«La tenerezza»: 11ª Serata cinematografica con «cocktail» [130]

Giu

22

Ora: 19-21.30
Luogo: Salone «S. Elisabetta d'Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido

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L’11ª Serata cinematografica, con la proiezione del film «La tenerezza», la cineconversazione «La condivisione ci rende fratelli» e il «cocktail», ed ultima della 6ª edizione del CineCircolo con il motto: «I giovani con ‘sorella’-‘madre’ Terra per immagini», l’edizione ispirata al documento preparatorio del prossimo Sinodo dei vescovi: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», ma anche all’enciclica Laudato si’ di papa Francesco e alla preghiera-inno Cantico delle creature di frate Francesco, promossa dal Circolo Culturale San Francesco ed aperta generosamente, a titolo gratuito, a tutti, soci, sostenitori, amici, vicini e lontani − la 130ª Serata di seguito, tra quelle cinematografiche e quelle conviviali, con decorrenza dal 10 gennaio 2014, senza contare altri eventi e iniziative.

«La tenerezza»

Regia: Gianni Amelio. Genere: Drammatico. Paese: Italia. Anno: 2017. Durata: 103′

Trama: Lorenzo è un anziano avvocato, famoso a Napoli per la sua condotta poco ortodossa, che vive solo in un bel palazzo del centro. E’ vedovo e ha due figli ai quali nega, con inspiegabile ostinazione, il proprio affetto. Nell’appartamento accanto si è da poco trasferita una coppia del Nord con due figli piccoli. A questi nuovi vicini, un po’ spaesati dall’arrivo in una città bella quanto complessa, l’anziano si affeziona e la presenza di questa giovane madre, estroversa e solare, sembra riaccendere in lui quel sentimento paterno che pareva svanito. Una sera, tornando a casa, Lorenzo trova una febbrile animazione nel palazzo. E’ accaduto qualcosa che stravolgerà le vite di tutti.

Cineconversazione

«La condivisione ci rende fratelli»

  Programma della Serata

  1. Videoclip «Fra. estate 2018», pubblicato il 13 giugno 2018 da «Gi.Fra. Italia»: presentazione degli eventi dell’estate 2018 della gioventù francescana d’Italia: araldini, giovani e giovani adulti (5:23’), in reminiscenza dell’11ª ed ultima Serata conviviale della 6ª edizione del WikiCircolo dal titolo: «Il ‘volto’ dei giovani francescani» (15.06.2018)
  2. Note sul film e sul tema della cineconversazione, seguite dal video musicale «Why love is non loved?» («Perché l’amore non è amato?») – Testi, voce e chitarra acustica di fr. Andrea Pighini, cappuccino, cantautore, fondatore del gruppo «Janua Coeli» (Porta del cielo), sorto all’Eremo delle Celle di Cortona e composto da giovani musicisti volontari
  3. Proiezione
  4. Cineconversazione con il video-reportage «L’Italia della solidarietà e della condivisione», pubblicato il 13 luglio 2015 (15:49’, qui alcune sequenze)
  5. Comunicazioni relative al Circolo ed annuncio del prossimo evento
  6. Recita della Preghiera di Papa Francesco per i giovani (Sinodo 2018)
  7. Foto di gruppo e «cocktail» [In sottofondo, in occasione della 18ª Giornata Mondiale del Rifugiato (20.06.2018), il nuovo videoclip «Siamo tutti profughi» dei Free Shots, realizzato dalla regista Erika Montefinese con la partecipazione di numerose associazioni (Suq, MuMa, Ponti Migranti, Left Lab Genova, Ce.Sto), all’interno del Galata di Genova, il più grande Museo del Mare del Mediterraneo (4:48’)]

 

 Recensioni

✺ Se si volesse sintetizzare in una manciata di parole il senso profondo del film di Gianni Amelio, si potrebbero scegliere i versi, di struggente amarezza, di un poeta come Dylan Thomas: «Una certezza deve pur esserci; se non di amare bene, almeno di non amare». L’impossibilità di provare o, meglio, di tornare a provare quel sentimento complesso e terribile, che è l’amore, diventa qui la chiave di volta di una storia, in cui la tenerezza a cui fa riferimento il titolo, ha il sapore di una ri-scoperta emotiva.

