Che strano essere figli fluidi con genitori complici!

Quel tempo, che tanto ci strugge e corre come un treno ad alta velocità verso i confini della realtà, rallentò la sua corsa venerdì 26 maggio 2023 e permise ai fan del Circolo Culturale San Francesco di partecipare alla 16ª Serata conviviale con «aperitivo», focalizzata su «Bennate e bellenate che espongono la prole ‹gender fluid›», ideata nell’ambito della 10ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», e nel solco della fase narrativa del cammino sinodale, ed aperta gratuitamente a tutti: credenti e «laici», vicini e lontani – la 247ª di seguito.

È iniziata con lo scambio di emozioni e di reminiscenze suscitate da un ospite speciale: il m° Cesare Mauro, vocalista, tenore leggero, compositore e autore di brani musicali, «pilastro della musica calabrese», come lo ha definito il m° Luigi Cimino, presentandolo al pubblico nel Salone di S. Elisabetta d’Ungheria presso la chiesa «Sacro Cuore» in Catanzaro Lido. Il cantautore, amatissimo da chi ama la Città delle tre “V” (Vitaliano, vento, velluto), l’ha decantata con il brano «Catanzaro», corredato di bellissime immagini, proiettate da Ghenadi Cimino, che hanno evocato le sue remote grandezze e bellezze. Gli habitué del Circolo hanno già gioito della performance canora dell’Artista, il 27 gennaio scorso, durante l’8ª Serata conviviale con il focus su Maria Tecla Artemisia Montessori, educatrice dei bambini. Tuttora si ricordano come tornavano bambini, spalancando la bocca dallo stupore, mentre eseguiva i suoi brani: «A perdi tempo», «Mi hanno detto» e «Terra lontana». Ora ha rilanciato, niente meno, gli incanti catanzaresi, ‘regalando’ le altre due composizioni: «Borgo antico» e «Mi hanno detto». Il presidente Luigi Cimino e la sottosegretaria Lucia Scarpetta lo hanno quindi premiato, consegnandoli un Attestato e un segno di ringraziamento. Un ringraziamento e un riconoscimento simbolico che ha un valore prezioso anche per tutti coloro che con il massimo della loro professionalità, in arte, cultura e spiritualità, «fanno bello il mondo».

La Serata ha riproposto un tema complesso, ma caldo, o meglio, rovente e a tratti scottante, entrato ormai nel tessuto sociale ed espresso laconicamente con le due parole: «gender fluid». Si è svolta a poca distanza dalla 19ª giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia (17.05), il cui obiettivo è quello di tenere accesi i riflettori sulle inaccettabili persecuzioni e sugli intollerabili abusi che le persone subiscono, in diverse nazioni del mondo, a causa del loro orientamento sessuale. La questione del «gender fluid», e quindi della diversità di genere, è enorme e trasversale: tocca antropologia e teologia, pedagogia e medicina, diritto e costume. Riguarda la famiglia che si tinge arcobaleno, la famiglia «queer». È una realtà diversa e drammaticamente seria. Nel 2021 ci fu una mostra all’8° piano della Manhattan Gallery, dal titolo «Kindret solidarieties: queer community and chosen families», con opera a tecnica mista che ritraevano una «nozione ampliata» di famiglia, definita «dall’alleanza piuttosto che dalla genetica». In una serie di fotografie in video, l’artista Jamie Diamond proponeva di capovolgere il ritratto della famiglia inteso come «ideale stereotipato di vita felice, perché la famiglia è una performance continua in cui vengono assegnati ruoli con costante aspettativa di un pubblico». Un po’ quello che dice da anni Judith Butler, filosofa post-strutturalista statunitense, quando scrive contro l’innatismo di genere in favore della ‘performatività’: “Tu sei maschio o femmina a seconda della performance. Il genere è una maschera che indossi e deponi in base allo spettacolo che reciti e alla vita che vivi. M e F sono come lettere in cima ai bus che si prendono o lasciano a seconda di che aria tira”. La opere più note di Butler: Gender trouble e Bodies that matter, ridiscutono la nozione di genere e sviluppano la sua teoria, appunto, della performatività di genere, che oggi, nella riflessione femminista e «queer», ha un ruolo di primo piano.

