Una suora in carcere…
La Serata non aveva per niente un tono, un timbro, un colore di distanziamento, detenzione, galera, gattabuia, ma al contrario, un sapore di vicinanza, accoglienza, calore, amore. E tutto questo grazie alle religiose, eroine nascoste della Chiesa. Di loro, del loro servizio e del loro ruolo che giocano negli Istituti Penitenziari, si è focalizzata la 15ª Serata conviviale, dal titolo «Nicoletta Vessoni: la suora in carcere per ritrovare ciò che era perduto», ideata nell’ambito della 10ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», inserita nel solco della fase narrativa del cammino sinodale, ispirata ai grandi testi dell’autorità educativa della Chiesa ed aperta gratuitamente a tutti: credenti e «laici», vicini e lontani – la 245ª di seguito. Si è svolta venerdì 12 maggio 2023 presso la Parrocchia «Sacro Cuore» in Catanzaro Lido, nel giorno in cui si celebrava la 45ª Giornata Mondiale dell’Infermiere, richiamando l’attenzione dell’opinione pubblica sui valori di cui è portatrice la professione infermieristica: una professione che trova il suo significato più originale e autentico nel servizio all’uomo.
È iniziata con la performance vocale di Giovanna Valleriani, giovanissima cantante di Catanzaro Lido, allieva del m° Elvira Mirabelli presso l’Accademia Musicale Fryderyk Chopin di Sellia Marina (CZ), che ha eseguito il brano «Nessun dolore» di Luccio Battisti, scritta con Giulio Rapetti Mogol nel 1978 e reinterpretata nel 1994 da Giorgia Todrani, cantante, attrice e produttrice discografica romana, una delle cantanti più note e apprezzate in Italia, ma anche all’estero, nominata dalla rivista statunitense Billboard, dedicata alla musica, “la quarta voce più grande e più bella al mondo”. Con ritmo concitato e parole come tamburelli, la Cantante catanzarese, premiata in numerosi concorsi e apprezzata perfino da Albano Antonio Carrisi, ha idealmente immerso i presenti nell’ambiente penitenziario, dove la famiglia e gli amici sono lontani, dove i nuovi giunti hanno la sensazione di essere ‘inghiottiti’ e intensamente consapevoli del proprio numero, stampigliato su ogni parte del vestiario che indossano, dove non li si chiama per nome, dove si sfila in silenzio fuori dal padiglione di pernottamento due volte al giorno, dove i contatti con i funzioni e con gli altri detenuti sono impersonali, dove si nota la fine di ogni sentimento e l’affiorare dell’apatia. «Non sento niente, no, adesso niente, no […] non c’è tensione, non c’è emozione, nessun dolore», cantava la brillante Valleriani, in modo grintoso, questo pezzo molto ballabile che risente dei postumi di una storia, finita proprio perché ha fatto diventare arido un sentimento d’amore. Nel corso del panel ha intonato le altre due ben note canzoni: «It’s a man’s man’s man’s world» di Christina Aguilera e «E poi» di Giorgia, incantando la platea che l’ha premiata con ‘wow’, applauso, affetto, gratitudine. Il m° Luigi Cimino le ha consegnato un Attestato di ringraziamento e Lucia Scarpetta un bouquet di fiori per aver reso bellissima, canora e armoniosa, la Serata, che si snodava, in formato ibrido, attorno a questi punti centrali:
4.1. «Un viaggio nelle carceri italiane» (7:52′); 4.2. «Storie dal carcere» – Intervento di sr. Nicoletta Vessoni di Santa Maria di Catanzaro (10:00′); 4.3. Dialogo con sr. Nicoletta (Lucia Scarpetta, Elisabetta Guerrisi, Tonia Speranza…); 4.4. Performance canora di Giovanna Valleriani: «It’s a man’s man’s man’s world» di Christina Aguilera (2:49′); 4.5. «I sogni delle detenute in carcere» (0:00′-3:09′; 8:03′-20:15′); 4.6. «Giudecca, sesso e droga e cellulari nel carcere dove lavorava Sissy» (2:29′); 4.7. Music video «Nella mia ora di libertà» di Fabrizio De André (5:15′); 4.8. «Maria Luisa, ex detenuta, racconta a Chicoria la vita nel carcere femminile» (15:23′-18:19′); 4.9. «Diritti e garanzie nel sistema penale» – Intervento di Marialuisa Mauro (5:00′); 4.10. Intervallo canoro di Giovanna Valleriani: «E poi» di Giorgia (4.28′); 4.11. Consegna di un Attestato di ringraziamento a sr. Nicoletta Vessoni e a Giovanna Valleriani (2:00′)
