Profilo dei giovani 2.0
Il Circolo Culturale San Francesco, dopo la pausa estiva, ha riaperto i battenti, e lo ha fatto regalando una pregnante Serata conviviale con «aperitivo», la 132ª di seguito, tra quelle conviviali e quelle cinematografiche. Venerdì 21 settembre 2018, con il tema «Il profilo dei giovani 2.0», ha avviato la 7ª edizione del WikiCircolo: 9 Serate ‘immerse’ «negli spazi abitati dai giovani», tutte gratuite e aperte a tutti: soci, sostenitori, amici, credenti e «laici», vicini e lontani, introdotte da un brano musicale o un videoclip, intervallate da un momento di condivisione e concluse con un «aperitivo», ispirate all’Instrumentum laboris della 15ª assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale (3-28 ottobre 2018), al Messaggio «”Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc 1,30)» di Papa Francesco per la 33ª GMG 2018 e alla preghiera-poesia Cantico delle creature di frate Francesco. A configurarle in dettaglio e a scegliere i relatori di rilievo per la piccola tavola rotonda, i componenti del nuovo «team», ringiovanito e rinvigorito: Clarissa Errigo, Valentina Gullì e Teresa Cona, in collaborazione con Alex Scicchitano e Luigi Cimino, tutti innamorati dell’ideale del Circolo e pronti a fare i ‘salti mortali’ per tenerlo in alto, vivo ed attraente. Il Salone «S. Elisabetta d’Ungheria», presso la sede del Circolo, al lato destro della chiesa «Sacro Cuore» a Catanzaro Lido, è il luogo abituale degli incontri che si tengono un venerdì sì e un venerdì no, alternandosi con il ciclo cinematografico.
Ad aprire la 1ª Serata, alla vigilia del viaggio apostolico di Papa Francesco in Lituania, Lettonia ed Estonia, nel 25° anniversario della visita di Giovanni Paolo II, è stato il video hardcore 2.0 «I giovani di una volta» della storica band torinese COV, tornata nel 2015 sulla scena con l’intento di fare nuova musica, intesa come atto creativo, con nuove consapevolezze e nuove sensibilità, ma con la stessa forza e lo stesso spirito di sempre, narrando la vita, l’amore, i cambiamenti, la società, ma anche i moti dell’anima che erano lo specchio delle storie e delle sensazioni vissute dai giovani dei quartieri popolari della Torino di un tempo.
A presentare l’edizione e il programma della Serata, la segretaria del Circolo, Teresa Cona. «Il fil rouge dell’edizione e il tema della Serata sono scottanti – ha detto –, ed è importante che esista un’edizione che vuole introdurci negli spazi abitati dai giovani», ritrovare i «link» tra loro, gli adulti e gli anziani, tra ieri e oggi, e unirci tutti in una grande famiglia. Incontrarsi, comunicare, dialogare «vis-à-vis» è un dovere. È l’alternativa alla frammentazione delle società occidentali e alla nascita di tanti «ghetti», «grumi» e mini-aggregazioni, favoriti dal web di cose incrociate, sfaccettate, mescolate, come Facebook, forum e chat settoriali, tv «on-demand», l’opposto dell’«agorà» (= piazza, spazio aperto frequentato dal popolo, luogo di relazioni interpersonali), dove cittadini di ogni estrazione e idea si riunivano per discutere e decidere del futuro della «polis» (=città). Il frequentatore-tipo di ogni piccolo «ghetto» non fa che rinforzare le proprie idee, e spesso i propri pregiudizi, senza metterle mai alla prova del confronto, colpendo al cuore quella che è l’idea stessa di democrazia: il dibattito. Queste enclavi del pensiero, impermeabili alle idee esterne, auto-rinforzano le convinzioni dei propri affiliati in una sfrenata corsa all’inevitabile «redde rationem» (=resa dei conti). Un giorno usciranno dai propri «ghetti» e si troveranno nell’«agorà», non per discutere, ma per spaccarsi le teste, dando luogo ad una non-società, sempre più polverizzata e, quindi, pronta all’esplosione. A noi non scoraggiarsi, ma «prendere il largo», come il giovane Pietro con la sua barca, trascinando nell’avventura gli altri, «gettare le reti» (Lc 5,4) e ‘spacciare’, con la nuova linfa, i valori alti, evangelici, sanfrancescani, trapiantandoli nei cuori di tutti.
