Attenzione al dialetto e al sangue versato…

paolo-beneforti-fuoco«È oltremodo importante anche essere a conoscenza del proprio dialetto per mantenere costumi, abitudini e tradizioni che ci sono care e ci rappresentano»: è stato il leitmotiv della 7ª Serata conviviale con aperitivo – la 54ª di seguito – dal titolo: «Catanzaro: dialetto catanzarese – patrimonio culturale da tenere vivo?», organizzata dal Circolo e aperta a tutti, nell’ambito della 2ª edizione del WikiCircolo e nel solco dell’Anno straordinario della Misericordia, svoltasi il 29 aprile presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido.

Fontana di TreviNel corso della Serata ci fu un momento di silenzio, alle ore 20, quando la magnifica Fontana di Trevi a Roma si è imporporata, come mai era accaduto prima: è stata investita di fasci d’intensa luce rossa – a simboleggiare il sangue versato da tanti bambini, donne e uomini, il cui diritto di vivere liberamente e gioiosamente la fede nella terra natia viene barbaramente violato da portatori di ideologie di morte, spesso anche a sfondo religioso – e sui marmi del famoso monumento sono state proiettate immagini provenienti dal mondo della persecuzione; un evento inedito – promosso dalla sezione italiana della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, creata nel 1947 fra le rovine e le devastazioni della 2ª guerra mondiale dal sacerdote olandese Werenfried van Straaten († 2003) – per richiamare l’attenzione pubblica sulla violazione del diritto alla libertà religiosa, soprattutto a danno dei cristiani, «per innalzare al Signore una preghiera a loro favore e a favore di tutti coloro che sono oppressi, nell’auspicio che un’accresciuta sensibilità su questo tema porti, in tanti, frutti di impegno e attivo coinvolgimento» (card. Angelo Bagnasco), onde evitare il rischio dell’indifferenza e la conseguente prosecuzione di un’intollerabile agonia.

Sostando in silenzio, abbiamo voluto fare nostra anche l’esortazione che s. Paolo ha indirizzato proprio ai Romani: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12,21). Tanti fratelli perseguitati e dimenticati sono stati rappresentati in Piazza Trevi anche dalle nostre tre socie di Catanzaro Lido: Elisabetta, Carolina e Margherita Guerrisi!

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I santi: un altro volto della Calabria

6ª Serata - Terra dei santiLa santità, intesa come pienezza dell’uomo, è stata il filo rosso della 6ª Serata conviviale (la 52ª consecutiva), ideata nell’ambito della 2ª edizione del WikiCircolo e collocata all’interno del Giubileo della Misericordia, svoltasi venerdì 15 aprile scorso, nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. La santità che però aveva una delimitazione e un interrogativo nel tema: «Catanzaro ed oltre: terra di santi?». Un rompicapo per chi volesse sfidare il proprio pensiero divergente, o, meglio, un puzzle per chi volesse ricomporlo. Non è da tutti farsi una domanda del genere: «La Calabria è terra di santi o di ‘dannati’ e ‘disgraziati’?». Mancano oggi o non combaciano molti dei pezzi del passato. Viviamo in un mondo che cambia velocemente e corre ciecamente verso l’individualismo, l’utilitarismo e il consumismo. La domanda, comunque, si è posta. Malgrado i limiti di tempo, la gremita platea se la passava di bocca in bocca, per tutta la Serata ed oltre.

Dannati 2 DannatiÈ senz’altro vero che la ‘ndrangheta, l’organizzazione mafiosa più potente d’Italia, sta ‘mangiando’ la Regione, segnandola come la terra del «noir», dove la vendetta è un diritto e il non avere paura del sangue un dovere. Infatti, le cosche calabresi e la loro penetrazione nel territorio rimangono in auge. Sono quasi un topos che attraversa i mezzi di comunicazione, i quotidiani, il piccolo e il grande schermo. Ricordiamo, ad esempio, il documentario «Uomini di onore» di Francesco Sbano (2006), il lungometraggio «La terra dei santi» di Fernando Muraca (2014) basato sul romanzo «Il cielo a metà» con cui Monica Zapelli, già sceneggiatrice de I cento passi, fa il suo debutto nella letteratura, e il film girato ad Africo, nel cuore della ‘ndrangheta, «Anime nere» di Francesco Munizi (2015), che getta, più da vicino, uno sguardo su rituali, codici d’onore e regole della società, quella civile e mafiosa calabrese, in particolare sul ruolo che in esse svolge l’universo femminile. Una fotografia livida e fortemente contrastata che in bianco e nero sottolinea le divisioni fra legalità e crimine, fra maschi, femmine e parentele, drammaticamente dotata di solidi agganci alla cronaca, con l’accenno alle difficoltà economiche degli ‘ndranghetisti e al disinteresse dello Stato per la solitaria battaglia delle forze dell’ordine nel profondo Sud d’Italia.

Vescovi calabresiIl fatto di volerne parlare e rappresentare è già un elemento che porta di per sé un germe catartico, progettuale e positivo: catechizzare coscienze e formarle ai valori della civiltà, della giustizia, della legalità, della cura del creato, contro ogni forma e cultura mafiosa – omertà, corruzione, illegalità, estorsione, sopruso, racket, pizzo… In questa direzione vanno anche le ultime esortazioni dei vescovi calabresi. «La Chiesa – scrivono negli Orientamenti pastorali per le chiese di Calabria (2015) – è chiamata ad offrire la parola forte del Vangelo e segni concreti che mettano in luce da quale parte stiano i credenti in Cristo, il cui unico interesse è ristabilire la dignità della vita umana. Non può esistere alcun punto in comune tra la fede professata e una vita irreligiosa e miscredente, oppure disorientata dall’appartenenza ad una struttura di peccato, che progetta e commette violenze e infamie contro la persona umana, la società e l’ambiente, che è la casa comune da custodire e curare». È un lavoro lungo quello di educazione e di catechesi ordinaria e permanente in contesti mafiosi, con una particolare attenzione alla socialità ed alla partecipazione civica, secondo le linee della dottrina sociale cristiana, a partire dai più piccoli e dalle famiglie di riferimento. I minori e i giovani-adulti vanno aiutati a percepire la gravità del fenomeno, inteso anche come mentalità, su come prevenirlo, difendercene e su come partecipare all’azione privata e pubblica di contrasto. «Ogni organizzazione mafiosa – affermano i vescovi – è il rovescio di un’autentica esistenza credente e l’antitesi a una comunità cristiana ed ecclesiale. Si faccia osservare ai fedeli che, seppur colorata di religiosità o di moralismo, la prassi mafiosa è sempre atea ed antievangelica».

Giovanni Paolo II a CatanzaroDopo il saluto iniziale alla platea, intervenuta numerosa, la dott.ssa Teresa Cona, segretaria del Circolo, ha condiviso alcuni brani del discorso di Papa Giovanni Paolo II, rivolto il 1 giugno 1985 ai pellegrini della Chiesa di Calabria: «Voglio sperare, che voi non mancherete di rileggere la storia religiosa della vostra Regione, che ha accolto il messaggio cristiano fin dal primo secolo, alla luce splendente dei santi calabresi che hanno forgiato generazioni di cristiani secondo lo spirito del Vangelo e della croce di Gesù Cristo. Come non rievocare alcune figure emblematiche che ebbi occasione di venerare nel corso della mia visita: s. Nilo e s. Bartolomeo, illustri rappresentanti del monachesimo cenobitico; s. Bruno, che diede impulso in Calabria al monachesimo certosino, fondando quella splendida Certosa, che ancora porto davanti al mio sguardo; s. Francesco di Paola [Il Papa morì nel giorno di s. Francesco], il santo dell’umiltà e della carità, sempre vicino al cuore della gente! Gli alti esempi di questi santi luminosi e sempre attuali devono costituire uno stimolo costante per quella animazione cristiana e sociale della Calabria, oggi non meno dei tempi passati, bisognosa di uomini e donne che sappiano testimoniare con coraggio l’impegno per una rinascita spirituale. Ma, i santi calabresi, soprattutto s. Francesco di Paola, non hanno disatteso l’impegno sociale, anzi, non hanno lasciato occasione per porsi a servizio e a sollievo dei poveri, dei deboli, dei malati».

Il Papa ha ribadito, nel suo discorso, che il problema sociale in Calabria va sotto il nome di «questione meridionale»: «Si tratta dei problemi riguardanti le differenti condizioni di vita delle popolazioni meridionali e specificamente di quelle calabresi, e degli aspetti relativi alla vita morale e religiosa, ed alla coerenza nei comportamenti privati e pubblici, delle preoccupazioni sociali relative alla disoccupazione, specialmente quella giovanile e intellettuale, ed il problema di fondo di un più vasto ed omogeneo sviluppo economico, che riguarda non solo la Calabria, ma tutte le Regioni del Mezzogiorno d’Italia».

