Famiglia dentro un cellulare?

Una Serata importante, istruttiva e graziosa, quella cinematografica che si è svolta venerdì 12 ottobre 2018 presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. Ci ha spinto a riflettere, comunicare e conversare faccia a faccia, ricorrendo al ragionamento logico e non ai cosiddetti «facilitatori di comunicazione»: chat, tweet, sms, selfie, whatsapp, skype, e-mail…

Il film «Perfetti sconosciuti» di Paolo Genovese, selezionato da Teresa Cona e Alex Scicchitano per la 7ª edizione del CineCircolo dal motto: «Negli spazi abitati dai giovani, per immagini», e proiettato da Ghenadi Cimino nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria», si è rivelato una feroce critica al mondo d’oggi, perché tutti crediamo di conoscerci, ma in realtà ci conosciamo poco o addirittura niente… La prova che siamo perfetti sconosciuti ce la danno proprio i nostri aggeggi preferiti: telefonini, smarthphone, iPad, tablet pc… quelle scatole nere dove chi siamo veramente è racchiuso lì dentro. «Perfetti sconosciuti» è questo: le famiglie che vengono disgregate, smembrate e sbriciolate da quell’oggetto sempre presente nelle nostre tasche e borse, utilizzato in modo ‘ludico’, eccitante, flirtante. «Fare certi giochi a cena non è una buona cosa… Se ci mettiamo di mezzo i cellulari, perché noi abbiamo mille facce, nel migliore dei casi solo una doppia, ma mai una faccia sola, non siamo mai né puri né veri al cento per cento. ‘Perfetti sconosciuti’ è un film sotto certi aspetti tremendo perché mette in risalto ‘senza se’ e ‘senza ma’ proprio questa realtà» (ClintZone). Certo, l’uomo non è diventato più superficiale, irrazionale e dissoluto del passato: ha solo i mezzi per poter far esplodere in modo più accentuato le proprie sfrenatezze, nella speranza che il tutto rimanga nel più totale segreto. Un tempo la vita segreta e intima era ben protetta, nell’archivio della memoria. Oggi invece viene affidata alle nostre SIM, dentro un cellulare. Che cosa succede quando quelle schedine si mettono a parlare? Ce l’ha raccontato Genovese, nella sua brillante commedia sulla famiglia, sul tradimento, sull’amore e sull’amicizia, che ha portato quattro coppie di amici a confrontarsi e a scoprire di essere perfetti sconosciuti.

Ad aprire ed orientare la cineconversazione «Nuovi orizzonti dell’essere e sfide educative – sentimenti ed affettività», dopo la proiezione, è stata Teresa Cona, segretaria del Circolo. A rendere rilevante il tema, Tatiana Cricelli, assistente sociale e criminologa. A farlo interdisciplinare, Clarissa Errigo e Valentina Gullì, esperte nel campo della sociologia e della giurisprudenza. A declinarlo nella quotidianità, il pubblico, tra cui Maria Rainone, insegnante in pensione. Un approccio a più voci e nel mutuo rispetto e stima. L’esigenza del dialogo tra le varie discipline del sapere è stata forte, anzi, è diventata una necessità improrogabile, in un’epoca di parcellizzazione delle scienze. ‘Aristotele, aiutaci tu e torna fra la gente’. Il sapere del Filosofo greco, concepito come un intero, in cui diverse discipline: fisica, etica, poetica, logica…, sono collegate fra loro, è attualissimo. Già, la logica. È di essa che difetta il mondo quando si osserva l’essere umano che lo abita. «Ci sono – puntualizza Giovanni Ventimiglia, professore ordinario di filosofia teoretica all’Università di Lucerna e presidente dell’Aristotele College e della Fondazione Reginaldus di Lugano – interi campi del sapere e dell’esperienza affidati all’emozione, alla pancia. La logica latita. La politica ad esempio si fa beffe ormai della logica» (cfr. «Aristotele, aiutaci tu», in «Il Foglio», sabato e domenica 23 settembre 2018, p. VIII). Eppure il pensiero dello Stagirita s’impara ancora a scuola ed è facile da rintracciare, tra le tante carabattole, nei cassetti della nostra memoria. È potente antidoto alla ‘cultura’ tutta ‘pancia’, emozione, frivolezza, slogan, chat, tweet…

