«Kreuzweg – Le stazioni della fede»: 2ª Serata cinematografica con «cocktail» [153]
Apr
05
Ora: 19-22
Luogo: Salone «S. Elisabetta d'Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido

Serata cinematografica, con la proiezione del film «Kreuzweg – le stazioni della fede» di Dietrich Brüggemann, la conversazione «Il fanatismo e l’intransigenza religiosa» e il «cocktail», la 2ª Serata ideata all’interno della 8ª edizione del CineCircolo con il motto: «A servizio della pace e della fratellanza, per immagini», ispirata ai tre grandi testi: 1. Messaggio «La buona politica è al servizio della pace» di Papa Francesco per la celebrazione della 52ª Giornata Mondiale della Pace (1.01.2019), 2. «Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune», firmato da Papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar Aḥmad al-Ṭayyib ad Abu Dhabi (4.02.2019), 3. Preghiera-poesia «Cantico delle creature» di frate Francesco d’Assisi (FF 263), promossa dal Circolo Culturale San Francesco ed aperta, a titolo gratuito, a tutti: soci, sostenitori, amici, credenti e «laici», vicini e lontani – la 153ª di seguito, tra quelle cinematografiche e quelle conviviali, con decorrenza dal 10 gennaio 2014.
«Kreuzweg – Le stazioni della fede»
Regia: Dietrich Brüggemann. Genere: Drammatico. Paese: Germania. Anno: 2014. Durata: 107′
Trama: La quattordicenne Maria è cresciuta con i principi che le sono stati impartiti dalla sua famiglia cattolica. Per lei, la fede è qualcosa di molto serio e Maria cerca così di vivere secondo quanto le è stato insegnato dalla famiglia e dal suo prete. Il contrasto tra la sua vita familiare, in cui tutti devono attenersi a rigide regole fisse e alle disposizioni della dispotica madre, e la sua esperienza da studentessa è però molto netto e Maria, ritrovandosi sotto pressione, opta per una esistenza in cui solo Gesù gioca un ruolo fondamentale.
♦ Conversazione
Il fanatismo e l’intransigenza religiosa
♦ PROGRAMMA DELLA SERATA
- Videoclip «Io l’ho visto» da «Il Risorto. Oltre il dolore e la croce» di Daniele Ricci (4:51’)
- Parole di benvenuto e presentazione del programma
- Note sul film e sul tema della conversazione
- Proiezione
- Conversazione «Il fanatismo e l’intransigenza religiosa» + videoclip «Via Crucis» – Opera musical «La sofferenza di ieri e di oggi» (6:58’)
- Comunicazioni relative al Circolo
- Recita della Preghiera per la pace (Papa Francesco, Giardini Vaticani, 8 giugno 2014)
- Foto di gruppo e cocktail [In sottofondo: videoclip «Osanna» da «Il Risorto oltre il dolore e la croce» di Daniele Ricci (4:00’) e «Il Risorto» – The musical (10:19’)]
Recensioni
♦ INVOLUZIONE INNOVATIVA. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mc 15, 34)
Probabilmente mai come in questi anni i tempi stanno correndo freneticamente e sembra che niente e nessuno sia in grado di fermarli. L’unica soluzione per reggere il passo pare essere quella di assecondarli, a costo di rischiare la propria identità, per non sparire completamente. Anche la religione non è esente da tale pressione, così come il cinema. Due sfere decisamente lontane e tuttavia accostate in maniera sorprendentemente naturale da Dietrich Brüggemann, il quale decide di realizzare una pellicola che racconti l’importanza del cambiamento attraverso una storia che nasce dalla tradizione (religiosa e cinematografica) e che di essa si nutre.
Kreuzweg – Le stazioni della fede racconta il Calvario (nel vero senso della parola) di un’adolescente cresciuta secondo un’educazione cattolica fondamentalista ancorata agli insegnamenti biblici basilari, priva dei cambiamenti apportati dal Concilio Vaticano II. Il regista decide di incastonare il racconto in uno stile (apparentemente) primordiale, attraverso quattordici lunghi piani sequenza realizzati a camera fissa (a parte un paio di eccezioni). Il cinema e la spiritualità sembrano essersi fermati ai loro albori: l’uno alle vedute statiche delle origini, l’altra ai dogmi della Chiesa fondata da Pietro. La frenesia, il cambiamento, la velocità dei giorni a noi contemporanei sono del tutto azzerati in nome di un ritorno alla tradizione che tuttavia, mai come ora, è carica di una portata innovatrice senza paragoni.
Lo scopo principale dell’autore è quello di mettere il pubblico nei panni di Dio. Il suo film è una metafora precisa e spietata di quello che è stato il percorso di Gesù verso la crocifissione. E non ci si riferisce solo alle quattordici tappe che costituiscono la via crucis (puntualmente chiamate in causa a scandire i capitoli della pellicola), quanto all’impossibilità di fare qualcosa per intervenire nella vicenda. Tutto è immobile e non c’è via di fuga, non c’è nessuna possibilità di azione. Attraverso una suspense perfettamente calibrata, Brüggemann costruisce un climax impossibile da sostenere: una giovanissima e innocente ragazza si avvicina frettolosamente verso un sacrificio che non le compete e lo spettatore non può far altro che assistere passivamente al macabro spettacolo messo in scena con una crudeltà tanto cinica quanto elementare.
