‹Reading› in musica in onore della Madre…

Il Circolo non finisce mai di sorprenderci. Mercoledì 21 dicembre 2022 ci ha stupito con la Serata straordinaria: musicale, lirica e conviviale, che si è tenuta nel Salone di S. Francesco della Parrocchia «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, in presenza e in diretta streaming, dal titolo: «‹Reading› in musica in onore della Madre del Signore» con lo scambio di auguri per il Natale e l’Anno 2023, ideata nell’ambito della 10ª edizione del Wiki– e CineCircolo dal filo rosso «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo» e inserita nel solco della fase narrativa del cammino sinodale della Chiesa, la 227ª Serata di seguito tra quelle conviviali con «aperitivo» e quelle cinematografiche con «cocktail».

È stata straordinaria, perché si svolgeva, da tradizione, nell’imminenza del Natale e, per la prima volta, in un momento di grandi conflittualità, con una terribile «escalation» nel cuore dell’Europa, che offusca la luce natalizia e genera la paura collettiva.

È stata straordinaria, la Serata, perché si teneva a conclusione dell’’anno dedicato a don Lorenzo Perosi († 1956), aperto il 21 dicembre 2021 al Pontificio Istituto di Musica Sacra a Roma, in occasione del 150° anniversario della sua nascita. Per 12 mesi scorreva un fiume di eventi, concerti e «meeting», sotto il patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura, del Pontifico Istituto di Musica Sacra e dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Pontefice, per ricordare questo illustre compositore piemontese, direttore del coro italiano e maestro della Cappella Musicale Pontificia Sistina (dal 1902 al 1952), nato a Tortona il 21 dicembre 1872, noto per i suoi oratori, le sue Messe polifoniche e i suoi mottetti e considerato la guida e l’esponente del cosiddetto movimento ceciliano.

È stata straordinaria, la Serata, per tanti altri motivi, tra cui per la presenza di p. Rocco Predoti, corifeo del Circolo, superiore del convento «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido e docente di teologia catechetica e teoria e prassi della comunicazione presso l’Istituto Teologico Calabro «S. Pio X» a Catanzaro e presso la Pontificia Facoltà Teologica «S. Bonaventura»-Seraphicum a Roma, e per la partecipazione di Anna Daniela Sestito, musicologa, soprano, concertatore, fondatore dell’Ensemble Quadrivium Ars et Musica a Parigi.

La Serata, avvolta dal connubio di fratellanza e speranza, si è snodata idealmente secondo il programma, postato sul sito web e la pagina social del Circolo, ma anche stampato nel pieghevole dallo Studio grafico «Zetaenne». Ecco il suo «clou» musicale e lirico:

3. Musica e lirica: 3.1.White Christmas (4:00’); 3.2. «Saluto alla Beata Vergine Maria» di s. Francesco d’Assisi; 3.3. Jingle Bell Rock (4:05’); 3.4. «Natale» di Giuseppe Ungaretti; 3.5. Silent Night (4:00’); 3.6. «È Natale ogni volta» di Patrizia Varnier; 3.7. Feliz Navidad  (4:08’); 3.8. «Buon Natale» di Alda Merini

Il M° Luigi Cimino, sassofonista, arrangiatore-compositore, direttore del complesso bandistico “Giuseppe Cimino” di Cropani, nonché presidente del Circolo, eseguendo con il suo dorato sassofono quattro famosi brani musicali, evidenziati qui in grassetto e illustrati brillantemente sullo schermo da Ghenadi Cimino, ci ha innestato nell’atmosfera natalizia, già visibile nel Salone grazie alla «Stella di Natale», portata da Maria Luisa Mauro all’inizio di novena di Natale, tanto cara al suo adorato sposo, avvocato premuroso e curatore solerte delle Serate del Circolo, amatissimo ed indimenticabile Peppino Frontera, accolto dalla Sorella Morte il 24 gennaio 2018. È stata Antonella Vitale, da brava scenografa, a trasformare questo Salone in un ‘set’ natalizio, mettendo al suo centro un tenero Bambinello e al suo lato destro un luminoso albero di Natale.

Il pubblico con delizia e stupore catturava le note dei bellissimi canti natalizi, introdotti da Lucia Scarpetta e tesaurizzava le liriche (ad una di esse ha dato voce senza pari Gabriella Sestito), presentate dal sottoscritto, cullando il tempo e lo spazio della nascita dell’Infante divino a Betlemme da Miryam di Nazareth, piccola/grande donna di grande coraggio, che da due millenni fa sognare e scuotere le nostre coscienze e ci sprona a sognare con i sogni di Dio, la «Vergine Madre, figlia del suo figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’eterno consiglio» (Dante Alighieri, Paradiso, XXXIII 1).

La gratitudine al Maestro per la sua impeccabile «performance» si è espressa nella «standing ovation» e nella consegna del bouquet con il girasole che, ‘impazzito’ di luce, si volgeva verso il cielo, alla ricerca dell’infinito.

