Joy – Gioia

Ha sfidato il freddo, eccome, l’8ª Serata cinematografica che si è tenuta venerdì 11 gennaio 2019 nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. Forte si sentiva però la voglia di trovarsi insieme e insieme chinarsi sull’argomento «Trovare il proprio ‘posto’ nel mondo: vocazione e direzione», guardando la pellicola «Joy» di David O. Russell, proiettata da Ghenadi…

La penultima Serata della 7ª edizione del CineCircolo con il motto: «Negli spazi abitati dai giovani, per immagini», la 147ª di seguito, è cominciata sulle note della calorosa e stravolgente canzone Mamma mia!, tratta dal terzo album del gruppo pop svedese ABBA (Agnetha, Benny, Björn e Anni-Frid). A seguirla, dopo le brevi note sul film e sull’argomento «clou», il videoclip «’Credo’ nella vita…» di Giorgia (Todrani), cantautrice romana, musicista e produttrice discografica, la prima artista di musica leggera al mondo ad esibirsi nel duomo di Milano e in un concerto in diretta televisiva ai Fori Imperiali di Roma.

Poi tutti a condividere le vicende della protagonista Joy, insieme alla sua famiglia al completo, ad un gruppo notevole di personaggi ben caratterizzati che bucavano lo schermo, da l’ex marito della protagonista (Edgar Ramirez), un latinoamericano troppo impegnato a cantare e a diventare il nuovo Tom Jones per andare a lavorare e mantenere la famiglia, a Trudy (Isabella Rossellini), la nuova fidanzata del padre di Joy, una signora ambigua e a tratti illogica nel suo modo di pensare, che faceva ridere e allo stesso tempo riflettere, alla madre e al padre di Joy (Virginia Madsen e Robert De Niro), dotati di uno spessore e di un’umanità incredibili nei loro numerosi difetti e mentalità ristretta, che potrebbero risultare quasi sopra le righe se non fosse per un carattere così ben strutturato da renderli in qualche modo estremamente credibili.

A metà della proiezione è arrivata la sorpresa: la pizza calda e fumante, grazie alla generosità del M° Luigi Cimino. Olga e Pina, mentre proseguiva la proiezione, la servivano graziosamente e sommessamente ai presenti, colti di stupore. È valsa la pena esserci e lasciarsi afferrare anche da questo momento di gioia e di condivisione.

La Serata si è conclusa verso le ore 22.30, al travolgente ritmo del celebre musical «Mamma mia!» con la regia e l’adattamento di Massimo Romeo Piparo, le coreografie di Roberto Croce e le canzoni degli ABBA, da «Mamma mia!» a «Dancing Queen», da «The Winner takes it all» a «Super Trouper», eseguite durante le feste natalizie del 2018 dall’Orchestra del M° Emanuele Friello sul palcoscenico del Teatro degli Arcimboldi di Milano, trasformandolo magicamente in una delle più affascinanti isole greche, con tanto di pontile sospeso su oltre novemila litri di acqua, barche ormeggiate e una locanda dai caratteristici colori bianco e blu con cascate di bouganville, per raccontare della giovane Sofia che, prima di vivere il suo sogno d’amore, fa di tutto per realizzare il suo più grande desiderio: essere accompagnata all’altare dal padre che non ha mai conosciuto.

Il regista David O. Russell ci ha regalato un’opera ricca di umanità e di spunti per ragionare sul proprio ‘posto’ nel mondo e sulle relazioni umane. La sua pellicola Joy ha impressionato, intenerito e coinvolto soprattutto le spettatrici: Antonella, Pina, Olga, Pina, Ninetta, Maria, perché ogni donna almeno una volta nella vita si è sentita impotente, sacrificata, sopraffatta, costretta a rinunciare ai propri sogni: chiunque intorno le mette i bastoni fra le ruote. Joy è così un messaggio, un simbolo, un emblema, un modo per dire: ‘Ce la puoi fare anche tu, che non sei nessuno’. Il cosiddetto ‘sogno americano’, che è in realtà il sogno di tutti, è veramente a portata di mano: l’importante è non smettere di lottare… e credere nella capacità dell’umanità di essere buona, di essere sana e di essere salva. Questo è un tempo in cui ci vuole molta forza per avere fiducia nell’altro, ma «la fiducia come la fede – disse la cantante Giorgia, in un’intervista di Silvio Vitelli per il telegiornale di Tv2000, in occasione dell’uscita del suo quinto album con dvd dal titolo ‘Oronero Live’ (18 gennaio 2018) – sono esercizi che si fanno nei momenti difficili. È anche un grande atto di volontà. La fede è anche una scelta: è scegliere di vedere le cose notando che esiste anche una parte sana e salva e su quella bisogna fare leva e forza». Ben detto, vero?

(pa)

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Un’altra Serata toccante e di attualità scottante, con «The Help», e non solo

È stata una splendida Serata, quella di venerdì 30 novembre 2018, con la proiezione del film «The Help» e la cineconversazione: «Diritto alla differenza: interculturalità e immigrazione», la 5ª della 7ª edizione del CineCircolo dal motto: «Negli spazi abitati dai giovani, per immagini», presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido.

È coincisa mirabilmente con la presentazione del 25° «’Rapporto dell’immigrazione 2017-2018’. Un nuovo linguaggio per le migrazioni’» nell’Aula Sancti Petri a Catanzaro e con la vigilia dell’anniversario di un’altra Serata, ricca di suggestioni, emozioni e domande, la 106ª dal titolo «Maria, Regina di tutto il Creato», al cui timone sono stati due ospiti eccezionali che, offrendoci delle stupende pennellate antropologico-teologico-mariane, ci hanno spronato a invocare la «Regina del Creato» per la protezione dall’inquinamento e dalla devastazione della «sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba» (Cant, v. 9: FF 263): don Gesualdo De Luca − vicario episcopale, docente dell’Istituto Teologico Calabro «S. Pio X» di Catanzaro e assistente ecclesiastico regionale del Movimento Apostolico, e don Michele Cordiano − padre spirituale di Natuzza (Fortunata) Evolo e direttore nazionale dei Cenacoli di Preghiera «Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime» ispirati alla spiritualità della Mistica di Paravati. 

Ad aprire questa Serata, il videoclip «Io non sono razzista, ma…» del rapper e cantante torinese Willie Peyote (pseudonimo di Guglielmo Bruno). A presentare il programma ed invertirlo, per permettere ai presenti della «prima ora» la partecipazione alla cineconversazione, Teresa Cona, segretaria del Circolo. Ad esporre il tema della differenza, interculturalità e immigrazione, in maniera coinvolgente e sintetica, Clarissa Errigo. Il suo «exploit» ha innescato tra i presenti nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» un vivo dibattito intorno ai segni di intolleranza e di xenofobia. Mentre gli interventi si susseguivano, Ghenadi Cimino, operatore audiovisivo, proiettava sullo schermo le immagini dei ‘lebbrosi’ e di Maria, loro tenera Madre.

Di fronte alle sfide migratorie, il Circolo – si è detto – intende rimanere fedele alla sua vocazione: quella di seguire frate Francesco e amare i suoi amici decisamente «offline»: i ‘lebbrosi’, appunto, e tra essi i migranti e i rifugiati. Riconoscere, proteggere e promuovere, in modo costante, coordinato ed efficace, questo «popolo in cammino», è una responsabilità che lo accomuna a tutte le associazioni, le organizzazioni e le Chiese cristiane. Non mancano tuttavia, e si riscontrano anche nei nostri ambienti, in particolare in questi ultimi tempi dei populismi, le tentazioni di esclusivismo e di arroccamento culturale e le reazioni di difesa e di rigetto, giustificate da un non meglio specificato «dovere morale» di conservare l’identità culturale e religiosa originaria. Il Circolo, fin dall’inizio, si impegna a promuovere nei suoi programmai i dettami dell’approccio di Papa Francesco, espresso in modo semplice ed efficace con quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Insieme a lui guarda quindi con speranza alla conferenza internazionale promossa dall’ONU per l’adozione di due Global Compact sulla Migrazione Regolare (GCM): uno sui rifugiati – Global Compact on Refugees, e l’altro sui migrantiGlobal Compact for Safe, Orderly and Regular Migration, che si terrà dal 10 all’11 dicembre a Marrakech, in Marocco. L’apertura verso l’altro e il diverso è una concreta possibilità di arricchimento e di dialogo ecumenico e interreligioso e una tangibile applicazione dell’universalità dei diritti umani e dell’umanesimo integrale (spirituale e materiale) che costituisce uno dei frutti più belli della civiltà giudaico-cristiana ed euro-atlantica. Il Circolo quindi vuole che la sua voce sia sempre tempestiva e profetica, e, soprattutto sia preceduta da un operato ispirato ai principi del messaggio evangelico-francescano.

A suggello della discussione è stato proiettato il videoclip «Non è un film», la canzone di Fiorella Mannoia che ha vinto la 10ª edizione del Premio Amnesty Italia per aver scelto di stare dalla parte dei diritti umani e di comunicare questa scelta tramite la sua arte. Il brano racconta, in parole semplici e incisive, la fuga di chi spera di salvarsi da persecuzione e sofferenza attraversando il Mediterraneo a bordo di un’imbarcazione precaria. È la vita vera di giovani cittadini africani che cercano umanità e protezione e trovano spesso razzismo e propaganda. I 1500 morti del 2011, annegati in mare sulla via verso l’Europa, non sono un film, ma sono veri anche loro. E sono vere le migliaia di vittime della tratta sulle strade italiane, costrette alla prostituzione e accolte come ‘carne fresca’ da clienti che chiudono gli occhi davanti alla propria complicità nel mercato delle schiave.