Siamo costretti a subire il fascino di un cinema rigido, freddo e formale che rischia di non essere accettato perché non coerente con i tempi. Un ossimoro straziante e deprimente, per un’opera che rischia di non riceve l’accoglienza sperata. E ogni riferimento a qualsiasi creatore divino fattosi uomo non è puramente casuale. (Simone Soranna)
♦ KREUZWEG, FILM CONTRO UNA CHIESA CHE NON ESISTE PIÙ
Premiato a Berlino, arriva nelle sale questo film che, pur apprezzabile nella messa in scena, racconta la Via Crucis di una ragazza con un astio nei confronti della Chiesa cattolica che appare fuori dal tempo.
Maria, 14 anni, muore alle tre del pomeriggio. Come Cristo in croce. Anche Maria ha percorso una “via crucis” in quattordici stazioni prima di giungere in cima al suo Calvario. Inchiodata al letto d’ospedale, lei si sente abbandonata, come Gesù dal Padre. Alla sua morte Cristo fa aprire i sepolcri. Maria, quando chiude gli occhi, fa aprire la bocca al fratellino muto.
Questo è il telaio attorno cui il regista Dietrich Brüggemann intesse la storia del film Kreuzweg, le stazioni della fede, nelle sale dal 29 ottobre. L’idea centrale è quella di ridurre la complessa materia di un film in un numero preciso di segmenti, che vengono intitolati come le tradizionali stazioni della Via Crucis nella devozione della Chiesa cattolica.
La struttura del film, rigorosa e razionale, fa pensare a una sovrapposizione-somiglianza della protagonista Maria con la figura “paziente” di Gesù. Il linguaggio rimanda alle severe espressioni cinematografiche di Dreyer, Bresson e Bergman. Recitazione minimale. Macchina da presa fissa. Musica assente. Dialoghi essenziali. Silenzi prolungati. Colore “sporco” in sostituzione del bianco e nero. Cieli lividi e impenetrabili. Mancanza di luce.
Una storia lucida come la lama di un coltello, che taglia e seziona la vita di Maria in quattordici quadri, all’interno dei quali si incornicia una sacra rappresentazione medioevale della “passione e morte” di una vittima innocente, uccisa da un fede disumana. Una “Passione di Giovanna d’Arco” capovolta, dove Giovanna non è condannata da un tribunale, ma dalla propria intransigenza
Maria è fortemente spinta a professare una fede cattolica tetramente calvinista. Il prete della chiesa (padre Weber) e sua madre sono i principali ministri di questa pozione venefica, che non perde la sua virulenza nemmeno a contatto con il compagno di scuola Christian, con la tata francese Bernadette e con la professoressa di ginnastica. Personaggi che hanno un modo “normale” e semplice di rapportarsi alla religione.
Non c’è nessuno che possa accompagnare Maria fuori dalla sua notte. Il Cireneo della quinta stazione della via crucis aiuta Gesù a portare la croce. Nella sua “quinta stazione” Maria incontra nel confessionale Padre Weber, che invece pare le dia una mano a sprofondare ancora di più nel buio della sua solitudine.
La fissità della narrazione rimanda alla fissità della morte. Pochi i movimenti dei personaggi all’interno dei quattordici quadri. Esternamente la macchina da presa si muove la prima volta dopo un’ora e tredici minuti. Eppure l’intensità drammatica aumenta ad ogni pagina che si gira e ad ogni quadro che si esaurisce. Cresce un po’ alla volta la “pietas” del regista e dello spettatore verso questa quattordicenne indifesa, che, in preparazione alla Cresima, decide di “immolare” la sua vita per raggiungere Nostro Signore in paradiso.
Quello che è davvero inquietante in questo film è che la causa della morte è la fede cattolica. Una fede ossessionata dal peccato e dal demonio, implacabile verso i sentimenti, insensibile alle fragilità, senza nessuna misericordia, votata al sacrificio e all’autopunizione. Questa Chiesa è una specie di sètta giansenista, anoressica all’amore e alla vita, che odia la musica moderna come fosse il diavolo.
Dietrich Brüggemann traccia il ritratto di una Chiesa cattolica che non esiste più, se non nella sua mente. Tira fuori della soffitta una Chiesa incartapecorita e arteriosclerotica, che non ha riscontro nella realtà di oggi. Una Chiesa che vive la sindrome dell’accerchiamento e che continua ad adoperare la lingua latina come una barriera contro le ondate furibonde del male.
Il regista di Monaco non è riuscito, verosimilmente, a liberarsi da un incubo che risale alla sua infanzia – come racconta in una dichiarazione riportata su una pagina del sito IMDb – quando andava a scuola dalla suore, dalle quali riceveva una educazione religiosa rigida e dolorosa. E’ rimasto vittima del suo autobiografismo. Dietrich e Maria sono la stessa cosa.
Se l’intento del regista era quello di denunciare che ogni fondamentalismo – anche quello religioso – è una via crucis che porta l’uomo alla morte più assurda e insensata, lo ha fatto in una maniera talmente radicale ed esclusiva da sortire un effetto completamente diverso e forse lontano dalle sue intenzioni.
Se non ammetti nessun confronto e dibattito attorno alla tua idea, è facile che il pubblico identifichi tout-court la professione distorta della religione cattolica con la religione in quanto tale, con la fede qualunque essa sia.
I commenti più ricorrenti degli spettatori nei siti cinematografici internazionali al film di Brüggemann sono di questo tenore: la religione è malsana. Forse i premi attribuiti a Kreuzweg dalle Giurie ecumeniche in diversi Festival sono un po’ affrettati e leggermente fuori luogo. (Roberto Di Diodato)