Per capire un po’ meglio cosa accade fuori e preparare la «road map» della Serata, seguendo Ginevra Leganza, ricercatrice presso la Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine e direttore editoriale di House Organ, ho digitato «queer family» su YouTube e sono finito anch’io sul canale Truly dove ho trovato un video titolato così: «My extraordinary family». È una storia statunitense di una donna e di due transessuali che si amano e crescono due figlie. Si definiscono ‘tre mamme’. La femmina – si suppone che sia madre biologica – dichiara che una di queste bambine è «non-binary». L’altra è invece «anti-gender». La prima ha deciso a quattro anni di non essere né maschio né femmina. La seconda, che dal video di anni sembra averne due o tre, cresce così, per volere delle adulte, come fosse né maschio né femmina, senza genere. Le mamme poliamorose si scambiano effusioni e portano le figlie al parco, nel paese reale. La mamma femmina è sobria, mascolina. Le transessuali hanno vestiti giromanica a fiori, lunghi sino ai piedi: due anticaglie tipo prendisole sormontate da vocione e doppio mento. La madre biologica spiega che non c’è nulla di cui scandalizzarsi: loro amano i figli come gli altri. In effetti, scandalizzarsi di cosa? Chi si scandalizza è banale, dice il poeta, e come possa sentirsi maschio o femmina – e dunque sicuro di sé – un bambino accerchiato da genitali incerti, chi può dirlo. E poi siamo a Orlando, in Florida, fra «non-binary» e negromanti. E siamo ancora in Gran Bretagna dove nasce uno dei primi bambini con donazione mitocondriale, cioè con DNA di tre genitori. Bambino che crescendo neppure potrà scandalizzarci, definendosi «queer»… Altri mondi, quasi mitologici o esoterici, fra letteratura e ‘hybris’. Mentre qui, in Italia, il «queer», e il «queer family», è una cosa diversa. È un fatto di status più di ‘hybris’ o di follia. Una formula magica per varcare salotti. Un’etichetta, una toppa, un capriccio da dirimpettai. Un stigma provinciale, per scrittori, attori e politici della porta accanto. Una maschera (allegra) da ottimati. E come tale nasconde volti, di solito tristi. Minimo sforzo: calzini colorati. Massimo rendimento: il «queer». Si dà un tono, ma di fatto si è in sintonia con ciò che è sempre stato. Magari meno maschio e meno femmina. Etero stanco, ma «queer», per posa. Quella maschera, non meno dalle altre che l’hanno preceduta, non ci strappa dall’innatismo di genere: dal nostro essere maschi e femmine, pur con mille pulsioni e desideri. Quella maschera ci strappa soltanto dal vuoto o dalla solitudine senza faccia e senza nome, dove il «queer» è al tempo stesso maschera (colorata) e nome (impreciso). Sarà interessante ritornare a questo tema, a patto che il Circolo ce l’ha farà e sopravvivrà.

Intanto la Serata di «bennate e bellenate che espongono la prole ‹gender fluid›», riuscì a delimitare il suo tema e – rispettando, con un po’ di disciplina e di cautela, il minutaggio e il rapimento acceso dal cantautore Mauro – guidare lo spettatore, senza inciampi, lungo il seguente percorso:

4.1. «Sanremo, Rosa Chemical e la generazione ‹gender fluid»: intervista di Irma D’Aria, giornalista scientifica, a Giancarlo Dimaggio, psichiatra e psicoterapeuta (11:04′); 4.2. «Maneskin e lo stile ‹gender fluid» (0:00′-1:57′; 5:54′-8:09′) e «Cosa significa essere ‹gender fluid› in Italia» (2:13′); 4.3. «Origini della teoria gender fluid» – Intervento di Elisabetta Guerrisi (6:00′); 4.4. Intervallo canoro di Cesare Mauro: «Borgo antico» (5:00′); 4.5. «No della Chiesa cattolica all’ideologia gender e sì al dialogo sulla differenza sessuale» – Intervento di Marialuisa Mauro (6:00′); 4.6. Performance canora di Cesare Mauro: «Mi hanno detto» (5:00′); 4.7. Consegna di un ‘girasole’ insieme ad un ‘pensiero’ di ringraziamento all’Artista catanzarese (2:00′); 4.8. Piotr Anzulewicz OFMConv: «La moda di esporre la prole gender fluid» (8:00′); 4.9. Music video «Limitless» di Jennifer Lopez (3.32′); 4.10. Condivisione (8:00′); 4.11. Music video «Where did our love go» (1981) di Amii Stewart (3:26′)