La Serata, come si può notare, ha regalato al pubblico, variopinto e fluido – ‘coccolato’ da Asia Bronieri, amatissima “mascotte” del Circolo, che con eleganza, finezza, savoir-faire delle signore, quasi in punta di piedi, gli portava dalla Segretaria i piattini di delizie e i bicchieri di spremuta d’arancia fresca, ‘made by Elisabetta Guerrisi – una protagonista speciale, una di quelle donne straordinarie che ‹fanno bello il mondo›, sr. Nicoletta Vessoni di Santa Maria di Catanzaro. È stata lei, raccontando la sua esperienza tra i detenuti, a ‘portarlo’ dietro le sbarre…
Nata a Lumezzane (Brescia) nel 1950, a vent’anni lasciò il suo paese ed entrò nella Congregazione delle Suore delle Poverelle di Bergamo. Riprese gli studi e si introdusse nel mondo del disagio minorile, familiare e sociale del territorio lombardo. L’obbedienza la portò in Sardegna, dove si immerse nel disagio al femminile a 360 gradi, iniziando la sua esperienza con le donne detenute. Trascorse poi due anni in Sicilia occupandosi della scuola, fino a quando, nel 2013, arrivò in Calabria, a Catanzaro, dove tuttora si dedica al servizio presso l’Istituto Penitenziario «Ugo Caridi». La sua esperienza l’ha vista sempre impegnata nella formazione professionale da una parte e nella formazione e nei percorsi formativi spirituali dall’altra. Nel 2020, per Carello Edizioni, ha curato Fasciati dalla Luce. Storie dal carcere (112 pp.), in cui fa narrare a detenuti, volontari ed operatori esperienze vissute in questa Casa Circondariale per aiutare a far comprendere l’importanza di mettere al centro l’essere umano.
Nel suo intervento ha ripercorso quindi la sua esperienza che dal 214 al 2019 condivideva anche con il cappellano Ilario Scali, parroco del «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, confondatore e corifeo del Circolo. «Il carcere – ha detto – è un mondo a parte. Non è mai come lo si immagina. È per eccellenza luogo di emarginazione. La visita in carcere vuole dire rifiuto dell’emarginazione e dell’isolamento. Per i detenuti noi siamo il mondo esterno e le nostre visite creano un ponte, un legame, una relazione con il mondo esterno. E mentre portiamo il mondo esterno tra le sbarre, allo stesso tempo portiamo nel mondo libero ciò che accade dietro le mura della prigione. Le situazioni di ingiustizia e di grave disagio che osserviamo sono infatti numerose e poco conosciute». Infatti, l’abbandono e l’assenza di ascolto, di risposte e di rispetto spesso portano il detenuto alla depressione e alla scelta di strumenti di lotta: lo sciopero della fame, il rifiuto della terapia, i gesti di autolesionismo. Essi sono il segno del profondo malessere provato dietro le sbarre. Parlare con qualcuno che non sia un parente, un avvocato o un magistrato, vuol dire essere rispettato e riconosciuto come persona e, in un certo modo, “reintegrato”. Fare un colloquio significa anche avviare un legame di amicizia e sr. Nicoletta ha tanti amici in questo luogo di emarginazione. Le sono grati in particolare quei detenuti che non hanno biancheria e indumenti né li ricevono dall’Amministrazione. Capita che chi viene arrestato in estate, finisce con il rimanere in maglietta anche a dicembre. È un compito importante, il suo, procurarli, con tenerezza, passione e compassione, comunicando istanze di umanità ai responsabili, ai legislatori e all’opinione pubblica.
Le sue “storie dal carcere” hanno innescato nel Salone un proficuo dialogo sulla complessità del carcere, sul dolore delle vite recluse, sulle questioni che richiederebbero analisi piuttosto che sentenze. Come spalancare una finestra nella vita dei ristretti per indicare loro orizzonti nuovi? È possibile trasformare la marginalità in opportunità? Quali attività pastorali si debba mettere in atto? E come si viveva nelle carceri in tempo di distanziamento, quando tutto era rallentato e ostacolato dall’emergenza Covid-19? Tanti interrogativi sui quali riflettere.
Si alternavano quindi al microfono Lucia Scarpetta, Elisabetta Guerrisi, Tonia Speranza, Marialuisa Mauro. Quest’ultima, laureata in giurisprudenza all’Università degli Studi di Messina, ha presentato l’Associazione Antigone che dal 1991 svolge attività di promozione e tutela dei diritti delle persone private della libertà, raccoglie e divulga informazioni sulla realtà carceraria, assicura consulenza e tutela legale ai detenuti, si occupa di ricerca sui temi della pena e delle garanzie nel sistema processuale e penitenziario. È triste quando i detenuti e le detenute vengono trattati come carne da macello e non persone con sentimenti, con le loro gioie e i loro dolori, e quasi sempre con una gran voglia di riscatto.
