Marise Ferro: l’antiromantica

Il Circolo sa fare anche questo: resistere e marciare senza averne l’aria, dire «speranza contro ogni speranza» (Rom 4,18), scrollare animi insonnoliti e trainarli verso un futuro che può condurre a percorsi più vivibili e a esistenze meno asfissiate, da costrizioni varie ed eventuali. I suoi habitué sanno essere, anche a loro insaputa, un sorso d’acqua nel mezzo di tanta sete. E per quel sorso d’acqua, che vivifica, occorre ringraziare il cielo che ci sta addosso.

Il Circolo sa pure, a volte, incantare, come ha fatto venerdì 10 marzo scorso, durante l’11ª Serata conviviale – con il focus su «Marise Ferro († 1991), l’antiromantica» – ideata nell’ambito della 10ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», inserita nel solco della fase narrativa del cammino sinodale, ispirata ai grandi testi dell’autorità educativa della Chiesa ed aperta gratuitamente a tutti: credenti e «laici», vicini e lontani – la 237ª di seguito.

Incantevole e seducente è stato già il suo «incipit», con la performance dei due graditi ospiti: il m° Mario Migliarese e il dott. Michele Stanizzi, cantautori e polistrumentisti, di Petronà e di Cropani, discepoli del presidente del Circolo, m° Luigi Cimino, che presentò al pubblico i loro profili professionali e musicali. Il m° Migliarese, accompagnato dal dott. Stanizzi con la chitarra, ha eseguito in lingua calabrese «Tra cìelu e mare», la canzone che ha dato il nome al suo ultimo album discografico, dedicandola a tutte le donne, le mamme e le nonne, ma in particolare alla sua amata Rita, scomparsa nel 218, in seguito ad una grave malattia, e segnando per tutti l’accesso al «paradiso», “tra cielo e mare”, alla Calabria. «Bella, te viju – scaldava i cuori, omaggiandola con le parole semplicemente meravigliose – tra cìelu e mare / de la muntagna, cchi bella vista! / virde vestuta cumu a ‘nna hesta / cu llu tramontu chi ‘mpiamma ‘a horesta […] ppecchì me mpizzu quandu te guardu, quandu me guardi, oi bella; / cumu me sbampi quandu t’abrazzu quandu m’abbrazzi, oi bella». Incantevoli erano pure altri due brani, tratti dalla stessa «collection»: «U sùanu ‘e l’acqua» e «A serenata», eseguiti in seguito con il chitarrista Stanizzi, accolti dal pubblico con calore, applauso e gratitudine. È stato commovente il momento della consegna ai due artisti – da parte del presidente Cimino e della sottosegretaria Lucia Scarpetta – degli Attestati di ringraziamento e dei ‘segni’, con spettatori in piedi, estasiati e incantati.

La Serata è entrata nel vivo con il panel che si presentava lusinghiero e variegato, condotto dal trio: Marialuisa, Luigi e il sottoscritto, e avviato in «live streaming» da Ghenadi Cimino. In apertura lo sconvolgente videoclip «Non è un film» di Gerardina Trovato, cantautrice catanese, per ri-gridare a tutti che stiamo dalla parte di chi viene massacrato da ‘grandi soldati’.

Marialuisa Mauro ha descritto quindi Marise Ferro, la scrittrice di cultura italo-francese, nata a Ventimiglia nel 1905, che voleva, con la ragione, emancipare le donne. In tutti i suoi libri trattava di un tema che le fu molto caro: la condizione, l’educazione e la formazione femminile. Marise Ferro era un’antiromantica e cercava di educare le donne, come aveva fatto con se stessa, all’illuminismo. Per lei l’intelligenza era l’antidoto per decostruire le illusioni e uscire dalla sofferenza e dalla condizione di inferiorità sociale e culturale. Considerava le donne, per educazione, troppo romantiche, nel senso deteriore, e troppo esposte alle illusioni veicolate dalla letteratura. La razionalità illuminista è quella che vuole spazzare via le superstizioni e le credenze che ancorano al passato e rendono schiavi. Ferro riteneva che solo un bagno di ragione avrebbe aiutato le donne a capire la trappola nella quale erano state rinchiuse.