A dispetto dei nomi che si leggono per primi nei titoli di testa, il vero e assoluto protagonista è qui Renato Carpentieri che si fa carico di tutto il film (sceneggiato dallo stesso Amelio, con Alberto Taraglio, e liberamente ispirato al romanzo di Lorenzo Marone La tentazione di essere felici), se lo porta letteralmente addosso e gli infonde significato ed emozione. Il grande attore campano è Lorenzo, un avvocato di lungo corso che, come lui stesso ammette, è “famigerato” piuttosto che “famoso” nel suo ambiente, a causa del pessimo carattere e dell’esercizio discutibile della professione. Vedovo da tempo di una donna che ha amato poco, o forse affatto, vive solo in un palazzo antico nel centro di Napoli e mantiene un pressoché inesistente rapporto con i due figli: il giovane Saverio, sempre a caccia di soldi, e la maggiore, Elena, madre single e traduttrice per il tribunale.

Scorbutico e diffidente, Lorenzo sembra non riuscire a provare più del vero affetto per coloro che sono sangue del suo sangue, fatta eccezione per il nipotino Francesco che sottrae spesso alle lezioni della maestra alle quali vorrebbe sostituire una propria, personalissima, didattica. In rotta con Elena da anni, l’anziano avvocato tenta in tutti i modi di allontanarla, non rivolgendole la parola nemmeno quando lei, che patisce questo distacco, ma non si arrende alla fredda ostinazione paterna, si prodiga nel tentativo di aiutarlo, costantemente preoccupata del suo stato di salute. Il cuore di Lorenzo, infatti, è fragile e ondivago, proprio come i suoi sentimenti che paiono spegnersi in modo quasi fatale per poi ritrovare repentinamente una scintilla per far ripartire un battito di vita. A riaccendere l’emozione in questo vecchio padre è la conoscenza, inaspettata e fortuita, con una famiglia da poco trasferitasi accanto al suo appartamento e in particolar modo con Michela, moglie affettuosa dell’umorale Fabio e madre un po’ bambina di un’ingenuità che la accomuna ai suoi due piccoli.

La giovane donna, che dietro al sorriso infantile cela una nota di malinconia che non sfugge a Lorenzo, lo riporta indietro nel tempo, a quando condivideva, insegnava e, perché no, rimproverava la sua prole con quel piglio, burbero, ma bonario, del genitore vecchio stampo. A questa coppia e ai bambini l’avvocato si affeziona, condividendo il terrazzo di un appartamento contiguo che consente finalmente il “passaggio”, e non soltanto fisico, di una rinnovata emozione nella sua vita. L’irrompere di una tragedia, inspiegabile e improvvisa, manderà in frantumi non soltanto le poche certezze alle quali l’anziano sembrava ancora aggrapparsi, ma investirà, con devastante potenza, anche i suoi figli che a lungo aveva cercato di escludere dalla propria esistenza.

Amelio si avvicina ai suoi personaggi con grande rispetto e delicatezza, seguendoli lungo il sentiero del loro intimo dolore e lasciandoli camminare per le strade di una Napoli, catturata nel suo multiforme cromatismo dalla fotografia di Luca Bigazzi, che avvolge e protegge la perdita e il patimento e in cui risuonano gli echi delle risate e del pianto. L’atmosfera di questo luogo unico e inimitabile pervade la vicenda ed è ciò che, insieme alla grandezza interpretativa di Carpentieri, sostiene l’intero film.