Magistrale è stata la tavola rotonda, con interventi di carattere sociologico, pedagogico e giuridico sull’identità del #giovane 2.0 tutto web, touch screen, chat, blog, twitter, social forum (Clarissa Errigo, Valentina Gullì e Vanessa Aprile) e con video («Don Tonino Bello – Freedom», «Santità 2.0: Storie belle di giovani» e «Catechesi ‘Giovani 2.0’»).
Clarissa, aprendola, ha ricordato che l’uomo è un essere più debole del mondo, perché appena nato ha bisogno delle cure e degli affetti di un altro essere. A volte questo bisogno se lo porta dietro per tutta la sua vita. È necessario ri-nascere, il più presto possibile, come individuo autonomo ed indipendente. Vanessa ha spiegato come si sviluppa la coscienza del sé ripercorrendo le varie età della crescita. Valentina invece ha sottolineato l’importanza del passaggio dall’identità personale all’identità digitale, aprendo una panoramica sui rischi connessi al mondo virtuale ed elencando le maggiori precauzioni da adoperare, in una fase preventiva, per non incorrere nei numerosi e variegati reati informatici che stanno dilagandosi «on-line».
Si è parlato quindi di ciò che riguarda la vita dei giovani 2.0, cresciuti in ambiente tecnocognitivo e quindi abili nel gestire flussi informativi tecnomediati, in multitasking con una miriade di altre attività parallele, e nel combinare comunicazione face to face e virtuale. Proprio loro sono chiamati a non piangere sulla propria situazione, ma a fare la loro parte: coltivare (↬ cultura) e sviluppare in pieno, con responsabilità, i talenti seminati nella loro vita. Certo, ci sono situazioni e contesti che più li favoriscono e altri che li ostacolano, ma in ogni giovane c’è sempre un punto positivo su cui si può far leva per crescere questi talenti. Papa Francesco spesso ricorda ai giovani di non farsi ‘rubare’ la speranza. I ‘ladri’ sono esterni per cui i giovani devono custodire e fruttificare il proprio estro, genio, bernoccolo. In questa dinamica devono essere oltremodo responsabilizzati e sensibilizzati. Il futuro dovrebbero costruirselo anche loro, in sinergia con gli altri, sognando la cultura della speranza, della gioia, dell’accoglienza, mai cedendo a fatalismo e alla logica dell’irredimibile.
I genitori sono spesso iperprotettivi. Si sentono più tranquilli e meno ansiosi con i figli immersi nei «social» a casa che fuori immersi nel sociale, esigente, ma vitale per il loro equilibrio psichico e per la costruzione di relazioni reali e durature, non virtualizzabili o cliccabili. Privilegiando solo relazioni virtuali, attraverso i media, si impoverisce, si favorisce il narcisismo e si espone ad una «orfanezza spirituale»: «La mancanza di contatto fisico (e non virtuale) – constata amaramente Papa Francesco – va cauterizzando i nostri cuori, facendo perdere ad essi la capacità della tenerezza e dello stupore, della pietà e della compassione. L’orfanezza spirituale ci fa perdere la memoria di quello che significa essere figli, essere nipoti, essere genitori, essere nonni, essere amici, essere credenti. Ci fa perdere la memoria del valore del gioco, del canto, del riso, del risposo, della gratuità» (Omelia alla Messa nella solennità di Maria, Madre di Dio, 1 gennaio 2017).