La felice Serata musicale, lirica e conviviale si è sciolta presso un ricco e saporito ‘buffet’, preparato per tutti i gusti da Iolanda, Lucia, Federica ed altre donne del Circolo, con lo scambio di auguri per il Natale e l’Anno 2023. Il resto ‘raccontano’ le foto scattate da Antonella Vitale e Lina Tarantino.

Sia un Natale solidale con tutti, ma in particolare – come ci ha chiesto Papa Francesco al termine dell’udienza generale celebrata in mattinata – con «i tanti bambini dell’Ucraina che soffrono […], che non riescono a sorridere […], che portano su di sé la tragedia di quella guerra che è così inumana». L’Anno nuovo restituisca a loro e alle loro madri, il più presto possibile, la pace e la giustizia. E Maria, «in cui fu ed è ogni pienezza di grazia e ogni bene» (frate Francesco), interceda per loro e per il mondo intero. Fermi la mano di Caino e abbi cura anche di lui. È nostro fratello.

Piotr Anzulewicz OFMConv


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«Bambinaie celesti» al Circolo

Per farla breve, la 6ª Serata conviviale con «aperitivo» [226], focalizzata sul tema: «Caterina de’ Ricci († 1590), Veronica Giuliani († 1727) e le altre donne, bambinaie celesti», ideata nell’ambito della 10ª edizione del WikiCircolo 2022/23 dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›», e svolta venerdì 16 dicembre 2022, presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, aveva tutto o quasi tutto: tre mirabili momenti sonori, creati magnificamente e regalati nobilmente  da Amerigo Marino di Pentone (CZ), tenore lirico di fama internazionale, con un repertorio vasto che spazia dalla lirica alle canzoni classiche italiane e napoletane, tre video sulle «bambinaie celesti», tre interventi e condivisioni dei presenti nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria».

Non ce l’ha fatta ad esserci solo un relatore, con amabili scuse, che però avrebbe portato un contributo di rilievo e indiscusso nella presentazione delle «bambinaie», selezionate proprio in vista di lui e in accordo con lui, in settembre scorso. A mezzogiorno, ahimè, il programma della Serata ha dovuto virare e ribaltarsi. Quando la melanconia, cioè il sentirsi abbandonati, afflitti o tristi, minaccia non più un evento, ma il mondo intero, chi è integro si sgretola. E chi è sgretolato e da sempre inadatto, si scopre, d’improvviso, lucido e potente. Come il cieco avverte il sole senza vederlo. Spicca un balzo, rimbocca le maniche e, con buona lena e tenacia, si dà da fare, per ‘salvare’ tutti, piccoli e grandi, stolti e saggi, poveri e ricchi… Così avvenne anche venerdì, pomeriggio.

La Serata ha potuto quindi snodarsi fluidamente e sinfonicamente, seguendo il programma modificato e «rendere bello il mondo». Il M° Amerigo Marino, presentato alla platea dal M° Luigi Cimino, con la sua alta voce ha aperto l’evento, interpretando l’«Ave Maria» di Franz Peter Schubert († 1828), compositore austriaco. Ha deliziato la platea durante il panel con «La voce del silenzio» di Elio Isola († 1996), compositore, direttore d’orchestra e arrangiatore genovese, e con la «White Christmas» di Irving Berlin († 1989), compositore russo-statunitense, a conclusione, prima della foto di gruppo e del momento conviviale accompagnato dal bellissimo videoclip «Рождественские попурри»: i canti natalizi in russo, ucraino, inglese e spagnolo, eseguiti dalla Группа Мелодия, SOL Family Church e друзья. Ed ecco il nucleo del programma:

3.1. Piotr Anzulewicz OFMConv: «Chi è s. Caterina de’ Ricci? Vita, novità, attualità» (20:00′); 3.2. Videoclip «La Santa Caterina» di Lisetta Luchini (4:08′); 3.3 Video «Il raro stendardo di s. Caterina de Ricci» (00:50′); 3.4. «La vita di s. Veronica Giuliani» – Intervista alla giornalista Lucia Bigozzi, insieme ai collegamenti da Mercatello sul Metauro di Giacomo Avanzi (00-18:37′); 3.5. Condivisione (10:00′); 3.6. M° Amerigo Marino: «La voce del silenzio» di Elio Isola; 3.7. «In piedi, signori, davanti a una donna» (3:06′)

La Serata meriterebbe un articolo ben corposo e decisamente ‘a toni angelici’, ma qui un cenno solo ad una delle «bambinaie celesti», s. Caterina de’ Ricci, la mistica domenicana fiorentina che ha legato indissolubilmente il proprio nome a Prato, città in cui ha vissuto gran parte della sua vita. Quest’anno ricorrono i 500 anni dalla sua nascita (23.03.1522). Un fiume di eventi, tra cui quello di venerdì 14 ottobre scorso: il convegno nel Salone consiliare di Prato sulla storia della compatrona della città,promosso nell’ambito delle iniziative del cinquecentenario della Santa. Ne hanno parlato quattro donne ricercatrici, esperte di storia della Chiesa e del monachesimo: Roberta Franchi, Isabella Gagliardi e Anna Scattigno dell’Università di Firenze e la ricercatrice e docente Veronica Vestri, tratteggiando la figura della Santa e inquadrando la sua grandezza nel contesto del suo tempo.

