Ci ha regalato il colore e il calore la 4ª Serata conviviale, focalizzata sul tema: «Connessioni dei giovani nei non-luoghi», ideata nella cornice della 7ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Negli spazi abitati dai giovani…», e svoltasi venerdì 9 novembre 2018 presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. Nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria», nella platea, spiccava il colore di p. Lawrence, zambiano, pur per poco, e presso la piccola tavola rotonda quello di Garcia, venezuelana, per l’intera durata dell’evento. Nello spazio del locale si espandeva il calore, originato dalle presenze straordinarie, tra cui quella di p. Joaquín Ángel Agesta Cuevas, francescano spagnolo, nativo di Castejòn (Navarra), membro della provincia francescana di Nostra Signora di Monserrat e assistente della federazione inter-mediterranea dei Ministri provinciali, in visita canonica alle fraternità conventuali in Calabria, su mandato del Ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali.
L’evento si è aperto con il videoclip «Perfetti sconosciuti» di Fiorella Mannoia, in reminiscenza della Serata del 12 ottobre e in sintonia con quella in corso. L’ha introdotta, con la lievità francese, Teresa Cona, segretaria del Circolo, presentando il programma e leggendo la lettera di Marisa Rizzello di Roma che l’ha consegnata poco prima e se n’è andata da sua mamma Patrizia, bisognosa ormai del suo «I care». «Quest’anno non ci è stato possibile partecipare agli incontri – ha scritto anche a nome di sua sorella Margherita – e ne siamo molto dispiaciute. Avremmo voluto ricordare insieme a voi il caro Peppino che tanto si è speso per la crescita del Circolo e a cui ha dedicato tanto del suo tempo e del suo amore. In sua memoria vogliamo dare il nostro piccolo contributo, con l’augurio che possiate portare avanti quest’iniziativa così importante per il territorio». Un «trio» affettuoso e caloroso. In premio, Dante Alighieri lo potrebbe mettere nel «Paradiso», in compagna di Peppino, e incoronarlo.
Ad esporre e illustrare l’argomento della Serata («Connessioni dei giovani nei non-luoghi»), presso la tavola rotonda, c’erano due talentuose ragazze: Clarissa Errigo e Tatiana Cricelli, insieme alla debuttante Garcia Oslaida, con la sua attraente testimonianza. La loro «performance», intercalata da due brevissimi, ma significativi video («I non-luoghi» di Francesco Nencini, fotografo, ispirato a Marc Augé, antropologo e filosofo francese, e «Non-luogo» di Valeria Della Valle, professoressa associata di linguistica italiana all’Università di Roma «La Sapienza»), è sfociata nel dialogo con il pubblico. Menzione specialissima meritano due interventi: quello di p. Joaquín Ángel sul significato dello sguardo dell’essere umano che come un barometro registra, rivela e riassume milioni di attimi e di parole, e quello di Mario Caccavari, perito chimico e pensionato felice, sui vantaggi di crescita in una famiglia numerosa. Il vantaggio più grande? A casa c’è sempre allegria, alleanza, solidarietà, amore…
Ma cosa sono effettivamente i non-luoghi? L’espressione ‘non-luoghi’– ci ha spiegato con acribia critica Clarissa, tenendo conto delle sfumature – non significa, come si potrebbe immaginare, “luoghi che non esistono”. Essa significa invece luoghi privi di un’identità, luoghi anonimi, luoghi amorfi, luoghi staccati da qualsiasi relazione con il contorno sociale, con una tradizione, con una storia, con una cultura. In genere, quando si parla di non-luoghi, si ricordano i centri commerciali, le stazioni, gli aeroporti, gli autogrill, tutti luoghi che hanno questa stessa caratteristica: una sorta di anonimato o una riproduzione in serie. Da qui uno dei paradossi dei non-luoghi: il viaggiatore di passaggio smarrito in un paese sconosciuto si ritrova solamente nell’anonimato delle stazioni, delle autostrade, dei centri commerciali e degli altri non-luoghi. Nonostante l’omogeneizzazione, i non-luoghi solitamente non sono vissuti con noia, ma con una valenza positiva (l’esempio di questo successo è il «franchising», ovvero la ripetizione infinita di strutture commerciali simili tra loro). Gli utenti poco si preoccupano del fatto che i centri commerciali siano tutti uguali, godendo della sicurezza prodotta dal poter trovare in qualsiasi angolo del globo la propria catena di ristoranti o la medesima disposizione degli spazi all’interno di un aeroporto. Quasi in ogni grande centro commerciale possiamo trovare cibo italiano, cinese, americano, messicano, turco, magrebino… Ognuno ha il suo stile e le sue caratteristiche nello spazio assegnato, senza contaminazioni e modificazioni prodotte dal non-luogo. Il mondo con tutte le sue diversità è tutto racchiuso lì.
In generale i non-luoghi sono gli spazi dello standard, in cui nulla è lasciato al caso: tutto al loro interno è calcolato con precisione: il numero di decibel e dei lumi, la lunghezza dei percorsi, la frequenza dei luoghi di sosta, il tipo e la quantità d’informazione. Sono l’esempio esistente di un luogo in cui si concretizza il sogno della “macchina per abitare”, spazi ergonomici efficienti e con un altissimo livello di comodità tecnologica (porte automatiche, illuminazione, acqua). Sono incentrati solamente sul presente, altamente rappresentativi della nostra epoca, caratterizzata dalla precarietà, provvisorietà, transito, passaggio, iperindividualismo, ipernarcisismo, iperconsumo. Le persone transitano nei non-luoghi, ma nessuno vi abita. I luoghi e i non-luoghi sono notevolmente interconnessi. Raramente esistono in “forma pura”: non sono semplicemente uno l’opposto dell’altro, ma fra di essi vi è tutta una serie di sfumature. Il rapporto fra non-luoghi e i suoi abitanti avviene solitamente tramite simboli (parole o voci preregistrate). L’esempio lampante sono i cartelli affissi negli aeroporti: Vietato fumare, oppure: Non superare la linea bianca, davanti agli sportelli. L’individuo nel non-luogo perde tutte le sue caratteristiche e i ruoli personali per continuare a esistere solo ed esclusivamente come cliente o fruitore. Il suo unico ruolo è quello dell’utente.