I presenti alla Serata concordavano sul fatto che stiamo vivendo un momento storico molto delicato, in cui una parte del Paese, non tutto per fortuna, si lascia influenzare dal terrorismo delle parole – non meno pericoloso del terrorismo delle armi – di una parte della politica che per meri fini di propaganda elettorale, non avendo altri argomenti, usa gli immigrati per diffondere l’antico germe dell’odio razziale, mettendo in pratica la tattica del «divide et impera», dimenticando o, meglio, facendo finta di dimenticare che tutto il benessere dell’Occidente poggia sulle spalle di interi Paesi del Sud del mondo, Africa in testa, saccheggiati da una politica predatoria della quale tutti i governi sono responsabili.

Con la proiezione del film «The Help» (2011) è stato poi portato in scena un racconto tutto al femminile di donne che trovano un linguaggio comune al di là delle barriere sociali e razziali. Tate Taylor, regista statunitense, ha adattato per il grande schermo il romanzo L’aiuto, scritto dall’amica d’infanzia Kathryn Stockett, da cui aveva ottenuto i diritti cinematografici del libro prima della sua pubblicazione. The Help è uscito nelle sale americane il 10 agosto 2011 ed è rimasto al primo posto tra i film più visti per settimane.

Il film, un vero e proprio gioiello, con lo spettacolare cast, tutto al femminile, capitanato da Viola Davis, Bryce Dallas Howard, Emma Stone e Jessica Chastain, ha emozionato e commosso molto quanti sono rimasti fino all’«ultima ora». Ha regalato loro ritratti umani delle donne nere, coraggiose, formose e vivaci, ma anche delle donne bianche, ricche, isteriche e annoiate. Un film toccante, divertente ed emozionante, che con grande equilibrio e dignità ha raccontato un passato non del tutto passato.

La Serata ha avuto il suo dolce fine presso la tavola con una squisita torta al cioccolato di Pina, al ritmo della canzone «Siamo tutti Africa» di Cecile Vanessa Ngo Noug, cantante romana di origini camerunensi e testimonial di AMREF, la più grande organizzazione sanitaria «no profit» che opera in Africa dal 1957, sostenendo i progetti per bambini e mamme con i regali solidali. 

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Profilo dei giovani 2.0

Il Circolo Culturale San Francesco, dopo la pausa estiva, ha riaperto i battenti, e lo ha fatto regalando una pregnante Serata conviviale con «aperitivo», la 132ª di seguito, tra quelle conviviali e quelle cinematografiche. Venerdì 21 settembre 2018, con il tema «Il profilo dei giovani 2.0», ha avviato la 7ª edizione del WikiCircolo: 9 Serate ‘immerse’ «negli spazi abitati dai giovani», tutte gratuite e aperte a tutti: soci, sostenitori, amici, credenti e «laici», vicini e lontani, introdotte da un brano musicale o un videoclip, intervallate da un momento di condivisione e concluse con un «aperitivo», ispirate all’Instrumentum laboris della 15ª assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale (3-28 ottobre 2018), al Messaggio «”Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc 1,30)» di Papa Francesco per la 33ª GMG 2018 e alla preghiera-poesia Cantico delle creature di frate Francesco. A configurarle in dettaglio e a scegliere i relatori di rilievo per la piccola tavola rotonda, i componenti del nuovo «team», ringiovanito e rinvigorito: Clarissa Errigo, Valentina Gullì e Teresa Cona, in collaborazione con Alex Scicchitano e Luigi Cimino, tutti innamorati dell’ideale del Circolo e pronti a fare i ‘salti mortali’ per tenerlo in alto, vivo ed attraente. Il Salone «S. Elisabetta d’Ungheria», presso la sede del Circolo, al lato destro della chiesa «Sacro Cuore» a Catanzaro Lido, è il luogo abituale degli incontri che si tengono un venerdì sì e un venerdì no, alternandosi con il ciclo cinematografico.

Ad aprire la 1ª Serata, alla vigilia del viaggio apostolico di Papa Francesco in Lituania, Lettonia ed Estonia, nel 25° anniversario della visita di Giovanni Paolo II, è stato il video hardcore 2.0 «I giovani di una volta» della storica band torinese COV, tornata nel 2015 sulla scena con l’intento di fare nuova musica, intesa come atto creativo, con nuove consapevolezze e nuove sensibilità, ma con la stessa forza e lo stesso spirito di sempre, narrando la vita, l’amore, i cambiamenti, la società, ma anche i moti dell’anima che erano lo specchio delle storie e delle sensazioni vissute dai giovani dei quartieri popolari della Torino di un tempo.

A presentare l’edizione e il programma della Serata, la segretaria del Circolo, Teresa Cona. «Il fil rouge dell’edizione e il tema della Serata sono scottanti – ha detto –, ed è importante che esista un’edizione che vuole introdurci negli spazi abitati dai giovani», ritrovare i «link» tra loro, gli adulti e gli anziani, tra ieri e oggi, e unirci tutti in una grande famiglia. Incontrarsi, comunicare, dialogare «vis-à-vis» è un dovere. È l’alternativa alla frammentazione delle società occidentali e alla nascita di tanti «ghetti», «grumi» e mini-aggregazioni, favoriti dal web di cose incrociate, sfaccettate, mescolate, come Facebook, forum e chat settoriali, tv «on-demand», l’opposto dell’«agorà» (= piazza, spazio aperto frequentato dal popolo, luogo di relazioni interpersonali), dove cittadini di ogni estrazione e idea si riunivano per discutere e decidere del futuro della «polis» (=città). Il frequentatore-tipo di ogni piccolo «ghetto» non fa che rinforzare le proprie idee, e spesso i propri pregiudizi, senza metterle mai alla prova del confronto, colpendo al cuore quella che è l’idea stessa di democrazia: il dibattito. Queste enclavi del pensiero, impermeabili alle idee esterne, auto-rinforzano le convinzioni dei propri affiliati in una sfrenata corsa all’inevitabile «redde rationem» (=resa dei conti). Un giorno usciranno dai propri «ghetti» e si troveranno nell’«agorà», non per discutere, ma per spaccarsi le teste, dando luogo ad una non-società, sempre più polverizzata e, quindi, pronta all’esplosione. A noi non scoraggiarsi, ma «prendere il largo», come il giovane Pietro con la sua barca, trascinando nell’avventura gli altri, «gettare le reti» (Lc 5,4) e ‘spacciare’, con la nuova linfa, i valori alti, evangelici, sanfrancescani, trapiantandoli nei cuori di tutti.

Magistrale è stata la tavola rotonda, con interventi di carattere sociologico, pedagogico e giuridico sull’identità del #giovane 2.0 tutto web, touch screen, chat, blog, twitter, social forum (Clarissa Errigo, Valentina Gullì e Vanessa Aprile) e con video («Don Tonino Bello – Freedom», «Santità 2.0: Storie belle di giovani» e «Catechesi ‘Giovani 2.0’»).

Clarissa, aprendola, ha ricordato che l’uomo è un essere più debole del mondo, perché appena nato ha bisogno delle cure e degli affetti di un altro essere. A volte questo bisogno se lo porta dietro per tutta la sua vita. È necessario ri-nascere, il più presto possibile, come individuo autonomo ed indipendente. Vanessa ha spiegato come si sviluppa la coscienza del sé ripercorrendo le varie età della crescita. Valentina invece ha sottolineato l’importanza del passaggio dall’identità personale all’identità digitale, aprendo una panoramica sui rischi connessi al mondo virtuale ed elencando le maggiori precauzioni da adoperare, in una fase preventiva, per non incorrere nei numerosi e variegati reati informatici che stanno dilagandosi «on-line».

Si è parlato quindi di ciò che riguarda la vita dei giovani 2.0, cresciuti in ambiente tecnocognitivo e quindi abili nel gestire flussi informativi tecnomediati, in multitasking con una miriade di altre attività parallele, e nel combinare comunicazione face to face e virtuale. Proprio loro sono chiamati a non piangere sulla propria situazione, ma a fare la loro parte: coltivare (↬ cultura) e sviluppare in pieno, con responsabilità, i talenti seminati nella loro vita. Certo, ci sono situazioni e contesti che più li favoriscono e altri che li ostacolano, ma in ogni giovane c’è sempre un punto positivo su cui si può far leva per crescere questi talenti. Papa Francesco spesso ricorda ai giovani di non farsi ‘rubare’ la speranza. I ‘ladri’ sono esterni per cui i giovani devono custodire e fruttificare il proprio estro, genio, bernoccolo. In questa dinamica devono essere oltremodo responsabilizzati e sensibilizzati. Il futuro dovrebbero costruirselo anche loro, in sinergia con gli altri, sognando la cultura della speranza, della gioia, dell’accoglienza, mai cedendo a fatalismo e alla logica dell’irredimibile.

