Proiezione del film «Preferisco il rumore del mare» con il cinedibattito
Ott
02
Ora: 19.15
Luogo: Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» situato al lato destro della chiesa «Sacro Cuore» a Catanzaro Lido

PRODUZIONE: Italia, Francia, Germania (2000)
GENERE: Drammatico
DURATA: 88′
Regista: Mimmo Calopresti
INTERPRETI: Silvio Orlando, Michele Raso, Paolo Cirio, Mimmo Calopresti, Fabrizia Sacchi, Raffaella Lebboroni, Andrea Occhipinti
SCENEGGIATURA: Francesco Bruni, Mimmo Calopresti
FOTOGRAFIA: Luca Bigazzi
MONTAGGIO: Massimo Fiocchi
SCENOGRAFIA: Alessandro Marrazzo
COLONNA SONORA: Francesco Piersanti
Girato a Bagnara Calabra
Trama
Tornato a Torino dopo una vacanza nella natia Calabria, Luigi, affermato dirigente d’azienda, non riesce a togliersi dalla mente Rosario, un ragazzo conosciuto al cimitero del paese dove c’è sepolta la madre, vittima di una faida, mentre il padre è in carcere. Rosario, quindici anni, è silenzioso, composto, scontroso, solitario. Luigi, separato dalla moglie, ha un figlio coetaneo, Matteo, che è l’opposto, è svogliato, dispersivo, inconcludente e sfoga la sua insoddisfazione dipingendo ed ascoltando musica.
Recensione
A presentarsi davanti al cinema con qualche minuto di anticipo, la voglia di vedere l’ultimo lavoro di Mimmo Calopresti, diventa presto necessità: si rimane per un po’ incantati a guardare questo piccolo gioiello confezionato ad arte che è la locandina del film, di una semplicità spiazzante, soltanto una foto di un mare blu intenso che occupa tutto lo spazio disponibile e sulla quale è impresso in caratteri arancioni questo splendido verso di Dino Campana. Davvero un biglietto da visita entusiasmante, soprattutto se confrontato con le anonime e sfiancanti locandine di molte grandi produzioni hollywoodiane, che non mancano mai di esprimere la più totale mancanza di creatività anche nella presentazione del prodotto, ma lasciamo perdere…
Viene da chiedersi se questo mare che si vede così poco sia il vero protagonista della vicenda, che si muove per la maggior parte del tempo in una Torino grigissima e oppressiva. La centralità dell’oggetto in questione scaturisce proprio dalla sua assenza, o meglio dalla lontananza che apre le porte del malessere, a contatto con la realtà alienante (se mi passate il luogo comune) e artificiosa (vedi le insopportabili luci natalizie che infestano Torino che di tanto in tanto ricorrono durante il film) delle grandi città industriali del nord Italia.
Rosario fugge da una situazione di invivibilità data da cause esterne (gli “attriti” con i compaesani) e si trova in una situazione di invivibilità ancora peggiore data questa volta però da cause che sono intrinseche nel luogo in cui si trova, Torino appunto, dove si ascolta il rumore delle fabbriche incorniciato dal grigio del cemento.
«Preferisco il rumore del mare è la storia di un continuo disagio che si espande contagiando tutti quanti a poco a poco, proprio con l’arrivo al “nord” di Rosario, ragazzo chiuso dentro se stesso che ha però la capacità di agire senza parlare, che nel suo magnetismo esasperante porta con sé un’esistenza straziata che mette a nudo lo strazio di tante altre esistenze sopite nel benessere e nel lusso accecante dell’arricchimento. Arricchito e distrutto dal prezzo della ricchezza è, infatti, il padre di Matteo (interpretato da Silvio Orlando), disorientato e frustrato dall’incapacità di rapportarsi con gli altri, a partire dalla giovane amante e dal figlio, che addirittura cercherà la via della morte, ormai conscio della propria inconsistenza emersa nel sofferto incontro con il lucido orgoglio di Rosario.
