadoti e Tonia Speranza le resero ancora più espressive, condividendo le loro ricerche sulla Beata savonese. Il suo «Saluto», dalla stanza della sua casa, spalancò la Serata a ragazze e donne che non possono «fare bello il mondo», perché sono maltrattate, stuprate e discriminate. In molti Paesi, nonostante le garanzie costituzionali di parità di genere, esse godono solo del 75% dei diritti legali degli uomini. Di più, in molti casi non hanno neppure il potere di contestare questa disparità, a causa dei bassi livelli di partecipazione a processi decisionali. Nessun Paese al mondo può affermare oggi di aver raggiunto l’uguaglianza di genere nella sua totalità. Se così fosse, sottolinea il Rapporto «State of World Population 2021», pubblicato in aprile dall’Agenzia delle Nazioni Unite, non ci sarebbe violenza contro ragazze e donne, nessun divario retributivo, di leadership, di lavoro, nessuna mancanza di servizi. Spesso i modelli radicati nel modo in cui funzionano le società, come il patriarcato o i matrimoni forzati e infantili, influiscono sull’autonomia corporea femminile. In alcune parti del mondo, ad esempio, la pratica del “bride price” (prezzo della sposa), con cui un uomo offre denaro, proprietà o altri beni per “comprare” il matrimonio, è un meccanismo economico di fondamentale importanza per lo scambio di potere e di ricchezza. La pratica coniugale, nota con il nome di “eredità della vedova”, prevede invece che una donna intrattenga rapporti sessuali con l’uomo che la “eredita” indipendentemente dal numero di partner sessuali che potrebbe aver avuto in passato. C’è tanto da fare per aumentare la consapevolezza su come tutte e tutti – donne, uomini, ragazze e ragazzi – possano trarre vantaggio da società contraddistinte da parità di genere. Il programma MenCare in Georgia, sostenuto dal Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, è ritenuto un modello che altri Paesi potrebbero adattare a livello locale. Il programma promuove il coinvolgimento degli uomini come padri e tutori non violenti al fine di raggiungere un benessere familiare, incoraggiandoli a sostenere l’uguaglianza di genere. In Nepal, società altamente patriarcale e con forte disparità di genere, sono stati introdotti meccanismi proattivi per contrastare questi modelli e garantire l’uguaglianza, istituendo tra l’altro una Commissione Nazionale delle Donne, incaricata di indagare regolarmente su questioni relative alla violenza sulle donne e sulle leggi inerenti le discriminazioni di genere.

«Corri [allora], corri, brilla, brilla, Luce Chiara e bella. Corri, corri, dimmi che non c’è nulla da temere».

A conclusione del panel, una preghiera bellissima, pubblicata sul sito «San Francesco» e recitata con solennità nel tono da Tonia Speranza e Iolanda De Luca, la preghiera delle donne per le donne: «Grazie, buon Dio, per l’amore che hai per noi, perché ci hai creati a tua immagine e somiglianza nella condizione di uomo e donna, affinché, riconoscendo la nostra diversità, cerchiamo di completarci a vicenda: l’uomo a sostegno delle donne e le donne a sostegno dell’uomo…».

Seguirono quindi le comunicazioni del presidente Luigi Cimino [Accoglienza dell’invito di p. Rocco Predoti OFMConv, superiore del convento «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido e docente di teologia catechetica e di teoria e passi della comunicazione presso l’Istituto Teologico Calabro «S. Pio X», alla presentazione del suo libro «Identità dell’uomo digitale. Antropologia del linguaggio digitale e implicazioni catechetiche» (Cittadella Editrice, 2022), che si terrà il 16 novembre a Catanzaro, presso la Biblioteca comunale «Filippo De Nobili», situata all’interno di Villa Margherita; auguri a Elisabetta Guerrisi, affezionata fan e creativa sostenitrice del Circolo insieme alle sue sorelle Margherita e Carola, affinché la sua celeste protettrice, Elisabetta d’Ungheria, giovane, sposa, madre e regina, primizia dei chiamati a vivere di Dio nel mondo, continui ad essere al suo fianco, con il grembiule di magnifiche e fragranti rose…] e l’annuncio del prossimo evento [Venerdì 25 novembre: 4a Serata cinematografica (223), con la proiezione del film «Nabat» di Elchin Musaoglu e il cinedibattito sul tema: «Resilienza, capacità di cura, ostinazione a non cedere alla barbarie»].

Infine, per non dimenticare le donne in Ucraina che soffrono e lottano per la pace, per la libertà, per il rispetto della dignità di tutte le donne, un tenero e struggente canto della piccola Виктория Желудкова: «Отмените войну». La Serata, intensa e cordiale, si è sciolta attorno ad un tavolo ricco di arancini, patate e peperoni, preparati da Loredana, e i pasticcini portati dalle sorelle Guerrisi, serviti graziosamente anche da Asia Brogneri), con il saldo proposito di rivederci mercoledì, nella Biblioteca comunale «Filippo De Nobili», e venerdì, nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria».

Piotr Anzulewicz OFMConv


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Donne che lottano per la loro libertà e dignità

Una Serata magnetica, con un tema di forte attualità e rilevanza: «Donne che non sono disposte a rinunciare alla loro libertà e dignità, capaci di smascherare l’ignoranza, la superstizione e l’ottusità…».

Queste donne si incrociano di continuo, a casa, sul lavoro, per le strade… e venerdì 11 novembre scorso nel Salone di S. Elisabetta d’Ungheria, presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, e nel film «Il Sabba» di Pablo Agüero, alla 3ª Serata cinematografica della 10ª edizione del CineCircolo dal filo conduttore: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›, per immagini», inserita nel solco della fase narrativa del cammino sinodale, ispirata ai grandi testi dell’autorità educativa della Chiesa, promossa dal Circolo ed aperta gratuitamente a tutti: credenti e «laici», vicini e lontani – la 221ª di seguito.

La aprì il brano «Stefania» della Kalush Orchestra, in omaggio alle donne ucraine: dalle politiche, parlamentari e diplomatiche alle reginette di bellezza, artiste e casalinghe, icone ed eroine del sanguinoso conflitto russo-ucraino, che impugnano armi e combattono nelle forze di difesa territoriali, che afferrano microfoni e ad alta voce difendono la loro e la nostra dignità e libertà, e le donne ‘comuni’, che, sentendo la loro casa tremare, con la forza dell’amore scappano nei rifugi insieme ai loro bambini, che, assumendosi la responsabilità dei loro figli, diventano profughe e rifugiate in altri Paesi.

Seguirono un veloce sguardo sulla Serata precedente, resa immortale nelle immagini associate all’articolo «Le sante e le indemoniate», la sinossi de «Il Sabba» con il cast e il regista, presentata agilmente da Lucia Scarpetta, senza svelare il finale, e la proiezione della pellicola ‘scovata’ abilmente da Ghenadi Cimino.

Il film trasportò i presenti nel Salone, con incredibile maestria, nei primi anni del 1600, nella regione basca, e seguì la storia – altamente drammatica, ma al tempo stesso assolutamente emozionante – di un gruppo di giovani donne accusate ingiustamente di stregoneria. La ventenne Ana viene arrestata per la sola colpa di aver preso parte ad un Sabba (in basco Akelarre). Insieme a lei, altre donne, sorelle ed amiche, subiscono la stessa sorte: vengono costrette a confessare, con torture atroci e disumane, quello che sanno sull’Akelarre, il rito magico durante il quale si materializzerebbe il diavolo, pronto ad accoppiarsi con loro. Accusata, insieme alle sventurate compagne, di stregoneria dal giudice Pierre de Rosteguy di Lancre, Ana verrà quindi coinvolta in un estenuante processo, nel quale verrà messa alla gogna finché l’odio evocato da una società ipocrita e oscurantista verrà inevitabilmente e tragicamente soddisfatto.