Il monastero domenicano fu il luogo dove, una volta fatta la professione di fede, il 24 giugno 1536, Caterina rimase fino al giorno della sua morte avvenuta il 2 febbraio 1590. Il suo corpo riposa nella basilica omonima, una delle chiese che esprime al meglio il tardo barocco presente a Prato, con il bellissimo coro monastico, dono di uno dei figli spirituali della Santa, il fiorentino Filippo Salviati.  Da febbraio 1542 la Santa iniziò a essere soggetta a una serie di rapimenti estatici che si verificarono ogni settimana per dodici anni. La sua devozione al Crocifisso, ancora oggi conservato nel monastero, era instancabile, come la sua capacità di saper guidare la comunità, nei decenni in cui fu priora, e intrattenere rapporti con esponenti della società del suo tempo, testimoniata da un prezioso Epistolario che documenta come fosse capace di arrivare lontano, pur rimanendo nella clausura. Il 24 agosto 1542 nel monastero avvenne un fatto prodigioso: il Cristo in legno, presente in una cella, si staccò dalla croce per abbracciare Caterina. Fu uno dei miracoli più stupefacenti che si raccontano della vita della Santa. A testimoniarlo furono le consorelle che assistettero al prodigio: il Crocefisso chiese alla Santa tre processioni di espiazione per i peccatori. Così, da quasi cinque secoli, le monache domenicane non sono mai venute meno a quella richiesta. Per tre giorni, il 22, il 23 e il 24 agosto, ogni anno, le claustrali all’interno dell’antico monastero portano in processione quello stesso Crocifisso che abbracciò Caterina de’ Ricci.

C’è chi – tra gli studiosi – la definisce «bambinaia celeste», un’espressione, a prima vista, bizzarra, strana, insolita. Nella raccolta delle sue visioni, i Ratti, possono essere individuate alcune scene in cui la Mistica domenicana vezzeggia Gesù Bambino, lo stringe fra le sue braccia, e lo bacia teneramente. L’apice di questo amorevole atteggiamento nei confronti di Gesù Bambino «è raggiunto – scrive Mattia Zangari nel suo studio Santità femminile e disturbi mentali fra Medioevo ed età moderna (Edizioni Laterza, 2022) – nel corso della visione del Natale del 1542. Caterina ebbe un rapimento in cui le si materializzarono davanti agli occhi la Vergine e Gesù Bambino: la Madonna indossava un vestito azzurro ricamato, un velo e un ammanto di seta bianca. A un certo punto Maria le consegnò Gesù e le mostrò il modo in cui avrebbe dovuto cullarlo, raccomandandogli di ninnarlo lentamente. […] La Mistica rimosse il velo adagiato sulla culla per vedere meglio il Piccolo; gli baciò le “manine”, i “piedini”, le “braccine”, la “golina” […], dopodiché Gesù Bambino si lavò il “visino” con le lacrime di Caterina, che intanto si era commossa» (p. 46).

II desiderio di maternità, negato alle donne mistiche del Medioevo e dell’età moderna, veniva sublimato, dando luogo alla devozione al Divino Infante, cullato e vezzeggiato, quasi fosse un bambino vero. Sembra che la messa in scena di questa devozione, anche con l’uso di bambole, sia stato per le religiose, che avevano fatto voto di castità, modo alternativo di vivere la maternità e la sessualità. È possibile rinvenire numerosi esempi di questa maternità sublimata: la mistica francescana Angela da Foligno († 1309), che afferma di aver visto la Madonna mentre era nella chiesa di frati minori di Foligno: la Vergine protese le braccia in avanti e le offrì Gesù Bambino in fasce, e la mistica domenica Benvenuta Bojanni († 1292), alla quale compaiono molteplici personaggi celesti: Gesù Bambino, Vergine, s. Domenico, gli angeli…

E questo è un po’ la missione delle donne, ricca di tenerezza, amorevolezza e devozione, oltre che di parole: «Il contributo delle donne è impareggiabile – affermò Papa Francesco, rivolgendosi il 7 febbraio 2015 alla Plenaria del Dicastero della Cultura, incentrata sul tema Le culture femminili: uguaglianza e differenza – per l’avvenire della Chiesa». Allargando lo sguardo alla società, denunciò la mercificazione del corpo femminile e «le tante forme di schiavitù», a cui sono sottomesse, e lanciò un appello affinché, per vincere la subordinazione, sia promossa la reciprocità. Sull’argomento tornò anche nell’udienza alla Pontificia Accademia della Vita, il 5 ottobre scorso, e chiese di ripartire «da una rinnovata cultura dell’identità e della differenza». Criticò «l’utopia del neutro» e «la manipolazione biologica e psichica della differenza sessuale». È necessaria, secondo lui, «un’alleanza dell’uomo e della donna», chiamata «a prendere nelle sue mani la regia dell’intera società».