Sono parole di un’attualità sconcertante, dopo sei lustri! Chi non si è fatto fuorviare dal titolo della Serata, reso “ emblematico” dall’interrogativo posto alla fine della frase, ha partecipato ad un incontro unico che non voleva essere una semplice carrellata su molti santi, noti e meno noti, che hanno avuto i natali nella nostra Regione. Tutt’altro, il titolo voleva scuotere le coscienze degli intervenuti e costringere i presenti ad un’introspezione alla luce di quello che la Serata avrebbe loro “trasmesso”.

beatitudiniCon la sua introduzione, a seguito dell’intervento della Segretaria, Piotr Anzulewicz OFMConv ha delineato il significato del termine «santo» che, come anche il termine «perfezione», e tanti altri, soffre il logorio del tempo e dell’uso incontrollato: santo ideale, ideale di santità, uomo perfetto, «superman». Negli ultimi decenni – ha proseguito – è sorta un’abbondante letteratura sul pericolo di idealizzare la «perfezione» cristiana che rischia così di deformare e di fuorviare dal “credente evangelico” che è immagine di Dio, discepolo di Cristo, peccatore bisognoso di perdono e misericordia [al riguardo si può vedere ad es. l’articolo di F. Bettati, Nessun uomo è nato “santo”. Dal Magistero degli ultimi 60 anni, «Rivista di Vita Spirituale» 23 (1969) 137-159. L’autore spiega i vari elementi: grazia, volontà, impegno, processo]. Ai presenti ha fatto risaltare come sia pericolosa la tendenza di concepire o presentare la santità come uno strumento totalmente eccezionale e straordinario da essere accessibile soltanto a pochi privilegiati, cioè a quelli superdotati in grazia e natura. Ai poveri mortali, aprioristicamente “scartati”, non resta che ammirarli e mai raggiungerli. Sta di fatto che si continua a magnificare un tipo di santo prefabbricato, tutto santo dalla nascita o dalla conversione, un fulgore di virtù e di miracoli, dove il margine concesso al lato agonistico e all’aspetto umano ed esistenziale rimane facilmente sommerso e trascurato. I santi sono persone del proprio tempo, dal quale prendono la cultura e la spinta, e nel quale riversano pure la loro originalità umana e divina. La loro vita ha un incisivo raggio d’influsso, quello comunitario, sociale, ecclesiale, culturale, profetico, creativo ed anche correttivo: corregge, dischiude e amplia la visione dell’uomo, della società, del mondo, operando come attrazione, contagio o stimolo.

IMG_0175ll microfono è passato poi al Curatore principale della Serata, l’avv. Pino Frontera, che ha fatto una rapida carrellata dei santi e dei beati più cari ai fedeli calabresi: Ciriaco di Buonvicino († 1030), Daniele da Belvedere († 1227), Francesco di Paola († 1507), Gaetano Catanoso († 1963), raccontando non soltanto la loro vita virtuosa, ma innanzitutto la loro ricezione da parte della gente.

Per dare a tutti l’opportunità di esprimere le proprie opinioni, si è voluto poi sperimentare la modalità di innescare il dibattito – per la prima volta – a metà della conversazione. La Segretaria, quindi, ha posto al pubblico la domanda: «Siamo in grado di identificare nella nostra terra di Calabria e nel nostro tempo “figure /modelli” di vita cristiana da seguire, cioè persone spirituali che hanno profondamente incarnato i valori umani, evangelici, sociali (non c’è bisogno di essere canonizzati per fungere da modelli)?». E’ seguito un vivace ed interessante dibattito con scambi di opinioni. L’avv. Frontera ha posto l’attenzione sulle recenti figure di mistici calabresi: Concetta Lombardo († 1948), Antonio Lombardi († 1950), don Francesco Antonio Caruso († 1951), sr. Semplice Berardi († 1953), Mariantonia Samà († 1993), Nuccia Tolomeo († 1997), Raffaele Gentile († 2004), Natuzza Evolo († 2009), e tanti altri ancora.

Santi e beatiSuperando costantemente il proprio «io» e seguendo la strada delle beatitudini evangeliche (cfr. Mt 5,1-12), nello spazio del dono di sé, del bene e del bello, essi hanno ritrovato se stessi e hanno maturato e raggiunto la pienezza umana e cristiana. Sarebbe interessante dedicare una speciale edizione delle Serate ad alcuni di loro. Proprio loro, pienamente umanizzati e divinizzati dall’amore, rappresentano un altro volto della Calabria: sono come astri nel firmamento della collettività religiosa e civile calabrese. Ci dicono: chi vive le beatitudini, impara a vedere il mondo come Dio lo vede – non solo nella sua dimensione orizzontale, ma anche in quella verticale, interiore e profonda. Di conseguenza attua quella metamorfosi delle relazioni che in Cristo risorto è stata già attuata. Si rende consapevole di appartenere al destino dei costruttori di pace. Si rimbocca le maniche e lavora per costruire la riconciliazione. Ogni giorno toglie dalla sua vita i “riempitivi” al posto di Dio, le polveri e le creme lucidanti, gli idoli, per essere riempito solo di Dio. Rende il suo cuore libero. Con la non-violenza e la mitezza lotta contro le violenze, i regimi e le oppressioni. Fa passare nella sua vita la stessa misericordia e tenerezza del Padre ed è pronto al perdono, perché è l’amore che salva il mondo, e non la guerra. Sa di essere amante della giustizia, anche quando tutto ciò che ci sta attorno è una continua tentazione a farci vivere da “mafiosi” e non da cristiani.

La Serata si è conclusa con l’aperitivo, tra pizze e dolci rustici. Si è anche brindato con uno spumante offerto dalla sig.ra Rosa Mercurio, assidua estimatrice del Circolo, in segno di festa e di augurio: “Santi subito!”.

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50ª Serata…

5ª Serata (II)La 50ª Serata a tema, tra quelle conviviali o cinematografiche, con aperitivo o con cinedibattito! Un evento che si è svolto venerdì 1 aprile scorso, nel Salone «S. Elisabetta di Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore», focalizzato su «Catanzaro ed oltre: Quali suggestive tradizioni pasquali da conservare e tramandare?», nell’ambito della 2ª edizione del WikiCircolo e nel solco dell’Anno straordinario della Misericordia. Tra i numerosi partecipanti era presente la presidentessa dell’Associazione «Emmaus Catanzaro», prof.ssa Maria Concetta Infuso, che in occasione delle festività pasquali ha fatto dono al Circolo di un gigante uovo di cioccolato, accolto con gratitudine e commozione, come simbolo di rinascita. Non poteva che essere il più bel dono-“trofeo” per festeggiare anche la 50ª Serata, sempre giovane, bella, speciale, unica, perché veicolo di tematiche di attualità scottante o di interesse esistenziale e sociale. La Serata del Wiki- e CineCircolo è al servizio della collettività parrocchiale e cittadina, e non tanto delle finalità statutarie del Circolo, «luogo di aggregazione, di incontro, di dialogo» (al riguardo si legga l’articolo: https://circoloculturalesanfrancesco.org/site/il-nostro-ideale/). C’è chi le resta fedele e viene ad ammirare la sua giovinezza e bellezza. E c’è chi si ostina, fin dall’inizio, a salutarla magari per un attimo. Lei non si dipinge migliore di quello che è: «Io sono nata – si dice – bellissima. Non credo di esserlo di più». Non si affanna, dunque, quando vede i gruppi parrocchiali, specie quelli di profilo francescano, lasciarsi folgorare da altre “bellezze”. Soffre, attraversa l’offuscarsi della felicità, si rammarica come può, si ribella alle nuvole scure o nere e poi le lascia passare, accetta la solitudine e cerca una possibilità lieta per presentarsi di nuovo, venerdì, alle ore 19. È immensamente grata a quanti la sostengono e la frequentano.

IMG_0037Per darle avvio questo venerdì, è stato scelto il pensiero di Papa Francesco: «La Pasqua è l’evento che ha portato la novità radicale per ogni essere umano, per la storia e per il mondo: è il trionfo della vita sulla morte; è la festa di risveglio e di rigenerazione» (Regina Caeli del Lunedì dell’Angelo 2015). È «un evento stupendo – ha proseguito Piotr Anzulewicz OFMConv – che ha rivoluzionato e trasformato la storia e ha ridato un senso all’esistenza di ogni uomo. In quanto tale rimane misterioso, nel senso di nascosto, al di là della portata della nostra conoscenza. Tuttavia, tutti i Vangeli ci infondono la certezza che la Pasqua di Cristo è anche la nostra Pasqua. Forti di questa certezza, ci sentiamo chiamati a “suscitare la speranza” e proclamare il Risorto, con la vita e mediante l’amore, dando da mangiare agli affamati, vestendo gli ignudi, accogliendo lo straniero…».