Infatti, si pensi alle mamme e ai papà travolti dai sensi di colpa e distrutti dal chiedersi: “Se avessi visto, se avessi capito, se avessi fatto…”. Certo, non si può arrivare dappertutto e proteggere a oltranza dai rischi e dalle degenerazioni dei media. I media hanno conquistato la nostra esistenza, scandiscono i ritmi delle nostre giornate, sono i custodi delle chiavi dei nostri spazi. «La loro presenza ci mette, certamente, a disposizione funzioni e opportunità impensabili fino a pochi anni fa, anche se il prezzo da pagare – afferma Dario Edoardo Viganò, assessore del Dicastero vaticano per la comunicazione – è una modifica sostanziale dei lineamenti del nostro profilo», un elevato costo in termini di umanità (Connessi e solitari. Di cosa ci priva la vita online, Bologna 2017, 17-18). Per quanto ci facciano bene, non si può dimenticare quanto essi siano carenti dal punto di vista dell’«educazione ai sentimenti». Per questo occorre che i genitori stiano vicino ai propri figli, sempre, al loro fiano, fin dalla più tenera età, e sappiano ascoltare, dialogare e rispettare i loro spazi e tempi. Insieme si può costruire un mondo e un futuro più bello, più umano, più relazionale, più affettuoso, più rispettoso, più giusto, più equo.
In sintonia con questi rilievi erano, a nostra sorpresa, i tre sintomatici eventi della giornata celebrati ad Assisi e a Bologna:
- «Disegni di affettività» per coppie di giovani sposi e di fidanzati, promossi nel Centro Congressi «Casa Leonori» di Assisi dall’Azione Cattolica. «’Life is sweet’: musica e parole, il nostro progetto di amore» è stato il titolo di quel fine settimana di lavori in cui, fino a domenica 23 settembre, i partecipanti da ogni parte d’Italia avevano la possibilità di riflettere sulla bellezza e il significato profondo della propria vocazione. Nella scelta del tema si sono rifatti all’Esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia di Papa Francesco (2016), al progetto di voler formare una famiglia come «il coraggio di far parte del sogno di Dio» (n. 321) e alla conseguente capacità della coppia di essere un «pascolo misericordioso», che genera vita, accoglienza ed ospitalità (cfr. nn. 322-324). A fare da filo conduttore dell’evento è stata la musica, con il suo ritmo e i suoi silenzi, tempi e codici, l’immagine perfetta delle relazioni affettive. Ogni coppia è chiamata a generare, come su un pentagramma, il proprio ‘spartito’, aperto al bene, all’accoglienza della vita e alla costruzione di una società più relazionale ed ospitale, contro ogni tentazione disgregativa che si vorrebbe imporre.
- «Cortile di Francesco» sul tema «Differenze», con più di 40 i relatori e ben 24 gli incontri, sviluppato dai partecipanti attraverso 6 sezioni: arte e cultura, cinema e teatro, architettura e design, economia, giornalismo ed attualità, l’evento realizzato dal Sacro Convento di Assisi, dalla Conferenza Episcopale Umbra e dall’Associazione «OICOS Riflessioni» e in collaborazione con la Regione Umbria.
Presentazione della 10ª edizione del Festival Francescano sul tema «Tu sei bellezza», in programma dal 26 al 30 settembre a Bologna, con più di 200 iniziative. È stato questo il richiamo forte che i componenti del Comitato scientifico del Festival hanno rivolto a tutti. Il tema della manifestazione, “la bellezza”, ha assunto fin da subito una dimensione relazionale. Il contributo che i francescani si sono sentiti di dare, infatti, è stato quello di riconoscere il totalmente Altro (Dio) e gli altri come “belli”, degni del Suo e del nostro amore. L’esclamazione «Tu sei bellezza» ci arriva dalle Lodi di Dio altissimo: una preghiera che frate Francesco compose sul Monte della Verna nel 1224, quando ricevette le stimmate (FF 261). L’esclamazione è ripetuta due volte per sottolineare l’importanza del concetto di bellezza nel rapporto con Dio, il rapporto che per l’Assisiate passa necessariamente attraverso gli uomini e le altre creature: belli sono il sole, il fuoco, la luna e le stelle, così come bello è il lebbroso, l’emarginato, lo scartato. Di conseguenza il movimento francescano coltiva un atteggiamento positivo nei confronti del mondo: trova bellezza laddove altri trovano scarto. Certo, il concetto di bellezza non è univoco. Bello è qualcosa che attrae, che colpisce, che spinge a soffermare lo sguardo senza reprimere un senso di meraviglia, di stupore, di estasi. Spesso si definisce il bello come qualcosa che è buono e in questo caso si attribuisce alla bellezza una caratteristica utilitaristica, che non è propria del termine. Altre volte una cosa bella è una cosa desiderabile, apprezzata, ma non posseduta, e che proprio per questa mancanza di possesso risulta ancora più ricercata.