«In piedi, allora, signori, davanti a una donna»: protagoniste sono le donne del Circolo! E arrivederci alla prossima meraviglia: la Serata speciale, perché musicale, lirica e conviviale, dal titolo «Reading in musica in onore della Madre del Signore».

Piotr Anzulewicz OFMConv


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Donna che sogna un mondo migliore

È stata accolta con fervore, come esistenziale, vitale ed attuale, la 5ª Serata cinematografica, la 225ª di seguito, che si è svolta venerdì 9 dicembre 2022, alla vigilia del triduo di preghiera a s. Lucia († 304), protettrice degli occhi, dei ciechi, degli oculisti, di tutti coloro che soffrono di disturbi visivi: i non vedenti, i miopi, gli astigmatici… e chi è affetto da cataratta, patrona di Siracusa e compatrona di Venezia.

È stata giustamente Lucia Scarpetta, ‘particella’ dello Staff del Circolo, a presentare la trama del «Tutta la vita davanti» di Paolo Virzì e condurre il cinedibattito «Donna che sogna un mondo migliore per sé e per la bambina cui fa da baby-sitter›», tenendo conto del motto della 10ª edizione del CineCircolo: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›, per immagini», ma la Serata si è aperta esemplarmente con il videoclip contenente la canzone «Ho imparato a sognare» dei Negrita, riproposta dalla cantante romana Fiorella Mannaia, una delle protagoniste femminili della canzone popolare italiana, dalla voce leggera e soave. «I sogni sono la spinta propulsiva della nostra vita – ha confidato in una intervista. – Non è poi indispensabile che si realizzino, l’importante è averli perché spingono a fare meglio», a donare se stessi, ad aprirsi agli altri, «in un momento delicato come quello che stiamo vivendo, così pieno di paure» e chiusure.

Lucia ha quindi catalizzato l’attenzione dei presenti nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido sulla proiezione curata con diligenza dall’operatore audiovisivo Ghenadi Cimino. Il regista livornese, considerato da molti l’unico continuatore della commedia all’italiana dal sapore provinciale e un po’ agrodolce con una sana spruzzatina di ispirato neo-realismo, ha introdotto gli spettatori nella favola nera di Marta, ventiquattrenne siciliana trapiantata a Roma e neolaureata con il 110 e lode, abbraccio accademico e pubblicazione della tesi in filosofia teoretica. Umile, curiosa e un poco ingenua, Marta si vede chiudere in faccia le porte del mondo accademico ed editoriale, per ritrovarsi a essere “scelta” come «baby-sitter» dalla figlia della sbandata e fragile ragazza madre Sonia, interpretata con struggente intensità da Micaela Ramazzotti. È proprio questa “Marilyn di borgata” – scrive Chiara Renda nella sua recensione – a introdurla nel Call Center della Multiple, azienda specializzata nella vendita di un apparecchio di depurazione dell’acqua apparentemente miracoloso. Da qui inizia il viaggio di Marta in un mondo alieno, quello dei tanti giovani, carini e “precariamente occupati” italiani: in una periferia romana spaventosamente deserta e avveniristica, isolata dal resto del mondo come un reality, la Multiple si rivela pian piano al suo sguardo ingenuo come una sorta di mostro che fagocita i giovani lavoratori, illudendoli con premi e incoraggiamenti (sms motivazionali quotidiani della capo-reparto), «training» da villaggio vacanze (coreografie di gruppo per “iniziare bene la giornata”) per poi punirli con eliminazioni alla Grande fratello. Un mondo plasticamente sorridente e spaventato, in cui vittime e carnefici sono accomunati da una stessa ansia per il futuro che si tramuta in folle disperazione. Non c’è scampo per nessuno all’interno di queste logiche di sfruttamento, e a poco servirà il tentativo dell’onesto, ma evanescente sindacalista Giorgio Conforti di cambiare idealisticamente un mondo che difficilmente può essere cambiato.

Prendendo spunto dal libro della blogger sarda Michela Murgia, «Il mondo deve sapere», Virzì esplora con gli occhi di Marta l’inferno di questo precariato con tutta la vita davanti; e lo fa con lo spirito comico e amaro che da sempre lo contraddistingue. Accentuando stavolta i toni tragicomici e grotteschi da commedia nera, il regista toscano dà vita a un’opera corale, matura e agghiacciante, che rivisita (attualizzandola) la miglior tradizione della commedia amara alla Monicelli, costruendo – grazie anche all’apporto del fido sceneggiatore Francesco Bruni – personaggi complessi e sfaccettati, teneri e feroci, comici e tragici a un tempo, ma tutti disperatamente umani e autentici.