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Woman-in-Russian-dressNell’intervento introduttivo del Presidente del Circolo si è schiusa poi, come di incanto, la spiegazione di alcune tradizioni e usanze pasquali che affondano le loro radici nel paganesimo o rievocano i rituali primordiali e i culti agro-pastorali e arborei delle popolazioni nordiche e orientali. In Germania, ad esempio, vi è l’usanza che i bambini, la mattina della domenica di Pasqua, vadano alla ricerca nei giardini delle case delle uova nascoste dal “coniglio pasquale”, mentre in Inghilterra si fanno rotolare sulla strada uova sode colorate fino a quando il guscio non si sia completamente rotto. L’uovo è da sempre simbolo di rinascita e di fertilità. Lo testimoniano le usanze delle uova “sacre” russe o ucraine ove il cibarsi di questo alimento celebrerebbe la rinascita del sole e il ritorno delle stagioni dell’abbondanza. L’idea dell‘uovo “sacro” si è così tramutata nel tempo. Basti pensare agli antichi romani per i quali «omne vivum ex ovo» (lat. «ogni essere vivente [proviene] dall’uovo [nel senso di «germe»]»), o  al medico inglese William Harvey († 1657), che nel frontespizio della prima edizione  della sua opera Exercitationes de generatione animalium («Esercitazioni sulla generazione degli animali») inserì il motto «ex ovo omnia» (lat. «tutto dall’uovo»). Una leggenda narra che Maria Maddalena si presentò all’imperatore Tiberio con un uovo dal guscio rosso, o ancora la Vergine Maria donò a Ponzio Pilato un cesto di uova colorate per implorare la liberazione del Cristo. Il cibarsi delle uova, così, diventa un rituale collettivo di partecipazione alla nuova vita e dunque alla resurrezione.

IMG_4677Al riguardo, la dott.ssa Teresa Cona, segretaria del Circolo, dopo aver rivolto gli auguri pasquali alla platea, ha condiviso l’osservazione di Domenico Delle Foglie, pubblicata il 28 marzo scorso dall’Agenzia SIR (Servizio Informazione Religiosa). L’autore, sfogliando le prime pagine dei quotidiani nel giorno di Pasqua, ha notato che non è stato scritto neanche un rigo della resurrezione di Gesù, «nel cui nome ben oltre un miliardo di donne e di uomini in ogni angolo della Terra si fermano a pregare e a invocare in Cristo risorto (Rupnik)suo nome la pace». Ecco, uno strano modo di escludere Gesù dalla vita pubblica, «nel nome di qualche paganità laicista o addirittura in nome dell’uguaglianza che egli stesso ci ha insegnato» (Papa Francesco). «E allora – confida Delle Foglie – ci è passato per la mente un cattivo pensiero: metti che un musulmano radicalizzato, di quelli che interpretano la religione del profeta come un programma politico-ideologico e non come una via per la salvezza e la purificazione, abbia letto ieri la prime pagine di uno dei più grandi quotidiani italiani… Chi sarebbe in grado di convincerlo che questo Paese non è un terreno di conquista per il suo islam violento, anche a colpi di bombe e in nome delle Guerra santa? Se un tale Gesù Cristo non ha trovato traccia da nessuna parte… Se la Pasqua, la festa dei cristiani, è tutta e solo un fatto strettamente privato… Se gli stessi cristiani la declassano, sarà solo una formalità riempire quel vuoto di senso religioso. Certo, con le loro maniere forti (per usare un eufemismo). Insomma, come “un marziano a Roma” di Ennio Flaiano, cosa riescono a capire della nostra religione privata quei fanatici che uccidono in nome dell’islam? Di sicuro, non lo capirebbero dalle prime pagine dei quotidiani e forse neppure da quelle interne, spesso ricolme di discredito per chi crede nella Croce, pur senza essere un crociato. Fossi un giornalista laico, magari anche laicista, anche solo per fare un dispetto a chi uccide in nome della religione, avrei scritto di Gesù e della sua storia infinita». Sì, in quel giorno dedicato alla sua vittoria, magari solo poche righe in prima pagina, per ricordare che i cristiani hanno pregato per accogliere il Salvatore e Signore Gesù Cristo.

IMG_4674La Serata è entrata nel vivo con l’intervento dell’avv. Giuseppe Frontera. All’attenta platea ha illustrato vari usi e costumi catanzaresi nel periodo pasquale, offrendo degli spunti per guardare in modo più positivo all’eredità religiosa e culturale dei nostri antenati. A lungo si è soffermato sulla processione religiosa che tuttora si svolge il a-varetta-sabato-santo-badolato-foto-gori-campese-gilbotulinoVenerdì Santo a Catanzaro ed in altri centri calabresi: la «Naca» (A Naca, in dialetto; termine che deriva dal greco nachè = culla), nella quale è Affruntata-740x493adagiato il corpo di Gesù. Non poteva mancare anche l’«Affruntata», la rappresentazione religiosa che si tiene nei Comuni delle Province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e nella parte meridionale della Provincia di Catanzaro, dove è conosciuta anche con il nome di «Cunfrunta», nel periodo di Pasqua. È di carattere prettamente popolare, con origini pagane. La manifestazione si svolge per le strade e nelle piazze, dove tre statue raffiguranti Maria Addolorata, Gesù e s. Giovanni vengono trasportate a spalla, da quattro portatori per statua, per simboleggiare l’incontro dopo la resurrezione di Cristo. Essa viene preparata e provata a lungo in precedenza. L’«Affruntata» è inscenata anche in altri Comuni d’Italia e addirittura all’estero, ad esempio a Toronto, dove le comunità di emigrati italiani hanno deciso di mantenere le tradizioni dei paesi d’origine.

L’Avvocato ci ha parlato di altre tradizioni cristiane pasquali, ormai dimenticate. Per darne un’idea immediata, alcune di esse sono state corredate di immagini, proiettate sul grande schermo da Ghenadi e dal suo assistente Gabriele. Non si può negare che la Calabria sia una regione fortemente segnata dal cristianesimo. Le sue radici cristiane sono ancora vitali, malgrado il forte e diffuso fenomeno della secolarizzazione. È importante tuttavia un rinnovato impegno a custodire il suo patrimonio e a tenerlo vivo. Negare la propria eredità spirituale e culturale vorrebbe dire negare la propria storia e l’identità. È su questi temi cruciali che si gioca il futuro delle nostre società europee.

La suggestiva 50ª Serata è proseguita nel consueto aperitivo tra pizze a vari gusti e dolci pasquali della tradizione calabrese. In una atmosfera gioiosa si è rotto quel gigante uovo – dono dell’Associazione «Emmaus Catanzaro», distribuendo il cioccolato tra i presenti.

Il Circolo Culturale San Francesco, se accolto a cuore aperto e con un atteggiamento di fraternità e di condivisione, potrà essere un faro di chiara luce.

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Ora «si è manifestata la giustizia di Dio»

tomba-vuota-17374681Amici, per tutti «si è manifestata la giustizia di Dio» (Rm 3,21), cioè la sua bontà, il suo amore, la sua misericordia. Ne siamo sicuri davanti alla tomba vuota di Cristo risorto. Nulla può «sconfiggerla», «oscurarla» o «indebolirla». Buona vita da giustificati, riconciliati, risorti!

Consiglio direttivo




In bilico tra paura e speranza

timbuktu_poster_qVenerdì 18 marzo si è tenuta la 5ª Serata cinematografica,  presso il Salone «S. Elisabetta di Ungheria», al lato destro della chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido.  In programmazione un film ad alta intensità e attualità: «Timbuktu» (Le chagrin des oiseaux), con il tema strappacuore: fondamentalismo religioso e jihadismo islamista. Un gioiello, capace di geniali rovesciamenti prospettici, da vedere assolutamente. Lo avremmo guardato con fiato sospeso, in bilico tra speranza e disperazione, se non ci fosse stato un fatto imprevedibile: la pennetta Usb, fornita dalla Cineteca, su cui era stato riversato il film, non ha funzionato. In sostituzione, per rimanere in tema, all’istante si è deciso di proiettare la pellicola di Roberto Benigni: «La vita è bella». Il film di Abderrahmane Sissako, uno dei pochi artisti africani conosciuti ed apprezzati anche in Occidente, sarà ripresentato in data da stabilirsi. La sua trama, comunque, è stata raccontata dalla dott.ssa Teresa Cona, curatrice principale della 2ª edizione del CineCircolo «sui sentieri della misericordia».