Umberto Eco († 2016), semiologo, filosofo, bibliofilo e medievista, dopo aver scritto la Storia della bellezza (Milano 2004), si dedicò alla Storia della bruttezza (Milano 2007). Con la sua raffinata capacità di leggere il presente, scrisse: «Un altro caso in cui si riscontra la dissoluzione dell’opposizione brutto/bello è quello della filosofia cyborg. Se all’inizio l’immagine di un essere umano in cui vari organi sono stati sostituiti da apparati meccanici o elettronici, risultato di una simbiosi tra uomo e macchina, poteva ancora rappresentare un incubo della fantascienza, con l’estetica cyberpunk il vaticinio si è avverato. […] è davvero scomparsa la distinzione netta tra brutto e bello? E se certi comportamenti dei giovani o degli artisti (anche se generano tante discussioni filosofiche) fossero fenomeni marginali praticati da una minoranza (rispetto alla popolazione del Pianeta)? Se cyborg, splatter [zombi] e morti viventi fossero manifestazioni di superficie, enfatizzate dai mass media, attraverso le quali esorcizziamo una bruttezza ben più profonda che ci assedia, ci atterrisce e vorremmo ignorare?».
La risposta francescana, nel Duecento così come oggi, è sempre la stessa: trovare la bellezza tornando alla realtà. E dove sta la realtà? Nei luoghi del sentire e di senso. Cercare il bello significa capire che ci sono cose prive di scopo, ma ricche di senso. Un senso che possiamo solo contemplare e non possedere. La bellezza, dunque, ci porta oltre ai canoni estetici e oltre alla fisicità che ci viene proposta consumisticamente. È una sensazione che nasce dal profondo, ci colpisce e ci educa alla gratuità e alla prossimità.
Forse dovremmo ripensare il tema della prossimità nel contesto digitale, senza demonizzare la rete come luogo distruttivo, e scoprire nuovi modi di stare con gli altri, senza rinunciare alle relazioni dirette, personali, con presenze reali e non esclusivamente virtuali, imparando a contemperare il senso di una stretta di mano con il click dei tasti del pc (cfr. L. Bruni, La ferita dell’altro. Economia e relazioni umane, Trento 2007, 159-163). «La rete – afferma Papa Francesco – è un dono di Dio, ed è anche una grande responsabilità» (Messaggio per la 50ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo, 8 maggio 2016). Il suo appello è quello di «costruire ponti tra gli uomini», di essere inclusivi, di farsi «prossimi dell’umanità ferita ed esclusa, per rendere visibile l’amore di Dio e la gioia del Vangelo», di dialogare en face per essere un gruppo». «Un dialogo per essere un gruppo aperto – ribadisce – deve essere un dialogo con la mente, con il cuore e con le mani» (Discorso ai ragazzi della Diocesi di Viviers, 29 ottobre 2018).
Lo Staff del Circolo è pieno di gratitudine nel vedere che le Serate conviviali e cinematografiche sono un luogo dove, quasi per una misteriosa osmosi, si comunica la positività, il desiderio di dialogo e di comunione, il rispetto delle differenze, la curiosità del conoscere che vince la pigrizia, l’orgoglio e l’indifferenza. È una benevolenza che lo precede e un favore che gli viene anche da frate Francesco, «maestro di reti», da intendersi, nel suo caso, come reti di relazioni e, nel nostro caso, come reti di connessioni, «abitate» dai giovani 2.0.