Da video mai visti e da documenti mai esplorati prendevano forma decine di volti noti e ignoti. Nel Salone e nella stanzetta della Segreteria del Circolo si avvicendavano silenziosamente altre decine di volti ‘nostrani’, ritratti con tatto da Antonella Vitale, fotografa. Tra loro si notavano: Francesca e Gino, Pina e Leo, Ninetta e Tonia, Elisabetta e Goffredo, Rosa e Rosanna, Stefania e Anna Rita, Marialuisa e Tina, Olga e Asia, Roberta e Maria Rita di Cropani Marina, e – che gioia e onore! – p. Rocco, superiore della fraternità conventuale del «Sacro Cuore». Sembra ancora sentire i loro sussurri e percepire la loro voglia di sapere… Cosa è questa «gender fluid»? È una moda? Una utopia o una realtà? Una questione di marketing e di monetizzazione o una trovata propagandistica e ideologica che distorce gli studi di genere? È una teoria antiscientifica? La biologia non conta più? Pur tanta confusione, i pazzi per il «gender» crescono ad un ritmo rapido, come i funghi porcini in una notte.

È stato quindi necessario sfogliare un autorevole documento al riguardo, nato dalla consapevolezza di una particolare emergenza educativa in atto, soprattutto sui temi dell’affettività e sessualità, e messo a punto dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica (degli Istituti di Studi), in collaborazione con esperti di pedagogia e filosofia, diritto e didattica: «Maschio e femmina li creò» Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione, firmato il 2 febbraio 2019 dal cardinale prefetto Giuseppe Versaldi. Il testo ha il pregio di ricordarci, in modo efficace, cosa è il «gender», ripercorrendone la storia: da quando, a metà del ‘900, sulla base di una lettura sociologica delle differenziazioni sessuali e sotto la spinta di un’enfasi libertaria, si cominciò a teorizzare «come l’identità sessuale avesse più a che fare con una costruzione sociale che con un dato naturale o biologico» (n. 8), per arrivare agli anni novanta del secolo scorso, quando si puntava a proporre “la radicale separazione tra genere (gender) e sesso (sex)” secondo un approccio del tutto soggettivistico alla persona perché “ciò che vale è l’assoluta libertà di autodeterminazione e la scelta circostanziata di ciascun individuo nel contesto di una qualsiasi relazione affettiva”. È difficile dialogare di fronte a un simile impianto ideologico. Quando però gli studi di genere “hanno la condivisibile e apprezzabile esigenza di lottare contro ogni espressione di ingiusta discriminazione”, non è difficile trovare punti di incontro, anche perché queste ricerche sottolineano «ritardi e mancanze» che hanno avuto influsso negativo all’interno della Chiesa. Vanno quindi superate «rigidità e fissità che hanno ritardato la necessaria e progressiva inculturazione del genuino messaggio con cui Gesù proclamava la pari dignità tra uomo e donna, dando luogo ad accuse di un certo maschilismo più o meno mascherato da motivazioni religiose» (Maschio e femmina…, n. 15). Superare le discriminazioni ingiuste, rispettare ogni persona al di là del colore della pelle, della religione e della tendenza affettiva, si traduce quindi in “un’educazione alla cittadinanza attiva e responsabile, in cui tutte le espressioni legittime della persona siano accolte con rispetto”. Le criticità verso il «gender» più fluido e oltranzista rimangono tuttavia intatte, del tutto inconciliabili con quell’ecologia umana integrale di cui spesso ha parlato Papa Francesco.

A questo proposito il documento riafferma la «radice metafisica» della differenza sessuale: uomo e donna, infatti, sono le due modalità in cui si esprime e realizza la realtà della persona umana. In questa prospettiva è sbagliato negare la dualità maschio e femmina, perché solo in questa cornice «l’uomo e la donna riconoscono il significato della sessualità e della genitalità in quell’intrinseca intenzionalità relazionale e comunicativa che attraversa la loro corporeità e li rimanda l’un verso l’altra mutuamente» (Maschio e femmina…, n. 35).