Timbuktu 3Era il 2012 quando le milizie jihadiste integraliste provenienti da altri luoghi, a partire dalla Libia, invasero Timbuktu, città del nord del Mali, considerata patrimonio dell’umanità e una delle sette meraviglie del mondo con i suoi inestimabili tesori – compresi i manoscritti di Avicenna († 1037), medico, filosofo, matematico e fisico persiano, una delle figure più note nel mondo islamico – per farne il loro quartier generale. La loro distorta ed integralista visione della vita e della religione portò non solo devastazioni e terrore, ma anche “distruzioni” atte a colpire il patrimonio delle conoscenze, principale nemico dell’ortodossia, e cominciare proprio da lì, da questo luogo simbolo, a tracciare le linee guida di un percorso, in una «escalation» strisciante, che adesso avvertiamo insidiosa anche sulla nostra pelle con molta preoccupazione, ma con poco coraggio oppositivo. Uno sgretolamento della civiltà che non sappiamo ancora a quale deriva ci condurrà, ma certamente più tragica di ciò che è già accaduto dopo i fatti dell’11 settembre del 2001. Questa volta in nessuna parte del mondo niente potrà essere come prima, e non lo è più nemmeno adesso, come testimoniano i luttuosi fatti di ogni giorno.

Abderrahmane Sissako Sissako, con rara ed efficace precisione, riesce dunque a fissare il suo sguardo su una zona “simbolo” che suo malgrado è stata fra le prime a dover fare i conti con la furia dei jihadisti, quando ormai al-Qaeda sembrava essere (quasi) sconfitta e si sottovalutavano i “piccoli” conflitti, a torto ritenuti locali, compresa la tragedia della Siria che non ci interessava proprio, e a darci una lettura fatta dall’interno. Infatti, il suo non è un film anti-islamico, ed è bene chiarirlo subito (e il discorso che l’imam della moschea locale fa al neofita jihadista, ne costituisce la prova più evidente, soprattutto nel passaggio in cui afferma che anche lui ha la «jihad» nel cuore, intesa però come ricerca interiore, non come strumento di dolore e sofferenza altrui), ma è proprio per questo ancora più importante soprattutto per noi che abbiamo solo una conoscenza “di riporto” delle cose, e non sempre del tutto attendibile.

MaliVisivamente bellissimo ed appassionato Timbuktu è un grido che colpisce al cuore: il drammatico ritratto del paese dell’infanzia del regista – il Mali, appunto, Paese che non fa notizia e non produce mobilitazioni internazionali – le cui ricche tradizioni umane sono state così pesantemente calpestate da un fanatismo che arriva da lontano. «Sono nato in Mauritania, ma mi sono ben presto trasferito in Mali con la mia famiglia – è lo stesso Sissako a dirlo – e mi preoccupa moltissimo ciò che sta accadendo in quella terra e che si sta allargando a macchia d’olio, perché sono un cittadino del mondo: che sia cresciuto lì è per me un fatto davvero secondario. Trovo, infatti, spaventoso e inaccettabile, a prescindere da quella circostanza personale, che un gruppo di persone, sempre più organizzato e vasto, in costante espansione, si sia posto l’obiettivo di trasformare con tanta efferatezza la società islamica, che per secoli è stata tollerante e gentile, in qualcosa di così intollerante e brutale».

Sissako, con il suo stile lento e piano, fatto di silenzi e di sguardi più che di parole, ci racconta quindi – e universalizza – ciò che è accaduto e sta accadendo in un angolo insanguinato dell’Africa, e ci invita a tenere bene a mente che il male può annidarsi ovunque, anche nei luoghi più tranquilli e “pacifici” della terra: si palesa o arriva all’improvviso, cambiando inesorabilmente il corso delle cose… «Nessuno è al sicuro, insomma, ed è molto meglio prevenire anziché provare a chiudere la stalla quando ormai i buoi sono scappati» (Spopola).

Boko HaramjihadistiUn breve dibattito con i partecipanti ha surriscaldato l’atmosfera. La data della proiezione del Timbuktu, il 18 marzo, è quanto mai significativa. Proprio due giorni fa – ha ricordato il Presidente del Circolo – è stata compiuta un’ennesima orribile strage, all’interno di una moschea alle porte di Maiduguri, capitale dello Stato del Borno: almeno 25 le vittime. La matrice sarebbe quella dei jihadisti di Boko Haram (il nome deriva dalla parola «hausa boko» che letteralmente significa «l’istruzione occidentale è sacrilega» o «vietata»), un’organizzazione terroristica jihadista sunnita, diffusa nel nord della Nigeria e nota anche come «Gruppo della Gente della Sunna» per la propaganda religiosa e il «jihad» (il termine arabo che nella dottrina islamica indica tanto lo sforzo di miglioramento del credente, quanto la guerra condotta «per la causa di Dio» contro gli infedeli, per l’espansione dell’islam). Quel gruppo integralista vuole eliminare i cristiani dal nordest a maggioranza islamica e imporre una pratica religiosa più rigorosa, secondo la legge coranica. È per questo attacca anche le moschee e i fedeli islamici. Il governo nigeriano combatte questo estremismo, ma sembra lontano dal riuscire Mali - famigliaa sconfiggerlo, perché il gruppo è molto radicato nel territorio. La Nigeria è uno dei Paesi più ricchi del mondo, nel senso che è il primo produttore africano di petrolio, ma a causa della corruzione è anche uno dei Paesi più poveri del mondo, con tuttora più del 60% della popolazione che vive sotto la soglia di povertà. È la povertà che favorisce il reclutamento di terroristi, magari non convinti dal punto di vista religioso, trattandosi di Boko Haram, ma convinti dal fatto di ricevere una paga, un salario, un compenso. E poi c’è il fatto che sparisce anche quel denaro che viene stanziato per acquistare armi e formare l’esercito per combattere i jihadisti appartenenti alla galassia del terrorismo internazionale. Di conseguenza i contingenti militari scappano, invece di difendere le comunità e attaccare o perlomeno di arginare Boko Haram, sostenendo, per l’appunto, di non essere in grado di farlo, in quanto meno equipaggiati. Così non passa settimana senza un attentato di proporzioni minori per gravità e vittime. Boko Haram impiega donne e addirittura bambine, approfittando del fatto che con il velo integrale è più facile passare inosservati e soprattutto nascondere esplosivo.

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Tornando al film Timbuktu, il regista ha scelto di non essere il narratore di un tragico fatto di cronaca, ma si è posto un obiettivo molto più ambizioso, quello di darci un quadro più ampio e documentato della situazione, organizzando un racconto che invita alla riflessione. Grazie alla struttura del suo film che precede per contrapposizioni, ci fa vedere l’abissale distanza tra due mondi, fisicamente vicini, ma al tempo stesso anni luce lontani l’uno dall’altro: da una parte un fiabesco paesaggio immerso fra le maestose dune del deserto, che incornicia la vita di una famiglia, quella di Kidane con la moglie Satina e la figlioletta, che conosce l’armonia e la fedeltà nelle relazioni parentali e con la divinità, e dall’altro il villaggio sottoposto alla dura legge della sharīʿa imposta da uomini che in una babele di lingue (tuareg, arabo e francese) atte ad indicarne le differenti provenienze, e senza altra radice comune che non sia quella dell’integralismo, impongono norme vessatorie, con frustate, incarcerazione o addirittura con qualcosa di più terribile, proibendo di cantare, danzare, fumare, giocare al calcio o affacciarsi alla finestra, infierendo soprattutto sulle donne costrette ad indossare velo, guanti e calzettoni.

Timbuktu-cover-cd_origIl tutto viene trasfigurato da Sissako in quel preoccupante grido di allarme, lanciato a un Occidente spesso distratto e incline a pensare che in fondo l’integralismo sia una rivolta contro i secoli di colonialismo subiti, e che nasca di conseguenza dall’interno delle varie realtà nazionali. Il regista riesce a smontare questa concezione ponendoci di fronte a una verità ancora più brutale: si tratta di un’oppressione che ha alle spalle un ben più pericoloso e ambizioso progetto studiato a tavolino, frutto di una follia ideologica assetata di sangue infedele che prende a pretesto una supposta fede per sottomettere intere popolazioni e provare – come è già accaduto in passato – a colonizzare il mondo intero, una forma cancerogena che si sviluppa e dilaga come una metastasi ormai difficile da contenere e contrastare per il ritardo con cui ne abbiamo preso coscienza. Se non ci sarà un cambiamento di rotta, forse «non resta molto altro da fare, se non quello di provare a fuggire a gambe levate correndo a più non posso, come fa la gazzella del film, sperando di non stramazzare esausti senza essere riusciti a trovare un rifugio sicuro per riprendere almeno un po’ di fiato, perché è proprio quello che vogliono»: “sfiancarci”.

