Proiezione del film «Vento di terra» con cinedibattito

Ott

30

Ora: 19.15
Luogo: Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» al lato destro della chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido

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Vento di terra è un film diretto da Vincenzo Marra, regista e sceneggiatore napoletano (n. 18 settembre 1972), presentato nella Settimana Internazionale della Critica del Festival di Cannes 2005 come rivelazione FIPRESC dell’anno.

Vento di terra

Trama

Enzo ha sedici anni e vive nel quartiere napoletano di Secondigliano. In seguito alla morte del padre, il ragazzo si dà da fare per aiutare la famiglia e spesso si trova a dover fronteggiare situazioni che mettono a rischio la sua integrità perché è un ragazzo “senza paracadute”. Non c’è chi può aiutarlo a sopportare i colpi che la vita continua a dargli e solo la sua grande determinazione può permettergli di conservare la dignità sua e della sua famiglia all’interno di un quartiere che è un mondo a parte, con le sue leggi e i suoi codici.

Cinedibattito: Dolore della migrazione, povertà e dignità, orgoglio e disonore, amore e paura

Dati e Cast

Recensioni

I

Chi conosce il mare sa che il vento di terra non perdona, qualsiasi incidente avvenisse al largo è impedito il ritorno a terra, se non a braccia. Con quel vento non si esce a meno che non si sia costretti, come i pescatori di Verga, che la povertà induce a rischiare più del lecito. Anche questa è una storia di uomini e donne alla deriva.

Storia di un’umanità stretta da una terra che induce all’azzardo e un mare che lo punisce, un’umanità costretta a sperare per sopravvivere, ma a cui sono state negate occasioni reali di riscatto. Enzo è un ragazzo, vive con la famiglia a Secondigliano, nella periferia degradata di Napoli. Per lui niente scuola, solo un lavoro da aiutante fabbro. Il padre, masticato da una vita difficile, a cinquant’anni ne è sputato, perde il lavoro, la speranza che lo teneva in vita. Per Enzo non restano che due strade: la criminalità e l’esercito che a volte possono diventare la stessa, ma con nomi diversi.

Rifiuta la prima per quel senso di pudore che solo i poveri sanno avere. Diventa un militare. Alcune menti criminali (di guerra) lo spediscono nel Kosovo, lì si ammala a contatto con i proiettili all’uranio impoverito. La sua vita è la metafora di una classe che ha sempre vissuto solo del proprio lavoro e questo le è sempre bastato per progredire. Ora ciò non è più possibile, il lavoro è degradato a sottoprodotto finanziario, a variabile dipendente del capitale, umiliato dall’arroganza dei potenti che si ammantano di qualunque veste (progressisti, guerrieri umanitari, intellettuali) pur di imporre il proprio dominio.

Gli attori di questo film, presentato a Venezia 2004, sono tutti non professionisti (ad eccezione di Francesco Giuffrida) e dalla loro recitazione arriva il senso di sofferenza della loro classe e di dignità della loro umanità. I fondali che Secondigliano offre al film sono così espressivi da sembrare ideologici. Gli stessi fondali offerti a Rosi in Mani sulla città, abitati da un’umanità ancora troppo fragile.

«…vorrei chiedere a colui che governa la pace e la guerra sulla terra tra l’umanità quanti anni ancora da passare prima che quest’uomo si possa riposare troppo sangue scorre ancora per le strade troppi uomini an­cora imprigionati troppi uomini ancora incatenati al ritmo del lavoro e del sudore sole quando sorgerai su di me su di noi?» (Almamegretta).

Pasquale D’Aiello

Fonte: http://www.storiadeifilm.it/drammatico/drammatico/vincenzo_marra-vento_di_terra (tilde_corsi_e_ gianni_romoli_per_ r_c_produzioni-2004).html