La scommessa è quella di aiutare quanti sono impegnati nell’educazione delle nuove generazioni ad affrontare «con metodo» le questioni oggi più dibattute sulla sessualità umana, alla luce del più ampio orizzonte dell’educazione all’amore. La prospettiva è dialogica, non polemica, che si potrebbe sintetizzare così: “No all’ideologia, sì alla ricerca; no alla discriminazione, sì all’accompagnamento; no all’‹antropologia del neutro›, sì all’antropologia delle differenze“. Dopo tanti anatemi e tante semplificazioni che hanno impedito di riconoscere l’opportunità di fare chiarezza in un arcipelago, in cui sono presenti rivendicazioni ideologiche quasi paradossali (già menzionata Judith Butler), chiusure segnate dal giuricidismo rigoroso e inflessibile, ma anche riflessioni approfondite e dialoganti nel segno del Vangelo, il documento si pone finalmente all’ascolto delle esigenze dell’altro, si apre alla comprensione delle diverse condizioni e incoraggia educatori e educatrici a stimolare «l’apertura all’altro come volto, come persona, come fratello e sorella da conoscere e rispettare, con la sua storia, i suoi pregi e difetti, ricchezze e limiti» (Maschio e femmina…, n. 57).

Chiniamoci ancora sui figli «gender fluid». In queste settimane si seguono le vicende del figlio androgino del capo di Tesla e SpaceX Elon Musk, il ribelle intenzionato a cambiare genere, nome e cognome, per tagliare i ponti con il padre. E si scopre anche il lato “mamma complice” della cantante Jennifer Lopez che mostra al mondo la figlia Emme senza fissa identità sessuale, suo gioiello arcobaleno, e la accompagna in una manovra vincente. Le due si esibiscono insieme. La ragazza, mutante di sesso e di nome, sale sul palco del Blue Diamond Gala, e la madre le si rivolge con il pronome neutro they. Le dà del loro, nel senso del contrassegno del «gender» e non nel senso dell’allocutivo di cortesia. Sei JLo. Se il tuo tempo sta passando e senti odore di collasso, ti conviene esplodere nell’arcobaleno del «gender». E così il mondo torna a parlare di te.

Bennati e bellenate, avidi di scena pubblica, devono faticare, sgomitare, impegnarsi, per dimostrare di valere qualcosa. I loro figli allora partono da qui: dallo sgobbo di dover dare nuova reputazione al nome di famiglia, fardello e blasone. E ci provano come possono.

In questo momento «la prole fluida – ritiene la stessa Leganza – è un megatrend hollywoodiano». Chi non ricorda la supermodella Emily Ratajkowski? Nel 2020 era in dolce attesa. Alla domanda: “Fiocco rosa o fiocco blu?”, rispondeva: “Non sapremo il sesso fino a quando nostro figlio non avrà 18 anni. Poi ce lo farà sapere”. Lapidaria, vero?

Lo «star system» alterna abilmente figli ribelli a genitori complici, ma la chiave fluidista è un concetto a stelle e strisce. In Italia arriva come un’eco. Il pensiero meridiano scorre lentamente e le nostre supernove hanno figli e figlie che ancora raccontano dei fidanzatini a zia Mara Venier. Età dell’innocenza. Il serpente arcobaleno arriverà e infonderà vita nuova. Sul fronte, in primissima linea, ci sono già gli ambasciatori di CityLife, gli apripista, i provinciali di mondo. Chiara e Fedez filmano e postano i loro bebè sin dai tempi placentari. E instradano i pupi al neutralismo di genere. Nella saga instagrammiana di famiglia spiegano che non esistono giochini per maschietti o femminucce. Nelle candide menti dei Ferragnez si è già infilato lo spirito del tempo e il fiuto commerciale. L’Italia dibatte d’altro e l’arcobaleno ancora indugia. Il verde è in forte ascesa. Negli Stati Uniti invece la prole è marketing, in sintonia con «tempora et mores». Un mezzo come un altro che oggi si accorda bene alla «queerness», al fluidismo, ma domani chissà. Qui genitori e figli hanno andamento impacciato, perché la fama logora, affatica, stanca e indebolisce. E poi non si è predisposti a fare troppa economia con la figliolanza. Nel frattempo bisogna vivere davvero, per gli altri e con gli altri, «aperti e interessati alla realtà, capaci di cura e di tenerezza» (Maschio e femmina…, n. 57).

Piotr Anzulewicz OFMConv


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