I genitori sono spesso iperprotettivi. Si sentono più tranquilli e meno ansiosi con i figli immersi nei «social» a casa che fuori immersi nel sociale, esigente, ma vitale per il loro equilibrio psichico e per la costruzione di relazioni reali e durature, non virtualizzabili o cliccabili. Privilegiando solo relazioni virtuali, attraverso i media, si impoverisce, si favorisce il narcisismo e si espone ad una «orfanezza spirituale»: «La mancanza di contatto fisico (e non virtuale) – constata amaramente Papa Francesco – va cauterizzando i nostri cuori, facendo perdere ad essi la capacità della tenerezza e dello stupore, della pietà e della compassione. L’orfanezza spirituale ci fa perdere la memoria di quello che significa essere figli, essere nipoti, essere genitori, essere nonni, essere amici, essere credenti. Ci fa perdere la memoria del valore del gioco, del canto, del riso, del risposo, della gratuità» (Omelia alla Messa nella solennità di Maria, Madre di Dio, 1 gennaio 2017).

Infatti, si pensi alle mamme e ai papà travolti dai sensi di colpa e distrutti dal chiedersi: “Se avessi visto, se avessi capito, se avessi fatto…”. Certo, non si può arrivare dappertutto e proteggere a oltranza dai rischi e dalle degenerazioni dei media. I media hanno conquistato la nostra esistenza, scandiscono i ritmi delle nostre giornate, sono i custodi delle chiavi dei nostri spazi. «La loro presenza ci mette, certamente, a disposizione funzioni e opportunità impensabili fino a pochi anni fa, anche se il prezzo da pagare – afferma Dario Edoardo Viganò, assessore del Dicastero vaticano per la comunicazione – è una modifica sostanziale dei lineamenti del nostro profilo», un elevato costo in termini di umanità (Connessi e solitari. Di cosa ci priva la vita online, Bologna 2017, 17-18). Per quanto ci facciano bene, non si può dimenticare quanto essi siano carenti dal punto di vista dell’«educazione ai sentimenti». Per questo occorre che i genitori stiano vicino ai propri figli, sempre, al loro fiano, fin dalla più tenera età, e sappiano ascoltare, dialogare e rispettare i loro spazi e tempi. Insieme si può costruire un mondo e un futuro più bello, più umano, più relazionale, più affettuoso, più rispettoso, più giusto, più equo.

In sintonia con questi rilievi erano, a nostra sorpresa, i tre sintomatici eventi della giornata celebrati ad Assisi e a Bologna:

  1. «Disegni di affettività» per coppie di giovani sposi e di fidanzati, promossi nel Centro Congressi «Casa Leonori» di Assisi dall’Azione Cattolica. «’Life is sweet’: musica e parole, il nostro progetto di amore» è stato il titolo di quel fine settimana di lavori in cui, fino a domenica 23 settembre, i partecipanti da ogni parte d’Italia avevano la possibilità di riflettere sulla bellezza e il significato profondo della propria vocazione. Nella scelta del tema si sono rifatti all’Esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia di Papa Francesco (2016), al progetto di voler formare una famiglia come «il coraggio di far parte del sogno di Dio» (n. 321) e alla conseguente capacità della coppia di essere un «pascolo misericordioso», che genera vita, accoglienza ed ospitalità (cfr. nn. 322-324). A fare da filo conduttore dell’evento è stata la musica, con il suo ritmo e i suoi silenzi, tempi e codici, l’immagine perfetta delle relazioni affettive. Ogni coppia è chiamata a generare, come su un pentagramma, il proprio ‘spartito’, aperto al bene, all’accoglienza della vita e alla costruzione di una società più relazionale ed ospitale, contro ogni tentazione disgregativa che si vorrebbe imporre.
  2. «Cortile di Francesco» sul tema «Differenze», con più di 40 i relatori e ben 24 gli incontri, sviluppato dai partecipanti attraverso 6 sezioni: arte e cultura, cinema e teatro, architettura e design, economia, giornalismo ed attualità, l’evento realizzato dal Sacro Convento di Assisi, dalla Conferenza Episcopale Umbra e dall’Associazione «OICOS Riflessioni» e in collaborazione con la Regione Umbria.
  3. Presentazione della 10ª edizione del Festival Francescano sul tema «Tu sei bellezza», in programma dal 26 al 30 settembre a Bologna, con più di 200 iniziative. È stato questo il richiamo forte che i componenti del Comitato scientifico del Festival hanno rivolto a tutti. Il tema della manifestazione, “la bellezza”, ha assunto fin da subito una dimensione relazionale. Il contributo che i francescani si sono sentiti di dare, infatti, è stato quello di riconoscere il totalmente Altro (Dio) e gli altri come “belli”, degni del Suo e del nostro amore. L’esclamazione «Tu sei bellezza» ci arriva dalle Lodi di Dio altissimo: una preghiera che frate Francesco compose sul Monte della Verna nel 1224, quando ricevette le stimmate (FF 261). L’esclamazione è ripetuta due volte per sottolineare l’importanza del concetto di bellezza nel rapporto con Dio, il rapporto che per l’Assisiate passa necessariamente attraverso gli uomini e le altre creature: belli sono il sole, il fuoco, la luna e le stelle, così come bello è il lebbroso, l’emarginato, lo scartato. Di conseguenza il movimento francescano coltiva un atteggiamento positivo nei confronti del mondo: trova bellezza laddove altri trovano scarto. Certo, il concetto di bellezza non è univoco. Bello è qualcosa che attrae, che colpisce, che spinge a soffermare lo sguardo senza reprimere un senso di meraviglia, di stupore, di estasi. Spesso si definisce il bello come qualcosa che è buono e in questo caso si attribuisce alla bellezza una caratteristica utilitaristica, che non è propria del termine. Altre volte una cosa bella è una cosa desiderabile, apprezzata, ma non posseduta, e che proprio per questa mancanza di possesso risulta ancora più ricercata.

Umberto Eco († 2016), semiologo, filosofo, bibliofilo e medievista, dopo aver scritto la Storia della bellezza (Milano 2004), si dedicò alla Storia della bruttezza (Milano 2007). Con la sua raffinata capacità di leggere il presente, scrisse: «Un altro caso in cui si riscontra la dissoluzione dell’opposizione brutto/bello è quello della filosofia cyborg. Se all’inizio l’immagine di un essere umano in cui vari organi sono stati sostituiti da apparati meccanici o elettronici, risultato di una simbiosi tra uomo e macchina, poteva ancora rappresentare un incubo della fantascienza, con l’estetica cyberpunk il vaticinio si è avverato. […] è davvero scomparsa la distinzione netta tra brutto e bello? E se certi comportamenti dei giovani o degli artisti (anche se generano tante discussioni filosofiche) fossero fenomeni marginali praticati da una minoranza (rispetto alla popolazione del Pianeta)? Se cyborg, splatter [zombi] e morti viventi fossero manifestazioni di superficie, enfatizzate dai mass media, attraverso le quali esorcizziamo una bruttezza ben più profonda che ci assedia, ci atterrisce e vorremmo ignorare?».

La risposta francescana, nel Duecento così come oggi, è sempre la stessa: trovare la bellezza tornando alla realtà. E dove sta la realtà? Nei luoghi del sentire e di senso. Cercare il bello significa capire che ci sono cose prive di scopo, ma ricche di senso. Un senso che possiamo solo contemplare e non possedere. La bellezza, dunque, ci porta oltre ai canoni estetici e oltre alla fisicità che ci viene proposta consumisticamente. È una sensazione che nasce dal profondo, ci colpisce e ci educa alla gratuità e alla prossimità.

Forse dovremmo ripensare il tema della prossimità nel contesto digitale, senza demonizzare la rete come luogo distruttivo, e scoprire nuovi modi di stare con gli altri, senza rinunciare alle relazioni dirette, personali, con presenze reali e non esclusivamente virtuali, imparando a contemperare il senso di una stretta di mano con il click dei tasti del pc (cfr. L. Bruni, La ferita dell’altro. Economia e relazioni umane, Trento 2007, 159-163). «La rete – afferma Papa Francesco – è un dono di Dio, ed è anche una grande responsabilità» (Messaggio per la 50ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo, 8 maggio 2016). Il suo appello è quello di «costruire ponti tra gli uomini», di essere inclusivi, di farsi «prossimi dell’umanità ferita ed esclusa, per rendere visibile l’amore di Dio e la gioia del Vangelo», di dialogare en face per essere un gruppo». «Un dialogo per essere un gruppo aperto – ribadisce – deve essere un dialogo con la mente, con il cuore e con le mani» (Discorso ai ragazzi della Diocesi di Viviers, 29 ottobre 2018).

Lo Staff del Circolo è pieno di gratitudine nel vedere che le Serate conviviali e cinematografiche sono un luogo dove, quasi per una misteriosa osmosi, si comunica la positività, il desiderio di dialogo e di comunione, il rispetto delle differenze, la curiosità del conoscere che vince la pigrizia, l’orgoglio e l’indifferenza. È una benevolenza che lo precede e un favore che gli viene anche da frate Francesco, «maestro di reti», da intendersi, nel suo caso, come reti di relazioni e, nel nostro caso, come reti di connessioni, «abitate» dai giovani 2.0.

