«Nostalgia della luce»: 3ª Serata cinematografica con «cocktail» [185]
Nov
05
Ora: 19.30-21.30
Luogo: Salone «S. Elisabetta d'Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido

La 3ª Serata cinematografica, con la proiezione del film «Nostalgia della luce» (tit. orig. «Nostalgia de la luz») di Patricio Guzmán, il cinedibattito «La memoria ha una forza gravitazionale, perché ci riporta a chi amiamo e ricordiamo», ideata all’interno della 9ª edizione del CineCircolo con il motto: «Sfida educativa in un mondo di emergenze planetarie per immagini», ispirata ai grandi documenti pontifici ed ecclesiali [1. Messaggio di Papa Francesco per il lancio del patto educativo (12.09.2019), 2. Pandemia e fraternità universale. Nota sulla emergenza da Covid-19 (30.03.2020) e L’«humana communitas» nell’era della pandemia. Riflessioni inattuali sulla rinascita della vita (22.07.2020) – due documenti che la Pontificia Accademia per la Vita dedica alle conseguenze della crisi sanitaria mondiale e alla sua interpretazione, 3. Esortazione apostolica Amoris laetitia («La gioia dell’amore») di Papa Francesco (19.03.2016), 4. Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale – enciclica pontificia siglata ad Assisi che traccia il futuro del mondo travolto e marcato dal Covid-19 (3.10.2020)], promossa dal Circolo Culturale San Francesco ed aperta gratuitamente a tutti: soci, sostenitori, amici, credenti e «laici», vicini e lontani – la 185ª di seguito, con decorrenza dal 10 gennaio 2014.
«Nostalgia della luce»
Regia: Patricio Guzmán. Genere: Documentario. Paese: Francia/Germania/Cile/Spagna/USA. Anno: 2010. Durata: 90′
Trama: Nel deserto di Atacama, in Cile, sono installati i telescopi più potenti del mondo. Mentre gli scienziati esplorano le immensità del cielo, gli archeologi sondano il terreno alla ricerca delle tracce delle popolazioni precolombiane. Tra gli uni e gli altri si aggira un terzo fronte di ricerca: i parenti dei desaparecidos massacrati sotto il regime di Pinochet, a caccia dei resti dei loro cari. Un film di struggente bellezza e accorata denuncia, un’originale e profonda riflessione sulla memoria.
♦ Cinedibattito
La memoria ha una forza gravitazionale, perché ci riporta a chi amiamo e ricordiamo
♦ Programma
- Music video «La memoria» di 62° Zecchino d’Oro 2019 (3:50’)
- Presentazione della Serata e note sul film e sul tema del cinedibatto
- Proiezione
- Cinedibattito + videoclip musicale «Canzone del bambino nel vento» di Francesco Guccini (5:27′)
- Comunicazioni relative al Circolo, annuncio del prossimo evento e recita comune della «Preghiera al Creatore» (Fratelli tutti, 287)
- Foto di gruppo [In sottofondo videoclip musicale «With God on our side» di Bob Dylan (7:05′)]
♥ Recensione
Film intenso e originale
Nella prima parte di questo splendido film può inizialmente sfuggire il nesso fra le pur bellissime immagini di oggetti immersi nelle profondità siderali e la micidiale vicenda cilena. Quando però alle figure di astronomi si affiancano quelle di archeologi che lavorano nello stesso deserto in cui sorgono gli osservatori astronomici, si comincia a capire che l’obiettivo comune è lo studio del tempo nella sua accezione più ampia. E che il tempo altro non è che memoria. E che la memoria va coltivata perché preziosa come nient’altro.
Stupenda, a questo proposito, l’immagine simbolica di una coppia di anziani ripresa di spalle su una panchina, lui testimone degli orrori del passato, e lei vittima di quell’oblio totale cui la malattia di Alzheimer la ha ormai costretta. Il regista costruisce lentamente una storia che sale di livello ogni minuto che passa, che certamente non ha come scopo il facile obiettivo di conquistare lo spettatore con la sola bellezza delle immagini e che più procede più spiega il perché di quella mezz’ora iniziale.