IMG_1818Nel corso della Serata, a sorpresa, il Circolo ha voluto, in concomitanza della festa di s. Giuseppe, festeggiare l’avv. Giuseppe Frontera, consigliere e curatore principale della 2ª edizione delle Serate conviviali focalizzate su «Catanzaro ed oltre: mille volti» e tese a rilanciare «quegli “input” che sono necessari alla rinascita della cultura di accoglienza e solidarietà, nel segno dell’Anno IMG_4020della Misericordia». A nome della nostra associazione, la Segretaria gli ha fatto dono del volume di Franco Riga Catanzaro Marina – storia di un borgo antico (Editore Istante, 2014), che racconta con 480 illustrazioni fotografiche un territorio poco rappresentato e di grande potenzialità, e di una pergamena sulla quale i presenti hanno apposto la propria firma. Si è stappato lo spumante e si è brindato tra la gioia dei partecipanti e la commozione del Festeggiato. Non sono mancati dolci e torte salate portate dalla sig.ra Daniela.

Si è quindi ripreso la proiezione del film La vita è bella, ma solo per breve tempo. È stata interrotta, anch’essa a sorpresa, per l’arrivo del gruppo parrocchiale appartenente al «Rinnovamento nello Spirito Santo», con un veloce saluto, quanto gradito, a tutto il Circolo. Sono momenti come questi che ripagano tanti sacrifici che soggiacciono ad ogni evento culturale proposto dal Circolo. Il riconoscimento del lavoro, svolto con passione ed entusiasmo, pur tra mille difficoltà, ostacoli e imprevisti, affinché vengano dibattute e affrontate le problematiche più scottanti, rinfranca gli animi e permette di proseguire nell’arduo cammino che attende chiunque pretenda di «far cultura» nella propria comunità parrocchiale e civile, in modo volontaristico e del tutto gratuito, con l’unica gratificazione di saper di avere contribuito a portare la cultura dello stare insieme e del progettare insieme il presente e il futuro.

L’appuntamento è a venerdì 1 aprile, alle ore 18.45, dopo la pausa per le festività pasquali. Una splendida opportunità di riflettere sulle tradizioni pasquali catanzaresi degne da custodire, coltivare, reinterpretare e far scoprire alle giovani generazioni.

(pa-tc)

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Una città accogliente?

4ª Serata (II)Venerdì 11 marzo, presso il Salone «S. Elisabetta di Ungheria», situato al lato destro della chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, si è svolta la 4ª Serata conviviale con aperitivo dal titolo: «Catanzaro: città dalle cinque porte – ‘passione’ dell’accoglienza?», aperta a tutti, promossa dal Circolo Culturale San Francesco e patrocinata dal Parroco, nell’ambito della 2ª edizione del WikiCircolo focalizzata su «Catanzaro ed oltre», nel solco dell’Anno straordinario della Misericordia. Relatore della Serata è stato l’avv. Peppino Frontera che ne è anche il curatore, insieme con lo Staff.

porta-di-lampedusaporta_santain san pietro (particolare)Malgrado il clima atmosferico avverso, si è registrata una buona affluenza all’evento, complice l’argomento trattato: notizie inedite sulla città di Catanzaro che ne attirano gli estimatori. La dott.ssa Teresa Cona, segretaria del Circolo, ha introdotta la Serata con brevi cenni sul significato della «porta». «Nelle diverse culture – ha detto – la porta rappresenta la separazione o la comunicazione tra i due ambiti»: l’esterno e l’interno, il noto e l’ignoto, il profano e il sacro. È soglia, confine, limite, luogo di passaggio, di separazione, di esclusione o di accoglienza. È anche un invito a passare dal mondo presente a quello futuro, divino, eterno. Tutta la storia della salvezza è collocata tra due porte: la porta del Paradiso, da cui Adamo ed Eva ne furono scacciati, dopo il peccato originale, e la porta della Gerusalemme celeste, attraverso la quale si entrerà nella pienezza di vita. Comunque, tutte le porte, di cui parla la Bibbia, svaniscono davanti alla Porta per eccellenza: Gesù Cristo (cfr. Gv 10,9). Egli, tra le tante porte da tenere aperte, è la porta più promettente, perché conduce all’abbraccio dell’amore misericordioso del Padre. Molti sono dunque i significati attribuiti alla porta: culturali, biblico-teologici, liturgici, architettonici.

IMG_0021 (2)Di porte architettoniche catanzaresi ha parlato poi, con viva partecipazione, l’avv. Frontera. Catanzaro fu costruita come una città-fortezza, con torri, bastioni e porte civiche, racchiusa in una cinta muraria di 7 km. Era in grado di resistere anche a lunghi assedi. Le porte di accesso erano cinque o addirittura sei. La porta principale, detta ‘granara’ o ‘marinara’, garantiva l’accesso dalla costa ed era utilizzata per il commercio del frumento. La porta di S. Giovanni, chiamata ‘castellana’ o episcopale e posizionata nell’attuale Piazza Matteotti, aveva tre entrate provviste di catene, poiché c’era il dazio. La porta di S. Agostino, detta ‘pratica’, consentiva l’accesso da Occidente al rione Paradiso (oggi quartiere Case Arse). La porta ‘strato’ (dal greco: «occulto») o ‘tubulo’, situata nell’omonimo quartiere, era invece una porta civica. Per la porta del ‘gallinaio’ e la porta ‘silana’ passava il bestiame. Le porte che sono sopravvissute parzialmente ai secoli e all’incuria sono quella di ‘strato’ e quella di S. Agostino.

Il Relatore ha messo in evidenza come la città da sempre è stata ospitale. Ad esempio, ha dato la possibilità a Israeliti di integrarsi in modo da poter aver riconosciuti privilegi e diritti come anche doveri, equiparandoli ai cittadini catanzaresi. Lo stesso trattamento ha riservato agli amalfitani ed ai siciliani. Oggi la memoria deve essere capace di fare i conti con l’oblio.

RifugiatiSerata davvero interessante, quella di venerdì! Al termine si è aperto uno scambio di opinioni tra il Relatore e i presenti. Molte sono state le domande e le integrazioni. Le nostre città sono spazi complessi e spesso contradditori: includono e nello stesso tempo escludono. Alcune voci ponevano dunque il problema di come sviluppare la cultura dell’accoglienza e dell’ospitalità, problema che ha profili culturali, organizzativi e professionali. La proposta che è stata rilanciata è quella di rendere evidenti i contenuti del principio di prossimità e di incontro, e di trasferirli all’interno di un atto formale che ogni città dovrebbe adattare al proprio profilo. Essa potrebbe chiamarsi «Carta dell’Accoglienza». La città è sempre accogliente con gli extracomunitari, perché non si lascia possedere da una sola comunità.

Porta di LampedusaUna città accogliente, a misura di ciascuno, è ancora un sogno. Bisogna andare più in là, senza rimanere sulla soglia, e costruirla in modo che tenga conto dei più deboli, che non respinga i disabili, che accolga coloro che sono nell’angolo grigio della periferia, che non escluda chi non può vedere o chi non può ascoltare, che curi la “cultura dell’integrazione”… Sono ormai diverse le pubblicazioni che recano il titolo «città accogliente». A noi piace citare il volume di C. M. Martini ed altri, Dalla città accogliente alla città aperta (Troina 2005).

L’«aperitivo» – con la pizza offerta dai coniugi Lista, la torta portata dalla sig.ra Rosa e gli stuzzichini preparati dalla sig.ra Daniela  – ha concluso la Serata in festosa armonia.