Piotr Anzulewicz OFMConv/Valentina Gullì/Teresa Cona

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Frate Francesco, un intramontabile

Francesco d’Assisi, un intramontabile, un catalizzatore, un «trainatore», un fascinoso? Immaginatevi a Catanzaro Lido, presso la chiesa «Sacro Cuore», attorno a cui ruota la «galassia francescana»: OFS, Gi.Fra., MI. È impensabile che non gli corrono indietro, come l’amato frate Masseo, suo follower fin dagli inizi (cfr. Fior 10: FF 1838)? Tutti o soltanto qualcuno? Al Circolo Culturale San Francesco che venerdì 5 ottobre 2018 gli ha dedicato un’altra Serata dal titolo: «Il profilo di frate Francesco d’Assisi e dei suoi ‘follower’» – ideata nell’ambito della 7ª edizione del WikiCircolo il cui filo conduttore è: «Negli spazi abitati dai giovani», collocata nel solco dell’anno dei giovani e ispirata all’Instrumentum laboris della 15ª assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi in corso dal 3 ottobre – non hanno esitazioni: Francesco, per i fan del Circolo, continua ad essere una chiara e brillante stella che illumina e trascina verso l’alto e gli altri, sempre e ovunque, e malgrado il maltempo, il temporale, l’allerta rossa o arancione. «Laudato si’, Signore…», per chi si è lasciato trascinare e correre indietro a frate Francesco nel Circolo: Clarissa e Valentina, Luigi, Ghenadi e Olga, Angela Anna Rita e Luigi Albano, Maria e Roberto, p. Lawrence e fr. Alessandro, Pinuccio e Leo, Lina, Antonella e Carmelina…

Così suonava la nota pubblicata il giorno dopo l’evento, insieme ad un video, su Facebook del Circolo. A distanza di due settimane vogliamo restituire ai nostri amici e ai lettori di questo portale alcuni contenuti dei due interventi (il terzo, purtroppo, è ‘saltato’, per il temporale): quello del sottoscritto e quello di Angela Anna Rita Serramazza, ritrovando in essi una stretta comunanza con il sentire delle nuove generazioni.

Il primo intervento. Come presentare ai giovani 2.0 il «profilo» di frate Francesco e dei suoi primi «follower»? Come essi sono riusciti a trasformare la società di allora, crudele, violenta e avida, in una società di benessere, di pace e di fraternità per tutti? E come ritrovare quel movimento di rinnovamento delle persone e delle istituzioni, che hanno innescato, e rifondare la nostra società, pasto di lupi famelici? Il sottoscritto ha tentato di affrontare queste e simili domande, partendo dal video «Forza, venite gente». È un musical teatrale, fresco, intenso, galvanizzante, più di 30 anni sulle scene, ma sempre attuale, richiesto ovunque e rappresentato fino in Polonia, Austria e Messico, ormai ben presente nella letteratura artistica del nostro tempo. La storia del Poverello d’Assisi portata in scena da Michele Paulicelli, Piero Palumbo e Mario e Piero Castellacci, alternando momenti di tenera comicità ad altri di profonda commozione, che traduce in termini attuali il conflitto eterno tra padri e figli, tra ragione e fede, tra meschina prudenza e generoso coraggio. Un grande successo che ha il potere di suscitare una miriade di emozioni e spunti di riflessione. La parte musicale mette in risalto gli stili di vita dell’Assisiate: semplicità, povertà, perfetta letizia, affidamento alla ‘sorella’ Provvidenza, e gli eventi che hanno caratterizzato il corso della sua vita. È fantastica la prima scena in cui egli si spoglia dei suoi abiti borghesi, davanti al padre, Pietro Bernardone, per indossare il saio, e la seconda in cui i suoi amici sono rattristati dalla sua scelta (Stanotte, ragazzi) che, stando a quanto viene detto nella canzone, il loro amico era una colonna portante nella comitiva. Ecco il primo «profilo» di Francesco e dei suoi «follower» (Sorella Provvidenza). E l’ultimo? Nella Laudato si’, nel Cantico delle creature. Man mano che la canzone scorre compaiono sulla scena tutti i personaggi e le comparse del musical, ad eccezione di Pietro di Bernardone che entra in scena verso la fine del Cantico dal fondo della platea, portando in alto una pagnotta – simbolo dell’Eucaristia – e consegnandola al figlio, abbracciandolo.

Francesco – è doveroso precisare – partì però dalle rovine. Una voce divina gli chiedeva di restaurare la chiesa ed egli pensava che fosse la cadente chiesetta di S. Damiano ad Assisi. In seguito capì che la chiesa da ricostruire era la Chiesa con la C maiuscola, ridotta a macerie religiose e morali: papi, vescovi, abati che a suon di soldi si compravano le cariche e a suon di spade detenevano e aumentavano il proprio potere. Non era da meno la situazione politica e sociale: guerre, incendi, massacri e vendette erano l’esperienza quotidiana delle famiglie, delle fazioni cittadine, delle città in lotta. Imperatore, re, baroni, principi, papi, vescovi: tutti contro tutti, avidamente, cinicamente, crudelmente. «Lo schifo era tale – afferma Claudio Bernardi, docente di storia del teatro al DAMS di Brescia – che i veri seguaci di Cristo preferivano fuggire non solo dal mondo, ma anche dagli stessi monasteri. Preferivano gli eremi, lontano da tutti, nell’ombra delle selve, nel silenzio dei monti. Solo lì si poteva incontrare Dio e soprattutto riuscire a non fare del male agli altri, a non sporcarsi». Anche il giovane Francesco pensò di ritirarsi dal mondo, ma quella era una fuga e non un impegno per ricostruire la Chiesa e la società. Che cosa si doveva allora fare? Semplice. In tutto occorreva seguire Cristo, il più grande rivoluzionario di tutti i tempi. Così Francesco portò, con i suoi primi «follower», una rivoluzione culturale, religiosa e sociale. Predicò e praticò valori opposti a quelli dominanti della società feudale e comunale: contro l’odio e la guerra dei violenti, l’amore e la pace; contro l’avidità e la ricchezza dei mercanti, la povertà e la generosità; contro la volontà di godere e possedere, la perfetta letizia della libertà e dell’espressività; contro l’ascetismo e rifiuto del mondo, la bellezza dell’universo, opera di Dio, e la significazione della sua bontà. Tutto il creato era per lui un canto d’amore da sentire e da vivere in profondità.

Non è facile comunque stabilire la serie dei suoi primi «follower». Nei Fioretti si parla di dodici (così nei racconti del viaggio a Roma dal Papa, per la prima approvazione della Regola), ma sembra più un numero simbolico per fare il parallelo con i dodici apostoli. Infatti, non si riesce a dare un nome a questi dodici «follower» (cfr. anche nota 3 a FF 1826). Di alcuni, tra i primi, le Fonti francescane danno, oltre il nome, una breve narrazione della “chiamata” (ad es. Bernardo, Pietro, Egidio, Silvestro), ma di altri si ha solo il nome: Giovanni da San Costanzo, Barbaro, Bernardo di Vigilante e Angelo Tancredi (1 Cel 31: FF 371, nota 58), Sabbatino, Morico, Giovanni de Capella (3 Comp 35: FF 1438). Ci sono poi altri «follower» che, pur non essendo tra questi primi, furono però molto vicini a frate Francesco, ad es. Leone, Rufino, Angelo, che si autodefiniscono «noi che siamo vissuti più a lungo insieme con lui». A loro, ovviamente, si aggiunge sorella Chiara. In ogni modo, con loro egli proponeva la partecipazione di tutti – uomini e donne, sposati e non, ricchi e poveri, santi e peccatori, chierici e laici – al rinnovamento radicale delle persone, delle istituzioni, della società. Fu l’avvento della democrazia solidale, della fraternità universale, della responsabilità individuale, della lingua in volgare, della pittura italiana, delle scienze umane, del movimento non violento, del dialogo tra culture, popoli e religioni diverse, del non conformismo e di mille altre cose nuove.

Un Francesco folle, scandaloso, trasgressivo e antimoderno, sia pur «ante litteram». Infatti, «quando si parla della “povertà francescana”», si dimentica che la sua povertà è esattamente in linea con il discorso delle beatitudini di Gesù: non già «puro e limitato rifiuto della ricchezza materiale», ma «totale e radicale rinunzia a qualunque tipo di “volontà di potenza” individuale, a partire dalla sapienza e dalla cultura, a loro volta forme fondamentali di ricchezza e di potere». Ecco perché il modello e l’esempio di Francesco e dei suoi primi «follower» colpiscono al cuore la radice stessa della postmodernità che «in ultima analisi – afferma il medievista Franco Cardini nel suo blog – è il culto sfrenato e unilaterale di qualunque forma di individualismo e di “volontà di potenza”». Il suo “farsi pusillo”, “piccino”, povero ed umile, il proclamarsi ultimo, il mettersi al servizio degli scartati, «configura non solo una teologia, ma soprattutto un’antropologia» che si pone «in totale, assoluto e insanabile contrasto con quanto è prevalso in Occidente nell’ultimo mezzo secolo e con quanto il travolgente e prepotente revival liberal-liberistico postmoderno va proclamando da alcuni anni a questa parte».

Frate Francesco va comunque di moda: gli si dedicano romanzi, film, fiction televisive, ma va di moda in una società che «di fatto ne disattende, ne offende e ne calpesta di continuo il modello e l’esempio». Lo storico Cardini ne è convinto: «La [post]modernità è antifrancescana, e come tale anticristiana», in quanto «sostituisce sistematicamente il fiat voluntas Tua [sia la Tua volontà] del Pater noster con un blasfemo fiat voluntas mea [sia la mia volontà]». Oltre che il più affascinante, Francesco sarà anche il più amato dei santi, «ma resta anche il più disatteso, il più tradito, il più inascoltato», anche tra i suoi «follower» di oggi. Se lo si capisce, «da qui deve cominciare la rivoluzione», per mettere fine al declino, scongiurare il rischio della barbarie postmoderna e ricostruire una civiltà dignitosa. Al padre, ricco e avido di prestigio, di successo, di onori e soldi, come tutti noi, egli aveva ridato tutto quello che aveva ricevuto, perfino i vestiti. Aveva capito che chi ha tutto, è nulla come uomo: ricco fuori, ma vuoto dentro. Chi invece non ha nulla e non vuole nulla, è l’uomo più ricco al mondo: ricco di spirito, di gioia, di passione, di amore, e l’amore è tutto, perché «solo l’amore è creativo». Il problema è averlo.

