«Le quattro volte»: 3ª Serata cinematografica con dibattito

Feb

10

Ora: 18.45
Luogo: Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido

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Ve 10 feb 2017

La 3ª Serata cinematografica con la proiezione del film «Le quattro volte» di Michelangelo Frammartino e con il dibattito sul sentire comune in perfetta armonia con l’ambiente che ci circonda e ci ospita, su una Calabria poetica ed arcaica, lontana da stereotipi turistici o ‘ndranghetistici, volta a recuperare la propria identità e fiera della propria diversità, la Serata ideata nell’ambito della 4ª edizione del CineCircolo, il cui leitmotiv è: «’Sorella’ Terra per immagini», l’edizione ispirata all’enciclica «Laudato si’» di Papa Francesco e alla preghiera-inno «Cantico delle creature» di frate Francesco, promossa dal Circolo Culturale San Francesco ed aperta a tutti, vicini e lontani − la 77ª Serata di seguito, tra quelle cinematografiche e quelle conviviali, a partire dal 10 gennaio 2014.

Programma della Serata

  1. Parole di benvenuto ai cinefili e presentazione del programma della Serata
  2. Video «10 febbraio: il Giorno del Ricordo», solennità nazionale e civile, promulgata dal presidente della Repubblica il 30 marzo 2004 con la Legge n. 92, «al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale»: almeno 10 mila gli infoibati accertati, 350 mila gli esuli italiani, una tragedia ancora poco conosciuta e per sessant’anni cancellata dai libri di storia (3:37′)
  3. Video «Dolce sentire» dal film di Franco Zeffirelli «Fratello Sole e Sorella Luna» cantata da Claudio Baglioni, in riferimento al tema conduttore della 4ª edizione del CineCircolo: «’Sorella’ Terra per immagini» (2:50′)
  4. Recita della Preghiera per la nostra terra (Laudato si’, n. 246)
  5. Presentazione della trama del film «Le quattro volte» e del tema per il cinedibattito
  6. Proiezione del film «Le quattro volte» (88′)
  7. Osservazioni, suggestioni… riguardo al film e in riferimento all’oggetto del cinedibattito
  8. Annunci
  9. Foto di gruppo
  10. “Cocktail”

«Le quattro volte»

Regia: Michelangelo Frammartino. Genere: Documentario, sperimentale. Anno: 2009. Durata: 88′.

Trama: Un vecchio pastore ammalato conduce con fatica le sue capre al pascolo sui monti della Calabria. La cura, che ogni sera beve, è data dalla terra argillosa che una donna gli consegna nella sagrestia della chiesa dopo averla benedetta ed incartata in una striscia di giornale. Una capretta nasce e con fatica muove i suoi primi passi nella vita. Una sacra rappresentazione della Passione di Cristo percorre la via centrale del paese. Un albero della cuccagna viene issato. Il tempo scorre. Frammartino, a sette anni di distanza da Il dono, torna a leggere e a proporci il volto antico della Calabria. È un film che si immerge nella natura incontaminata dei monti calabresi. Sembra quasi di compiere un sacrilegio quando, dinnanzi a tanta pulizia e profondità estetica e ad una così alta sensibilità di osservazione. Ci si chiede cioè se in questo mondo arcaico la modernità si sia fermata ai mezzi di trasporto e se il tempo si dia fermato non consentendo l’arrivo di Internet…

Cinedibattito: Il volto di una Calabria in perfetta armonia con l’ambiente, lontana da stereotipi turistici o ‘ndranghetistici, volta a recuperare la propria identità, ma anche fiera della propria diversità