Piotr Anzulewicz OFMConv/Valentina Gullì/Teresa Cona
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«Il tema della 6ª Serata conviviale con ‘aperitivo’ − abbiamo scritto su
comunicative etichettate come cyberbullismo abbiano invitato al suicidio una teenager dal nickname
Non è stato il primo caso che ha coinvolto i social Ask.fm. Hanna Smith, altra quattordicenne, si è anch’essa suicidata dopo espliciti inviti all’autolesionismo e ad ammazzarsi da parte di utenti anonimi, probabilmente conoscenti e compagni di scuola. Istigazioni da odiatori professionali, impuniti, irriferibili, concentrati di liquame verbale. E’ scoppiato uno scandalo a livello nazionale, sostenuto anche dal premier britannico David Cameron, tanto da avviare una campagna per la chiusura del sito, che si è difeso mettendo in atto meccanismi di moderazione, per frenare il cyberbullismo. La sorella di Hannah, Joanne, criticò pesantemente il sito, affermando che Ask.fm crea dipendenza. Il padre di Hannah, Dave, ha accusato i creatori di Ask.fm di omicidio colposo, chiedendosi quanti
Secondo i redattori di
Si può davvero uccidere con le parole, la calunnia e l’ira? Sì, «anche le parole possono uccidere», avvertiva nel 2014 il claim dei manifesti che erano inviati a parrocchie, oratori e scuole e pubblicati sulle testate aderenti alla campagna di sensibilizzazione sul tema della lotta alla discriminazione, realizzata da Famiglia Cristiana, Avvenire e la Federazione Italiana Settimanali Cattolici (FISC), insieme all’Agenzia di pubblicità Armando Testa. Testate giornalistiche caratterizzate da percorsi diversi e da stili informativi differenti, ma portatrici di una stessa cultura di base e motivate da una condivisa vocazione a stare dalla parte delle vittime, degli sconfitti, degli emarginati, degli imperfetti, di quelli dei quali ‘si dice ogni male’. «Non cediamo alla parole che uccidono». Sono ‘proiettili’, sparati quasi sempre con allegra cattiveria e sfrontata leggerezza per far male, ferire, lasciare il segno, ammazzare la personalità. Il linguaggio utilizzato è quello tipico della comunicazione pubblicitaria, che contempla codici visivi e testuali particolarmente immediati e incisivi: si vedono alcuni volti “trafitti” da parole denigratorie, frutto di pregiudizi razziali o dell’ironia denigratoria, che assumono la forma di proiettili. Negro, terrorista, ladra e ciccione: quattro insulti che colpiscono chi li riceve come un colpo in testa. E il messaggio finale è: «No alla discriminazione. L’altro è come me». «È molto comune essere oggi, nel nostro Paese, oggetto di discriminazione − ha commentato don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana. − Basta essere immigrati o anziani, o donne. Se poi si è di religione musulmana, oppure obesi o di etnia rom, ancor di più. La cronaca è purtroppo piena di episodi che sembravano scherzi, ma sono tragedie. Un giornale, specie se cattolico, non può rimanere inerte, mettere in cronaca l’ennesimo episodio di bullismo, di discriminazione sessuale o di razzismo e passare ad altro. Vogliamo farlo come battaglia di civiltà per il nostro Paese. Vogliamo farlo con i nostri lettori. Migliori si può. Diciamolo a voce alta». Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, ha aggiunto: «Usiamo le parole come armi, e questo viene detto con esplosiva efficacia attraverso le immagini costruite dall’Armando Testa». Infine, Francesco Zanotti, presidente della FISC, ha affermato: «La campagna realizzata assieme ha il grande merito di fare comprendere con immediatezza la potenza della parola. Parole come pallottole: raggiungono la persona e la distruggono (…). A questo pericolo si può rispondere solo con la responsabilità».