Il secondo intervento. A precederlo è stato il videoclip «Massimiliano Kolbe: solo l’amore crea», pubblicato il 13 settembre 2016 sul portale web «Bibbia Francescana». Massimiliano è stato chiamato anche «Francesco del XX secolo», perché si è incamminato sui suoi passi, intraprendendo il percorso che lo ha portato ad amare Cristo, sua Madre Immacolata e gli altri in modo sempre più totalizzante, generando meravigliose imprese apostoliche. È noto per la sua geniale e innovativa opera nel campo dei mezzi di comunicazione. Ha usato in modo preponderante la stampa per diffondere i valori evangelici, ma non si è fermato ad essa. Ha evangelizzato anche attraverso il «nascente» mezzo radiofonico. In concreto, ha fondato molte riviste in Polonia e in Giappone e, in quei medesimi luoghi, le due Città dell’Immacolata (Niepokalanòw e Mugenzai No Sono), grandi strutture conventuali che si dedicavano e si dedicano tuttora a una missione d’avanguardia. Un «fiume» d’amore che scorreva tra le colonne dei suoi giornali e dalle sue creazioni. Una vita nel segno dell’amore, inteso come dono di sé, il cui vertice più alto si compì, ad appena 47 anni di vita, il 14 agosto 1941, ad Auschwitz. Un santo quindi poliedrico: patrono del movimento per la vita, delle famiglie, dei giornalisti, dei carcerati, dei tossicodipendenti. Ed anche dei giovani 2.0? Può essere per loro un modello? A queste domande ha cercato di rispondere, con grazia, dolcezza ed eleganza, Angela Anna Rita Serramazza, già responsabile regionale della Milizia dell’Immacolata.

«L’amore – ha rimarcato in un batter d’occhio – è l’elemento dominante della sua spiritualità». Non un amore che viene dal basso, dall’uomo, da una filantropia umana, da una pietas emotiva e sentimentale. Il suo luminoso motto: «Soltanto l’amore crea», è linguaggio che può venire solo dall’alto, dall’amore smisurato di Dio: l’amore sorgivo e donante del Padre, l’amore accogliente e oblativo del Figlio, l’amore comunione e dono dello Spirito. Di questo amore-agàpe Massimiliano, «martire della carità», ha dato prove in ogni campo. Un vero folle di quell’amore divino che crea, libera e redime, gratifica e ricompensa. «Quando il fuoco dell’amore si accende – scrisse – non può trovare posto nei limiti del cuore, ma divampa al di fuori e incendia, divora, assorbe altri cuori» (SK 1325). I ragazzi 2.0, che vivono sovente in un contesto carente di amore, hanno bisogno di sapere che è possibile amare, come lui, in modo divino. Ecco perché egli può essere anche per loro un modello splendido, ma ciò accadrà se la capacità di amare sarà «allenata» ogni giorno da piccoli gesti di amore che, passo dopo passo, li prepareranno ad essere portatori della cultura dell’amore e costruttori di un mondo più bello, relazionale, solidale, inclusivo, opposto a quello grondante di feticci, di simulacri, di trucco, di plastica, di pura rappresentazione. È proprio dei giovani l’essere sulla strada dei sogni, dei progetti, dei desideri, dell’amore. A noi l’essere all’altezza dei loro sogni, «ponendoci accanto a loro, perdendo tempo con loro, infiammando i loro cuori» (…), senza dimenticare che essi cercano anche l’accompagnamento dei loro coetanei, in un’ottica di condivisione delle esperienze peer-to-peer», cioè da pari a pari (Sinodo dei Vescovi, 10 ottobre). E se noi non vogliamo muoverci tra le ‘splendide’ rovine della grande crisi della postmodernità, come turisti o parvenu, stringendo rapporti liquidi con i nostri ragazzi e con le cose, dobbiamo sapere a che «profili» e modelli votarci: Francesco, Chiara, Massimiliano, appunto… Buona memoria, allora. Ognuno di loro è bellezza, ma anche… «Tu sei bellezza».

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Agenzie formative dei giovani…

La 3ª Serata conviviale [136ª], focalizzata sul tema: «Storiche agenzie educative dei giovani: famiglia, scuola, amici, Chiesa», e ideata all’interno della 7ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Negli spazi abitati dai giovani…», ha regalato venerdì 19 ottobre 2018 un «surplus» di emozioni, sorprese e contrattempi. Alla piccola tavola rotonda sono mancate, per il contrattempo, le due relatrici: dott.ssa Vanessa Aprile e maestra Ester Talarico. Il «team» con maestria è riuscito a ridisegnare il programma della Serata e renderla ancora più bella, più vivace e addirittura superiore a quella precedente. È stata quindi completa, con tutti i crismi, come la musica con la Scala di Milano, Francesco d’Assisi con il «Cantico di frate Sole», il Rinascimento con Leonardo da Vinci, Romeo con Giulietta di Verona. È iniziata con il ‘tenero’ video «Everytime we touch» («Ogni volta che ci tocchiamo») del gruppo musicale «Cascada», originario di Bonn, noto a livello internazionale, e si è conclusa con l’entusiasmante «Laudato si’» di fr. Gianni Mastromarino, guardiano del santuario della Madonna della Vetrana di Castellana Grotte. Proprio così, «laudato si’, Signore, per la bellezza che sa vincere l’orrore (…), per il mondo che hai creato (…), per la carezza che scioglie ogni dolore, perché ti sei donato. Perdona l’uomo se lo ha dimenticato!».

Il tema centrale della Serata è stato reso fortissimamente attrattivo e stimolante da due talentuose protagoniste: Clarissa Errigo e Valentina Gullì. C’era in esse la grinta, lo slancio, il cuore e la mente, e la notevole ricchezza contenutistica: 1. Le finalità del sistema formativo nella società contemporanea e l’educazione permanente, 2. La famiglia come agenzia formativa e i nuovi modelli di famiglia, 4. La scuola e la sua “crisi”, 5. Il gruppo di pari e l’associazionismo educativo (Il gruppo a scuola: Peer-tutoring, Peer-education e Cooperative Learning), 6. Il “villaggio globale” dei media (Web 2.0, “nativi digitali” e scuola), 7. La Lettera di Benedetto XVI sull’educazione e un’intervista al card. Zenon Grocholewski, già prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica.

Il dibattito, moderato dalla segretaria Teresa Cona, ha reso la Serata ulteriormente gradevole. Maria Rainone, Nunzio Familiari e Luigi Cimino interagivano entusiasticamente e a lungo con le due ‘icone’ della Serata, facendo saltare addirittura i tre videoclip previsti nel programma: «Papa ai genitori sull’educazione dei figli, dialogo e fiducia con la scuola», «Amici io e te» e «Tu sei bellezza». Li rivedremo prossimamente. Non è mancato un momento di sorpresa e di gioia speciale: la consegna, da parte di Valentina, a nome dei presenti, di un minuscolo ‘segno’ alla Segretaria che il 15 ottobre ha festeggiato la sua Santa: Teresa d’Ávila, mistica spagnola, dotata di grande forza spirituale e teologica. «La vita è una sfida con mille sorprese – vivila con amore!».

Non c’era il solito «aperitivo» a conclusione: il Circolo non ha nessun sponsor, fin dagli inizi, e di conseguenza il suo budget rimane perennemente in rosso, specie dopo la pubblicazione dei dépliant delle nuove edizioni. È dura fare i conti con i limiti del genere, ma in compenso vi è tanta cordialità, affabilità e voglia di tenere alto l’ideale del Circolo: «la cultura e la cura dell’altro». Ed è bellissimo e moltissimo.

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Programma completo del WikiCircolo

Amici, è disponibile il programma completo della 7ª edizione del WikiCircolo con il file rouge: «Negli spazi abitati dai giovani…». La nuova edizione s’inserisce nella marcia verso il Sinodo dei Vescovi sul tema: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale» (3-28 ottobre 2018), e verso la 34ª Giornata Mondiale della Gioventù a Panamá (22-27 gennaio 2019). Per questo si ispira all’Instrumentum laboris della 15ª assemblea generale ordinaria del Sinodo, al Messaggio di papa Francesco per la 33ª GMG 2018 dal titolo: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30), ed anche alla preghiera-inno Cantico delle creature di frate Francesco d’Assisi.

Nel programma, 9 Serate conviviali, dal 21 settembre 2018 al 18 gennaio 2019, tutte gratuite e aperte a tutti, vicini e lontani, introdotte da un brano musicale o/e video, intervallate da una pausa di condivisione e concluse con un «aperitivo». A configurarle in dettaglio e a scegliere, per la piccola tavola rotonda, i relatori di rilievo sarà lo Staff dell’edizione: Clarissa Errigo, Valentina Gulli e Teresa Cona, in collaborazione con Alex Scicchitano e Luigi Cimino. Il Salone «S. Elisabetta d’Ungheria», presso la sede del Circolo situata al lato destro della chiesa «Sacro Cuore» a Catanzaro Lido, sarà il luogo degli incontri che si terranno un venerdì sì e un venerdì no, alternandosi con il ciclo cinematografico.