Sul personaggio di Lorenzo, infatti, si poggiano le fondamenta dell’opera del regista calabrese, e all’intensità espressiva dell’attore è demandato il compito di sorreggere l’impianto narrativo che, in più punti, rivela la debolezza di un apparente “non detto” che offre, in realtà, una spiegazione di troppo. Parole, dialoghi, chiarimenti che sanno di sottolineatura, laddove un silenzio o uno sguardo sarebbero stati più efficaci e pregnanti, come sul finale in cui un semplice, quanto fondamentale, gesto che racchiude il tutto è anticipato da una citazione di Elena francamente pleonastica.

A quel non amare bene o almeno al non amare, sul quale ci appuntavamo citando Thomas, Amelio guarda sì con tenerezza e con sincera partecipazione, ma è solo attraverso il suo protagonista che arriva a toccare nel profondo le corde vibranti del dramma, mentre intorno i comprimari sbiadiscono, come figure sfocate appena sfiorate dal tragico. (Eleonora Saracino)

✺ Al centro di questo bel film tutto giocato sull’interiorità e sui sentimenti è una grande sceneggiatura (Gianni Amelio e Alberto Taraglio). Sullo sfondo di eventi casuali, banali e quotidiani, o improvvisi e drammatici, il regista isola di volta in volta i suoi personaggi, come se una macchina di ripresa sbadata si soffermasse casualmente su questo o su quello. All’inizio siamo disorientati, non ne sappiamo niente, appena qualcosa affiora sul loro modo di essere, o sulle relazioni che li legano. Dal protagonista principale, Lorenzo, un avvocato in pensione dalla dubbia carriera (un grande Renato Carpentieri), ai suoi due figli, alla giovane coppia (Michela e Fabio) con due bambini che viene a istallarsi vicino all’avvocato, tutti hanno dentro qualcosa di profondamente irrisolto e sono testardamente impegnati piuttosto a seppellirlo sempre più in fondo a loro stessi che a rivelarlo. In un clima di tensione e attenzione tesa e continua, il regista ci conduce alla scoperta dei suoi personaggi attraverso un dialogo di grande impatto, pieno di echi nella sua trasandata normalità, nelle osservazioni improvvise, quasi lapsus, dove significativi silenzi, reazioni inaspettate, una domanda, un rifiuto aprono squarci improvvisi sui problemi irrisolti, sui demoni nascosti, su un bisogno d’amore compresso per troppi tradimenti ed errori. Un percorso complicato che si riflette visivamente negli aggrovigliati labirinti di troppo bui o troppo accecanti interni ed esterni napoletani. In questo groviglio un’eccezione è Michela (Micaela Ramazzotti), la moglie nella giovane coppia, sbadata e sbandata, ma soprattutto aperta, affettuosa, semplicemente decisa ad amare chiunque senza arrière pensées, capace di azzardare un’interpretazione profonda (una e una sola) solo dopo un bicchiere di vino. Sarà lei a creare a cerchi concentrici intorno a sé uno stupore nuovo, una speranza di tenerezza dimenticata. Una catarsi non ovvia, non facile, che richiederà un dramma estremo per consumarsi, come nelle tragedie greche, ma che alla fine ci sarà. L’equilibrio tra realtà e simbolo, tra parola e immagine, una bellissima fotografia, una recitazione senza enfasi e sentimentalismi fa di questo film, nonostante qualche sbavatura (non particolarmente efficace l’intermezzo della madre di Fabio) qualcosa che non si dimentica. (Zarar)

✺ Che tenerezza La tenerezza, e che struggimento che vien fuori vedendolo, non uno struggimento da Sturm und drang (letteralmente “tempesta e assalto”), ma una tumultuosa dolcezza intrisa di malinconia e permeata di una sincerità disarmante. La sincerità di Gianni Amelio, innanzitutto, che sceglie un protagonista suo coetaneo in cui far traboccare stille del suo io più irrequieto e insofferente dinanzi al passare del tempo e che racconta la bellezza di noi uomini, ma anche la nostra sgradevolezza, la nostra insofferenza, la nostra incapacità di amare fino in fondo e, sopra ogni cosa, il coraggio che dimostriamo nell’ammetterlo.