Nel film ci vengono mostrati due mondi diversi: quello degli uomini, fatto di assurde credenze e superstizioni e di un’intrinseca paura per tutto ciò che sfugge al loro controllo, e quello delle donne, che in questa regione della Spagna mantengono un livello di libertà, espressa principalmente in un fortissimo legame con la natura e con i suoi segreti, che in altri luoghi, a quel tempo, era probabilmente impossibile. Donne che non sono disposte a rinunciare, oltre che alla loro libertà, alla dignità, e che sono capaci di smascherare l’ottusità dei loro aguzzini, manipolandola in certi casi a loro vantaggio. Il profondo contrasto tra queste due dimensioni viene espresso anche dall’uso della camera, movimenti bruschi e veloci quando viene raccontato il mondo femminile di Ana e le altre, decisamente più statici nelle poche scene completamente al maschile. La libertà di queste donne è opposta alle costrizioni che questi uomini si autoimpongono ed impongono agli altri. A colpire de «Il Sabba» sono anche le interpretazioni delle giovani protagoniste, per la maggior parte alla prima esperienza. Tra di loro spicca senza dubbio Amaia Aberasturi, magnetica negli sguardi e nel mondo di parlare, capace di incarnare il potere mistico e sensuale di cui viene accusata (e da cui i suoi aguzzini sono attratti). Le altre, comunque, spiccano per la loro spontaneità e freschezza, risultando altrettanto affascinanti.

«Il Sabba» è uno splendido grido di libertà e dignità. Agüero, che ha scritto la sceneggiatura insieme a Katell Guillou, con il suo film scelse di raccontare la donna di allora come quella di oggi, vittima di pregiudizi e dell’ignoranza, che tuttavia da vittima innocente può diventare l’artefice del suo destino, non perdendo la sua dignità nemmeno nei momenti peggiori.

Infatti, il cinedibattito, innescato da «Il Sabba», mise in luce la dignità della donna. Al microfono si alternavano allora donne diverse, con piglio mistico o con la concretezza di una lingua forte, ragionando sull’eredità degli avi, superando le loro madri e non nascondendosi dietro agli stereotipi: Tonia Speranza, Gabriela Sestito, Maria Rainone…, anche con alcune frasi incendiarie nei confronti dei “maschi” presenti nel Salone, ma subito “ritoccate” gentilmente da Leonardo Vigna.

C’è una donna speciale verso la quale il sottoscritto indirizzò l’attenzione di tutti: Maria di Nazareth, donna libera da se stessa e rivolta pienamente agli altri e al totalmente Altro, modello di donna emancipata, dialogica, coraggiosa. È in lei che prese corpo la misteriosa relazione fra il Verbo e l’umano. Questa relazione si nota bene nell’«Annunciazione» del pittore veneziano Lorenzo Lotto († 1556/1557), dove l’angelo che irrompe è tanto reale che perfino il gatto fugge, impaurito. La paura ha però due forme: quella che ti fa fuggire e quella che ti sgomenta, e di conseguenza ti fa interrogare, meditare, chiedere. Quella, cioè, che avvolge Maria. Lei avverte il pericolo e presagisce che la sua strada sarà piena di spine. Ecco allora che un’ombra copre il suo volto. La relazione tra il Verbo e l’umano, tra il Logos e la storia, avviene nel timbro della paura. La paura risolta con un obbediente “sì”, intriso di libertà: Maria è obbediente, ma nel senso etimologico della parola. Obbedire è ob audire, cioè ascoltare. E Maria ascolta l’annuncio dell’angelo, con timore e tremore, proprio come Lotto mostra nel suo dipinto. Dice “sì” all’angelo, dopo averlo ascoltato. La sua grandezza sta nell’accogliere l’annuncio superando la dimensione del destino. Se non si supera tale dimensione non si è nell’evo della cristianità. Tutto è segnato dal tremendo e scomodo dono della libertà che obbliga ad ascoltare e ad essere responsabili. A volte è molto più comodo essere servi che liberi, responsabili e coraggiosi.

A concludere il dibattito, la lettura del testo «Maria, donna coraggiosa», da parte di Lucia Scarpetta e Asia Brogneri, radiosa e felice, tratto dal volume «Maria, donna dei nostri giorni» di don Tonino Bello. Il testo tenero e appassionato, ma anche coraggioso e anticonformista, che unisce il “parlato alto”, proprio dei poeti, al “dire quotidiano”, proprio dell’uomo della strada. La litania per i nostri tempi, ricca di squarci di catechesi e di lampi di luce.

A concludere invece il programma della Serata, le comunicazioni del presidente Luigi Cimino, relative al Circolo, l’annuncio del prossimo evento [venerdì 18 novembre, dalle ore 18.45, la 4ª Serata conviviale focalizzata su «Sandra Sabattini († 1984), l’artista della carità, e le altre donne come lei] e le istantanee del gruppo accompagnate dal music video «Forza e coraggio» di Alessandra Amoroso «per chi la notte attraverserà il mare per sbarcare in un giorno migliore». Per tutti, nel Salone, un invito «ad hoc», al convivio e al buffet, preparato con passione e gioia da Lucia e Iolanda, Ninetta e Loredana, «donne che ‹fanno bello il mondo›».

Piotr Anzulewicz OFMConv


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Le sante e le indemoniate

Le sante e le indemoniate: un tema affascinante e intrigante, con tanti bellissimi e sconvolgenti dettagli. Ce ne sarebbero stati molti di più se tra noi fosse stato il dr. Mattia Zangari, con il suo stile audace e autorevole, il fior fiore nel programma della 3ª Serata conviviale con «aperitivo» [220] che si è svolta venerdì 4 novembre 2022, dedicata a Eustochio [Lucrezia] da Padova († 1469), Jeanne des Anges († 1665) e le altre donne, sante e indemoniate, appunto. L’influenza lo ha inchiodato a letto e gli ha impedito di condividere le proprie conoscenze nel Salone di S. Elisabetta d’Ungheria situato al lato destro della chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. Il suo studio Santità femminile e disturbi mentali fra Medioevo ed età moderna (Editori Laterza, Bari-Roma 2022) “riecheggiava” comunque nella presentazione – da parte di Tonia Speranza, affiancata dalle lettrici di alcune testimonianze storiche: Lucia Scarpetta e Iolanda De Luca – dell’orsolina Jeanne des Anges Belcier legata alla famosa vicenda della possessione diabolica di Loudun, una località ridente, nell’ancor più ridente regione francese Poitou.

È stato meraviglioso e, al tempo stesso, pericoloso l’ondeggiare tra le femmine umanizzate, “amorizzate” e benedette e le femmine disumanizzate, isteriche e maledette, tra il paradiso e l’inferno, tra la salvezza e la perdizione, tra la beatitudine e la dannazione. Davanti agli occhi dei partecipanti scorrevano le immagini horror che potevano terrorizzare e spaventare chiunque, ma anche quelle che potevano incantare e portare al settimo cielo. Le donne, con il cerchietto d’oro, furono preferite, pur presentate dal sottoscritto nella sfumatura, nella vaghezza, nel “compendio”. Si trattava soprattutto della benedettina Eustochio, la monaca che sconfisse il demonio e nel 1760 divenne beata, grazie a Papa Clemente XIII, precedentemente vescovo di Padova.