L’appuntamento è al prossimo venerdì alle 18.45, con il CineCircolo «sui sentieri della misericordia». Il film in scaletta è «Timbuktu» del regista mauritano Abderrahmane Sissako, a cui seguirà il dibattito sull’integralismo religioso e il dramma del jihadismo. (tc-pa)

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Gli sbarchi non sono finiti

La nave dolce - portoMolti, troppi, si sono lasciati sfuggire la proiezione del docufilm «La nave dolce» di Daniele Vicari, regista di «Diaz» sui fatti del G8 di Genova, il 3° film della 2ª edizione del CineCircolo promossa dal Circolo Culturale San Francesco e curata dalla dott.ssa Teresa Cona con lo Staff, nel suo andare incontro a ciascuno, l’altro e l’altra, «sui sentieri della misericordia». La presenza nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido sarebbe potuta essere numerosa e sarebbe davvero valsa la candela proiettarlo. «La nave dolce» non solo rendeva visibile e concreto ciò che altrimenti sarebbe stato soltanto immaginabile: coinvolgeva sia la sfera cognitiva che quella emotiva degli spettatori e lanciava a loro dei messaggi molto impressionanti, dotati di grande valore educativo. Sì, lo si doveva proiettare.

KatynIl film racconta molto di noi e del nostro Bel Paese. È uno di quelle opere che sono “agenti di storia”, cioè costruttori o addirittura protagonisti di avvenimenti significativi, per l’incidenza sull’evoluzione della società. Si consideri, al riguardo, una pellicola come Katyń (2007) di Andrzej Wajda, dedicata alla terribile strage di 22 mila prigionieri polacchi, prevalentemente ufficiali e sottufficiali, uccisi dai comunisti sovietici nel 1940 a sangue freddo, con un colpo alla nuca. In Polonia il film – anche se esteticamente non eccelso – è diventato un “caso” nazionale ed è stato visto da circa 3 milioni di spettatori. Katyń è basato su Post mortem, il libro di Andrzej Mularczyk, e sul diario del maggiore Adam Solski, trovato durante l’esumazione del cadavere nel 1943. Lo stesso regista è figlio di uno degli ufficiali polacchi uccisi a Katyń, Jakub Wajda. La pellicola evidenzia il tentativo di occultamento effettuato dai comunisti sovietici per nascondere la loro responsabilità dell’eccidio. Marc Ferro, storico francese ed esperto della Russia e della storia del cinema, osserva che in passato erano le opere letterarie a incidere sull’opinione pubblica. Si pensi, per esempio, alla battaglia culturale che suscitò oltralpe il dramma Hernani di Victor Hugo nel 1830. Oggi, invece, sono i film, gli spettacoli televisivi e soprattutto Internet gli strumenti di informazione privilegiati, in grado di esercitare, talvolta, un’azione sulle vicende storiche, nel bene o nel male. Così anche il docu-film di Daniele Vicari, il film ‘dal vivo’, incentrato sulla ‘vita colta sul fatto’, riflettendo la società, contribuisce a modificarla in meglio. Ci ricorda che anche nei momenti più oscuri e inattesi si può trovare una voce dentro di noi che ci fa rimanere umani.

La_nave_dolce_Daniele_Vicari_Foto_Luca_Turi_TuriLa proiezione è stata seguita da un breve dibattito sul dramma degli immigrati alla conquista di un “Eden” italiano. Dell’incredibile storia della nave mercantile albanese Vlora (dolce perché trasportava zucchero) che l’8 agosto 1991 con 20 mila profughi in cerca di libertà e di lavoro sbarcò nel porto di Bari e della successiva azione politico-repressiva che portò al rimpatrio forzato dei clandestini, Vicari fornisce un dettagliato e serrato racconto, grazie al materiale girato allora dalla Rai e da Tele Norba, ma anche grazie ai testimoni italiani e albanesi della vicenda: documenta alla perfezione la storia che è particolarmente istruttiva per capire quello che accadde da lì ai prossimi vent’anni come invasione extra-comunitaria nel nostro paese. Le immagini della Vlora, che si muove nel Mediterraneo, sono qualcosa di incredibile e di biblico: rappresentano il primo grande terremoto dei popoli poveri verso quello che sembrava il paese del Bengodi. È davvero difficile dimenticare quella nave attraccata al porto, ancora più conturbante di quella della Costa Crociere capovolta al largo delle coste dell’Isola del Giglio, e quella massa sterminata di maschi affamati, assetatati, stremati dal viaggio. Molti scesero dalla nave ancora prima che l’imbarcazione fosse ferma, in cerca di aiuto e di cure sanitarie, e di quella libertà tanto vagheggiata dopo decenni di miseria e di dittatura comunista. Di questi disperati, solo 1 500 circa riuscirono a sfuggire alla polizia e rimanere in Italia, mentre gli altri furono rispediti a bordo di aerei di Stato in Albania, facendogli credere che sarebbero stati trasferiti a Roma. Il sindaco del capoluogo pugliese, Enrico Dalfino, insieme a molti concittadini, diede prova di grande solidarietà, fornendo il proprio aiuto ai profughi.

Oggi, secondo Patrick Nicholson, responsabile del Servizio comunicazioni della Caritas Internationalis, «l’Europa soffre di una crisi di solidarietà nei confronti dei rifugiati che bussano alle sue porte in fuga dalla guerra». Dopo la decisione dell’Austria di limitare gli accessi ai migranti e l’annuncio, da parte dell’Ungheria, di voler indire un referendum sulle quote obbligatorie, i Paesi della “rotta balcanica” hanno introdotto analoghe misure restrittive, soprattutto alla frontiera greco-macedone, dove possono passare solo profughi dalla Siria e dall’Iraq, muniti di validi documenti di identità. «Si è creato un effetto domino»: persone che vengono trattate come merci o pacchi, rimpallate da un Paese all’altro. In Grecia, già colpita fortemente dalla crisi, sono rimaste bloccate migliaia di persone senza le adeguate condizioni per un soggiorno più lungo, come alloggi, cibo, accesso all’acqua. La Caritas non smette di distribuire confezioni di cibo, kit igienici, medicinali, ma allo stesso tempo chiede che «l’Unione europea dia priorità alla vita ed ai diritti delle persone, anziché al controllo delle frontiere». Infatti, i migranti non sono ‘flusso’ o ‘invasione’, filo spinatoma uomini, donne, bambini e anziani a rischio. La ‘fortezza Europa’ – con muri, controlli e filo spinato – non scoraggerà le persone a rischiare la propria vita per arrivarci. Non è un fenomeno che nasce oggi. Tutti i trend relativi al numero di guerre, di rifugiati e di sfollati interni sono in aumento: il 2014 e il 2015 hanno costituito i picchi di un fenomeno ben noto. Le drammatiche testimonianze che ci giungono non fanno che rafforzare, di fatto, una preoccupazione rispetto all’Europa che ha perso lo smalto nelle sue qualità di accoglienza, di rispetto, di promozione umana. Si è chiusa in se stessa ed è diventata egoista. Per qualsiasi cosa che la tocchi, o le dia un po’ fastidio, si chiude a riccio. Meravigliano anche i Paesi scandinavi che per tradizione sono stati sempre molto accoglienti: la Svezia vuole rimandarne via 80 mila e così la Finlandia; la Danimarca, poi, si prende tutti i beni di questa gente.

E’ un problema l’immigrazione. Un coraggio e una disperazione senza fine: gente che vende, lascia tutto, scappa e si imbarca nelle carrette del mare… Un sussulto di compassione, di dignità e di solidarietà, da parte nostra.

La serata si è conclusa con un aperitivo. Il prossimo appuntamento è per venerdì 4 marzo, con la proiezione del film «Il padre» del regista tedesco di origine turca Fatih Akin, seguito dal cinedibattito sul genocidio degli armeni, il male e la sofferenza, la guerra e la migrazione, il potere di amore di speranza.

(pa)

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Catanzaro: città da amare

IncontroCatanzaro Lido. – Venerdì 19 febbraio, dalle ore 18.45 alle 21, nel Salone «S. Elisabetta di Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore», si è svolta la 3ª Serata conviviale del WikiCircolo dal tema: «Curiosità su Catanzaro: un modo per scoprire ed amare la propria città». Il relatore-“cicerone” è stato l’avv. Pepino Frontera, che presentando una lista originale di “attrazioni”, ci ha condotti in un «tour» virtuale tra fatti strani e curiosi della città e dintorni. Uscendo dalle piste classiche, quelle turistiche e perlopiù commerciali, abbiamo avuto una stimolante occasione di «riaccendere in noi – come ha sottolineato Piotr Anzulewicz OFMConv, dando il là alla Serata – l’interesse e il coinvolgimento di cittadino attivo e turista creativo per costruire insieme un futuro di armonia, in una città più giusta e più solidale, nella diversità, nella convivenza pacifica delle diverse componenti, nella scia di quello che ci chiede Papa Francesco. Il suo progetto per la città è quello di trasformare l’insieme dei cittadini in un popolo che ha al centro i poveri: un insieme organico di “cittadini responsabili, non una massa amorfa”».