Secondo Francesca Sensini, docente di italianistica all’Université Côte d’Azur di Nizza e curatrice delle nuove edizioni di libri e scritti di Marise Ferro, «la sua visione del femminile era severa e mai tenera». Era molto interessata alle figure femminili ingiustamente dimenticate, dotate di talenti da riscoprire in chiave nuova o da celebrare perché irregolari, trasgressive, dissidenti, anticonvenzionali, innovative. Le sue romantiche sono soprattutto francesi e – se si escludono George Sand ed Emily Brontë – sono rimaste sepolte sotto la polvere del tempo. Era femminista, ma il femminismo non le piaceva. Non si sentiva mai vicina al movimento femminista protestatario per tante ragioni – la sua mentalità, il suo milieu, la diffidenza verso l’intruppamento politico-ideologico – ma è sempre stata attenta alla società e ha anticipato l’analisi dei ruoli sessuali, mettendo l’accento sull’amore, l’affettività, l’autocoscienza come strumenti per arrivare alle radici dell’umano. «Per lei – riteneva Sensini – i progressi nella ‘polis’, la possibilità di lavorare e guadagnare denaro, l’inserimento nelle professioni non cambiano la condizione femminile se non muta l’idea di sé. La parità è una falsa soluzione: quello che le donne rivelano nell’intimità attraverso i loro desideri dice che molto poco è cambiato e che le ragazze sono prigioniere della stessa trappola in cui sono state rinchiuse le loro madri». Era un’intellettuale che aveva orrore per le narrazioni consolatorie. Il suo sguardo rimaneva sempre lucido e non assumeva mai toni rivendicativi o apologetici.

Marise Ferro è morta 32 anni fa. Nel 1970 aveva pubblicato da Rizzoli il trattatello di storia del costume dal titolo La donna dal sesso debole all’unisex, un «excursus» lungo il secolo fino agli anni sessanta, in cui polemizzava con l’ultimo feticcio dell’uguaglianza, la moda che confonde i generi, «genderless», si direbbe oggi. «Unisex» oggi è una parola innocente: tutti portano ormai «jeans e «t-shirt», ma allora non era così. «Marise Ferro – scrisse Annamaria Guadagni nel suo articolo L’antiromantica, pubblicato su Il Foglio del 13-14 novembre 2021 – considerò lo stile ‘unisex’ come una forma di mascheramento in abiti maschili che nasconde una negazione del femminile, il suo depotenziamento. Una nuova illusione egualitaria, che non può modificare il corpo né il ruolo di moglie e madre che le donne non solo svolgono, ma desiderano» (p. IX). Una consapevolezza della specificità femminile molto forte. Anche se lei – per sé – aveva deciso di non avere figli, sapeva che decostruire i ruoli sessuali e confonderli sono due cose molto diverse. «Marise Ferro – affermò il sottoscritto durante il suo intervento – era una pensatrice della differenza ante litteram».

Una Serata incantata, da sogno, «tra cìelu e mare», illuminante grazie anche agli spunti di riflessione offerti da Elisabetta Guerrisi («‹Non c’è salvezza senza la donna›, eppure…»), solidale grazie ai due brevi filmati, in omaggio alle donne ostaggio della guerra in Ucraina («Via Crucis 2022: una donna ucraina e una russa insieme per la pace») e a quelle vittime del naufragio a Steccato di Cutro («La Via Crucis a Cutro in memoria dei migranti»), e deliziosa grazie al «cocktail», affabilmente servito dalle donne dello Staff, insieme ad Asia Bronieri, la tenera e amabile ‘mascotte’. Tutte quindi siano protette da una Donna speciale, Maria, Madre dell’umanità intera.

Piotr Anzulewicz OFMConv


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