Non dimenticate di accompagnare la loro preparazione remota e prossima seguendo la pagina Facebook e fate un ‘regalo’ al Circolo: diventate suoi paladini, promotori, collaboratori e sostenitori. Contiamo su di voi. Non ci abbandoni mai la voglia di diffondere l’ideale del Circolo: «la cultura e la cura dell’altro», portando avanti i programmi già attivati e lanciando quelli elaborati, ma mai avviati, per il bene della collettività e di «sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba» (Cant, v. 9: FF 263).

Piotr Anzulewicz OFMConv

a nome del Consiglio direttivo

 

 

 




«Sessanta Jazz»

La Serata «Sessanta Jazz», che si è svolta il 29 giugno 2018 presso la sede del Circolo Culturale San Francesco a Catanzaro Lido, a detta di molti, è riuscita a sprigionare lo charme a 360 gradi. E’ stato proprio il M° Luigi Cimino, con il suo sax, ad emanarlo. Di per sé ha una fiamma dentro di sé. Essa però divampa per un ambito in cui si è “specializzata”: il jazz, quel genere musicale che si distingue per l’uso estensivo dell’improvvisazione, di «blue notes», di poliritmie e di progressioni armoniche insolite, ineguali, elastiche, “saltellanti”, “dondolanti” (ingl. swing). Bastava esserci per provarne attrazione, e non erano pochi, nel corso della performance, a lasciarsi attrarre ed incantare.

Durante il «break», due sorprese: 1. l’ascolto dell’inno «’Siamo Qui!’. Proteggi Tu il mio cammino» dell’incontro dei giovani italiani con Papa Francesco che si svolgerà a Roma l’11 e il 12 agosto, reso noto appena tre giorni fa, scritto dall’Istituto Diocesano di Musica e Liturgia di Reggio Emilia e diretto dal M° Giovanni Mareggini: un’invocazione di protezione verso tutti coloro che attraversano la vita cercando di dirigere al meglio i propri passi; 2. la proiezione delle foto archiviali con Peppino Frontera, saggio consigliere del Circolo e solerte curatore delle Serate del WikiCircolo, che se n’è andato inaspettatamente il 24 gennaio scorso, alla vigilia della 2ª Serata conviviale dedicata a «I ‘ragazzi fantasma’, soli e isolati dalla società».

Una Serata incantevole, splendidamente condotta da Teresa Cona e Clarissa Errigo, a coronamento della 6ª edizione del Wiki– e CineCircolo dal «file rouge»: «I giovani con ‘sorella’-‘madre’ Terra», e conclusasi con una foto comune e la bottiglia di champagne, abbinata ad auguri, ringraziamenti e… proiezioni. (pa)

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La tenerezza «sogno» di Dio per tutti

Fu come se lo spirito della tenerezza aleggiasse davvero sull’11ª ed ultima Serata della 6ª edizione del CineCircolo, che si è tenuta venerdì 22 giugno 2018 presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. Essere presenti e misurarsi con questa realtà così incandescente, fervida e vivida dell’essere divino e umano, significava percepire la grandezza come una rivelazione continua, un’epifania ribadita, una nota tenuta. Di tenerezza (gr. sympathés) parlava tutto il programma della Serata. La incorporava anche il videoclip iniziale: «Gi.Fra. estate 2018», pubblicato il 13 giugno 2018 da «Gi.Fra. Italia», con la presentazione degli eventi estivi della gioventù francescana, e proiettato in reminiscenza dell’11ª ed ultima Serata conviviale della 6ª edizione del WikiCircolo dal titolo: «Il ‘volto’ dei giovani francescani» (15.06.2018), e quello conclusivo dei Free Shots: «Siamo tutti profughi», realizzato dalla regista E. Montefinese con la partecipazione di numerose associazioni (Suq, MuMa, Ponti Migranti, Left Lab Genova, Ce.Sto), all’interno del Galata di Genova, il più grande Museo del Mare del Mediterraneo, e proiettato in occasione della 18ª Giornata Mondiale del Rifugiato (20.06.2018).

E poi la pellicola di G. Amelio che aveva per titolo «La tenerezza» ed evocava quel sentimento umile e insieme potente. La pellicola magnifica, segnata dalla costellazione lessicale e simbolica della tenerezza, che scandagliava i sentimenti umani attraverso dialoghi sublimi per delicatezza e intuizione. Un affettuoso ritratto umano che non cede al sentimentalismo e all’antiretorica, ma sa come far vibrare le corde drammatiche di una vicenda coinvolgente, al tempo stesso dura e tenera. Notevoli la messinscena, le immagini visivamente suggestive, la tensione umanista per la solidarietà fraterna. Valore urgente, necessario e prezioso, oggi più che mai…

Grazie per quanti hanno avuto la sensibilità «tenera», delicata e dolce, ed erano presenti alla Serata, la 130ª di seguito tra quelle cinematografiche e quelle conviviali, portando anche la crostata e l’insalata russa per tutti (Teresa e Jolanda). La tenerezza attira a sé e ingloba affettuosità, amorevolezza, benevolenza e la stessa agape. Nella sua identità più profonda si collega a due esigenze fondamentali e permanenti, iscritte nel cuore umano: desiderare di amare e saper di essere amati, esistere «in relazione con» e vivere «in relazione per». «La tenerezza – afferma il teologo C. Rocchetta – suppone la capacità di partecipare, corpo e anima, alla celebrazione delle innumerevoli sinfonie del mondo: alle sue gioie e ai suoi dolori, vivendo con l’alterità relazioni cordiali (cor/cordis, cuore), di scambio, di reciprocità paritaria e di bellezza» (Teologia della tenerezza. Un ‘vangelo’ da riscoprire, Bologna 2000, 10). Vista in questa ottica, l’attitudine alla tenerezza corrisponde a un’esigenza incancellabile dell’animo e ne dice la nobiltà e la grandezza. Non è pensabile che l’uomo, in qualunque condizione di vita si trovi, matrimoniale o consacrata, di giovane o di anziano, da solo o in comunità, possa essere persona adulta senza un’attivazione effettiva di questo sentimento. È stato doloroso constatare, nel corso della 6ª edizione del Wiki- e CineCircolo, che nel nostro ambiente tante erano le persone ‘sorde’, indifferenti, prive proprio di questa qualità tipicamente umana e umanizzante; le persone che lasciavano inascoltate le proposte-inviti alle Serate, anche per un saluto veloce, una parola amichevole, un segno di benevolenza, un semplice grazie per tanta fatica e dedicazione profuse dallo Staff del Circolo (Clarissa Errigo, Valentina Gulli, Alex Scicchitano, Teresa Cona, Lugi e Ghenadi Cimino). «La persona – rimarca il Rocchetta – non può dirsi adulta se non si sforza di acquisire questo sentimento che la rende ‘compartecipe’», colma di rispetto e di meraviglia, capace di apprezzamento e di gratitudine.

Comunque, la 6ª edizione del CineCircolo è approdata così, felicemente, a una conclusione che è stata una specie di celebrazione mistica del «sogno» di Dio-di-tenerezza, nascosto nel cuore di ognuno di noi come nostalgia di bellezza, di verità, di amore infinito, di felicità amante. Il suo «sogno» è un’umanità plasmata dalla tenerezza, a immagine e somiglianza del suo «Io-Noi». Ecco, allora, la rinnovata proposta-appello per una tenerezza ‘umile’ e ‘potente’, segno di maturità e di vigoria interiore che sboccia in un cuore libero, capace di donare e ricevere l’amore, in modo da mettere fuori causa i due antagonisti estremi: il violetto freddo del legalismo, dell’asprezza, della durezza, della severità, dell’indifferenza, ma anche il rosso del sentimentalismo, dell’affettazione, della leziosaggine, della moina, della sdolcinatezza che il poeta e drammaturgo russo V. Vladímirovič Majakóvskij sottoponeva a ironia. La tenerezza vera è ben altro ed è – come affermava il premio Nobel per la letteratura F. Mauriac – «un seme d’amore».

Potrà la nostra «età secolare delle reti» (Ch. M. Taylor) essere il tempo della «vita del Dio-di-tenerezza» che in Gesù Cristo si è posto, fin dalle tentazioni del deserto, verso l’amare, l’adorare, l’essere? Il tempo di un Dio-amante, libero e liberante, che ci dona la libertà e l’amore in tutte le sue vibrazioni, oppure di un dio-di-diffidenza, di conflittualità, delle guerre, dei centri di detenzione con pestaggi, torture, estorsioni e stupri? Tale è la portata della scelta di fronte a cui si trova l’umanità. Noi del Circolo non ci stancheremo mai di collocarci nelle più alte istanze e qualità della persona umana per valorizzarle, nella prospettiva del futuro di Dio-amante, e di farci promotori di un modello di sviluppo che sappia sostituire l’attuale «cultura della conflittualità» con una «cultura della convivialità», per usare la felice espressione di Ivan Illich, scrittore, storico, pedagogista e filosofo austriaco? L’alternativa è ben chiara. La «cultura della conflittualità» muove dal principio enunciato da Thomas Hobbes, filosofo e matematico britannico: Homo homini lupus («L’uomo è lupo all’altro uomo»). La «cultura della convivialità» invece parte dal principio della preziosità della persona, l’espressione di un dono creatore che la fa essere. Vivere, quindi, vuol dirsi riceversi in dono. È da qui che la «rivoluzione della tenerezza» inizia e si fa lievito e sale, luce e «seme d’amore».