SassofonistaLa fatica di esserci all’appuntamento valeva la candela. Il Relatore ha parlato, tra l’altro, della miniera di barite che è stata dismessa negli anni ottanta del secolo scorso. Ha svelato come lo stemma della città, quello originario, ormai in disuso, rappresentava la seta, prodotto per cui la città era nota nei secoli scorsi. Non sono mancati vari aneddoti tradizionali catanzaresi, come quelli della Via Lattea. Ha menzionato il caso delle «monache di casa». Ha spiegato il significato del detto: «Finhi’ u tempu de’ i canonici e lignu». Ci ha raccontato come i marmi verdi di Gimigliano siano stati scelti per adornare la piazza centrale di San Pietroburgo. Ha parlato della «fhadda d’a Madonna», facendoci rivivere il “sogno”di Mico Scaramuzzino, il quale aveva dedicato la sua vita a «occhi niguri» della Madonna del Rosario.

Tanti appunti su Catanzaro, ricca di richiami storici e culturali, eventi e usanze, hanno regalato ai presenti un sorriso e destato curiosità. Un modo singolare per amare la città con una storia da fare invidia a molte altre località in Europa.

Tra i partecipanti alla Serata c’era sr. Apollonia Kasay di Cropani Marina, dove ha fondato la Casa di Nazareth, e con lei una simpatica ragazza francese della Normandia, Gerardine. In un’atmosfera gioiosa ci siamo immersi nei sapori del consueto’“aperitivo”, arricchito, oltre la pizza, da varie delizie della tradizione gastronomica calabrese, portate dalle signore partecipanti alla Serata.

Il prossimo appuntamento sarà venerdì 26 febbraio, al CineCircolo, «sui sentieri della misericordia», con la proiezione del documentario «La nave dolce» e il cinedibattito sul dramma degli immigrati alla conquista di un “Eden” italiano. Non lasciamocelo sfuggire.

Teresa Cona




Noi, cittadini di società “plurali”

Un film parlatoCatanzaro Lido – Venerdì 12 febbraio siamo al secondo appuntamento della seconda edizione del CineCircolo, nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria», all’ombra della chiesa «Sacro Cuore». Un luogo ideale per mettersi «sui sentieri della misericordia» nel tempo di Quaresima. È la volta della proiezione di «Un film parlato» del regista portoghese Manoel De Oliveira con il cinedibattito sulla «diversità culturale, laicità ed educazione al rispetto dell’alterità e al dialogo interculturale». Il maltempo: freddo e pioggia, ha scoraggiato i più a recarsi all’appuntamento. Un vero peccato, vista la grande attualità dell’argomento innescato dalla pellicola e la felice coincidenza con due eventi significativi:

  1. Fratello Sole, sorella Lunail giorno del 93° compleanno di Franco Zeffirelli, regista, sceneggiatore e politico – nel cinema restano famose le sue trasposizioni letterarie: dalla romantica vicenda di Romeo e Giulietta del 1968, a una sentita biografia del Poverello d’Assisi, visto come precursore dei “figli dei fiori”, ossia il suo Fratello sole, sorella luna, con musiche di Ritz Ortolani e Claudio Baglioni del 1972, fino al memorabile Gesù di Nazareth del 1977 entrato nella storia per il ritratto particolarmente umano del Cristo, la cui eterea spiritualità pervade l’intera opera, e all’Amleto nell’interpretazione di Mel Gibson del 1990;
  2. il convegno sul tema: «Tra paura e speranza costruiamo un futuro globale», in corso dalle ore 19 alle 22 presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma, promosso dall’associazione Zetein – una serata di dibattiti, testimonianze e confronti, aperta a tutta la città, e in particolare alle famiglie e agli studenti, per sconfiggere diffidenze ed estremismi e intraprendere percorsi di pace in un mondo dilaniato da conflitti: «Abbiamo uno scenario libico, uno siriano e quello turco – ha spiegato il prof. Giorgio Zaccaro, presidente di Zetein –, assistiamo al dramma delle migrazioni, c’è tanta miseria e tanto dolore. Nel nostro piccolo l’ambizione è quella di invertire la tendenza e di provare a dare un segnale positivo di aggregazione e di unione di mondi diversi a livello di appartenenza politica e religiosa, e cercare di offrire qualche piccola ipotesi di soluzione».

Due coincidenze felici per il nostro “convegno”, anch’esso con il dibattito aperto, creativo e pluralista rispetto alla realtà globale che spaventa tutti. Siamo consapevoli che in questo momento – a livello nazionale, europeo ed anche locale – prevale una fortissima tendenza alla sfiducia, alla frammentazione, alla passività. Noi tuttavia non ci rassegniamo. Crediamo che sia necessario intervenire, portando a conoscenza realtà positive di incontro, di accoglienza, di integrazione, di multiculturalismo, consapevoli che l’incontro con l’altro passa attraverso la cultura e questa è certamente il prezioso veicolo per costruire la pace.

La dott.ssa Teresa Cona, segretaria del Circolo e curatrice del CineCircolo, ha quindi riportato il messaggio di Jean Figel, commissario europeo per l’istruzione, la cultura e il multiculturalismo, indirizzato nell’Anno del dialogo interculturale (2008) alle Nazioni Unite. Il Commissario ha ricordato come il dialogo sia condizione indispensabile e caratteristica dell’integrazione europea: «Abbiamo bisogno di imparare a vivere assieme e ciò significa vivere appieno la propria identità nel rispetto del prossimo, arricchendoci a vicenda, oltre la tolleranza e la mescolanza culturale». Solo un aperto e rispettoso scambio di punti di vista tra individui e gruppi, appartenenti a culture diverse, può condurci ad una comprensione più approfondita della percezione globale dell’altro.

film-parlato-700x350È su questo sfondo che abbiamo guardato «Un film parlato» in portoghese, inglese, francese, italiano, greco: una babele, colta e raffinata, dove la lingua non è un ostacolo, ma mezzo di cultura. Un film dalla storia intrigante ed accattivante: Rosa Maria, giovane professoressa universitaria di storia, attraversa il Mediterraneo, assieme alla piccola figlia Maria Joana, per raggiungere il marito che si trova a Bombay. E’ un viaggio affascinante che la conduce nei luoghi dove la civiltà occidentale ha avuto la sua culla e dove si è sviluppata raggiungendo le più alte vette della sua crescita: Ceuta, Marsiglia, Pompei, Atene, Istanbul, Cairo fino ad Aden… Madre e figlia percorrono migliaia di storia e di conoscenza ed apprendono le basi e le ragioni della cultura occidentale. Sulla nave poi hanno la fortuna di conoscere il capitano, un americano di origine polacca (John Malkovich), e tre affascinanti donne: l’imprenditrice francese Dauphine (Catherine Deneuve), l’ex-modella italiana Francesca (Stefania Sandrelli), la cantante ed attrice greca Helena (Irene Papas). Esperienza elettrizzante e fertile se non fosse che qualcuno dei terroristi minacci la sicurezza della nave e dei suoi passeggeri… Infatti, un vile attentato pone fine al viaggio di Rosa Maria e della sua figlioletta, lasciando lo spettatore sbigottito a prendere coscienza di quanto balorda, dannosa e atroce sia l’incapacità di un dialogo costruttivo e sereno tra popoli di diverse civiltà.

Roosa Maria con la figlia Maria JoanaLa trama reca, dunque, messaggi altamente condivisibili. Nei suoi risvolti positivi mostra come sia facile attraverso la profonda conoscenza delle diverse culture sentirsi parte di un “tutto”. Solo la bieca, ottusa ed incivile pratica del “settarismo” e della chiusura intellettuale, sociale e politica può trascinare l’umanità verso il distruttivo annullamento di se stessa. «Oggi, o si scommette sul dialogo e sulla cultura dell’incontro, o tutti perdiamo» (Papa Francesco). Soltanto così va il cammino fecondo.

Un breve dibattito tra i presenti ha chiuso la serata. Si rimane con l’amaro in bocca sapendo che poco si è fatto, e molto più si dovrà fare, affinché gli atti terroristici, a cui stiamo assistendo oggi, vengano fermati. Questo sospinge tutti noi, cittadini di società sempre più «plurali», a guardare con più consapevole attenzione e senza pregiudizi l’«altro», il «diverso», lo «straniero» che arriva sul nostro territorio. Occorre cercare di comprenderne le sue ragioni e facilitare la sua inclusione nella società, senza spogliarlo della sua identità e delle sue radici.

Un aperitivo fugace ha stemperato gli animi. L’appuntamento è per il prossimo venerdì 19 febbraio 18.45 con la 3ª Serata conviviale dal titolo: «Curiosità su Catanzaro: un modo per scoprire ed amare la propria città».