Avital Ronell
una subcultura dell’odio. A questo proposito, Giovanni Arduino e Loredana Lipperini, nella loro ricerca (
In questo episodio c’è qualcosa che travalica il tempo e lo spazio e per questo è di casa in tutti gli ambienti, incluso quello virtuale. «Gubbio e il suo lupo − afferma Floretta − sono la metafora di una ritrovata relazione educativa» (p. 59). E frate Francesco, che da guerriero si è trasformato a vessillifero della pace senza tempo, è un modello di mediazione pedagogica. Motivato dal suo amore per la gente di Gubbio e contando sulla sua fiducia in Dio, è andato incontro al lupo insieme ai suoi compagni. Non si è mosso isolato, ma è partito da una solida rete di relazioni. E’ stato proattivo: è lui che ha fatto il primo passo e di fronte alla bocca aggressiva del lupo si è posto da una prospettiva di bene per tutti. Gli ha offerto la pace, il perdono e la promessa che non sarà più perseguitato, ma mantenuto a vita, riconoscendo che le sue malefatte erano causate dalla fame o dai suoi bisogni vitali senza cura. Il momento clou: il patto di pace tra la gente e il lupo, quasi sotto le spoglie di fiaba, fatto di dialogo, rispetto, delicatezza, cure amorose, e dialogo con Dio. Tutto ha ritrovato il proprio senso e, grazie alle desistenza del perdono dei cittadini, si è giunto a un reciproco riconoscimento, base per un convivenza stabile e sana. «Posso aggiungere − confida Branduardi − che, andando a visitare la cittadina di Gubbio, è possibile vedere la tomba del lupo. I cittadini, dopo il famoso dialogo tra lui e Francesco, si affezionarono così tanto da seppellirlo con una sorta di funerale».
Dal racconto di frate Tommaso Celano non emerge nessuna ritorsione plateale, nessuna escalation aggressiva, nessuna flame war (guerra di parole offensive, opprimenti ed ostili). Al contrario, Francesco creò una sua rete sociale di salvataggio psicologico: coinvolse un uomo umile e semplice perché, come un padre vicario, lo benedicesse dopo ogni colluvie d’insulti. Un social network riparativo, non un cyberbranco, con cui attaccare e contrattaccare il designato. Nessuna fuga da un vis-à-vis, ma la decisione imprevedibile e spiazzante di modificare totalmente le relazioni: la scelta di un altro padre, per riscrivere da zero la propria vita. Invece di fomentare una sterile logomachia, decise chi essere da quel momento in poi. Si dette la possibilità di rinnovare la propria identità, ampliandola, e di restituire i propri vestiti, ormai fonti di inutili odi e malintesi.
Non è un solito condensato di buone maniere, ma un manifesto dell’anti-branco, dell’anti-stalking, dell’anti-calunnia e di ogni maldicenza distruttiva, un presidio comunitario, di rete, a difesa dell’inviolabile dignità altrui, quando anche il fratello fosse “beccato” in flagranza di peccato, ancorché piccolo e socialmente accettabile. Un cordone sanitario attorno all’infernale moltiplicarsi della pubblicità del male, che oggi viene amplificata dalla grancassa dei social network. Questo emerge in modo ancora più chiaro nelle Ammonizioni, che appartengono alla piena maturità di frate Francesco, tanto il pensiero vi appare denso e coerente, alimentato da una duplice fonte: ascolto orante della Parola di Dio e contemplazione amorosa e sofferta della vita cristiana e religiosa, un vero e proprio cantico dei puri ci cuore, che, dopo essersi evangelicamente svuotati di ogni culto di se stessi, accettano persecuzioni e ingiurie, contrarietà e correzioni, disponendosi all’obbedienza caritativa e ad un amore compassionevole e leale verso i fratelli, per poi restituire tutto al Signore Dio, fonte di ogni bene. «Non lasciarsi guastare a causa del peccato altrui. Al servo di Dio nessuna cosa deve dispiacere, eccetto il peccato. E in qualunque modo una persona peccasse e, a motivo di tale peccato, il servo di Dio, non più guidato dalla carità, ne prendesse turbamento e ira, accumula per sé come un tesoro quella colpa. Quel servo di Dio che non si adira né si turba per alcunché, davvero vive nulla di proprio» (Am 11: FF 160). E’ libero anche dal peccato dell’altro. Non capitalizza l’errore altrui per sfogare la propria aggressività, quella narcisista e perbenista. Non si scandalizza né si turba per le debolezze dell’umanità per risplendere e gloriarsi alle spalle dell’altro. Non sbandiera i vizi degli altri per attirare riconoscimento per sé. Altrimenti sarebbe un patetico parassitismo del male che avvelena il fragile e inconsistente io, incapace di ricordare il credito di rispetto, di fiducia e di misericordia cui l’altro ha diritto d’ufficio.


