Ad aprire questa singolare Serata della 10ª edizione WikiCircolo dal filo rosso: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», è stato il video musicale «A Madre de Jesu Cristo» (4:05′) dell’ensemble Elthin, la banda ceca, specializzata nella musica medievale e rinascimentale, fondata nel 2006 e diretta da Jan Pouska, vocalista e liutista. A infervorare la memoria dei presenti, lo sguardo sulle due Serate precedenti, con il video «Nel cuore della bellezza e tenerezza: 1ª Serata del WikiCircolo, con Jacopa de’ Settesoli...» e lo slideshow «Margherita, Angela ed altre donne mistiche» (il video «”Chiara di Dio”: 1ª Serata cinematografica [217]», bellissimo anch’esso, ‘imprigionato’ dall’app Biteable, è in attesa di liberazione da qualche benefattore).

Con il video «Essere donna nel Medioevo. Storie, ruoli e responsabilità al femminile» (5:32′), proiettato da Ghenadi Cimino, operatore audio-visivo, si è aperta la nostra ibrida tavola rotonda, offline e online, generando la fantasia e la curiosità e suscitando il confronto con la questione femminile di oggi, la questione colta nel segno dalla programmazione della 10ª edizione del Wiki– e CineCircolo, idealmente in sintonia con la fase narrativa del cammino sinodale della Chiesa e con i grandi testi del suo magistero [1. «Messaggio alle donne» di Paolo VI (8.12.1965); 2. Lettera apostolica «Mulieris dignitatem» sulla dignità e vocazione della donna (15.08.1988) e «Lettera alle donne» di Giovanni Paolo II (29.06.1995); 3. Esortazione apostolica «Evangelii gaudium» sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale (24.11.2013) ed Enciclica «Fratelli tutti» sulla fraternità universale e l’amicizia sociale di Francesco (3.10.2020); 4. «I cantieri di Betania›: prospettive per il secondo anno del cammino sinodale» (5.07.2022) e «Sintesi nazionale della fase diocesana» del Sinodo 2021-2023 «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione» della CEI (15.08.2022)].

A conferma di questa felice sintonia – oltre le affermazioni contenute dalle nelle sintesi continentali del cammino sinodale – sono gli ultimi numeri di Donne Chiesa Mondo, il mensile femminile de L’Osservatore Romano, diretto da Rita Pinci. Ne diede notizia alla vigilia della Serata l’agenzia SIR (Servizio Informazione Religiosa), l’organo d’informazione della CEI sempre aggiornato su Chiesa, Vaticano, diocesi, conferenze episcopali e reti ecclesiali. Le donne «non sono veggenti – scrive la teologa Cettina Militello nel saggio che apre il numero di ottobre dedicato alle profetesse –, non predicano un futuro lontano. La loro profezia è istanza di libertà, intelligenza degli avvenimenti, capacità di visione: con mente attenta a quel che accade, parlano e operano perché il mondo non si perda e diventi più giusto e solidale. Superano barriere di genere, geografiche, culturali, religiose e si impegnano per la giustizia, la pace, la cura del creato».

«Le ribelli della povertà». Questo il titolo invece del numero di novembre di Donne Chiesa Mondo. «La povertà? È parola complessa – afferma nell’articolo di apertura suor Alessandra Smerilli, economista e segretario del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale. – E lo è ancora di più se la si affronta dal punto di vista delle donne». Chi sono “le povere”? Sono quelle da «commiserare come tutti coloro (maschi e femmine) che non possiedono nulla e sono costretti ad una vita difficile e spesso dolorosa? O c’è anche una povertà che nasce dall’idea di una felicità diversa, recidendo, sì, i legami con il consumo e con il mercato, ma rivendicando nel contempo libertà di scelta, parità e uguaglianza? Sì, c’è una povertà come metodo, come profezia, anche come ribellione e trasgressione. La povertà che libera, per dirla con Papa Francesco. La povertà che rende ricchi», l’interrogativo posto dall’editoriale. Povertà come benedizione per s. Chiara d’Assisi, che per sé e per le consorelle chiese questo “privilegio”, come racconta lo storico Giuseppe Perta. Suor Veronica Maria, già ballerina professionale, contesa da compagnie europee, che ha fatto studi di legge brillantissimi, difende oggi la scelta della povertà come “trasgressione” nell’intervista a Gloria Satta. Per suor Françoise Petit, superiora generale delle Figlie della Carità, il voto di povertà non è obbedienza a una Regola, ma «una condotta scelta liberamente». E poi le “povere” nella Chiesa e della Chiesa. Ecco le voci di teologhe, docenti, fedeli, sacerdoti, vescovi, raccolte da Lucia Capuzzi e Vittoria Prisciandaro: donne che proprio nella Chiesa vengono marginalizzate, umiliate, alle quali non si riconosce ruolo nonostante la loro fatica, cultura e intelligenza. «Povere sono le donne (quasi tutte) – constata Maria Pia Veladiano – che, al posto giusto, un posto di corresponsabilità visibile al mondo e ai fedeli tutti, potrebbero riempire le chiese di speranza e cambiare il mondo secondo il progetto del Regno e non possono farlo».

Non sono damine lamentose, abbandonate, sfortunate, sedotte, adagiate sul divano del pettegolezzo e della chiacchera quelle della 3ª Serata. Sono sante e indemoniate, trasgressive, coraggiose, ribelli, senza filtri sugli occhi e senza terrore di essere isolate e bruciate: piegano il mondo verso di sé, decidono che cosa fare della propria vita e scoprono come farsi valere e cercare la felicità.

Torniamo allora a Eustochio che riuscì a sconfiggere il diavolo… Nacque con il nome di Lucrezia Bellini a Padova nel 1444 da un rapporto adulterino tra Maddalena Cavalcabò, monaca, ed un signorotto locale, Bartolomeo Bellini. Il monastero di S. Prosdocimo era quanto mai “chiacchierato” ed era risaputo che la comunità monastica viveva nell’immoralità ed era aperta alla vita mondana a tal punto che veniva definito un “lupanario di meritrici”. D’altra parte a Padova, nel Quattrocento a fronte di oltre 20 conventi di frati e 30 di monache su una popolazione di circa 30 mila persone e moltissime chiese minori e parrocchie, la religiosità non era poi molta e la vita cristiana non così fervente, anzi, dilagava la corruzione e la simonia, cioè l’entrata in convento per comodità, interesse e non per vocazione, come nel monastero di S. Prosdocimo, nonostante lo sforzo e l’impegno della badessa nel dare un freno a quel malcostume.

Pare che una suora anziana, tale suor Maiorino, spingesse le sorelle ad una vita dissoluta e lo stesso fece con la madre di Lucrezia, che viveva presso il monastero benedettino sul Monte Gemola, sui Colli Euganei, oggi Villa Beatrice d’Este, spingendola a trasferirsi al monastero di Padova per facilitarne, a sua insaputa, l’incontro con il signor Bellini, già sposato, che viveva lì vicino, come di fatto successe… Una volta incinta e fintasi ammalata fece ritorno al Gemola.