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Evviva la ‘galassia’ francescana, ma…

«Lasciatevi sorprendere dal ‘volto’ dei giovani francescani!». Tale poteva essere lo slogan della Serata conviviale che si è tenuta il 15 giugno 2018 presso la sede del Circolo. Chi ama il Santo d’Assisi e il suo carisma non avrebbe resistito a non accendersi di fronte ai ‘volti’ luminosi dei giovani francescani (Gi.Fra.) accorsi entusiasticamente a questa Serata, 11ª ed ultima della 6ª edizione del WikiCircolo creata apposta per loro e per tutta la ‘galassia’ francescana ex-giovanile (OFS), che ‘ruota’ intorno alle chiese francescane, e in particolare a quella del «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, e resa nota già il 26 dicembre scorso sul sito web e sulla pagina social del Circolo, con la pubblicazione del dépliant. Un’opportunità straordinaria di presentare a tutto il mondo, con poche “pennellate”, il ‘volto’ dei gifrini, araldini e francescani secolari, anche per valorizzare il fascino di frate Francesco e «ricuperare l’alleanza inter– e intragenerazionale, universale e cosmica, praticata da lui e promossa da Papa Francesco, e, attraverso lo scambio di idee e il confronto delle voci dei giovani con le istituzioni, le comunità, gli educatori e i pastori, progettare insieme un possibile avvenire, unendo creatività, energia, forza e saggezza per il bene della comunità religiosa e civile, della società, dell’umanità e della ‘sorella’-’madre’ Terra. Un’opportunità singolare di dialogo, di proposte, di iniziative… e un momento in cui «tessere relazioni improntate alla fiducia, alla condivisione, all’apertura fino ai confini del mondo». Un’occasione eccezionale che, purtroppo, non è stata colta… Lo Staff delle Serate, indirizzate a tutti: soci, sostenitori, amici, credenti e «laici», vicini e lontani, ha contato moltissimo sul loro entusiastico coinvolgimento nella preparazione remota e prossima e sulla loro appassionata presenza all’evento, insieme ai loro assistenti… In prossimità di questa Serata, la 129ª di seguito, ha stilato il programma, con i videoclip avvincenti e trainanti, e ad alcuni di loro ha inviato le lettere-inviti speciali…

Grazie immense a chi ne ha accolte: a p. Pio Marotti, assistente custodiale dell’OFS che a volo ha reimpostato i suoi impegni ed era presente con l’intervento di grande interesse. Grazie ad Anna D’Alta, viceministra della Fraternità «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore», per la sua testimonianza. Grazie all’unico gifrino, Giuseppe Panariello, che suppliva l’assenza di Emmanuele Rotundo, responsabile del gruppo della gioventù francescana marinota. Il loro exploit ha reso meno acuta l’emblematica assenza ‘francescana’ a una delle edizioni più accurate, laboriose e diligenti. Grazie anche a p. Mauro De Filippis Delfico, assistente nazionale della Milizia dell’Immacolata, e a Margherita Perchinelli, presidente nazionale di questo straordinario ‘sogno’ di s. Massimiliano Kolbe, frate francescano e martire di Auschwitz, per la loro presenza, anche se soltanto per alcuni minuti.

La sfida di fronte ai giovani ed ex-giovani francescani, con i loro responsabili ed assistenti spirituali, è immensa. Il Circolo ha lanciato nella parrocchia «Sacro Cuore» un’edizione che poteva essere il fiore all’occhiello dei loro incontri formativi settimanali o bisettimanali. Non ci voleva molto per capire che essa aveva grandi potenzialità. È ormai chiaro a tutti che non c’è futuro senza cultura. Non coltivarla o, peggio, accantonarla, è lo sbaglio più grosso che si possa fare. Per tornare a crescere, essere significativi ed offrire al mondo «amato e tormentato» il tesoro ricevuto gratuitamente, la ‘galassia’ francescana ha urgente bisogno di riappropriarsi delle intuizioni e del carisma di frate Francesco, intesi l’une e l’altro non in senso astratto e sistematizzante, ma dinamico e contestuale. Il suo carisma e il «volto»/«identità» delle sue fraternità sono davanti, al servizio degli altri, e non nel passato. Questo impone l’impegno nell’indagare in modo rigoroso e spregiudicato quali siano le intuizioni originarie e originali di frate Francesco, partendo dai suoi Scritti con il suo Testamento come testo base, anche per tenere lontano tentazioni mistificanti, falsificanti, teocratiche, ierocratiche e gerarchiche, tentazioni ben presenti nelle nostre fraternità.

C’è il pericolo che le cosiddette Fonti francescane (Scritti e biografie di s. Francesco d’Assisi. Cronache e altre testimonianze del primo secolo francescano. Scritti e biografie di s. Chiara d’Assisi. Testi normativi dell’Ordine Francescano Secolare, Padova 2004) – quella miniera agiografica in cui si può trovare di tutto e il contrario di tutto – siano trattabili in modo omologo, addirittura alla stregua dei testi biblici. Nello specifico, c’è un pregiudizio diffuso che agisce e condiziona la vita o, meglio, l’uso rapsodico e combinatorio della vita di frate Francesco. Così l’Assisiate si colora delle più svariate tinte, diventando un santo decontestualizzato, svirilizzato e proiettato nell’universo dell’immaginario individuale e collettivo: Francesco rosso, anticapitalista e antimperialista; Francesco rosa, femminile e femminista; Francesco nero, nazionalista e fascista, definito «il più santo degli italiani e il più italiano dei santi»! Si dà per acquisito che le Fonti riproducano fedelmente le varie tappe di quella vita e che ogni momento, ricordato in esse, abbia la stessa autorità testimoniale. Le cose non stanno assolutamente così, tant’è che il lettore attento non sfugge a incongruenze e contraddizioni quando non miscela e non integra avvenimenti diversi, realtà, mistificazione e fantasia. È indispensabile allora fornire ulteriori spunti di conoscenza e di riflessione, anche in modo sintetico e rapido, a partire dagli Scritti dello stesso frate Francesco. Rispettarli e studiarli richiede fatica intelligente, oltre che assunzione consapevole e dolorosa delle proprie responsabilità qui e ora, anche nei confronti dell’intera ‘galassia’ francescana che ruota attorno ai frati (Gi.Fra., OFS, MI).

Ciò di cui abbiamo veramente bisogno – ha ribadito Papa Francesco il 21 giugno scorso nel Centro Ecumenico del World Council of Churches [Consiglio Mondiale delle Chiese] a Ginevra – è «un nuovo slancio evangelizzatore». «Siamo chiamati a essere un popolo che vive e condivide la gioia del Vangelo», un popolo che «serve i fratelli con l’animo che arde dal desiderio di dischiudere orizzonti di bontà e di bellezza inauditi a chi non ha ancora avuto la grazia di conoscere veramente Cristo», un popolo che loda «il Creatore e Redentore e Salvatore, solo vero Dio il quale è il bene pieno, ogni bene, tutto il bene, verso e sommo bene, che solo è buono, pio, mite, soave e dolce, che solo è santo, giusto, vero, santo e retto, che solo è benigno, innocente, puro, dal quale e per il quale e nel quale è ogni perdono, ogni grazia, ogni gloria di tutti i penitenti e giusti» (Rnb XXIII 9: FF 70).

La Serata, che doveva essere animata e contrassegnata anche dai francescani secolari di solido percorso formativo, portava con sé altresì la domanda: Come comunicare e trasferire ai giovani francescani, nei canali prediletti da loro, dunque soprattutto quelli digitali, il «know how», il saper essere e il saper fare, francescanamente, in questa «inquieta età secolare» e, più in particolare, nel mondo che non è più dicotomico (reale o virtuale), ma unico, con le due dimensioni (reale e virtuale), che a volte co-esistono e a volte si sovrappongono e/o si sostituiscono?

Frate Francesco non cercava un ideale astratto per offrirlo ai propri frati. Da ciascuno di loro ricavava invece, come in una sorta di gruppo terapeutico ante litteram, la parte migliore, più promettente, più seria, «componendone – puntualizza Paolo Floretta – uno sfolgorante patchwork di virtù vissute (Saluto alle virtù, 1-18: FF 256-258). In questa proposta, estetica ed etica, esse si armonizzano in modo mirabile, quasi felicemente ovvio, alla fine, con molta e attesa “aria di casa”» (Le reti di Francesco, Padova 2015, 96). Tra tutte le virtù brilla inattesa l’ultima: l’inquietudine, quella che meno ci attenderemmo, quella più fastidiosa, mai messa sugli altari prima di frate Francesco, attribuita per di più a frate Lucido, che, in tutte le Fonti francescane, compare con il suo nome luminoso soltanto nello Specchio di perfezione, un’opera illuminante di scrittore anonimo, scritta intorno al 1318 (cfr. Spec 85: FF 1782). La santa inquietudine che come pedagoga pungente e amorevole si pone a nostro servizio, in cerca della verità di noi stessi e di Dio. «Forse essa è il vero motore di ricerca vitale – scrive ancora Floretta – che dovrebbe accomunare e accompagnare credenti, non credenti e increduli. Forse la scopriremo cortese nel prendere per mano noi e i nostri dubbi, il nostro piccolo o grande ateo che ci abita e si sforza di ricominciare a credere […]. Forse ne apprezzeremo il suo umile servizio al pensare che non si arrende di fronte all’assenza, alla mancanza o anche all’abbandono di Dio. Forse, ancora, ne potremo stimare la sana incontentabilità rispetto a soluzioni o consolazioni a buon mercato. Una sorella, insomma, certo un po’ scomoda, talvolta pure molesta e imbarazzante, che ci mantiene tutti, credenti e no, sulla soglia delle domande vere che ci fanno pensare la tragicità del vivere per portarvi o riconoscervi senso e bellezza» (Le reti…», 96-97).