Calopresti ha evidentemente privilegiato il lavoro sugli attori, soprattutto sui due protagonisti, nel tentativo dichiarato di coglierne le psicologie e le reazioni più intime. Ci riesce nonostante l’interpretazione non proprio sopra le righe di Paolo Cirio (-Matteo- decisamente impacciato in alcuni frangenti, positiva invece la prova di Michele Raso- Rosario-) e lo fa senza mai un briciolo di retorica, esplorando ogni personaggio con delicatezza e lucidità, forte di una buona sceneggiatura e di un amore profondo per le storie che racconta e per i personaggi che le popolano.
Da segnalare l’omaggio a Franti, «enfant terrible» del libro Cuore di De Amicis, che ricorre per tutto il film, esaltato magnificamente dalla splendida voce di Lalli degli indimenticabili Franti (appunto), gruppo seminale della scena rock italiana degli anni ’80 (poi frantumatosi in vari progetti tuttora esistenti) che sono presenti con un brano nella colonna sonora (comunque già di per se molto bella, da notare anche un pezzo dei grandissimi Husker Du).
«Fabbricare, fabbricare, fabbricare. Preferisco il rumore del mare» (Dino Campana).
Stefano Trinchero
(Fonte: http://www.spietati.it/z_scheda_dett_film.asp?idFilm=1780)
«Fabbricare, fabbricare, fabbricare» di Dino Campana
Recentemente in TV è andata in onda la fiction C’era una volta la città dei matti, la storia di Franco Basaglia e della legge che porta il suo nome. E il mio pensiero è andato così a Dino Campana, il poeta rinchiuso per anni e anni nel manicomio di Castel di Pulci, dove morì nel 1932. Fu talmente bombardato da elettroshock da autodefinirsi «Dino elettrico». Nel 2002 andai a visitare la sua tomba a Badia a Settimo, vicino Firenze, in un’abbazia romanica. Quando arrivai trovai la chiesa deserta e silenziosa. La tomba di Campana era a terra, delimitata da un cordone. Annotai quel che c’era scritto sulla lapide: Nel cuore antico di questa terra fiorentina che accolse i suoi ultimi giorni, la quiete e il silenzio onorino colui che fu voce di disperati sogni umani.
Dino Campana è stata una di quelle anime così poco integrate nel vivere comune, ma così importanti per tutti noi, una vera pietra angolare (come quella del Salmo 118 della Bibbia: «Una pietra scartarono i costruttori, era quella di capo d’angolo») che, inizialmente scartata, si rivela poi una pietra portante. Dino Campana fu, infatti, schernito e allontanato dagli abitanti di Marradi, il suo paese natale, perché considerato “il pazzo del villaggio”; fu emarginato arrogantemente dagli intellettuali dell’epoca (i futuristi persero addirittura con incurante negligenza il suo manoscritto Il più lungo giorno che Campana aveva loro affidato per averne un giudizio. Il manoscritto fu poi casualmente ritrovato 60 dopo la morte del poeta); Campana fu inoltre abbandonato anche dal suo grande amore, Sibilla Aleramo. Dino Campana è considerato uno dei poeti più vitali del Novecento.
Amo molto Campana e amo il mare, così ho scelto questa sua poesia:
Fabbricare, fabbricare, fabbricare
Preferisco il rumore del mare
Che dice fabbricare fare disfare
Fare e disfare è tutto un lavorare
Ecco quello che so fare
(Dino Campana, Opere. Canti orfici e altri versi e scritti sparsi, Ed. TEA 1999)
CURIOSITÀ: Per chi volesse saperne di più su Dino Campana consiglio un libro di Sebastiano Vassalli, La notte della cometa (Einaudi 1984). Sull’amore tra Dino Campana e Sibilla Aleramo nel 2002 è stato fatto un film (Un viaggio chiamato amore, di Michele Placido) con Stefano Accorsi e Laura Morante. Il film non mi è piaciuto per niente, anche perché, con tutta la più buona volontà, Stefano Accorsi nei panni di Campana proprio non ci stava. Anche il regista Roberto Riviello aveva realizzato nel 1997 un film su Dino Campana, Il più lungo giorno, con Gianni Cavina.
Fiamma Satta
(Fonte: http://diversamenteaff-abile.gazzetta.it/2010/02/28/una-poesia-di-dino-campana/?refresh_ce-cp)