Al compimento del settimo anno di età il padre affidò Lucrezia al monastero dove visse la madre, quello di S. Prosdocimo. Le monache di questo convento furono addirittura accusate di aver avvelenato la badessa causandone la morte, sostengono gli storici dell’epoca. In questo posticino, che non lasciava presagire nulla di buono, viveva la piccola Lucrezia ed è poco dopo il suo ingresso in convento che iniziò a manifestare i segni di una “possessione” demoniaca che l’aveva colpita già anni prima, quando manifestava scatti d’ira e irrequietezza. Quando il vescovo, alla morte della badessa, ordinò maggiore disciplina, ottenne che tutte le monache lasciarono il convento ed i voti, tranne Lucrezia che, mai distratta dalle attrazioni del mondo, scelse come ragione di vita la solitudine e la preghiera, in particolare alla Vergine Maria, a s. Luca e a s. Girolamo a cui era molto devota. Successivamente la raggiunsero in convento altre monache benedettine dal convento di S. Maria della Misericordia, sotto la guida della badessa Giustina de Lazzara.

Il 14 gennaio 1461 Lucrezia riceve l’abito benedettino color nero con il nome di “Eustochio”, prendendo il nome del suo santo prediletto, Gerolamo, e fu dopo questo momento che il “demonio” tornò a prendere il sopravvento su di lei, facendole compiere atti inconsulti e violenti nei confronti delle consorelle e violare la Regola. Per molti giorni fu addirittura legata ad una colonna. Successivamente dovette sopportare gravi sofferenze psicofisiche, contrasse una strana malattia con continui conati di vomito, fu incolpata di essere una strega e finì rinchiusa in carcere per tre mesi a pane ed acqua. Nonostante ciò, a forza di digiuni e preghiere, continuò a lottare contro il maligno e dimostrare alle monache del convento le proprie virtù. Così il 25 marzo 1465 fu ammessa alla professione solenne e due anni dopo ricevette il velo nero delle benedettine. La sofferenza l’aveva segnata e ne aveva ormai debilitato il fisico, colpito anche da piaghe che ne avevano deturpato il volto da renderla irriconoscibile. Morì il 13 febbraio 1469, alla giovane età di 25 anni, dopo che il suo acerrimo nemico di tutta una vita, il demonio, abbandonò il suo corpo restituendole sorriso e bellezza. Quando quattro anni dopo il suo corpo fu riesumato, dal sepolcro iniziò a sgorgare l’acqua taumaturgica, con le frequenze della luce perfette, straordinarie, potenti.

Nel 1475 il corpo era stato portato nella chiesa di S. Prosdocimo (conosciuta oggi anche come Duomo dei Militari) e dal 1720 reso visibile in una teca di cristallo. Nel 1760 Eustochio divenne la beata Eustochio. Nel 1806, soppresso il monastero presso il quale il flusso di acqua miracolosa smise di uscire, il suo corpo fu portato nella chiesa di S. Pietro e posto sull’altare della cappella laterale. Attualmente la salma si trova al duomo di Padova per lavori di consolidamento e restauro della chiesa di S. Pietro.

Eustochio fu un esempio di grande forza, determinazione e soprattutto fede che, alla fine della sua breve vita, riuscì a sconfiggere il demonio che si era impossessato del suo corpo fin dalla tenera età. Fu per questo motivo che venne “beatificata” e considerata oggi la protettrice di chi soffre di tribolazioni spirituali quali posseduti ed indemoniati vari, un punto di riferimento per i sacerdoti esorcisti di tutto il mondo oltre che per i fedeli che venerano il suo culto.

A questo punto alle orecchie dei presenti nel Salone arrivarono le splendide note e le ardite parole delle due canzoni di ispirazione medievale: «Lo paure Satan» e «Er dei tripetas», eseguite dall’ensemble «Anonymous & Strada», tratte dall’album «A la via!» (08:49-11:24′) e accompagnate dalle eloquenti immagini proiettate da Ghenadi sul grande schermo.

Ed ecco il momento per Jeanne des Anges, badessa delle Orsoline di Loudun, presentata da Tonia, in collaborazione con Lucia e Iolanda che hanno letto alcune testimonianze attinte dal libro di Mattia. Jeanne des Anges è una suora senza vocazione, abituata ad essere obbedita dalle consorelle e a vivere come una regina. Nel 1634 scrive al curato Urbain Grandier, per offrirgli il posto di confessore per se stessa e per le sue compagne. Il curato è carismatico, di vasta cultura, giovane e – a leggere le vecchie cronache – è molto bello, ammirato sia da cattolici che da protestanti. E’ un uomo più importante della città e nella regione del Poitou. Il suo rifiuto del posto brucia a suor Jeanne, che decide di vendicarsi su di lui ed umiliarlo, pur essendo innamorata in lui, in maniera ossessiva e maniacale, da quando lo ha visto una sera di sfuggita e ha sentito parlare delle sue avventure. Così lei e altre suore cominciano a manifestare segni d’isteria, accusando Grandier di averle visitate la notte nelle loro celle e di averle toccate contro la loro volontà. Inoltre, molte di loro hanno le convulsioni e bava alla bocca, descrivono gli amplessi con parole sconce che non possono conoscere, a meno che qualcuno non gliel’abbia rivelate. Indemoniate è il verdetto comune della gente e suor Jeanne si rivolge a un suo parente a corte. Ha gioco facile perché Grandier più di una volta ha parlato contro card. Richelieu, primo ministro del re Luigi XIII, e la sua politica accentratrice. Subito è spiccata un’accusa di stregoneria e di immoralità verso il prete che viene arrestato, imprigionato, torturato e condannato a morte. Il 18 agosto 1634 è bruciato sul rogo come stregone. Suor Jeanne des Anges resta indemoniata fino al dicembre 1639 quando miracolosamente guarisce. Muore il 29 gennaio 1665, in odore di santità. Sulla sua vicenda e sulle monache stregate e ossesse, il più famoso caso di possessione demoniaca della storia, c’è un bellissimo film ispirato al romanzo «I diavoli di Loudun» di Aldous Leonard Huxley († 1963), scrittore e filosofo, e diretto nel 1971 da Henry Kenneth Alfred Russell († 2011), regista e sceneggiatore: «I diavoli».

La canzone «Stella splendens in monte», tratta dal Llibre Vermell de Montserrat (XIV sec.), apri il dibattito, per niente letargico, ma inebriante e a tratti elettrizzante.

Rosa Mercurio, assidua e affezionata frequentatrice delle Serate, raccontò, con un cuore luminoso come il sole, il suo amore per la b. Eustochio, coinvolgendo le emozioni dei presenti nel Salone. Nel 2012 è andata con il suo malato sposo a Padova dove già vivevano i suoi tre figli medici. Un non-luogo, Padova, diventò presto il luogo per eccellenza, grazie ad una casuale scoperta della b. Eustochio nella chiesa di S. Pietro, situata vicino al suo appartamento preso in affitto. È stata lei ad incantarla e accompagnarla, per un anno intero, fino alla morte del suo amato sposo. Le ha fatto sentire che la malattia non è strazio… Ogni giorno si recava in chiesa ed entrava nella cappella dove è custodito il suo corpo. Lì si sentiva a suo agio, come se fosse immersa in una luminosità che le mostrava quanto è ampio il ventaglio delle esperienze umane che è possibile accogliere in sé. Questo non era il tempo di «girl meets boy», delle favole o commedie romantiche medievali, ma la porta di un mondo nuovo, beatifico, luminoso. Eustochio svelava e dava respiro a qualcosa che è evidente nei santi, ma in fondo è profondamente umano, e ci riguarda tutti. Riempire di senso le parole come amore non è facile, ma è qui che i santi puntano e a volte fanno centro.

