Per una pedagogia del desiderio…
Una vivace Serata culturale, quella conviviale con «aperitivo», la 5ª della 6ª edizione del WikiCircolo che si è svolta il 16 marzo 2018 a Catanzaro Lido attorno a «I giovani: pedagogia del desiderio e del consumo». Tema vitale, dibattito fecondo, staff cordiale, pizza eccezionale…
La società ci vuole “formattati” in base alle sue proposte e aspettative, interessi e fini. Ci presenta una proposta di vita e di senso preconfezionata, lasciando poco spazio alla ‘novità’, creatività e discernimento. Questo riguarda certamente e in primo luogo il progetto di vita dei giovani che per definizione sono diversi, originali, ‘nuovi’. La società sembra dimenticarlo. Non riuscendo ad approfittare delle loro energie e risorse, li ‘taglia fuori’. E’ anche questa una forma di ‘cultura dello scarto’. Ciò può valere anche all’interno delle nostre comunità civili ed ecclesiali. La creatività pedagogica è l’architrave del cambiamento. Non si tratta di riempire il sacco di qualcuno, ma di far emergere ciò che è nel suo DNA: il desiderio primordiale dell’altro e del totalmente Altro. L’uomo porta in sé un misterioso desiderio di Dio. In modo molto significativo, il Catechismo della Chiesa cattolica si apre proprio con la seguente considerazione: «Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l’uomo e soltanto in Dio l’uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa» (n. 27).
A tal fine sarebbe di grande utilità − ha auspicato Benedetto XVI il 7 novembre 2012 nella sua catechesi del mercoledì durante l’Udienza generale − «promuovere una sorta di pedagogia del desiderio», una pedagogia che comprenda almeno due aspetti. In primo luogo, imparare o re-imparare il gusto delle gioie autentiche della vita. «Non tutte le soddisfazioni − ha detto − producono in noi lo stesso effetto: alcune lasciano una traccia positiva, sono capaci di pacificare l’animo, ci rendono più attivi e generosi. Altre invece, dopo la luce iniziale, sembrano deludere le attese che avevano suscitato e talora lasciano dietro di sé amarezza, insoddisfazione o un senso di vuoto. Educare sin dalla tenera età ad assaporare le gioie vere, in tutti gli ambiti dell’esistenza – la famiglia, l’amicizia, la solidarietà con chi soffre, la rinuncia al proprio io per servire l’altro, l’amore per la conoscenza, per l’arte, per le bellezze della natura –, tutto ciò significa esercitare il gusto interiore e produrre anticorpi efficaci contro la banalizzazione e l’appiattimento oggi diffusi. Anche gli adulti hanno bisogno di riscoprire queste gioie, di desiderare realtà autentiche, purificandosi dalla mediocrità nella quale possono trovarsi invischiati. Diventerà allora più facile lasciar cadere o respingere tutto ciò che, pur apparentemente attrattivo, si rivela invece insipido, fonte di assuefazione e non di libertà. E ciò farà emergere quel desiderio di Dio di cui stiamo parlando».
E’ un’opera di plasmazione che punti a forgiare le potenzialità che siano all’interno di noi stessi. Perché possiamo crescere in questa prospettiva occorre che non cadiamo nella rigidità delle strutture, come abiti da indossare in ogni situazione, ma entriamo nella prospettiva della creatività e prendiamo in consegna noi stessi ed anche gli altri.
Secondo Clarissa Errigo, che è’intervenuta alla tavola rotonda, insieme ad Alex Scicchitano, gli elementi che compongono “quest’architrave” sono: plasmare e articolare… Una prospettiva che non vuole tanto valutare l’aspetto morale di ogni singolo punto dell’esistenza di un individuo, ma si ferma su un’educazione che guarda allo stile di vita nel complesso della sua articolazione. Nel momento in cui la persona è divisa e frazionata, la struttura di questa architrave si indebolisce. In quest’ottica si inserisce la pedagogia della compagnia, altro elemento dell’architrave, che vuol dire accettare tutta la realtà e saper dialogare nella notte o nella luce di un passaggio storico. E, infine, la pedagogia dell’accoglienza, intesa come apertura all’inconosciuto e all’estraneo.
Asse portante dell’architrave è però l’amore, esperienza che nella nostra epoca è più facilmente percepita come momento di estasi e di uscita da sé, come luogo in cui l’uomo avverte di essere attraversato da un desiderio che lo supera. Attraverso l’amore, l’uomo e la donna sperimentano in modo nuovo, l’uno grazie all’altro, la grandezza e la bellezza della vita e del reale. «Se ciò che sperimento non è una semplice illusione, se davvero voglio il bene dell’altro come via anche al mio bene, allora devo essere disposto a de-centrarmi e a mettermi al suo servizio, fino alla rinuncia a me stesso». La risposta alla questione sul senso dell’esperienza dell’amore passa quindi attraverso la purificazione e la guarigione dei desideri finiti, richiesta dal bene stesso che si vuole all’altro. Ci si deve esercitare, allenare ed anche correggere, affinché il desiderio primordiale che è nel nostro cuore sia “scongelato”, slegato e liberato, e raggiunga la sua vera altezza. Altrimenti rimaniamo in balia dei desideri finiti, mimetici, imitativi, che nella società dei consumi variano all’infinito, ci spiazzano e ci depistano. Si prendono gioco di noi e, alla fine, il consumismo ci consuma.
Frate Francesco d’Assisi ha molto da offrirci in questo senso: è l’opposto della società dei consumi. Si svuotò di sé, all’età di 25 anni, al momento della sua conversione: fu un capolavoro la sceneggiata della sua spogliazione, di fronte alla Chiesa e al Comune di Assisi. In questo gesto altamente drammatico e pubblico egli sciolse il suo desiderio primordiale e se ne impadronì. «E di poi egli stette un poco» e «uscì dal secolo» (Testamento, v. 3), e iniziò a pronunciare parole pericolose: «Credo, voglio, faccio!». Smise di adorare se stesso, di contemplarsi, di essere narcisista, «uomo di paglia», amante del divertimento, della danza e dei canti, per porsi sotto l’assoluta signoria di Dio, che non è un Dio-Padrone, ma Dio-Padre. E questo è il secondo gesto fatto da s. Francesco, in forte contraddizione con la mentalità del mondo, della Chiesa e della famiglia di allora, trasformandosi in un uomo nuovo, inedito, inaudito. Si rivestì di Cristo, cioè indossò la sua mentalità e il suo cuore, gettò via le opere delle tenebre e divenne il «nuovo Oriente» all’interno della Chiesa -istituzione del suo tempo e per la Chiesa cattolica, in totale, espressa, ferma e quasi ostinata comunione con essa, «sempre sottomesso e soggetto ai suoi piedi» (Rb 12,5: FF 109), senza accenti critici e senza riserve disponibile all’obbedienza all’autorità papale, episcopale e presbiteriale…
Ecco che cosa è di capitale importanza: il nostro amore inteso nel senso del dono di sé per l’altro, per il prossimo e per il bene comune. E’ una questione di vita o di morte.
Piotr Anzulewicz OFMConv
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