Che cosa si potrebbe fare per arrestare la crisi della famiglia? Sembrerebbe una inutile fatica di Sisifo, destinata al fallimento. La tentazione sarebbe quella di rassegnarsi, arrendersi e alzare la bandiera bianca. Ma è proprio così per tutti? I giovani, la categoria che più di altri soffre per la crisi della famiglia, fortunatamente non la pensano così. Per loro la famiglia è un valore, anzi il valore, perché garantisce il naturale bisogno di legami affettivi, ma soprattutto soddisfa le più profonde aspirazioni etico-morali. Purtroppo, con la “digitalizzazione” e la “virtualità” i giovani finiscono per essere sempre più soli. Ecco, perché una delle sfide più grandi per la Chiesa è “investire” nelle relazioni, facendosi prossima ai giovani, accompagnandoli nella comprensione della loro identità da vivere nel segno della dignità e del rispetto, puntando a una ‘educazione integrale’ che oggi è resa particolarmente difficile a causa della separazione tra le dimensioni costitutive della persona, in special modo la razionalità e l’affettività, la corporeità e la spiritualità. «La mentalità odierna, segnata dalla dissociazione fra il mondo della conoscenza e quello delle emozioni, tende a relegare gli affetti e le relazioni in un orizzonte privo di riferimenti significativi e dominato dall’impulso momentaneo – ha affermato don Andrea Manto, direttore del Centro per la Pastorale della Famiglia del Vicariato di Roma, al Convegno dal titolo: «La vocazione della famiglia», sui temi dell’affettività e della sessualità, organizzato presso il Pio Sodalizio dei Piceni a Roma, l’11 ottobre scorso, dal Centro per la Pastorale della Famiglia del Vicariato di Roma con la Fondazione «Ut Vitam Habeant» [‘Perché abbiano la vita’]. – (…) La dottrina della Chiesa se viene presentata come insieme di regole risulta estranea e incomprensibile, ma per essere accolta deve essere testimoniata dagli adulti».

Le esperienze affettive sono sempre più spesso svincolate da ogni legame duraturo e al di fuori di qualsiasi logica progettuale. Al tempo stesso i legami non sono a volte alimentati dalla dimensione affettiva. «Il desiderio di un amore che duri tutta la vita è molto presente nei giovani, ma oggi è ferito da una serie di fattori – ha spiegato don Manto –, in primo luogo dal fallimento matrimoniale, che lascia in loro un senso di precarietà e di sfiducia nella realizzazione di un progetto affettivo. Il ‘per sempre’, legato alla promessa d’amore, è visto quasi come un’utopia». Non bisogna dimenticare anche una certa attitudine al privilegio di se stessi e al proprio benessere, che non aiuta a fare quelle scelte che servono per creare comunione, per rimanere insieme, per superare i momenti di difficoltà, presenti in ogni percorso di vita. La sessualità ha un grande significato, ma il messaggio che giunge dai media, dalla rete e dalla cultura popolare, è banalizzante e superficiale. Nella maggioranza dei casi, purtroppo, la sessualità è vissuta nei giovani con passività, come una dimensione che non può essere controllata dalla loro volontà, come esperienza esauribile nell’«hic et nunc», come realtà dell’io individuale, pieno del suo sentire e delle sue emozioni, senza spazio per l’incontro con l’altro. I genitori sono quindi chiamati ad un arduo compito educativo: riformulare la propria comunicazione educativa, incrementare l’ascolto empatico e il dialogo sincero, offrire sostegno nei momenti di delusione e di ribellione, affrontare i conflitti in modo costruttivo. Non si tratta di assecondare gli impulsi dei propri figli, o di reprimerli, quanto piuttosto di orientarli secondo una dimensione di consapevolezza e di rispetto del corpo proprio e altrui.

Per compiere il cammino verso un amore maturo, i ragazzi hanno bisogno di adulti che siano disposti a ‘compromettersi’ nella relazione educativa, di testimoni credibili e affidabili con cui confrontarsi, di educatori che sappiano aprire le porte del futuro perché sogni, desideri, progetti possano trovare dimora. «L’educatore è in realtà un testimone della verità, della bellezza, del bene – ha affermato Pierangelo Sequeri, teologo e preside del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II –, cosciente che la propria umanità è insieme ricchezza e limite». Educa chi è capace di suscitare nel soggetto una ‘progettazione responsabile dell’esistenza’, che, evitando i rischi della progettazione inautentica, connotata da acriticità, incoerenza ed unilateralità, assecondi la capacità di effettuare scelte aperte al cambiamento, orientate al futuro e volte alla piena realizzazione della persona nella sua globalità.