Il sottoscritto mostrò allora il disegno di Vitale Frontera, figlio adottivo di Marialuisa e del memorabile Peppino. Un disegno bello, fine, artistico, realizzato a penna, raffigurante la b. Eustochio. Avrebbe voluto parlare a lungo delle lettere che salvano la vita quando l’amore si spezza, ma si fermò per mancanza di tempo. Si tratterebbe di Lettres portugaises, pubblicate per la prima volta a Parigi nel 1669 e ripubblicate fino al 1800, ma nessuno sa chi le abbia scritte. È uno dei più fitti misteri nella storia dell’editoria. L’ipotesi più affascinante è che le abbia scritte Mariana Alcoforado, monaca, che visse tutta la sua vita nel convento della Nostra Signora della Concezione a Beja, nel Basso Alentejo, al confine con l’Andalusia. «Si era innamorata, Mariana. Si era innamorata – sostiene Gaia Manzini nel bellissimo articolo Le cerimonie dell’addio, pubblicato su Il Foglio del 7-8 maggio 2022 – di un ufficiale francese, un certo Noël Beuton, conte di Chamilly, di stanza in Portogallo. E allora Mariana gli scrive; scrive tanto e scrivendo rompe il silenzio nel quale è stata costretta a vivere. […] Scrive in modo appassionato. Ha uno stile intrepido, impensabile per una religiosa e una voce incisiva e lirica che tanto affascinò Rilke. Le lettere sono cinque. L’ultima è una lettera di addio che inizia da una restituzione. Mariana, consapevole del suo amore non corrisposto, fa restituire al suo amante i regali con cui lui l’aveva omaggiata: un ritratto e dei braccialetti. È bellissimo questo dettaglio. È come quando un innamorato regala una sua foto all’amata, quasi a dire: ‘Eccomi sono io, non ti dimenticare di me’. E, ancora, i braccialetti: il più delicato ornamento femminile – meno impegnativo di un anello e meno impositivo di una collana. L’ornamento per una femminilità rivelata solo all’amante. I braccialetti che una religiosa non potrà mai indossare, se non nei loro incontri segreti […]. Si vorrebbe che quanto c’è stato non fosse mai accaduto» (p. 13).

Maria Rainone, insegnante in pensione, anch’essa assidua frequentatrice del Circolo insieme al suo marito, Roberto Le Pera, riferendosi al contesto storico delle sante e indemoniate, rammentò la storia di Marianna de Leyva, la Monaca di Monza, Gertrude. di Promessi sposi, che da una finestra aveva visto la prima volta l’amante e da quel momento non aveva pensato ad altro, dice Alessandro Manzoni. Tutti noi sappiamo benissimo che spesso ci si convince di amare, perché amare è bellissimo. È bellissimo anche fingere di amare. È una prova attoriale che tira fuori il meglio di noi e lo si fa sempre con le migliori intenzioni, con il recondito desiderio di innescare una metamorfosi che ci trasformi in creature straordinarie.

Al microfono, infine, p. Jorge Campelo de Albuquerque e Melo, francescano brasiliano e dottorando romano, affabile ospite della fraternità conventuale del «Sacro Cuore», che focalizzò l’attenzione dei presenti sul volto femminile della Chiesa in Brasile. «Non si può – constatò – capire la Chiesa brasiliana senza le donne». La costatazione che richiamò le parole di Papa Francesco pronunciate nella lunga intervista «senza rete e senza filtri» sul volo di ritorno da Rio de Janeiro a conclusione della 28ª Giornata Mondiale della Gioventù (28.07.2013): «Una Chiesa senza le donne è come il Collegio apostolico senza Maria. Il ruolo della donna nella Chiesa non è soltanto la maternità, la mamma di famiglia, ma è più forte: è proprio l’icona della Vergine, della Madonna; quella che aiuta a crescere la Chiesa! Ma pensate che la Madonna è più importante degli Apostoli! E’ più importante! La Chiesa è femminile. […] Il ruolo della donna nella Chiesa non solo deve finire come mamma, come lavoratrice…, limitata». Non riduciamo allora l’impegno delle donne, ma, anzi, promuoviamo il loro ruolo attivo nella comunità ecclesiale.

La tavola rotonda si concluse con la lettura di un brano finale della Lettera apostolica «Mulieris dignitatem» sulla dignità e vocazione della donna di Giovanni Paolo II (n. 31). Seguirono quindi le comunicazioni del presidente Luigi Cimino, relative al Circolo, la foto comune accompagnata dal brano musicale di ispirazione medievale «Bransle des chevaux» di Thoinot Arbeau, tratto dall’album «A la via!». E un grazie corale a Federica Astarita: la sua torta fu squisita!

Piotr Anzulewicz OFMConv


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Margherita, Angela ed altre donne mistiche

Una Serata con scintille e sorprese, quella che si è svolta il 21 ottobre 2022, focalizzata sulle stupende donne medievali: «Margherita da Cortona († 1297), Angela da Foligno († 1309) e le altre mistiche, tra santità e pazzia», ideata nell’ambito della 10ª edizione del WikiCircolo 2022-23 dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», e inserita nel solco della fase narrativa del cammino sinodale della Chiesa, la 218ª di seguito.

Un improvviso «tilt» del proiettore, poco prima dell’inizio, l’ha marcata, ma non l’ha azzerata. Al contrario, l’ha resa più ingegnosa, spontanea, creativa e scintillante… Il «tilt» ha attivato la “terza vista”, ovvero l’immaginazione, capace di cogliere, come per magia, in ogni cosa il dettaglio peculiare e tradurlo in parole.

Ma quali parole? Le uniche possibili, ‘nude’ e schiette, ma autorevoli, attendibili e credibili del dott. Mattia Zangari, accademico, docente, esperto di spicco nel campo della santità femminile, autore di saggi, monografie e di due libri scientifici («Santità femminile e disturbi mentali fra Medioevo ed età moderna» [Bari-Roma, Editori Laterza, 2022] e «La santa e il giglio. Mistiche nella Firenze del Seicento» [Roma, Carocci Editore, 2022]). Pur non potendo, a causa del proiettore-‘sovvertitore’, utilizzare il PowerPoint – un «software» che consente presentare sia un discorso sia una lezione con la grafica, foto ed animazioni –, ha saputo catturare l’attenzione e folgorare tutti in modo del tutto nuovo. Già con le prime pennellate ci ha catapultato nell’epoca ricca dei fermenti sociali, dei movimenti evangelico-pauperistici, dei trovatori provenzali, dei castelli reali, delle cattedrali episcopali, nell’epoca di Margherita, di Angela e delle altre donne mistiche. Forte di una competenza maturata sull’argomento presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera, l’Università di Firenze, la Pontificia Università Urbaniana di Roma e l’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha fatto riecheggiare, nel Salone di S. Elisabetta d’Ungheria presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, l’estasi, la sublimazione, l’allucinazione, la maternità, la teatralità, tutto un ‘ciclo’ di relazioni di queste donne con il totalmente Altro, con Dio, con Cristo.