Recensioni

I

Il film inizia con dei battitori di carbone intenti nel proprio lavoro di carbonizzazione della legna. Poi si segue un vecchio pastore (Giuseppe Fuda) che vive con le sue capre in un piccolo paese dell’Aspromonte (Caulonia per l’esattezza). Sta male e la sua cura consiste nel bere un bicchiere d’acqua mischiato con della polvere raccolta nella chiesa del paese. La sua morte coincide con la nascita di un capretto. Questi cresce, incomincia a camminare, a giocare nel recinto insieme ad altri “cuccioli” e ad accompagnarsi al resto gregge nelle uscite quotidiane. Un giorno però si allontana da solo, si perde e non sa più ritrovare la strada. Va a ripararsi esausto sotto un grande abete, lo stesso che vediamo cambiare colore con lo scorrere delle stagioni, che viene, prima abbattuto, poi utilizzato come sorta di “albero della cuccagna” nell’ annuale festa dell’abete e quindi preso in consegna dai carbonai (Bruno Timpano, Nazareno Timpano e Artemio Vellone) che lo lavoreranno per farne una cosa utile per l’inverno.

Le bellissime vette della terra di Calabria fanno da sfondo a «Le quattro volte» di Michelangelo Frammartino, un film fatto di sospiri che aleggiano nell’aria come foglie al vento, sospeso tra l’elegia di un mondo incantevole e la descrizione accurata di uno scenario della natura che sembra essersi sottratto dalle incurie del tempo. Le quattro volte del titolo possono riferirsi sia al tempo della vita, evidenziato dal susseguirsi ciclico degli eventi naturali che, in quanto scritti nell’ordine naturale delle cose, sanno riprodurre eternamente se stessi, che al tempo della morte con la costatazione empirica mutuata dall’assioma biblico che «polvere siamo e polvere torneremo». In ogni caso è la natura la padrona indiscussa del film, una natura intesa nella sua accezione più ampia possibile, comprensiva cioè di ogni elemento che gli è proprio, umano ed animale, vegetale e minerale, che attraverso la reciproca indispensabilità funzionale sanno garantire il suo perpetuo rigenerarsi. Il susseguirsi delle stagioni garantiscono la ciclica variabilità dei colori e dei venti, la presenza di uomini e animali forniscono suoni e rumori, l’occhio immobile di Frammartino, invece, sa immergere tutto in un universo cognitivo di grande efficacia iconografica dove, tanto la riconoscibilità di ogni “voce” particolare, quanto i rituali canonici che danno forma concreta alle indispensabili coordinate spazio temporali, si rendono partecipi di una inestinguibile liturgia naturalistica. Perché di questo insieme compatto, Michelangelo Frammartino sa cogliere l’essenza profonda con rispetto devoto, adagiandoci allo scorrere delle immagini allo stesso modo con cui le immagini si accompagnano al naturale scorrere della vita. Adotta una presenza discreta e mai invasiva, intenta ad osservare le cose in sé, come parte un disegno più ampio scolpito nelle pieghe del tempo eterno, un disegno che può rispondere solo a se stesso se vuole continuare a germogliare i suoi frutti, che sottopone tutti al rituale canonico della vita e della morte, della gioia e del dolore, della festa e del lavoro. All’uomo non resta che il potere di sapersi armonizzare virtuosamente con esso, continuando le tradizioni dei padri e usando le feste comandate (la processione pasquale e la festa dell’abete) come il momento cardine di un sentire comune in perfetta armonia con l’ambiente che lo circonda e lo ospita. Per stessa ammissione di Frammartino, il più chiaro riferimento cinematografico è Vittorio De Seta (non a caso, le scene della festa “dell’abete” si svolgono ad Alessandria del Carretto, dove De Seta ambientò «I dimenticati»). Ciò che mi sembra accomunarli, oltre allo “spirito meridionalista” (siciliano di nascita De Seta, milanese, ma calabrese d’adozione Frammartino) è il calore etico che sanno imprimere alle immagini che passano sullo schermo, che serve ad affrancarle dalla mera descrittività di un evento per restituircele con il loro volto più vero e con tutta la carica vitale e spirituale che possono appartenergli. Vittorio De Seta è stato documentarista in senso stretto, mosso dall’urgenza di dare testimonianza di quel “mondo perduto” (questo è il titolo dato al corpus delle sue opere raccolte nella collana «Real cinema» edita dalla Feltrinelli) fatto di contadini, pastori e pescatori, sottoposto ad un vero e proprio “genocidio culturale”. Come De Seta, Frammartino sembra mosso dall’urgenza di mostrare i piccoli e grandi doni che giornalmente è capace di fornirci la natura, di ricercare la verità attraverso il familiare miracolo della sua bellezza ancestrale. Familiarità che contrasta non poco con l’oblio di cui è stata fatta oggetto. Grande cinema etico.