E la bellezza dei personaggi non proprio inventati dal regista (che ha preso spunto da un romanzo), ma da lui riplasmati è proprio questa dolorosa autoconsapevolezza: la capacità di riconoscere, in conversazioni grondanti verità o in dialoghi più brevi – e con una franchezza disarmante – di non essere all’altezza del proprio ruolo sociale e delle altrui aspettative. Succede così che un anziano avvocato con il volto di Renato Carpentieri ammetta di non aver amato la donna che ha sposato e che un timido uomo venuto dal nord impersonato da Elio Germano dichiari di non aver nulla da dire ai suoi bambini, vergognandosi un po’.

Ma forse non si tratta esattamente e solamente di vergogna. Ne La tenerezza, piuttosto, ci si rammarica: in una bellissima scena in cui Germano aggredisce un extracomunitario che vende sciarpe e poi si pente, e negli scoppi di umanità di chi si è schermato il cuore per egoismo, paura o noncuranza ed evita di risolvere conflitti. La cosa bella è che questa pulsione a volte mortificante e a volte accettata di buon grado Amelio la lascia venir fuori inaspettatamente e d’improvviso, sorprendendo per esempio chi credeva che il suo film fosse destinato a prendere soltanto la direzione della poesia o dell’istantanea di una tranche de vie. Certo, ognuno dei suoi protagonisti in qualche modo cerca la gentilezza o magari la dispensa, ma per poterla invocare il regista ha bisogno di sfiorare la violenza immotivata, facendo sì che la sua storia, da iniziale ritratto di una quotidianità, si faccia viaggio inquieto, continuo peregrinare fra le strade di una Napoli piena di aule, scale, cucine, piazze e camere d’ospedale che rappresenta benissimo uno stato d’animo diffuso e squisitamente contemporaneo: l’ansia di chi sa che sta franando e non capisce bene a cosa aggrapparsi, o il malessere di chi a un certo punto comincia a sentirsi solo in mezzo agli altri e allora impazzisce.

E’ un film di andirivieni il nuovo lavoro del regista de Lamerica, a cui però interessa soprattutto sottolineare il momento del ritorno, perché la felicità per lui è una casa in cui riandare, magari cambiati, ma incuranti della velocità supersonica di un presente che rischia di farci annaspare e di un futuro che magari non si vuole esplorare. In questa dimora metaforica, la famiglia – tante volte esplorata da Gianni Amelio – minaccia di dissolversi. Oppure può ritrovarsi e ricrearsi dal nulla, perché famiglia non è solo il nucleo in cui si nasce e di genitori, fratelli e figli se ne incontrano molti nell’arco dell’esistenza. Ci sono tante giovani donne come la Michela di Micaela Ramazzotti, insomma, a cui fare da padri, così come infinite possibilità di inventarsi un gesto che possa cerare empatia, un gesto generoso come quello del bambino di Ladri di biciclette, che cerca di confortare un papà umiliato e offeso.

Bene illuminato dalla fotografia di Luca Bigazzi, La tenerezza si nutre anche degli sguardi e del “gioco” di attori che si sono lasciati andare a una direzione pacata e non competitiva e che hanno avvicinato con pietas i personaggi che hanno avuto in dono: in particolare Germano, alle prese con un ruolo di difficilissima interpretazione, e Carpentieri, immenso nella graduale transizione del suo Lorenzo dalla ruvidezza all’abbandono. Da buon alter-ego di Amelio, e di chiunque senta di assomigliargli, quest’ultimo occupa orgogliosamente quasi ogni scena, alla faccia di chi davanti alla macchina da presa si ostina a mettere i soliti volti giovani e noti ai più, volti spesso acerbi che non hanno una storia scritta nelle rughe. (Carola Proto)