Oggi la Chiesa sta affrontando delle sfide inedite, nell’ambito in particolare del matrimonio, della famiglia, della sessualità e della vita. Ne sono complici, oltre ai media, ai social network, ai cellulari e agli app, anche le legislazioni in tutto il mondo che riducono gli spazi per elaborare il senso della vita. Per questo è importante concentrarci, anzitutto, sul tema della fragilità e rimetterla al centro, in tutte le tappe dell’esistenza umana, quindi non solo l’inizio e la fine, ma anche tutto ciò che c’è nei vari passaggi cruciali della vita. Pensiamo all’infanzia, alla fase della generazione della vita, alla malattia, all’anzianità. 

Nella famiglia, intesa come comunità, esistono comunque regole e linguaggi universali, in cui ritrovarsi e riconoscersi, e una ‘grammatica familiare’, a cui aggrapparsi con fiducia e sempre. Tutto avviene, «volens nolens» (volenti o nolenti) dentro la famiglia, incubatrice di future personalità coriacee e resilienti o di soggetti disorientati e fragili. La famiglia è il luogo per eccellenza in cui il ragazzo ‘virtuale’ impara questa ‘grammatica’, scopre la sua vocazione e la coltiva, si apre al bisogno della comunità, beneficia del suo discernimento, si alimenta, si verifica, si rideclina. È all’interno delle mura domestiche che si apprende il valore dell’onestà, della lealtà, della solidarietà, dell’impossibilità di avere tutto e subito, del sacrificio (cfr. G. Magro, Educarsi per educare. Come riuscire ad essere un genitore/educatore sensibile, responsabile e lungimirante… nonostante tutto, Milano 2009, 24). Il termine ‘sacrificio’, ad esempio, deriva etimologicamente dal ‘sacrum facere’, cioè rendere sacra una realtà. Questa consapevolezza deve aiutarci a far capire ai giovani sempre on-line che la famiglia e il matrimonio sono luoghi dove si può realizzare in pienezza la loro vocazione.

A questi rilievi ci ha portato il Sinodo dei Vescovi sui giovani, in corso dal 3 al 28 ottobre, ma anche la 3ª edizione della Settimana della Famiglia sul tema «Famiglia e giovani», in corso dal 6 al 14 ottobre. È importante raccontare la ricchezza che c’è nel vissuto delle famiglie e insieme creare una realtà che sia sempre più ‘formato famiglia’, luogo di affetti, norme e valori, sia nella comunità cristiana che all’interno della società. «Vorrei un Paese per giovani”: a dirlo alla cerimonia d’inaugurazione della Settimana della Famiglia sono stati gli studenti delle scuole paritarie e statali romane, durante un «flash mob» organizzato dal Forum delle Associazioni Familiari. Se si investe sulla famiglia, si investe sul futuro del Paese e della società.

Una Serata graditissima, con la preghiera di Papa Francesco per i giovani (Sinodo 2018) a conclusione, la foto di gruppo e il «cocktail»: la torta preparata da una «fan» del Circolo. In sottofondo, l’inno della GMG Denver 1993: «We are one body» («Siamo un corpo»).

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Ne è valsa la pena!

Serata emozionante, impressionante, toccante e didattica, istruttiva, pedagogica, quella 112ª di seguito, che si è tenuta venerdì 9 febbraio 2018, nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. E’ valsa la pena parteciparvi? Sì, ne è valsa veramente la pena! La 2ª Serata cinematografica con la proiezione del film «L’altro volto della speranza» (The Other Side of Hope) di Aki Kaurismäki, la cineconversazione e il «cocktail» − ideata all’interno della 6ª edizione del CineCircolo con il motto: «I giovani con la ‘sorella’-‘madre’ Terra per immagini», ispirata al documento preparatorio del prossimo Sinodo dei vescovi: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», ma anche all’enciclica Laudato si’ di papa Francesco e alla preghiera-inno Cantico delle creature di frate Francesco − ci conteneva tutti.