Piotr Anzulewicz OFMConv




«Laudato si’ per sor’Acqua»

Continuano le Serate conviviali con aperitivo dedicate – nella loro seconda edizione – a «Catanzaro ed oltre». Venerdì 5 febbraio si è svolta la seconda, focalizzata su «Catanzaro-città che galleggia sull’acqua e il ‘futuro dell’acqua’ – ‘bene comune’», nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria», situato al lato destro della chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido.

Francesco - CanticoPer introdurla, Piotr Anzulewicz OFMConv ha sottoposto all’assemblea tre stralci della Lettera-Enciclica «Laudato si’ sulla cura della casa comune» di Papa Francesco (nn. 1-2 e 30) e un versetto del Cantico di frate Sole sgorgato dal cuore di Francesco d’Assisi a San Damiano nella primavera 1225: «Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Acqua, la quale è multo utile et humile e preziosa e casta» (v. 15). Una lauda che è l’espressione di stupore e di meraviglia di fronte a tale “sorella” di noi, esseri umani. Ed è anche un invito ad avere cura di lei, incalcolabile bene pubblico, primario ed essenziale alla vita, inalienabile diritto di tutti a cui, purtroppo, molti non hanno accesso. Questa “sorella”, chiamata anche l’«Oro blu», si trova oggi in grave pericolo. Anzulewicz ha quindi menzionato un “manuale” che fornisce un lungo elenco di predoni: I predoni dell’acqua. Acquedotti, rubinetti, bottiglie: chi guadagna e chi perde (Edizioni San Paolo, 2004). Il libro è stato scritto da Giuseppe Altamore, uno dei maggiori esperti in questioni idriche, sociologo e giornalista, autore di altri importanti volumi: Europa, istruzioni per l’uso (Oscar Mondadori, 1992), Tutte le parole dell’economia (Oscar Mondadori, 1994), Personal budget (Sole24 Ore, 2001), Qualcuno vuol darcela a bere. Acqua minerale, uno scandalo sommerso (Fratelli Frilli Editori, 2003).

Paesaggio«Sor’Acqua» è ormai al centro di un grande business. Multinazionali, agricoltori e semplici cittadini cercano di trarne il maggior vantaggio. Si parla di «guerre dell’acqua», di gestione privata degli acquedotti, di «corporations» che imbottigliano la minerale vendendoci l’illusione della sua purezza, di migliaia di pozzi abusivi per irrigare i campi e coltivare agrumi o meloni regolarmente destinati alla distruzione… Le grandi aziende del settore elettrico, per produrre energia, hanno già prosciugato i corsi d’acqua delle nostre Alpi e le dighe costruite al Sud, inutili, devastanti e mai ultimate, hanno già macinato milioni di euro. La desertificazione di un terzo del territorio italiano, la salinizzazione delle falde acquifere e costiere, lo sfruttamento eccessivo delle sorgenti stanno compromettendo sia la quantità sia la qualità delle nostre risorse. La più grave delle minacce è comunque l’inquinamento. Pesticidi, idrocarburi e tantissime altre sostanze tossiche stanno lentamente avvelenando la nostra «sor’Acqua». Secondo il CNR, il Ministero della Salute e l’Organizzazione Mondiale della Santità, 100 mila sostanze chimiche, create dall’attività umana, finiscono nell’acqua, ma di queste solo 3 mila sono conosciute e solo 500 testate.  In questo scenario si muovono anche i spregiudicati venditori di purificatori che tentano di trarre il maggior vantaggio possibile dai mali che attanagliano le sorgenti, i fiumi e i laghi. Leggendo il libro di Altamore, si può scoprire come trattano la «sor’Acqua» prima di farla scorrere nei nostri rubinetti. Davvero si rischia di non poter avere più acqua buona da bere. In tutto il pianeta è in corso la “guerra” economica di accaparramento, di espropriazione e di sfruttamento delle risorse, con la marcia trionfale della lobby che punta a gestirle globalmente, aprendo ulteriormente la forbice fra chi ha l’acqua e chi non ce ne ha, preconizzando un nuovo ordine globale capace solo di porci di fronte ad una nuova, terribile, insopportabile forma di diseguaglianza.

IMG_4529IMG_1638Su tale inquietante sfondo l’avv. Peppino Frontera, relatore e curatore principale delle Serate, ha proiettato i presenti in una Catanzaro sconosciuta ai più – una città che anticamente era tutto un susseguirsi di giardini pieni di fontane, di alberi e di frutti. Ha ricordato, tra l’altro, che grazie a Gioacchino Murat († 1815), generale francese e re di Napoli, venne costruito il primo acquedotto, detto del “Visconte”, che originava dai territori di Gimigliano e Pentone e raggiungeva la Piazza Matteotti, per una estensione di 12 km. L’intero manufatto idraulico (gallerie a volta, torrioni, balze, fontane del centro di Catanzaro), annoverato tra le opere di “archeologia industriale”, è oggi proprietà dell’Ente comunale di Catanzaro, il quale si è impegnato, insieme con la Sovrintendenza ai Beni Culturali, di salvaguardarlo e valorizzarlo. L’acquedotto è capace ancora di una portata media di 27 litri di acqua al secondo. Il Relatore ha dunque proseguito asserendo che la città giace su grandi falde acquifere e su di un fiume – il fiume Abisso che scorre al di sotto delle costruzioni, come veniva testimoniato dagli operai che, intenti a costruire il campanile della chiesa-madre, ne sentivano lo scroscio incessante. Ha poi ricordato le molteplici fontane e fontanelle disseminate su tutto il territorio catanzarese, la maggior parte delle quali già dismesse per vari motivi.

IMG_4538IMG_4541Dopo un gioioso scambio di ricordi tra il Relatore e l’uditorio, la parola è passata alla dott.ssa Teresa Cona, segretaria del Circolo, che ha edotto i presenti sulle ultime normative, in questioni di acqua, vigenti in Europa e, dunque, sul territorio nazionale. Intorno alla gestione dell’acqua, che è un bene primario inalienabile, gravitano fortissimi interessi. Poiché le Nazioni Unite non hanno una politica intorno alle risorse idriche, il Consiglio Mondiale sull’Acqua, creato dalle multinazionali europee, cerca di imporre le proprie politiche di gestione economiche a carico delle risorse idriche. La visione di questo Consiglio riduce l’acqua ad una “merce”, dalla gestione della quale ricavarne profitti. Di più, con la direttiva Quadro n. 6/2000, che vede l’acqua gestita da società private, ratifica due principi cardine: quello della copertura dei costi e quello che «chi inquina paga». Così i Paesi ricchi, i quali hanno accesso a tecnologie avanzate, potranno pagare per il “bene”-acqua e invece i Paesi in via di sviluppo non avranno accesso ad esso, per i costi imposti dai proprietari-gestori di questo “bene”. L’acqua come diritto umano è tuttavia bene comune ed è opportuno escludere i servizi idrici dalle regole di mercato.

IMG_4542IMG_1636Un momento importante della Serata era certamente legato all’intervento di Francesco Longo, assessore comunale alla gestione del territorio. In quest’occasione egli ha spiegato come il Palazzo De Nobili, sotto la guida del sindaco Sergio Abramo, fa fronte ai molteplici problemi della città inerenti alla gestione idrica. Si è soffermato sui rapporti della So.Ri.Cal. Spa – società delle risorse idriche calabresi, attualmente in liquidazione “tecnica” – con la Regione Calabria. Molti sono stati i problemi ereditati dalle gestioni passate, ma l’impegno dell’Assessore nel cercare di risolvere le situazioni di precarietà, ha rasserenato gli animi dei presenti che sentono il problema dell’acqua come prioritario. Si è quindi acceso un serrato dibattito e l’Assessore non si è sottratto dal rispondere a molteplici domande, assicurando il suo sincero impegno nel fare il possibile per migliorare il servizio. C’è speranza di avere al rubinetto di casa la «sor’Acqua» pura, «preziosa e casta».

La Serata si è conclusa con l’aperitivo conviviale, bevendo e mangiucchiando in compagnia cose gustose, tra cui la pizza «Margherita» (un grazie speciale alle signore Ada e Rachelina per avercela offerta, ma anche a Ghenadi e Gabriele, tecnici del suono). L’aperitivo, insomma, che ha reso la Serata davvero gradevole. Arrivederci al prossimo appuntamento del CineCircolo: venerdì 12 febbraio, con la proiezione di «Un film parlato» e il dibattito sull’educazione al dialogo interculturale e al rispetto dell’alterità.

(pa/tc/pf)

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