Le modalità d’uso dei non-luoghi sono destinate all’utente medio, all’uomo generico, all’individuo senza distinzioni. Non più persone, ma entità anonime. Non vi è una conoscenza individuale, spontanea e umana. Non vi è un riconoscimento di un gruppo sociale, come siamo abituati a pensare nel luogo antropologico. «Una volta l’uomo aveva un’anima e un corpo – scriveva Stefan Zweig († 1942), giornalista, novelliere e poeta austriaco naturalizzato britannico, cosmopolita ed europeista. – Oggi ha bisogno anche di un passaporto, altrimenti non viene trattato da essere umano»: da quel tempo il processo di disindividualizzazione della persona è andato via via progredendo. Si è socializzati, identificati e localizzati solo in occasione dell’entrata o dell’uscita (o da un’altra interazione diretta) nel/dal non-luogo. Per il resto del tempo si è soli e simili a tutti gli altri utenti/passeggeri/clienti che si ritrovano a recitare una parte che implica il rispetto delle regole, poche e ricorrenti. Farsi identificare come utenti solvibili (e quindi accettabili), attendere il proprio turno, seguire le istruzioni, fruire del prodotto e pagare.
I non-luoghi sono prodotti della società ‘surmoderna’, sempre più complessa, sfuggente, «liquida» e invasiva, definita dallo stesso Augé attraverso la figura dell’eccesso: eccesso di tempo, eccesso di spazio ed eccesso dell’individuo o dell’ego (cfr. Non-Lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité, 1992; trad. it. Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Elèuthera, 1996). L’individuo si considera un mondo a sé: da se stesso e per se stesso interpreta tutte le informazioni che gli vengono offerte (cfr. ad es. G. Lipovetsky-S. Charles, «Les Temps hypermodernes», Grasset, Paris 2004). I potenti modelli, imposti dalla pubblicità, dalla vita dei vip, dai reality show, generano un forte appiattimento e svuotamento della memoria e della vita interiore (si è parlato addirittura di evaporazione dell’inconscio) e della capacità di rapportarsi con gli altri o di affrontare il piacere e il dolore, il trauma e la morte. Portano inoltre ad una diversa percezione del tempo e dello spazio e ad un indebolimento di qualsiasi slancio utopico verso forme di vita e benessere che non sono narcisisticamente individuali, ma sociali e collettive.
Al non-luogo, secondo Augé, sono doppiamente destinati i rifugiati. Essi tagliano i ponti con il luogo di provenienza, a volte per sempre, e si imbarcano senza identità verso qualcosa che non raggiungeranno mai. Sono in duplice negazione. Si crea, particolarmente nell’Europa, che tenta di fermare l’ingresso dei migranti, una coppia di non-luoghi: quelli dell’eccesso-abbondanza e quelli della miseria, come campi profughi e centri di detenzione dei migranti. In essi la tendenza spontanea riscontrabile nei centri commerciali o in altri non-luoghi a divenire, per alcuni, dei veri e propri luoghi, non si verifica, trattandosi di spazi strutturalmente esclusivi e transitori. L’identità è pericolosa per chi ci si trova (poiché espone al rischio di espulsione o incarcerazione) e questo elimina ogni possibilità di riconversione in luogo.
Cosa rappresentano i non-luoghi per i giovani? Una ricerca, effettuata in Italia su un vasto campione di studenti delle scuole superiori (M. Lazzari–M. Jacono Quarantino, «Adolescenti tra piazze reali e piazze virtuali», Sestante Edizioni, Bergamo 2010), ha mostrato come i centri commerciali siano uno dei punti di ritrovo d’elezione per gli adolescenti, che li pongono al terzo posto delle proprie preferenze d’incontro dopo casa e bar. Secondo Marco Lazzari i ‘nativi digitali’ sono ‘nativi’ anche rispetto ai centri commerciali, nel senso che non li percepiscono come una cosa altra da sé: sfuggendo la retorica del non-luogo e ogni snobismo intellettuale, i ragazzi sentono il centro commerciale come un luogo vero e proprio, di frequentazione non casuale e non orientata soltanto all’acquisto, dove si può esprimere la socialità, incontrare gli amici e praticare con loro attività divertenti e interessanti. Lo stesso Augé, in effetti, ha successivamente convenuto che «qualche forma di legame sociale può emergere ovunque: i giovani che si incontrano regolarmente in un ipermercato, per esempio, possono fare di esso un punto di incontro e inventarsi così un luogo».
Riandando alla Serata, vi è stata a conclusione la recita della preghiera della 34ª GMG di Panama, l’annuncio del prossimo evento (venerdì 16 novembre: 4ª Serata cinematografica, con la proiezione del film «A casa con i suoi» e la cineconversazione «Nuova formula relazionale: ‘singletudine’»), la foto di gruppo e «aperitivo», con il video musicale «Assisi che bella città» in sottofondo. Una Serata bella e cordiale: si è tinta di colore e si è distinta per calore. In più, internazionale, lanciando un ponte tra i tre continenti: europeo, africano e americano.
Piotr Anzulewicz OFMConv
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