Peppe Comune

http://www.filmtv.it/film/42563/le-quattro-volte/recensioni/581827/#rfr:film-42563

II

Se l’idea di bellezza è sempre più assoggettata alla vistosità dell’oggetto che ci troviamo davanti, ecco spiegato il perché della bellezza paesaggistica come corrispettivo della grande e imponente città e l’abolizione di archetipi in via d’estinzione. L’occhio si lascia crogiolare da una pigrizia incapace di scavare a fondo, di cogliere la bellezza nella complessità della vita quotidiana. Lasciando al proprio flusso arcaico i luoghi nascosti che ancora conducono una esistenza fuori dal tempo. Da una parte lo sguardo continua a catturare soltanto ciò che gli è immediato, trascurando l’essenzialità delle cose, dall’altro il luogo incontaminato, non sottomesso alle esigenze inquinanti della moderna società dei consumi, conserva la propria connotazione primitiva. Ma l’ignavia dell’occhio riguarda anche la visione cinematografica, disabituata alla pazienza del saper vedere, preferendo subire l’immediatezza di ciò che ci viene scaraventato addosso.

«Le quattro volte» si situa in un territorio “marginale” della Calabria. Un microcosmo che pare fuori dal mondo e che, invece, conserva il contatto più stretto con l’essenza stessa della natura. Che crea una parabola sul tempo dove il tempo sembra invece essersi fermato da decenni.

Il milanese Frammartino aveva già ambientato il suo precedente e già interessante primo film, «Il dono», in Calabria, luogo di nascita dei suoi genitori. Sondando il terreno per questa sua opera seconda si è imbattuto in quattro possibili personaggi, quattro entità vicine e lontane: il vecchio pastore, il capretto bianco, un grande abete, il carbone. Suggerendo la possibilità di rendere protagonista di un film un animale o un qualsiasi elemento naturale, contemplando la natura e la natura delle cose, il film può essere suddiviso in quattro storie a sé stanti. Con dei lunghi piani sequenza che nella loro quiete colgono l’imprevedibilità della vita (non mancano i momenti ironici), Frammartino ci ricorda tradizioni e luoghi dimenticati, offrendoci una visione poetica sui cicli della vita, ma a ben vedere il film non si ferma qui: vuole andare oltre, chiedendo complicità a spettatori attenti, disposti ad unire i tasselli ed erigere un’architettura che possa essere al contempo antropologica e filosofica.

Partendo da una frase attribuita a Pitagora, secondo la quale in ogni essere ci sarebbero quattro vite distinte, ma incastrate l’una dentro l’altra (minerale, vegetale, animale e razionale), i quattro stadi del film vivono di una sola anima, destinata a passare ciclicamente da entità a entità, reincarnandosi, consumandosi e rinascendo.

Senza l’utilizzo di parole né di musica, ma con un fondamentale tappeto sonoro che cattura il respiro della natura, è un’opera metafisica e antropologica, concreta e fantascientifica. Offrendo allo spettatore il compito di decifrare, comporre e riempire il suo cammino, «Le quattro volte», ideale incrocio tra Franco Piavoli e Bèla Tarr, è un cinema geometrico, ma spontaneo. Assemblando e rispettando le sue idee, Michelangelo Frammartino vola alto.

Diego Capuano

http://www.ondacinema.it/film/recensione/quattro_volte.html