Una città accogliente?
Venerdì 11 marzo, presso il Salone «S. Elisabetta di Ungheria», situato al lato destro della chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, si è svolta la 4ª Serata conviviale con aperitivo dal titolo: «Catanzaro: città dalle cinque porte – ‘passione’ dell’accoglienza?», aperta a tutti, promossa dal Circolo Culturale San Francesco e patrocinata dal Parroco, nell’ambito della 2ª edizione del WikiCircolo focalizzata su «Catanzaro ed oltre», nel solco dell’Anno straordinario della Misericordia. Relatore della Serata è stato l’avv. Peppino Frontera che ne è anche il curatore, insieme con lo Staff.
Malgrado il clima atmosferico avverso, si è registrata una buona affluenza all’evento, complice l’argomento trattato: notizie inedite sulla città di Catanzaro che ne attirano gli estimatori. La dott.ssa Teresa Cona, segretaria del Circolo, ha introdotta la Serata con brevi cenni sul significato della «porta». «Nelle diverse culture – ha detto – la porta rappresenta la separazione o la comunicazione tra i due ambiti»: l’esterno e l’interno, il noto e l’ignoto, il profano e il sacro. È soglia, confine, limite, luogo di passaggio, di separazione, di esclusione o di accoglienza. È anche un invito a passare dal mondo presente a quello futuro, divino, eterno. Tutta la storia della salvezza è collocata tra due porte: la porta del Paradiso, da cui Adamo ed Eva ne furono scacciati, dopo il peccato originale, e la porta della Gerusalemme celeste, attraverso la quale si entrerà nella pienezza di vita. Comunque, tutte le porte, di cui parla la Bibbia, svaniscono davanti alla Porta per eccellenza: Gesù Cristo (cfr. Gv 10,9). Egli, tra le tante porte da tenere aperte, è la porta più promettente, perché conduce all’abbraccio dell’amore misericordioso del Padre. Molti sono dunque i significati attribuiti alla porta: culturali, biblico-teologici, liturgici, architettonici.
Di porte architettoniche catanzaresi ha parlato poi, con viva partecipazione, l’avv. Frontera. Catanzaro fu costruita come una città-fortezza, con torri, bastioni e porte civiche, racchiusa in una cinta muraria di 7 km. Era in grado di resistere anche a lunghi assedi. Le porte di accesso erano cinque o addirittura sei. La porta principale, detta ‘granara’ o ‘marinara’, garantiva l’accesso dalla costa ed era utilizzata per il commercio del frumento. La porta di S. Giovanni, chiamata ‘castellana’ o episcopale e posizionata nell’attuale Piazza Matteotti, aveva tre entrate provviste di catene, poiché c’era il dazio. La porta di S. Agostino, detta ‘pratica’, consentiva l’accesso da Occidente al rione Paradiso (oggi quartiere Case Arse). La porta ‘strato’ (dal greco: «occulto») o ‘tubulo’, situata nell’omonimo quartiere, era invece una porta civica. Per la porta del ‘gallinaio’ e la porta ‘silana’ passava il bestiame. Le porte che sono sopravvissute parzialmente ai secoli e all’incuria sono quella di ‘strato’ e quella di S. Agostino.
Il Relatore ha messo in evidenza come la città da sempre è stata ospitale. Ad esempio, ha dato la possibilità a Israeliti di integrarsi in modo da poter aver riconosciuti privilegi e diritti come anche doveri, equiparandoli ai cittadini catanzaresi. Lo stesso trattamento ha riservato agli amalfitani ed ai siciliani. Oggi la memoria deve essere capace di fare i conti con l’oblio.
Serata davvero interessante, quella di venerdì! Al termine si è aperto uno scambio di opinioni tra il Relatore e i presenti. Molte sono state le domande e le integrazioni. Le nostre città sono spazi complessi e spesso contradditori: includono e nello stesso tempo escludono. Alcune voci ponevano dunque il problema di come sviluppare la cultura dell’accoglienza e dell’ospitalità, problema che ha profili culturali, organizzativi e professionali. La proposta che è stata rilanciata è quella di rendere evidenti i contenuti del principio di prossimità e di incontro, e di trasferirli all’interno di un atto formale che ogni città dovrebbe adattare al proprio profilo. Essa potrebbe chiamarsi «Carta dell’Accoglienza». La città è sempre accogliente con gli extracomunitari, perché non si lascia possedere da una sola comunità.
Una città accogliente, a misura di ciascuno, è ancora un sogno. Bisogna andare più in là, senza rimanere sulla soglia, e costruirla in modo che tenga conto dei più deboli, che non respinga i disabili, che accolga coloro che sono nell’angolo grigio della periferia, che non escluda chi non può vedere o chi non può ascoltare, che curi la “cultura dell’integrazione”… Sono ormai diverse le pubblicazioni che recano il titolo «città accogliente». A noi piace citare il volume di C. M. Martini ed altri, Dalla città accogliente alla città aperta (Troina 2005).
L’«aperitivo» – con la pizza offerta dai coniugi Lista, la torta portata dalla sig.ra Rosa e gli stuzzichini preparati dalla sig.ra Daniela – ha concluso la Serata in festosa armonia.
L’appuntamento è al prossimo venerdì alle 18.45, con il CineCircolo «sui sentieri della misericordia». Il film in scaletta è «Timbuktu» del regista mauritano Abderrahmane Sissako, a cui seguirà il dibattito sull’integralismo religioso e il dramma del jihadismo. (tc-pa)