Il loro corpo – disse – a seguito di un’assidua contemplazione della passione di Cristo diventava spesso «’sacrario’, coacervo di spirito e materia, dove si rendeva manifesto il repertorio di immagini sacre», prefigurando addirittura l’esperienza emografica della calabrese Natuzza Evolo, tanto cara a Giovanni Monaco, presente alla Serata, da innescare un vivace dibattito sul corpo di alcune mistiche. Il loro corpo ‘parlava’, nel segno del sanguinamento, attraverso la pelle. Si faceva scrittura, comunicazione, testimonianza, apertura al trascendente, relazione con il divino. Le immagini sacre, che si depositavano sulla loro pelle – è il caso della clarissa Chiara Isabella Fornari, oggetto d’indagine del dott. Zangari –, si ‘stampavano’ poi sulla biancheria o sui fazzoletti venuti a contatto con la pelle, sì da divenire reliquie di sangue, reliquie di un corpo-«’ianua’ di confine, porta sulla soglie, anello di congiunzione fra la dimensione umana e quella divina». Un tema affascinante, ma nel contempo perturbante. Sarà ripreso e approfondito durante le Serate successive, insieme a tutto quello che ha bisogno di essere perimetrato e nuovamente messo a fuoco, tutto quello che necessita nuove narrazioni e dibattiti.

«Non è da tutti» interpretare le esperienze mistiche iscritte e immagazzinate nel corpo delle estatiche, delle visionarie e più in generale le mistiche medievali. Lo può fare soltanto chi, come dott. Zangari, conosce la chiave d’accesso a un ’empireo’ di queste donne in bilico fra cielo e la terra, fra qui e altrove, fra ora e allora, fra fede e follia, fra santità vera e santità simulata. Il Circolo ha l’indicibile fortuna di averlo alle prossime Serate.

Vito: S. Angela da Foligno

Vito Doria: S. Angela da Foligno

Molto altro ci sarebbe da non dimenticare di questa Serata, senza trascurare l’impegno di Lucia Scarpetta, Iolanda De Luca, Antonella Vitale, Rina Gullà e Maria Rainone, le cinque ‘queens’ che l’hanno resa saporita e squisita. Il bimbo Vito merita poi un applauso per il bellissimo disegno colorato raffigurante s. Angela da Foligno, donna francescana, mistica e «maestra dei teologi», depositaria di una incredibile promessa del Signore: «Io benedirò perfino chi ti sentirà nominare», e delle parole: «Non ti ho amato per scherzo». Resta da sperare che tanta ricchezza della Serata non vada dispersa dal tempo, ma custodita e condivisa con tutti, donne e uomini, vicini e lontani. Ed è quello che lo Staff del Circolo cercha di fare con gioia e passione. Si ceda allora alla visione del programma originale e alla bellezza delle foto scattate nel Salone. «Siamo donne e uomini del Circolo, non è da tutti!».

Piotr Anzulewicz OFMConv


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«Chiara di Dio»: 1ª Serata del CineCircolo

«Si è fatta carne» venerdì 14 ottobre 2022 – con la 1ª Serata cinematografica focalizzata su Chiara d’Assisi, «Angelo biondo che canta nel sonno, che splende nel buio, che tutto fa chiaro» – la 10ª edizione del CineCircolo dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›, per immagini». Un’edizione vivace, godibile ed imperdibile, inserita, come quella del WikiCircolo, nel solco della fase narrativa del cammino sinodale, con l’ingresso libero e gratuito, online e offline. Infatti, la «Chiara» segna il ritorno in presenza, in «carne ed ossa», al Salone di S. Elisabetta d’Ungheria, situato al lato destro della chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, luogo di incontro, di dialogo, di condivisione, di relazione, valore aggiunto di ogni evento del Circolo, ma mantiene anche la via telematica, virtuale, digitale, grazie all’abilità dell’operatore Ghenadi e alla disponibilità del presidente Luigi. Ancora poche persone a rimettersi in relazione, a riconoscersi, a ritessere un ‘noi’, ma tante con una grande voglia di coinvolgersi e di condividere qualche istante di unicità, prima di rituffarsi nell’oceano del tutto-visibile, privo com’è di fascino, di stupore, di mistero.

A condurre la Serata è stato – oddio – il sottoscritto, che ha fatto i salti mortali per superare quasi 3 mila km e non mancare all’inaugurazione della 10ª edizione. «Siamo felici – ha evidenziato – di poterci incontrare al Circolo, perché le Serate conviviali e cinematografiche rappresentano un evento generativo che ha sempre messo al centro le relazioni reali, visibili, tangibili. Riconoscersi, vederci in faccia, comunicare «vis-à-vis» è la premessa di tutte quelle soluzioni che aspirano ad una trasformazione reale, effettiva, concreta.

Ad aprire l’evento è stata invece la canzone «L’Angelo biondo», dedicata a Chiara, tratta dal musical teatrale «Forza, venite gente», composto di 23 scene cantate, incentrato sulla vita del santo Assisiate e messo in scena da Mario Castellacci con Silvio Spaccesi e Michele Paulicelli nel 1991 sul sagrato della basilica superiore di S. Francesco in Assisi. Per l’impossibilità di acquistare il film intero di Susanna Nicchiarelli, proiettato il 9 settembre scorso alla 79ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica al Lido di Venezia, la Serata si è presentata con un programma ancora più ricco, più vivace, più animato del solito, mettendo la figura della «Pianticella» di Francesco nell’epicentro di attenzione. Ecco la sua parte centrale:

1. Trama Regista Trailer «Chiara» (2:19′) – Intervista al cast (3:46′)] – Music video «Chiara di Dio» di Carlo Tedeschi (17:35′-23:59′); 2. Cinedibattito («’Radicalità’ della vita di Chiara e Francesco che ci restituisce il sogno di una comunità senza gerarchie e meccanismi di potere, l’energia del rinnovamento e l’entusiasmo della gioventù») con l’Intervista a sr. Massimilina Panza (5:07′); 3. Proiezione del film «Chiara d’Assisi. Storia di una cristiana» di Serafino Rafaiani OFMCap (0:80′-10:00′; 1:00:00′-1:14:50′); 4. Lettura della «Benedizione» di s. Chiara per tutte le ‹sorelle e figlie sue› (FF 2854-2858) – Music video «Chiara di Dio» di Carlo Tedeschi (38:40′-41:30′) e «Il Signore ti benedica e ti protegga» (6:41′)

Nell’insieme, la Serata, traboccante di emozioni, spunti e richiami, ha offerto un ritratto della Santa d’Assisi nuovo, vibrante, lontano da quello tracciato dalla storiografia ufficiale e religiosa. Chiara era una giovane ribelle, coraggiosa, determinata a tener testa a un mondo patriarcale, particolarmente rigido nei confronti delle donne. Aveva un sogno rivoluzionario di libertà, uguaglianza e giustizia, assieme al sogno di un cammino in comunità povera di donne che portassero il messaggio del Vangelo tra la gente e con la gente. Il suo sogno sfidava pericolosamente il potere costituito: non era permesso alle donne nessun tipo di apostolato attivo né la possibilità di scegliere una vita di povertà e di elemosina. La donna, se voleva dedicarsi alla religione doveva scomparire dietro le mura di un convento, sotto la protezione della Chiesa e dei suoi beni portati in dote, se ricca, o, se povera, come serva delle monache più ricche. Chiara ha dovuto fronteggiare cardinali e Papi per mantenere in vita il suo gruppo di sorelle povere, tutte uguali e libere. Ha dovuto anche cedere, scendere a compromessi, entrare addirittura in contrasto con lo stesso Francesco per portare avanti il suo progetto.