Con la stessa umiltà e onestà intellettuale di Marta, Virzì si muove tra le spaventose dinamiche del mondo moderno senza mai cadere nel facile giudizio, nel pietismo o – vista l’attualità del tema – nella trappola del film a tesi, mantenendo sempre in primo piano il suo amore per gli ultimi e una compassione per le sue creature disperate e perfide, figlie di una società malata, ma forse non ancora in fase terminale. E se Marta può ancora sognare un mondo migliore per sé e per la bambina cui fa da «baby-sitter», un mondo che balla spensierato ascoltando i Beach Boys e si affeziona a una voce telefonica, tutto attorno resta – conclude Renda – un ritratto allarmante dell’Italia di oggi, che Virzì svela sapientemente sotto una patina di sinistra comicità. Un’Italia dolce e amara quella di Tutta la vita davanti, che commuove e angoscia, lasciandoci con un groppo in gola, come quell’ovo sodo che non andava né su né giù.

La proiezione del film, con un ‘taglio’ della sua parte centrale che finisce per annoiare – ‘perpetrato’ abilmente da Ghenadi – ha innescato un vivace e a tratti infuocato dibattito, condotto nel modo fluido e ritmico da Lucia Scarpetta. Al microfono si alternavano Tonia Speranza, Maria Rainone, Ninetta Crea, Maria Rosa Cunia, Luigi Cimino… Ha fatto seguito la riflessione di Papa Francesco sul ruolo della donna nella Chiesa e sull’urgenza di trovare criteri e modalità nuove affinché «le donne non si sentano ospiti, ma pienamente partecipi nei vari ambiti della vita sociale ed ecclesiale». Il denso dibattito si è concluso con la lettura di un brano della «Lettera alle donne» di Giovanni Paolo II, fatta con un’intensa commozione da Marialuisa Mauro: «[…] Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l’indispensabile contributo che dai all’elaborazione di una cultura capace di coniugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del “mistero”, alla edificazione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità» (n. 2).

Il presidente Luigi ha annuncio quindi il prossimo evento che si terrà venerdì 16 dicembre (6ª Serata conviviale, focalizzata su «Caterina de’ Ricci († 1590), Veronica Giuliani († 1727) e le altre donne, bambinaie celesti» [226]), e ha invitato alla foto di gruppo e al «cocktail», reso particolarmente ricco e appetibile (castagnaccio di Gabriella, insalata russa e crostata di Tiziana, arancini di Loredana, Ferrero Rocher e Pocket Coffee di Antonella, mandarini di Maria Rainone). È stato impossibile a non pensare, anche questa volta, alle donne e ai bambini della martoriata Ucraina. Il videoclip «Рождественские попурри» con i canti natalizi in quattro lingue: russo, ucraino, inglese e spagnolo, ha rasserenato tutti, ha allargato il perimetro della fraternità e ha spronato a sognare un mondo migliore.

Piotr Anzulewicz OFMConv


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«Dottorar le donne», senza paura

Una Serata sonora, interattiva, conviviale, con le persone che si stimano e si ammirano, quella che si è svolta venerdì 2 dicembre 2022 nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido e si è focalizzata sul tema: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia († 1684), la prima donna a potersi fregiare del titolo di Doctor», la 5ª della 10ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›».

Sonora, con la strepitosa performance del soprano Maria Grazia Cucinotta che ha cantato tre famosi brani: 1. «Ave Maria» di Charles François Gounod († 1893), all’inizio; 2. «Agnus Dei» di Georges Bizet († 1875), a metà; 3. «Astro del ciel» di Franz Xavier Gruber († 1863), a conclusione, rendendo bello il nostro mondo, più melodico, armonioso e soave e meno monocorde, uniforme, soliloquiale e privo di ritmo.

Interattiva, con il sostanzioso panel, che grazie alle sue peculiarità ha infervorato i presenti. Le sue sequenze digitali, virtuali, da remoto, e reali, fisici, in presenza, si snodavano così:

3.1. Monologo di Lucia Schierano: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia» [I] (3:06′); 3.2. Dr. Maria Luisa Mauro: «Vicenda accademica di Elena Lucrezia» (15:00′); 3.3. Monologo di Lucia Schierano: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia» [II] (3:59′); 3.4. Intervista a Alessandra Schiavon e a Tatiana Corretto, funzionarie archiviste nell’Archivio di Stato di Venezia (5:04′); 3.5. Monologo di Lucia Schierano: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia» [III] (1:42′); 3.6. Dr. Piotr Anzulewicz OFMConv: «Dottorar le donne, senza stereotipi di genere e paura» (10:00′); 3.7. Condivisione (10:00′); 3.8. M° Maria Grazia Cucinotta: «Agnus Dei» di Georges Bizet († 1875), compositore e pianista francese; 3.9. Lettura del «Messaggio alle donne» di Paolo VI

Conviviale, con la commovente consegna di un ‘segno’ e di un attestato di ringraziamento alla M° Maria Grazia Cucinotta, da parte del M° Luigi Cimino, presidente del Circolo, e della sottosegretaria Lucia Scarpetta, e con il piacevole momento di fraternità, presso il buffet, amorevolmente preparato da Gabriela, Pina, Loredana, Lucia, Luigi e Iolanda.