Colpiscono i sogni di libertà dei detenuti nei campi di concentramento che con quelle immagini negli occhi hanno potuto in qualche modo affrontare una così spietata prigionia. E non si dimenticano facilmente i racconti strazianti delle donne che ancora cercano i loro cari, con una dignità così dolorosa e allo stesso tempo così nobilmente composta da essere ancor più toccante. Racconti mai esibiti come facile e superficiale argomentazione di condanna, pur evidente, ma arricchiti invece di immagini, pensieri e meditazioni che il regista riesce a evocare intorno alle loro parole.
Pensieri legati al proprio passato, alla propria infanzia e all’innocenza perduta di un paese intero. E che di nuovo conducono a un unico concetto di fondo. La memoria. Memoria di sé. Memoria del dolore altrui. Memoria delle proprie origini. Memoria del passato come unica forma di costruzione di un futuro. Di nuovo bellissima, qui, la testimonianza della giovane figlia di desaparecidos. Perché il presente è per stessa ammissione dell’altro astronomo una linea labilissima. E non indagare su ciò che sta al di là di quella linea significa auto condannarsi all’oblio. Un film difficile da dimenticare per approccio al tema politico e per profondità di visione. (mahleriano)
E per tetto un cielo di stelle
Dal libro «Nostalgia della luce: monti e meraviglie dell’astrofisica» dell’astronomo francese Michel Cassé, il documentarista francese Patricio Guzmán torna sul tema a lui caro della travagliata storia cilena e delle ferite ancora aperte nella memoria del suo paese, con un film suggestivo e vibrante che tiene i piedi ben saldi sulle polverose e brulle lande del deserto di Atacama e gli occhi rivolti alla smisurata immensità degli spazi cosmici perennemente scrutati dalle gigantesche cupole del VLT sul Cerro Paranal.
Costruito come una sorta di riflessione etica sul senso del tempo e il destino dell’uomo, il film di Guzman rimanda alle suggestioni filosofiche del cinema di Herzog (da The Wild Blue Yonder a Cave of Forgotten Dreams), ma lo fa con la nostalgia e l’affetto che lo lega ad un popolo che abita da sempre una terra di confine, costretto a scavare il deserto per disseppellire e preservare la memoria di una storia controversa e dolorosa e nello stesso tempo incantato dalla ricerca di un passato ancora più remoto e primordiale che dalle estreme propaggini dell’universo ci restituisca un senso più profondo e consolatorio sulla miseria e la finitezza delle vicende umane.
Giocato sul parallelismo tra archeologia e astronomia come discipline che indagano il passato in direzioni diametralmente opposte e secondo une metrica temporale affatto inconciliabile, questo racconto di storie e aspirazioni pone al centro del suo discorso sempre e solo l’uomo ed il valore della sua memoria come misura per comprendere un presente di smarrimento e confusione, alternando al racconto accorato di una voce narrante quale raccordo di altre voci che ci parlano del dualismo insito in questa ricerca con le testimonianze di uomini e scienziati che rinvengono le vestigia di una presenza umana più o meno recente (dai corpi mummificati di pastori neolitici ai poveri resti delle vittime del regime di Pinochet) e di quelli che osservano lo spettro del calcio di quelle ossa così come si è formato nelle nursery stellari generate dalla morte violenta di altre stelle. La memoria insomma è un oggetto delicato sembra dirci l’autore, da trattare con la cura con cui si ricompongono gli scheletri dei nostri simili e la consapevolezza con cui si smette di credere di essere al centro dell’universo per guardare a noi stessi come parte di un tutto in perenne divenire.
Bellissime, tra le altre, le testimonianze dei sopravvissuti della ex miniera di Chacabuco trasformato in un campo di prigionia per oppositori politici tra cui un gruppo di astrofili iniziati da un medico con la passione per i sestanti ed un architetto che ha preservato nella sua memoria i dettagli planimetrici delle carceri poi fedelmente riprodotti nei disegni della futura libertà di esule in terra di Germania; oppure quella dei due giovani astronomi figli di quella violenza che li ha allontanati dalla propria terra o dalla propria famiglia e per cui la scienza diventa un’occasione di riscatto e comprensione ultima.
Meravigliosa la fotografia di Katell Djian come pure le caleidoscopiche immagini della gallery stellare dell’Hubble Space Telescope.
Miglior documentario all’European Film Awards 2010. (gianleo67)