La forza della sua storia stava nella sua radicalità. «È una radicalità – ha sottolineato la regista Nicchiarelli, precisando la prospettiva da cui osservava, con lo sguardo accorto e puntuale, la figura di Chiara nel suo film – che è sempre attuale e che ci interroga in qualsiasi epoca. Una Chiara resiliente e determinata, forse anche ben più del suo amico Francesco. Una donna che ha scritto la prima Regola nella storia per delle donne. Una donna anzitutto radicale: una «femminista» anzitempo.

In sintesi, la Serata, attraversata da intervalli musicali, inserita nel perimetro della storia, ma protesa verso l’oggi, resa anche deliziosa con le mandorle «Guglielmo» di Antonella e pasticcini di Lucia, ha voluto avvicinarci a «Chiara di Dio», donna di grande genialità, bellezza e spiritualità, «caritatevole nell’ammonire, moderata nel correggere, temperata nel comando, ammirevole per compassione, discreta nel tacere, assennata nel parlare e accorta in tutto quanto concerne il saggio governo, desiderosa più servire che di comandare, e di onorare le altre, più che di essere onorata» (BolsC: FF 3297), piena di premure per coinvolgere le sue sorelle nella corresponsabilità e condecisionalità. Nel contempo ci ha permesso di sentirci tutti centrali e uguali, sorelle e fratelli, e di avviare un cammino, ancora non del tutto compiuto, di valorizzazione delle donne nella Chiesa e nella società. Beati coloro che hanno intrapreso questo cammino nel Salone di S. Elisabetta con le donne della 10ª edizione del Cine– e WikiCircolo. Non meno beati coloro che lo sosterranno, promuoveranno e patrocineranno.

Piotr Anzulewicz OFMConv


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Educarci al perdono…

Sembrava una Serata come tante, impregnata di idee, scandita da interventi, intercalata da canzoni di cantanti italiani e stranieri, e trasmessa in diretta streaming, sulla pagina social del Circolo, da Ghenadi Cimino, diligente e paziente… La 14ª Serata conviviale, che si è svolta venerdì 6 maggio 2022, focalizzata sul tema: «Educarci al perdono e alla riconciliazione», ideata nell’ambito della 9ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Sfida educativa in un mondo di emergenze planetarie», ed aperta gratuitamente a tutti: soci, sostenitori, amici, credenti e «laici», vicini e lontani – la 208ª di seguito, con decorrenza dal 10 gennaio 2014 – era invece insolita, di bellezza singolare. A renderla speciale, la conduttrice Vanessa Leone di Squillace, consulente per la medicina estetica e per le farmacie, splendida per empatia e brillantezza. Infatti, la Serata ha entusiasmato e incuriosito i presenti nel Salone, molti dei quali sono rimasti a lungo, incantati e ristorati con patatine e pasticcini delle premurose e generose Iolanda, Rina, Antonella e Maria.

Abbondante è stata la «Tavola rotonda» della Serata, preceduta dal video musicale «L’eternità» di Giorgia Todrani, una delle cantanti più amate e note in Italia. Tutti abbiamo qualcosa da farci perdonare, ma il più delle volte la parola “scusa” è la più difficile da pronunciare. Spesso ci facciamo scudo con giustificazioni artificiose, dietrologie negazioniste ed attacchi reciproci, dimenticando la potenza immensa di queste cinque lettere: “scusa”. Una parola così semplice, all’apparenza quasi banale, ma in grado di sprigionare una forza senza eguali. L’occhio quindi sul ‘menù’ della «Tavola» (3):

3.1. Music video «Vivere il perdono» di fra Davide, fra Alessandro e fra Marco (3:00′-4:55′); 3.2. Raimon Panikkar e Mauro Scardovelli: «Senso di colpa e perdono» (4:41′-11:50′); 3.3. Papa Francesco: «Dio perdona chi si pente, non chi finge di essere cristiano» (3:01′); 3.4. Umberto Galimberti: «Senso di colpa e perdono» (11:51′-16:45′); 3.5. Massimo Recalcati: «Dal tradimento al perdono» (0:00′-14:33′); 3.6. Music video «The blessing» (La benedizione) di Jappo & Manu (8:09′); 3.7. Music video «La fine» di Tiziano Ferro (0:46-4:32′); 3.8. Papa Francesco: «Il perdono» (7:16′-9:20′); 3.9. Fra Antonio Solinaro: «Le parole del Vangelo: perdono e riconciliazione» (1:30′-6.22′; 19:10′-22:22′); 3.10. Fra Piotr Anzulewicz: Passaggi del perdono; 3.11. Fra Renzo Cocchi: «Le parole del Vangelo: perdono e riconciliazione» (6:33′-9:18′); 3.12. Mauro Scardovelli: «Cos’è Aleph» (4:21′); 3.13. Etty Hillesum: «I gigli del campo e il tempo presente» (14:55′)

Da questa «Tavola» parte un messaggio e un dinamismo di grande attualità: «Il perdono è un processo arduo e lungo, ma non esiste persona a cui non si possa donare il perdono». Mobilitiamoci quindi per riempire di amore i solchi scavati dall’odio. «Oh, Signore, fa di me uno strumento della tua pace, del tuo amore. Dove è odio, fa ch’io porti amore; dove è offesa, ch’io porti il perdono; dov’è discordia, ch’io porti l’unione; dov’è dubbio, fa’ ch’io porti la fede; dove è l’errore, ch’io porti la verità; dove è la disperazione, ch’io porti la speranza; dove è tristezza, ch’io porti la gioia; dove sono le tenebre, ch’io porti la luce» (Preghiera semplice, attribuita a s. Francesco d’Assisi).

L’amore ci dice di prendersi cura di chi ha perso tutto, di chi non ha aiuti, di chi non ha scorte di cibo e di acqua, di chi è stato segnato dalla crudeltà e non vuole niente da nessuno, ma guarda il bambino che ha tra le braccia, lo bacia e controlla il suo respiro. L’essere umano è più grande della guerra, perché dentro di sé contiene tutto: non solo il miglior male, ma anche il miglior bene. Sarà il miglior bene a far trionfare l’amore, la pace, la riconciliazione, il perdono. Quando le vittime potranno perdonare e ricostruire le proprie anime, non solo le case, finirà anche la guerra. A concludere la Serata, la canzone, in cui vibra l’amore e il senso di eternità: Prayer for Ukraine» (Молитва за Україну) di Christina Yavdoshnyak.

Piotr Anzulewicz OFMConv


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«Pace a voi!»

«Tu sei la nostra quiete […], la nostra speranza […], la nostra vita, grande ed ammirabile Signore» (Francesco d’Assisi, Lodi di Dio altissimo, vv. 4-5.7: FF 261)

Oggi più che mai abbiamo bisogno dell’annuncio pasquale: «Pace a voi!» (Gv 20,19). Abbiamo bisogno di Colui che è «la nostra pace» (Ef 2,14), per avere pace, essere in pace, vivere in pace. Abbiamo bisogno del Crocifisso risorto per chiedere a gran voce, dai balconi e per le strade, la pace», per «uscire mano nella mano, mettendo insieme le forze e le risorse, dal tunnel buio e oscuro», per sperare nella riconciliazione» e «vivere in fraternità», per «credere nella vittoria dell’amore».