Nell’insieme, una Serata eccellente per l’orecchio, l’occhio, il palato.., con un finale omaggio – come nelle Serate precedenti – alle donne ucraine: il video, proiettato da Ghenadi Cimino, operatore audiovisivo e sonoro, con la canzone patriottica Ой, у лузі червона калина (Oj u luzi červona kalyna; lett. “Oh, viburno rosso nel prato”), scritta dal compositore Stepan Čarnec’kyj nel 1914, virale attualmente in Ucraina, ma vietata severamente nei territori occupati dalla Russia, pena multe, prigione o esilio.

Emozionante Serata ha disegnato, in poco più di un’ora e mezzo, il ritratto della prima donna laureata al mondo, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, intellettuale veneziana e oblata benedettina, oltre al composito mondo culturale, sociale e politico della seconda metà del sec. XVII, tra Venezia e Padova. Elena Lucrezia, affamata di cultura vera, intraprese un cammino nuovo, solitario, quasi scandaloso eppure esaltante e bellissimo, quando alle donne era consentito soltanto il matrimonio o il velo. Si consacrò allo studio e alla passione intellettuale. Appoggiata dal padre Giovanni Battista, facoltoso patrizio e colto procuratore della Repubblica di Venezia, nascose dietro la vocazione alla severità un temperamento orgoglioso, ribelle ed appassionato. Sfidò i costumi dell’epoca e la mentalità contraria all’istruzione delle donne e, nonostante l’opposizione del card. Gregorio Barbarigo († 1697), vescovo di Padova, riuscì a sostenere e superare l’esame pubblico davanti a una moltitudine di persone. A lei i notabili del Sacro Collegio dell’Università di Padova, il 25 giugno 1678, attribuirono il titolo di «magistra et doctrix in philosophia» e le consegnarono le insegne del dottorato. Non però – come avrebbe voluto – in teologia: quando, per volere del padre di Elena, venne fatta richiesta di riconoscerle la laurea in teologia, la reazione del card Barbarigo fu senza appello: «È uno sproposito dottorar una donna, ci renderebbe ridicoli a tutto il mondo». A lui, come a tanti altri come lui, la storia non ha dato né darà ragione, con buona pace della misoginia, ecclesiastica e non solo, ancora imperante.

Elena Lucrezia, con la sua laurea, è diventata emblema della ricerca di uguaglianza e del riscatto femminile. Questo per teologhe cristiane ha significato recuperare gli infiniti reperti di protagonismo femminile presenti anche nella Bibbia e portarli alla luce nella loro autenticità, cioè liberarli dalle scorie secolari di un’interpretazione sessista o, per dirlo con la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, dal pericolo di un’unica storia, quella maschile. Un lavoro arduo, scandito da domande che continuano a martellare: «Perché il filo memoriale delle donne bibliche che abbiamo ricostruito – si chiede la teologa Marinella Perroni su «Re-blog. Il post della rivista Il Regno» – non ce la fa a diventare patrimonio comune delle nostre Chiese, nelle quali domina ancora un’interpretazione dei testi biblici del tutto funzionale al mantenimento di un sistema fondato sulla gerarchia dei sessi?». Perché, evocando il card. Barbarigo, ci sono ancora tanti “santi” uomini che considerano uno sproposito «dottorar le donne»? Come è possibile che, ancora oggi, nel recente documento della Conferenza episcopale italiana, consegnato il 12 luglio scorso alle Chiese locali per orientare il secondo anno del cammino sinodale, dal titolo «I cantieri di Betania», si ratificano e si veicolano dolorosi stereotipi che, oltre tutto, alterano la comprensione del racconto evangelico della visita di Gesù alle sorelle di Betania? Perché nel paragrafo «Il cantiere dell’ospitalità e della casa» (p. 9), quando si delineano i caratteri della Chiesa domestica, si afferma che in essa la comunità vive «una maternità accogliente e una paternità che orienta», senza rendersi conto che questa considerazione apre in realtà uno squarcio sugli stereotipi di genere che pesano come un macigno sulle nostre Chiese?

Ha ragione Anita Prati quando ricorda nel suo bellissimo articolo dal titolo Lo sproposito di dottorar le donne, pubblicato il 27 luglio scorso su SettimanaNews, il portale dei Dehoniani, che «l’arco di tempo, che ha visto le donne impegnate a sanare il divario secolare, anzi millenario, in termini di disparità di educazione, di libertà e di possibilità di scelta, rispetto agli uomini, è ancora molto breve», e cita le parole con cui, nel 1622, Marie de Gournay stigmatizza le conseguenze di una cultura fondata sulla gerarchia dei sessi: «Beato te, lettore, se non appartieni al sesso cui tutti i beni sono vietati, con la privazione della libertà, nell’intento di costituirgli come sola felicità, come virtù sovrane e uniche: l’essere ignorante, fare la sciocca e servire».

La strada da percorrere è quindi lunga e forse per ora c’è solo da sperare che un numero crescente di padri, e di madri, sollecitino e orientino le figlie allo studio, senza paura di «dottorar le donne». È una speranza che viene da lontano.