II

Questa è Napoli o un’altra vista di Napoli. Due panoramiche e il film si apre e si chiude. Vincenzo Marra (con il suo primo lungometraggio, Tornando a casa, ha vinto nel 2001 la Settimana della critica) si muove stratificando i suoi sguardi sulla città: dal porto dei pescatori al cuore della fede calcistica (vedi Estranei alla massa, sempre del 2001) ed ora in questo film parte da uno dei quartieri più fatiscenti, Secondigliano. Ma la localizzazione è un pretesto, un punto d’appoggio, perchè i luoghi comuni si sgranano. Enzo è un ragazzo di diciotto anni, vive con la sua famiglia in un appartamento a rischio di sfratto. È un giovane introverso e solitario con lo sguardo fisso sui pensieri che lo attanagliano. Una serie di vicissitudini lo metteranno a dura prova compromettendo la propria dignità. Nel dormitorio della città le anime vagano ed i rumori di fondo coprono ciò che si crede di sapere. La storia procede lenta, quasi si ferma o meglio si confonde con gli imprevisti e le sciagure dell’esistenza. Indugiare sui volti e insistere con i primi piani sono il tentativo di tagliare il resto: una certa rigidità attoriale (quasi tutti gli attori sono non professionisti) ma anche invertire il senso immaginifico delle cose. Napoli è anche orientale nei ritmi e nelle folgorazioni visive; Napoli è sempre più fagocitata dall’incertezza giù per le strade che quasi non si vedono e quando il quadro si apre sono deserte. Vento di terra si fa più asciutto di Tornando a casa nella forma ma si perde nelle eccessive dissolvenze, e in una fluidità occlusa tra la causa e l’effetto. Il non detto e il non visto puzzano eccessivamente di manierismo che non sempre si rispetta. Quando l’unica via d’uscita per Enzo sembra essere quella di arruolarsi lo ritroviamo in Kossovo in missione, per guadagnare un pò di grana. Le conseguenze sono prevedibili ma i conti non tornano: i pezzi si sfilacciano e la saga della iattura o del destino già segnato, condanna il punto di vista ad una mera e prevedibile lacerazione creativa. Marra perde il controllo sulla città e sulla storia, (cosa che non gli capita nei documentari), ma soprattutto resta sempre a metà del guado: non scava, non accarezza, ma gratta con le unghie lasciandosi irretire e compiacere da un acume osservativo che accumula e disperde.

Leonardo Lardieri

Fonte: http://www.sentieriselvaggi.it/?p=8407

III

Il cinema di Vincenzo Marra, sempre estremamente coerente (sia pure con qualche passaggio più sfocato, come L’ora di punta), tocca probabilmente il punto più alto con Vento di terra.

Dramma di esasperato ed esasperante realismo, rispetto al quale si sono azzardati accostamenti suggestivi, ad esempio con la poetica del verismo di Giovanni Verga, l’opera ha una sua intima purezza. A partire dalle immagini che la aprono e chiudono: carrellate su una Napoli che sembra immobile nella sua bellezza fosca e  sempre un po’ stuprata.

Ed immobile è il destino di Vincenzo (l’ottimo Vincenzo Pacilli), stretto tra le spire di legittime aspettative che fanno a pugni con una quotidianità incapace di dar loro corso.

Non è affatto un un film sulla miseria, Vento di terra; piuttosto è un canto luttuoso sull’impossibilità di liberarsi delle catene esistenziali e dei legami ancestrali, più forti di una volontà pur tenacemente aggrappata al desiderio di cambiare.

Marra procede per segmenti, segnati da improvvise dissolvenze al nero (che quasi sembrano suggerire uno straniante senso di continuità nella disperazione): il lungo prologo familiare, quel calore del desco sempre un po’ precario, ed infatti destinato a finire presto e drammaticamente; la ricerca di una propria via, che garantisca rapidità alla elaborazione del lutto, fosse pure eticamente biasimevole; la scelta di una strada alternativa nell’Esercito, quasi a voler irreggimentare il disagio  che esplode dentro (e qui il regista, con pochi ed azzeccati tocchi, comunica tutta l’assurdità di un rituale che ti incasella quale divisa e non quale uomo); il ritorno forzato alla famiglia, che dischiude nuovi orizzonti di degrado, stavolta pienamente subito; infine la malattia, portato causale delle precedenti scelte di vita.

E’ proprio quest’ultima parte quella più tirata via, un po’ affrettata, forse meno riuscita. E tuttavia Marra ha il merito di non operare chiusure definitive. Nell’ultima scena vediamo Vincenzo su un divano, pallido e sofferente, ancora, e forzatamente, un bambino, che ha smarrito (forse) l’orizzonte di un qualche futuro.

Ultima dissolvenza: e Napoli è ancora lì, matronale e impassibile. Il vento di terra non sposta le cose.