L’inquietudine è per il francescano una cosa seria. Se egli è inquieto, è, oltreché sano, anche più vicino al mistero e tra di noi, capace di ospitare i nostri naufragi, i nostri dubbi, i nostri drammi di fede, che, se accolti, ci impediscono provvidenzialmente di barricarsi dietro le autistiche certezze, più o meno targabili divinamente o teologicamente, ma gravide di morte perché prive della passione del domandare. Forse è davvero giunto il «kairòs» – il momento opportuno – per una nuova «devotio», che porta il profilo inquieto della nostra debolezza, riconosciuta e redenta, che ci mantiene «pellegrini e forestieri in questo mondo» (Rb VI 1: FF 90), orientati alla Terra che sarà il nostro approdo definitivo. Questa inquietudine, santa, provvidenziale e postmoderna, la possiamo accostare a quell’umiltà con cui frate Francesco chiude, riconciliato con se stesso, con gli altri, con il creato e con l’«altissimo, onnipotente, bon Signore», il suo Cantico delle creature: «Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate» (v. 14: FF 263). Francescanesimo è porsi così al servizio dell’inquietudine per poter incontrare gli «abitanti» che si sentono a casa in una visione della vita e della realtà che prescinde da Dio, e accompagnarli a diventare «cercatori» di senso. Tutto ciò suppone rispetto reciproco, attenzione vicendevole, prossimità, dialogo, generosità, solidarietà. Accompagnare gli «abitanti» della nostra Casa comune significa anche porsi in una dimensione contemplativa dove poter cogliere le loro specifiche ricchezze e le loro nuove possibilità, amorevolmente offerte da Chi sta guidando tutto il creato verso la pienezza di senso, di amore, di vita…

Per garantirsi l’inquietudine, bisogna accogliere la chiamata universale a quella «cella» o «chiostro»-laboratorio di unità, dove si abitua a smarcarsi dall’ovvio, interrogarsi e ascoltare il mistero della vita e la sua indelebile sacralità. L’ascolto è certamente l’atteggiamento più proprio ed efficace, come afferma frate Bonaventura da Bagnoreggio (+ 1274), filosofo e teologo, uno tra i più importanti biografi di frate Francesco, quando scrive: «Verbum divinum omnis creatura» («Ogni creatura è una parola divina»). L’ascoltare è il primo vero culto e il primo vero atto del dialogo, perché lo apre, lo rende possibile, per credenti e miscredenti, alleati perché inquieti, come a più riprese ci ha ricordato anche Papa Francesco (si leggano, ad es., le sue due omelie: quella tenuta il 28 agosto 2013 nella chiesa romana di S. Agostino in occasione dell’apertura del Capitolo generale degli agostiniani [Dall’inquietudine fecondità pastorale] e quella pronunciata il 3 gennaio 2014 ai gesuiti nella ricorrenza del SS. Nome di Gesù presso la chiesa del Gesù [«Senza inquietudine siamo sterili»]).

Serve l’inquietudine dell’amore che ci spinge ad uscire da noi stessi e andare incontro all’altro. È un promettente presupposto per impostare un’efficace azione evangelizzatrice, e in particolare la (web)pastorale francescana, in questa «età secolare delle reti» dove – come afferma Taylor – si è passati da una società, in cui la fede in Dio era incontestata, assiomatica e non problematica, a un’altra società, in cui la fede viene considerata un’opzione tra le tante. Credenza e non credenza oggi non sono più percepite come rivali. Sono modi alternativi di vivere la vita morale e spirituale, in cerca di pienezza. Ed è ascoltando queste diverse esperienze che si potrà aiutare a cogliere il totalmente Altro, Dio, già all’opera anche nella vita degli altri, credenti e non credenti. Frate Francesco faceva rete con tutti. Ci chiediamo allora come possiamo farla insieme? Se una mission è urgente, perché non progettarla e compierla insieme, cominciando a sperimentare una fraternità più intensa nell’esercizio della «carità intellettuale» (A. Rosmini), spirituale e corporale?

Lo Staff del Circolo ha già deciso di impostare le nuove edizioni del Wiki- e CineCircolo sui giovani in cammino verso il Sinodo dei Vescovi e la 34ª Giornata Mondiale della Gioventù, che si terrà a Panamá dal 22 al 27 gennaio 2019. È quanto mai prezioso ed importante aiutarli ad affacciarsi da protagonisti su possibili sentieri e panorami inediti. La ‘galassia’ francescana ha un messaggio di amore e di pace da proclamare e il Circolo con il suo sito web è una formidabile camera di risonanza, un grande megafono, un potente evidenziatore. Sarà saggio cogliere questa ennesima opportunità e affezionarsi, organizzando le proprie attività in base al programma del Circolo, in vista di una «mission» di qualità…

Evviva quindi lo Staff del Circolo: Clarissa Errigo, Valentina Gulli, Alex Scicchitano, Teresa Cona (segretaria del Circolo), Luigi Cimino (consigliere) e Ghenadi Cimino (tecnico fonico)!

Piotr Anzulewicz OFMConv

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…vibrava l’ideale della nonviolenza

In ogni scelta non dobbiamo mai lasciarci guidare dalla logica della violenza, e neppure da quella del taglione, cioè dell’«occhio per occhio» e «dente per dente». Non ne hanno avuto dubbi i presenti alla 9ª Serata cinematografica, che si è svolta venerdì 25 maggio 2018 presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. La Serata si è aperta − è vero − con il videoclip «Giocondità», la marcia militare eseguita dalla banda della Polizia di Stato in Piazza del Duomo di Milano, ma si è conclusa con il filmato AmandoTi» realizzato dai ragazzi disabili del Centro riabilitativo «Nuova Itaca» di San Pietro in Lama (Lecce) con la collaborazione di artisti e musicisti del Salento, in occasione della giornata contro la violenza sulle donne. Nell’aria vibrava l’ideale della nonviolenza, della comunione, della fratellanza. Con il film «All Cops are Bastards» (Tutti i poliziotti sono bastardi) del regista Stefano Sollima, ideato all’interno della 6ª edizione del CineCircolo dal motto: «I giovani con ‘sorella’-‘madre’ Terra per immagini», e la cineconversazione, moderata dalla dott.ssa Teresa Cona, si è voluto mettere in risalto la legge che il cristianesimo ha impiantato in Europa come un ideale e una missione: la legge di solidarietà, di amore e di unità di tutta l’umanità. Questa legge, oggi minacciata, marginalizzata, disprezzata e addirittura rifiutata, erede del patrimonio biblico giudaico-cristiano, ci garantisce comunque che, di fronte alla diversità di persone e culture, religioni e popoli, tutti gli uomini sono fratelli e sorelle, come costantemente ce lo ricorda anche frate Francesco d’Assisi, nel suo «Cantico delle creature». Questo è ciò che dice la Bibbia nei suoi capitoli iniziali. La nozione che l’uomo è creato a immagine di Dio rappresenta la base della dignità incondizionata e universale di ogni persona umana. Si tratta della dignità che non ci può essere mai tolta: né per la cattiva condotta, né per la disabilità, né per la differenza religiosa, etnica o di genere.

Guardando l’intenso film di Sollima – uno spaccato di realtà che getta una luce cruda su un mondo in cui oppressori ed oppressi, carnefici e vittime, si scambiano rapidamente i ruoli e vengono osservati da un punto di vista che esclude pregiudizi e stereotipi, scandagliando in profondità la psiche dei protagonisti e le problematiche di una società orfana di regole e abbandonata all’insicurezza e all’anarchia − per certi versi ci siamo sentiti posti sul banco degli imputati. Spessissime volte anche noi siamo oppressivi e persecutori. Eppure professiamo un Dio uno e trino, antidoto alla violenza e causa di riconciliazione, manifestazione in Cristo di un amore che non cerca il dominio, ma rende per sempre contraddittoria la violenza tra gli uomini. Crediamo in un Dio che è comunione, unione, amore. Pace e nonviolenza sono parte integrante e decisiva del nostro credo cristiano. Fortunatamente sono rari i cattolici che vorrebbero armarsi contro un nemico. C’è tuttavia una violenza più sottile e più diffusa, quella fatta di parole, di atteggiamenti, di modi di relazionarsi. È quella a cui fa riferimento Papa Francesco quando dice di evitare il proselitismo, l’ingerenza spirituale, la costruzione di muri di risentimento, di odio e di vendetta…

Una Serata indimenticabile, ‘non aggressiva’, ‘non violenta’, ma ‘pacifica’, mite, tenera, nel giorno in cui il Papa ha ricevuto in udienza i funzionari, gli agenti e il personale civile della Polizia di Stato, incitandoli ad avere «coraggio, mitezza e tenerezza».

Piotr Anzulewicz OFMConv

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