Piotr Anzulewicz OFMConv


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«Nabat»: la forza d’animo di una donna sola

Un’altra Serata cinematografica gradita, innovativa, avanguardistica, da infilare nel Pantheon delle avanguardie, arricchendolo con le storie di donne intrepide, decise, coraggiose, storie che possono aiutare altre donne ad aprire gli occhi anche sulle insidie, sulle trappole, sui pericoli nascosti dietro i falsi modelli di successo, di autoaffermazione, di liberazione.

È stato decisamente il giorno giusto, venerdì 25 novembre 2022, per chinarsi sull’«ostinazione delle donne a non cedere alla barbarie, sulla loro resilienza, sulla loro capacità di cura» e proiettare il film «Nabat» di Elchin Musaoglu, selezionato dallo Staff del Circolo Culturale San Francesco per la 10ª edizione del CineCircolo dal leitmotiv: «Donne, ‹sorelle tutte›, che ‹fanno bello il mondo›, per immagini», ideata dentro la fase narrativa del cammino sinodale della Chiesa. In quel giorno ricorreva la 23ª Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne, indetta dall’ONU e messa in risalto in Italia dal lancio della campagna della Polizia di Stato «Questo non è amore», l’appello a «mettere in salvo» le donne, cioè a garantire loro sicurezza da soprusi, maltrattamenti e abusi, minacce e recidive, frequenti anche dopo un’eventuale pena, e ad accompagnarle in ogni fase. Papa Francesco, parlando ai componenti della Direzione Centrale Anticrimine, ricevuti all’indomani della Giornata in Vaticano, nella Sala Clementina, ha indicato quelli che sono i punti cardine per estirpare la violenza contro le donne, fenomeno permanente, diffuso, trasversale, aggravato dalla pandemia e alimentato dai media: prevenzione e protezione, educazione e accompagnamento. «Per vincere questa battaglia – ha rimarcato – non basta un corpo specializzato (…) e non bastano l’opera di contrasto e le necessarie azioni repressive (…). Bisogna unirsi, collaborare, fare rete: e non solo una rete difensiva, ma soprattutto una rete preventiva!». È prezioso avere anche «una mirata preparazione psicologica e spirituale – ha detto il Papa – perché solo a livello profondo si può trovare e custodire una serenità e una calma che permettono di trasmettere fiducia a chi è preda di violenze brutali». Tante donne cristiane, venerate come martiri, ne sono esempio. Il Papa ne ha citato alcune, da s. Lucia di Siracusa († 304) e s. Maria Goretti († 1902) alla b. Maria Laura Mainetti († 2000), la religiosa assassinata a Chiavenna (SO) da tre ragazze durante un rito satanico. Ci sono tante «sante della porta accanto» che con la loro vita «testimoniano che non bisogna rassegnarsi, che l’amore, la vicinanza, la solidarietà delle sorelle e dei fratelli può salvare dalla schiavitù». La loro testimonianza va proposta a ragazze e ragazzi di oggi: «Nelle scuole, nei gruppi sportivi, negli Oratori, nelle associazioni – ha esortato il Papa – presentiamo storie vere di liberazione e di guarigione, storie di donne che sono uscite dal tunnel della violenza e possono aiutare altre donne.

È una benedizione donne gioiosamente presenti nello Staff del Circolo e nel Salone di S. Elisabetta in cui si tengono le Serate: Iolanda De Luca, Maria Rainone, Rina Gullà, Gabriela Sestito, Tonia Speranza, Marialuisa Mauro, Elisabetta Guerrisi, Patrizia Corapi, Loredana Olivadoti, Lucia Scarpetta, Antonella Vitale, Federica Astarita, Asia Brogeri…, le donne che possono meglio capire altre donne, ascoltarle e sostenerle, e ‹fare bello il mondo›. Sono centrali nel Circolo e indispensabili in un mondo che invece troppo spesso le mette agli angoli. «Devono essere rispettate – sottolineò con forza Papa Francesco il 15 settembre scorso, nel discorso di chiusura del 7° Congresso delle Religioni Mondiali e Tradizionali, riprendendo uno dei punti contenuti nella Dichiarazione finale dell’assise a Nur Sultan, in Kazakhstan – riconosciute e coinvolte. (…) A loro vanno affidati ruoli di responsabilità maggiore». Ci sono luoghi dove questo è ancora sogno. Le costanti notizie di cronaca, che si susseguono sui giornali e nelle trasmissioni televisive, radiofoniche e pubblicitarie, ci portano a pensare che siamo ancora lontani dal considerare la donna per ciò che è e racchiude in sé: una bellezza profonda, da scoprire; una capacità infinita di accoglienza, di intuizione e di donazione, da valorizzare; una genialità stupefacente nel trasmettere l’armonia, la pace e l’amore, da valorizzare. La donna non è un oggetto da “usare e gettare” o una merce da comperare e consumare. Sia quindi “benedetta”.