L’argomento del film del regista finlandese: «L’accoglienza, una caratteristica dl cristianesimo», presentato a grandi pennellate dalla curatrice Teresa Cona, dopo l’ascolto delle parole di Papa Francesco «Non lasciatevi rubare la speranza», tratte da un album musicale, ha subito innescato interesse e ha generato calore umano. Ci è ormai evidente che sulla capacità di accoglienza si gioca la nostra condizione di esseri umani o, al contrario, il nostro scivolare sempre più in quelle barbarie bestiali che affiorano qua e là, in questa terra − contrassegnata dai flussi migratori, con tutto il loro carico di sofferenza − che deve essere casa per tutti. Tutti avvertiamo, nella concreta quotidianità dell’esistenza, quell’istanza che è sempre più decisiva: in un tempo in cui vi sono forme di povertà nuove e diversificate (oltre ai migranti, i giovani vulnerabili, le famiglie fragili, i carcerati) e in cui appare con chiarezza come sia faticoso per tutti il duro mestiere di vivere, è fondamentale riscoprire l’esigenza della prossimità, del farsi prossimo, dell’essere vicino l’uno all’altro. «È sull’impegno quotidiano alla prossimità, l’unico vero antidoto a quella che papa Francesco ha definito a più riprese la “globalizzazione dell’indifferenza” [a partire dal viaggio a Lempedusa dell’8 luglio 2013], che sta o cade anche la capacità di accoglienza» (L. Monti). La verità dell’accoglienza cristiana è tutta qui: nel cammino della prossimità. «Accoglietevi gli uni gli altri − ci ha ammoniti l’apostolo Paolo − come anche Cristo ha accolto voi, per la gloria di Dio» (Rm 15,7). Tutta la nostra vita sotto il sole è nient’altro che la risposta a questa unica, quotidiana, eterna domanda: «Ti sei fatto prossimo al tuo fratello e alla tua sorella in umanità?». Tutta la nostra vita e tutta la nostra accoglienza è la responsabilità di questa risposta.

«Tutto quello che possiamo fare − dice The Other Side of Hope − è fare del nostro meglio, anche quando i nostri sforzi si traducono in gesti assurdi e paradossali, e i risultati sono comici, demenziali e irresistibili come certe scene e certe battute ambientate in un ristorante indimenticabile che si chiama “La pinta dorata”, ed anche quando un nazista ci accoltella, ma c’è nostra sorella da aiutare, e quindi andiamo avanti» (F. Gironi), senza perdere la speranza.

(pa)

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È partita anche la 2ª edizione del CineCircolo

Venerdì 29 gennaio il Circolo ha lanciato la 2ª edizione del CineCircolo, un’iniziativa originale e interessante, «sui sentieri della misericordia», focalizzata sulla triade: accoglienza–integrazione–viaggi della speranza, con il cinedibattito a conclusione.

Calabria 1In una cultura, che sempre più si configura come cultura della spettacolarità generalizzata, il CineCircolo, nella sua 1ª edizione, con il ciclo «Calabria mon amour», ha presentato pellicole su temi-storie ambientate sul territorio calabrese, per rendere conoscibile un patrimonio cinematografico legato direttamente ai paesi, alle città e ai luoghi che, ospitando i set, le troupe e i cast, sono diventati famosi, o ai personaggi del cinema, di nascita o di famiglia calabrese, che si sono fatti conoscere in tutto il mondo. Così gli spettatori hanno avuto l’occasione di «comprendere meglio – leggiamo sul pieghevole – la nostra storia, la nostra cultura e le nostre tradizioni, apprezzarne la bontà e comunicare la bellezza, attraverso il coinvolgimento personale, la prossimità e il dialogo, sulle strade digitali del nostro mondo contemporaneo, affollate di umanità, spesso ferita: uomini e donne che cercano una salvezza o una speranza». Durante il cinedibattito, che seguiva ogni proiezione del film, potevano reimparare ad ascoltare, comunicare e fruttificare, nella prossimità e in modo inclusivo, rispettoso e costruttivo, favorendo uno sguardo d’insieme. È stato un «omaggio alla terra di Calabria, spesse volte dimenticata e mai sufficientemente apprezzata per le infinite qualità paesaggistiche, folcloristiche, faunistiche, culinarie, ed ai suoi abitanti».