Oggi più che mai abbiamo bisogno di Lui, perché venga in mezzo a noi e ci dica ancora: «Pace a voi!». «Solo lui può farlo. Solo lui ha il diritto di annunciarci oggi la pace», la pace che «segue la via della mitezza e della croce», la pace che è «farsi carico degli altri», la pace che «nasce dal dono di sé» (Papa Francesco). Solo lui, «il grande e ammirabile Signore, misericordioso Salvatore» (Francesco d’Assisi), che a Pasqua, con il suo amore smisurato e sconfinato e con il suo corpo luminoso e radioso, ha voluto un’umanità nuova, può darci la pace, ‘restituirci’ agli altri, cambiare il nostro dis-amore in amore, la nostra paura in fiducia, la nostra angoscia in speranza. Solo lui può trasformare il nostro lutto in danza.

Facciamo Pasqua con lui, il Risorto. Con lui anche nel buio più fitto della guerra e della crudeltà brillerà la stella del mattino. La luce sfolgorante sul suo volto ci condurrà alla bellezza della pace. In quel momento capiremo tutto e con stupore, gioia e gratitudine intoneremo il canto «Alleluia!».

Auguri, Amici, per un nuovo percorso pasquale, colmo di pace e pregno di speranza, con i riflessi del Risorto negli occhi.

Piotr Anzulewicz OFMConv

a nome di tutto lo Staff del Circolo Culturale San Francesco

Catanzaro, 17 aprile 2022




Serata natalizia: musicale e conviviale

Non siamo in disgrazia, come si potrebbe pensare, per la ‘perfetta’ simultaneità di due eventi, il 22 dicembre 2021: quello del Circolo che si svolge, per la prima volta nella sua storia, nel ristretto salone «S. Elisabetta d’Ungheria», e non nel più spazioso salone parrocchiale o in chiesa, e quello dei boy-scout ASCI «Catanzaro 3» che si tiene appunto in chiesa, alla stessa ora (19.30). Non c’è il sabotaggio del primo, non c’è il flirt segreto con il secondo, non c’è la gara tra i due. C’è addirittura la collaborazione: il Circolo soccorre i giovani esploratori, guidati dai capi Pippo Guastella, Giuseppe Nicotera, Alessia Praticò…, con il suo «Trolley Speaker» (MusicBox), determinante per la buona riuscita del loro programma il cui obiettivo è quello di augurare, in modo divertente, leggero e gioioso, in stile scout, un sereno Natale. È tutto un trionfo.

La Serata magica, suggestiva, speciale, la 192ª di seguito tra quelle conviviali e cinematografiche, ideata all’interno della 9ª edizione del Wiki- e CineCircolo dal filo rosso: «Sfida educativa in un mondo delle emergenze planetarie», ed aperta gratuitamente a tutti, ma in particolare a quanti hanno a cuore le sorti della Parrocchia «Sacro Cuore» e l’ideale del Circolo: «la cultura della ‘cura’». La Serata vede, all’improvviso, la «new entry»: nel salone compaiono, seppur per pochi minuti, p. Rocco Predoti, guardiano e vicario parrocchiale, p. Nicola Coppoletta, giudice e anch’egli vicario parrocchiale, e p. Paolo Sergi, parroco, ma pure gli altri, come Mattia Zangari, dottore di ricerca all’Università Ca’ Foscari di Venezia, e il suo papà Rocco, inviati da Rina Gullà, con i gustosissimi pasticcini per tutti.

Il M° Luigi Cimino, sassofonista, arrangiatore-compositore e direttore del Laboratorio musicale promosso dal Circolo, a sorpresa allarga il repertorio, visto il pubblico che inaspettatamente riempie il salone. Alla sua attuale allieva Angela Ursino fa cantare e suonare sulla tastiera Ketron i canti di Natale: «Noël» e «Ninna nanna». Con il suo sax dorato invece rincalza l’atmosfera natalizia, traendo dal proprio archivio musicale, oltre i brani elencati nel pieghevole («Astro del ciel», «White Christmas», «Jingle Bells», «Tu scendi dalle stelle»), la canzone «Jingle Bells Rock» e il brano «Happy Xmas» (War is over), composto da John Lennon e Yōko Ono, contro la guerra in Vietnam, e diventato successivamente tra i più noti classici natalizi. I convenuti, ascoltando i brani, interpretati dal Concertista e illustrati sullo schermo da Olga Cimino, si lasciano attrarre dalla bellezza ineffabile ed evocativa che sta dietro ogni nota. Si illumina anche la faccia afflitta e pallida del conduttore della Serata! La loro commozione, l’ammirazione e la gratitudine si esprime nell’applauso e in un “segno” che Antonella Vitale, a nome di tutti, consegna al Maestro. È lei che da brava scenografa sapeva poco fa trasformare il salone in un ‘set’ natalizio, con un raggiante albero di Natale, un tenero Bambinello e  la pianta «Euphorbia pulcherrima», che siamo abituati chiamare «Stella di Natale», gettonatissima nel periodo natalizio, portata da Marialuisa Mauro all’inizio della Novena di Natale, tanto cara al suo adorato sposo, avvocato premuroso, consigliere saggio del Circolo e curatore solerte delle Serate, amatissimo ed indimenticabile Peppino Frontera, accolto dalla Sorella Morte il 24 gennaio 2018.

A conclusione, un ‘buffet’, nel pieno rispetto delle normative anti-Covid-19, con il panettone e lo spumante, ma anche con il delizioso amaretto di Maria e Roberto Rainone. La crisi pandemica e post-pandemica ci chiede un ri-coinvolgimento nella costruzione del futuro, ritessendo i legami di «amicizia sociale», apprezzando la bellezza della vita, instaurando una nuova ‘normalità’.

Il Natale ci fa percepire che Dio, assumendo l’umano, è solidale con tutti: malati e sani, disabili e normodotati… Questa divina solidarietà/prossimità – mistero dell’incarnazione – all’uomo, ad ogni uomo, ad ognuno di noi, è la ‘genialità’ del cristianesimo, «il dono che non tramonta mai» (Papa Francesco), il messaggio che noi, nel 2022, ci proponiamo di riflettere premurosamente nel Circolo e condividerlo gioiosamente nella genialità locale.

Auguri di buon Natale a tutti, ma in modo speciale a quanti sono invisibili, scartati, abbandonati, in fuga, nel dolore e nel pianto. Sono loro dei presepi “moderni” davanti ai quali inginocchiarci e adorare, piangendo e lottando con loro, impegnandoci accanto a loro e per loro. Il Natale 2021 ci obbliga ad avere compassione persino di chi non ha compassione, di chi è sordo al grido dei poveri, di chi vive la cultura dell’indifferenza che finisce non di rado per essere spietata.

Il Natale 2021 sia dunque colmo di compassione e di pietà, di tenerezza di solidarietà, un Natale solidale, un Natale all’insegna della condivisione con meno fortunati di noi, un Natale di riconciliazione, di pace, di speranza. ‘Fratelli tutti, solidali e salvi tutti’.

Piotr Anzulewicz OFMConv


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