MarioC

Fonte: http://www.filmtv.it/film/27173/vento-di-terra/recensioni/838353/#rfr:none

Critica

“Dopo il premiatissimo ‘Tornando a casa’ con le sue storie di mare, Vincenzo Marra fa il bis, dimostrando con ‘Vento di terra’ che il suo è un talento di cinema naturale. (…) L’obbligato eroe è un nipotino del Rocco di Visconti, ma Marra colpisce con un toccante e semplice documento di vita, che termina accusando lo scandalo dell’uranio impoverito, causa di malattia negli eserciti. La storia, anonima, semplice e giusta nell’essenza, ha una forza morale che porta lontano, si riferisce al dolore della migrazione. Marra ha una gran voglia di raccontare, pur con pochi mezzi e dosa gli sguardi e i silenzi con riferimenti precisi alla poetica del neorealismo. Vuole testimoniare le priorità degli esseri umani al di là delle mode e dei bisogni fittizi. Parla perciò, clamorosamente fuori tendenza, di bisogni e sentimenti primari, senza far morale: ci pensano le immagini e l’espressività di un cast tutto particolare e il pubblico deve volergli bene” (Tullio Kezich, ‘Corriere della Sera’, 6 settembre 2004).

“Vincenzo Marra, giustamente apprezzato per l’esordio viscontiano di ‘Tornando a casa’, non cresce abbastanza con ‘Vento di terra’, accolto dagli applausi della prima proiezione-stampa. La regia è sempre concisa e nitida e non si può certo negare al film la sua personalità fuori standard: solo che il procedimento pretende troppo dalla sottrazione estetica, finendo per forza di cose col far traslocare il documento nudo e crudo nell’assoluto anonimato della trama. (…) Per cogliere l’interiorità di un’umanità storicamente offesa, Marra ricorre ai commi più collaudati, ma anche obsoleti del neorealismo; poi, però, troppa musica edificante e troppe panoramiche sullo skyline dell’odiosamata metropoli tentano a sorpresa di spiegare gli sguardi e i silenzi, penalizzandone l’indubbia tensione morale. È ovvio che non esistono modelli obbligati, ma quello che distingue il talento di Marra da quello di un Piscicelli è la voglia di raccontare molto al di là dei propri importanti principi poetici” (Valerio Caprara, ‘Il Mattino’, 7 settembre 2004).

“Un film che potrebbe essere solo un film e non un’inchiesta, un romanzo, una serie tv, come accade troppo spesso, perché rende nuovamente visibile ciò che l’abitudine o i media hanno cancellato alla vista. E lo fa non mostrando mai una cosa alla volta, ma due: la povertà e la dignità, l’orgoglio e il disonore, l’amore e la paura. Nascosti in un destino come tanti, quello di Vincenzo, disoccupato napoletano costretto a entrare in aeronautica per campare. E seguito mese dopo mese, in famiglia, in caserma o in Kosovo, con un’attenzione e una sensibilità che rendono nuovi strumenti logori come il dialetto e il mescolare attori e non-attori. Un perfetto antidoto a tanto mediocre e pessimo cinema italiano” (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 8 settembre 2004).

“Anche se viviamo in tempi difficili, l’affastellarsi delle sciagure appare perfino esagerata, programmatica come in un vecchio romanzo verista: Marra, però, lo affronta senza il minimo cedimento al melodramma; con un linguaggio scarno e prosciugato, narrando per lunghe sequenze divise da dissolvenze al nero” (Roberto Nepoti, ‘La Repubblica’, 9 settembre 2004).

“Per raccontare il bellissimo ‘Vento di terra’ (…) viene spontaneo usare termini sociologici mentre in realtà si dovrebbe parlare solo di cinema. Della densità miracolosa delle luci di Mario Amura; delle ellissi sapientemente orchestrate al montaggio da Luca Benedetti (mai un fotogramma di troppo, tocca a noi riempire i vuoti); della sicurezza con cui Vincenzo Marra, classe 1972, al secondo film, mescola attori e non attori, ricreando quel senso (tragico) di innocenza e di semplicità così difficile da ottenere su uno schermo; dell’accortezza con cui non sovrappone mai uno sguardo esterno al microcosmo del protagonista, sospendendo l’intero film al suo punto di vista. Il punto di vista di chi è fragile e minacciato per definizione proprio perché assolutamente solo. Fino al finale.

NOTA: FILM REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DEL MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVTA’ CULTURALI E PREMIATO COME MIGLIOR FILM DELLA SEZIONE “ORIZZONTI” ALLA 61ª MOSTRA INTERNAZIONALE DEL CINEMA DI VENEZIA (2004).

Fonte: RdC – Cinematografo.it