Volantino - DoichlandaLa proiezione del film-documentario musicale «Doichlanda» di Giuseppe Gagliardi (per la recensione si veda ad esempio il link: http://www.mescalina.it/musica/recensioni/il-parto-delle-nuvole-pesanti-doichlanda-dvd) ha segnato il lancio della 2ª edizione del CineCircolo. Tutti i film sono stati selezionati, con la preziosa consulenza di Eugenio Attanasio, regista e presidente della Cineteca della Calabria, nella prospettiva indicata da Papa Francesco nella Bolla di Indizione dell’Anno giubilare, dal titolo «Misericordiae vultus» (11 aprile 2015), per immergere gli spettatori nella dimensione di misericordia e di compassione, di perdono e di riconciliazione. Di più, con il cinedibattito, previsto anche questa volta alla fine della proiezione, dove ci si mette qualcosa di se stessi e dove non si è più spettatori passivi, ma attivi, viene offerto uno spazio per le tematiche come l’accoglienza, l’integrazione razziale e i viaggi della speranza. «Tutti – si legge sul dépliant – abbiamo bisogno di metterci in discussione, senza avere mai paura dell’inciampo, e di farci raccontare cosa sta succedendo. È importante nell’Anno della Misericordia andare oltre il senso di colpa e continuare a cercare delle vie d’uscita, suggerite dalla fede, dal coraggio e dalla creatività dell’uomo che da sempre ambisce alla felicità. È un momento straordinario per ritrovare i nostri fratelli più fragili e riconoscerli come coloro che hanno bisogno di noi, che ci tendono le mani e che noi siamo nelle condizioni di poter soccorrerli e accoglierli».

Il mondo crea lacerazioni ed è solcato da scie d’intolleranza, divisioni, violenze e guerre. Il cinema invece, questa moderna e fondamentale espressione dell’arte, unisce popoli, culture e religioni. Per questo il CineCircolo lo propone come luogo del dialogo e dell’incontro, a cui attingere intimamente e intensamente. Quando poi esso s’apre alla dimensione religiosa, toccando temi fortemente umani che hanno in sé una carica trascendente, riesce a travalicare le diverse espressioni per giungere al cuore e alla mente dello spettatore.

IMG_1451Il curatore dell’attuale edizione, la dott.ssa Teresa Cona – segretaria del Circolo, in collaborazione con l’avv. Giuseppe Frontera e il M° Luigi Cimino – membri del Consiglio direttivo, accogliendo queste indicazioni, cercherà di invitare ospiti d’eccezione per condividere la loro conoscenza ed esperienza relative alle tre tematiche sopraindicate. «Abbeverandosi alla fonte della fratellanza, e prendendone ispirazione, ci aiuterà a guarire le memorie dolorose, a costruire l’armonia, a far fiorire incontri umani fecondi. Al cuore della comunicazione vi è soprattutto una profonda dimensione umana – comunicazione che non è solo una tecnologia attuale o aggiornata, ma una profonda relazione interpersonale».

DonnaLa prima pellicola «Doichlanda» ha offerto l’opportunità di soffermarsi sull’emigrazione calabrese e sui flussi migratori tra l’Italia ed altri paesi, soprattutto europei. La serata era piuttosto fredda e solo in pochi hanno avuto il coraggio di venire alla proiezione. Ci dispiace di non disporre di una vera e propria sala cinematografica, riscaldata e attrezzata di poltrone. L’attuale è “povera”, come fu povera s. Elisabetta d’Ungheria a cui essa è dedicata, e condivisa con l’Ordine Francescano Secolare (OFS) e con la Gioventù Francescana (Gi.Fra.). Nell’ottobre scorso, grazie al parroco, p. Ilario Scali, si è arricchita di un palco per l’auspicata biblioteca francescana (al riguardo si legga: https://circoloculturalesanfrancesco.org/site/biblioteca-sognata-insieme/) e di tende per le finestre localizzate in alto e al di fuori della manovrabilità, che finora si doveva adombrare con i supporti in cartone, e nel gennaio di quest’anno, grazie al Circolo, di due lampadari e di una plafoniera (ci servono altre tre o quattro da applicare alle pareti laterali). Per ogni evento affittiamo il service audiovisivo (grazie, Ghenadi, Luigi e Gabriele, per la vostra fatica nel portare, montare, gestire, smontare e portare via), il proiettore e lo schermo. Siamo poveri, e non ce ne vergogniamo, anzi, ne siamo francescanamente fieri. Il nostro budget è quasi sempre in rosso, per cui siamo immensamente grati per ogni piccolo gesto di sostegno. Tra i nostri sogni costanti ci sono anche due essenziali strumenti: un computer e una stampante per la Segreteria.

Siamo lieti di invitare tutti, vicini e lontani, a questa edizione. Per parteciparvi non bisogna acquistare il biglietto, perché l’ingresso è libero e gratuito. A conclusione c’è qualche delizia per il palato. Anch’esso vuole la sua parte. A venerdì prossimo.

Piotr Anzulewicz OFMConv