In sr. Nicoletta, il Circolo ha potuto quindi omaggiare tutte le religiose e i volontari che stanno facendo un lavoro magnifico. Non vedono i detenuti come numeri, ma come persone che hanno la loro storia e che sentono bisogno di accoglienza, di affetto, di libertà. Non guardano alla religione, alla cultura, alla provenienza. Hanno il coraggio di andare in posti dove gli uomini a volte hanno paura di andare: uno spazio senza luce, chiuso da mura spesse, da porte pesanti, da chiavistelli rugginosi. Questa immagine di prigione continuano a trasmetterci i film in costume, i romanzi, le incisioni di Giambattista Piranesi († 1778), architetto e teorico dell’architettura. Quel luogo aveva per secoli un suo orrore scenografico. Jeremy Bentham († 1832), giurista ed economista inglese, uno dei primi proponenti dell’utilitarismo filosofico, in realtà aveva immaginato una prigione abbastanza diversa, controllata da un guardiano invisibile. Panopticon (l’occhio che vede tutto) è il titolo dii un suo opuscolo scritto nel 1786. Paul-Michel Foucault († 1984), sociologo, filosofo, “archeologo dei saperi”, saggista letterario e docente presso il Collège de France, così descriveva questo luogo dei “delinquenti” e dei criminali: «Alla periferia una costruzione ad anello; al centro una torre agliata da larghe finestre, che si aprono verso la faccia interna dell’anello; la costruzione periferica è divisa in celle, che occupano ciascuna tutto lo spessore della costruzione; le celle hanno due finestre: una verso l’interno, corrispondente alla finestra della torre, l’altra verso l’esterno, che permette alla luce di attraversare la cella da parte a parte. Basta allora mettere un sorvegliante nella torre centrale […]. Per effetto del controluce si possono cogliere dalla torre, ben stagliate, le piccole silhouettes prigioniere nelle celle della periferia. Tante gabbie, altrettanti piccoli teatri, in cui ogni attore è solo, perfettamente individuabile e costantemente visibile» (Sorvegliare e punire, Einaudi, 2014 ).
Jeremy Bentham «pensava – ritiene Michele Magno nell’articolo Prigioni & galere – che la sua invenzione potesse avere un gran numero di applicazioni, non solo nell’ambito dell’Amministrazione penitenziaria, ma in ogni settore della società. “Sia che si tratti di punire i criminali incalliti, sorvegliare i pazzi, riformare i viziosi, isolare i sospetti, impiegare gli oziosi, mantenere gli indigenti, guarire i malati, addestrare quelli che vogliono entrare nell’industria, o fornire l’istruzione alle future generazioni”, il Panottico poteva trasformarsi in manicomio, fabbrica, ospedale, scuola, brefotrofio. In ogni caso, diventò subito un “carcere ideale” nel 1795 nell’isolotto di Santo Stefano, nell’arcipelago pontino. Su incarico di re Ferdinando IV di Borbone, l’architetto Francesco Carpi lo progetto seguendo i dettami del filosofo inglese: verrà chiuso solo nel 1965. Oggi strutture analoghe sono ancora presenti in Cile, nella Russia e negli USA» (Il Foglio Quotidiano, 30 [2023] II).
Sr. Nicoletta, donna eccezionale, gracile e forte, dal sorriso emozionante, raccontando la sua esperienza e le storie dei ‘suoi’ detenuti – storie ruvide di emarginazione, di dolore, di bisogno d’amore e di separazioni strazianti – ci ha trasmesso un messaggio straordinario: Si può sbagliare e si deve pagare, ma il carcere deve rieducare e offrire la possibilità di un riscatto.
Ognuno di noi deve essere vigilante perché il confine che divide il bene dal male è molto labile. Nulla ci dà il diritto di giudicare. Ogni persona è immensamente altro da ciò che appare e compie. Nel carcere c’è il volto di un’umanità ferita dal male, ma non sconfitta: vuole e può rialzarsi, lavorare, scrivere, comporre poesie, compiere gesti di solidarietà,aiutarsi vicendevolmente, giocare a pallavolo per il solo gusto di divertirsi, ballare per sentirsi libera.
Possiamo solo sperare che le religiose come sr. Nicoletta e i volontari possano continuare a seminare amore e prospettare alle persone recluse la possibilità di credere ancora in se stesse, di vedersi come uomini e donne a cui scelte sbagliate hanno portato via affetti e sicurezze, ma a cui è possibile restituire dignità e comprensione. Essere suora e volontaria in carcere è un’opportunità unica, in cui si ha l’occasione di trovarsi cuore a cuore con l’errore e il dolore, ma anche con la speranza e il sogno.
«È importante sogna insieme», perché «da soli si rischia di avere dei miraggi […]. Sogniamo allora come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!» (Fratelli tutti, 8).
Piotr Anzulewicz OFMConv
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