La 4ª Serata cinematografica iniziò allora con il videoclip Che sia benedetta, mandato in onda dall’operatore Ghenadi Cimino, in omaggio a colei “che dona l’amore che ha dentro” e ci invita a tenerci stretta la vita, per quanto ci sembri assurda e complessa, incoerente e testarda. A cantare il suo bellissimo brano, Erika Mineo, in arte Amara, dalla voce graffiante, artista di strada toscana e autrice di splendide canzoni portate al successo da altre voci.

Dopo i saluti istituzionali e l’introduzione al programma della Serata, Lucia Scarpetta relazionò la trauma del film «Nabat», dalla splendida fotografia e dall’eccellente interpretazione della convincente protagonista, di straordinaria attualità proprio oggi, in pieno periodo della guerra russo-ucraina. Una accorata riflessione sul destino dei Paesi devastati dalla guerra. Infatti, il film, presentato nella sezione Orizzonti della 71ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2014, viene dall’ex-Repubblica sovietica, dall’Azerbaidžan, il Paese più grande del Caucaso. Nabat è il titolo, ma anche il nome della protagonista, una donna non più giovane che vive nei pressi di un villaggio di montagna cui il conflitto armato ha strappato l’amato figlio. Le truppe nemiche stanno per arrivare nella sua remota regione e pochi abitanti del villaggio fuggono a causa dei bombardamenti, ma lei rifiuta caparbiamente di lasciare la casa e il marito Iskender, un ex lavoratore forestale vecchio e moribondo, preferendo andare incontro a un destino segnato: solitudine, isolamento, privazioni. Nabat lotta e resiste con coraggio e dignità alla fatica e alla disperazione, ma le sue forze si spengono a poco a poco come i lumi a petrolio che lei si ostina a tenere accesi nelle case ormai disabitate affinché le notti sui monti siano meno buie e un barlume di vita possa continuare a illuminare il vuoto. Madre coraggio certamente, Nabat incarna ben altre immagini. È la madre per antonomasia. È la patria che si prende cura dei propri figli. «Last but non least», la conservatrice di una memoria che altrimenti andrebbe perduta. Figura esemplare, dunque, cui presta il proprio volto l’intensa attrice iraniana Fatemeh Motamed-Arya chiamata sul set dopo che il regista Elchin Musaoglu aveva fallito ogni ricerca in patria. Il ruolo, quasi totalmente muto, poggia sulla sua straordinaria intensità mimica e fisica: corpo-madre piegato dal dolore, dalla fatica del vivere e dal peso dei ricordi. Pochi i dialoghi e i suoni rarefatti: il respiro affannoso della protagonista e l’eco dei suoi passi lungo i sentieri, l’ululato lamentoso di un lupo solitario che si aggira nei dintorni della casa, il rimbombo lontano delle cannonate. La guerra – suggerisce il regista – non conosce confini. Ogni vittima è vittima del mondo. Una tesi non nuova, ma le immagini, di cui si serve per enunciarla, raccomandano coerenza stilistica, respiro narrativo, rigore formale. Finale quietamente malinconico e dolcemente visionario.

Film rigoroso e al tempo stesso doloroso, in cui la figura femminile assurge a simbolo della forza d’animo che non si arrende di fronte alle avversità del destino e dell’abbandono, alla crudeltà della guerra e alle morse della solitudine. Sentirsi soli o sentirsi amati sulla terra? La visione della pellicola rese cristallina la risposta: «Da soli siamo dei ‘freaks’. Insieme siamo qualcosa di meraviglioso, cercando di essere degni di essere amati l’uno dall’altro, complementari, solidali». Il desiderio di essere insieme si rendeva ancora più palese durante il cinedibattito che si snodava affabilmente in queste sequenze:

3.1. Interventi: «Nabat» – una potente parabola sulla resilienza femminile, sulla capacità di cura delle donne, e sull’ostinazione a non cedere alla barbarie (10:00′); 3.2. Notturno dall’Italia – Donne della Resistenza di Giuni Russo (3:36′); 3.3. P. Anzulewicz OFMConv: «Perché la non accettazione di vecchiaia e malattia porta la società a non accettare défaillance in una donna?» (5:00′); 3.4. Lettura di alcuni passaggi della «Lettera alle donne» di Giovanni Paolo II (nn.10-12).

Seguirono quindi le comunicazioni del presidente Luigi Cimino, relative al Circolo, l’annuncio del prossimo evento [venerdì 2 dicembre: 5ª Serata conviviale, focalizzata sul tema: «Elena Lucrezia Cornaro Piscopia († 1684), la prima donna a potersi fregiare del titolo di Doctor»], la foto di gruppo, l’ascolto della canzone «Le poche cose che contano» di Amara e Simone Cristicchi, trasmessa da Ghenadi nel videoclip, e il «cocktail», preparato premurosamente da Iolanda e Loredana e servito graziosamente da altre donne, «lasciando larga e benefica impronta di sé» nel Salone di S. Elisabetta d’Ungheria presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. Le prossime Serate non mancheranno, certo, di registrare nuove e mirabili manifestazioni del «genio femminile».

Piotr Anzulewicz OFMConv


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