«Collateral Beauty»: 8ª Serata cinematografica con «cocktail» (124)

Mag

11

Ora: 19-21
Luogo: Salone «S. Elisabetta d'Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido

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L’8ª Serata cinematografica, con la proiezione del film «Collateral Beauty», la cineconversazione «La speranza della vita oltre la morte» e il «cocktail», ideata all’interno della 6ª edizione del CineCircolo con il motto: «I giovani con ‘sorella’-‘madre’ Terra per immagini», l’edizione ispirata al documento preparatorio del prossimo Sinodo dei vescovi: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», ma anche all’enciclica Laudato si’ di papa Francesco e alla preghiera-inno Cantico delle creature di frate Francesco, promossa dal Circolo Culturale San Francesco ed aperta generosamente, a titolo gratuito, a tutti, soci, sostenitori, amici, vicini e lontani − la 124ª Serata di seguito, tra quelle cinematografiche e quelle conviviali, con decorrenza dal 10 gennaio 2014.

«Collateral Beauty»

Regia: David Frankel. Genere: Drammatico. Paese: USA. Anno: 2017. Durata: 97′

Trama: Howard corre in bicicletta tre le vie affollate di New York, va al lavoro, ha dei colleghi che valgono come amici, eppure non vive più. Nella città caotica e iperattiva dove tutto corre, scorre e si aggiorna, Howard decide di fermarsi. Il dolore è troppo grande, il lutto sempre presente, il ricordo di una figlia morta insostenibile e lacerante. Del corpo scultoreo di Will Smith nessun segno, così come del suo sorriso sornione e del suo contagioso entusiasmo. Solo occhiaie sotto uno sguardo spento, barba incolta, un appartamento spoglio. Depresso e alienato, Howard trova rifugio solo nella scrittura, inviando lettere piene di risentimento e astio alle tre astrazioni che dominano la nostra esistenza: la Morte, l’Amore e il Tempo. Però, per gli altri, la vita deve andare avanti, perché il lusso di fermarsi a New York non risparmia nemmeno un’affermata agenzia pubblicitaria. Così i suoi soci e colleghi Whit (Edward Norton), Claire (Kate Winslet) e Simon (Michael Peña) decidono di smuovere la pericolosa apatia dell’amico assecondando il suo malessere. Grazie ad uno strambo piano, la Morte, l’Amore e il Tempo entreranno davvero nella vita di Howard. Tutti pronti a fare da testimonial della propria, edificante morale.

Cineconversazione

«La speranza della vita oltre la morte»

Programma della Serata

  1. Video musicale «Il giorno di dolore che uno ha» di L. R. Ligabue (4:37′)
  2. Note sul film e argomento della cineconversazione
  3. Proiezione
  4. Cineconversazione: «La speranza della vita oltre la morte»
  5. Comunicazioni relative al Circolo ed annuncio del prossimo evento
  6. Recita della Preghiera di Papa Francesco per i giovani (Sinodo 2018)
  7. Foto di gruppo e «cocktail» [In sottofondo il video musicale «Dreams» dei Cranberries con la voce di Dolores O’Riordan (4:23′)]

♦ Recensioni

✺ Amore, tempo e morte sono le forze motrici dell’esistenza umana e di Collateral Beauty. Ecco la nostra recensione della pellicola che ha commosso il pubblico. Quali sono gli elementi che danno un senso alla nostra esistenza? Perché ci sentiamo parte dell’umanità nonostante ciascuno di noi viva nel proprio microcosmo unico e particolare?

Secondo David Frankel la risposta a queste domande è contenuta nell’essenza stessa della bellezza collaterale. Questa infatti è l’unica capace di creare un collegamento con il mondo, rendendoci connessi gli uni con gli altri anche se viviamo in modo diverso e sentiamo la vita attraverso forme altrettanto differenti. La bellezza collaterale è composta da tutte quelle entità universali ma a sovrastare più di tutte le altre sono principalmente tre: amore, tempo e morte.

Tutti desideriamo l’amore ed essere amati, tutti vorremmo avere più tempo e tutti indistintamente abbiamo paura della morte. Queste tre sfere metafisiche sono vaste, hanno numerose maschere e mille forme di comunicazione: con esse ci confrontiamo sempre, in modo diverso e quotidianamente.

L’amore, il tempo e la morte hanno vari volti, ma non li conosceremo mai nella loro completezza: possiamo avere un’idea della loro essenza ma sarà sempre qualcosa di parziale. Howard Inlet (Will Smith), Whit Yardsham (Edward Norton), Simon (Michael Peña) e Claire (Kate Winslet) sono amici da tempo immemore ed insieme hanno fondato una grande azienda.

Il lavoro procede a gonfie vele fino a quando la morte non si presenta nel modo più atroce nella vita Howard portandole via Olivia, la figlia di sei anni. In quel preciso istante Howard decide di non volere più appartenere al mondo, quel mondo che tanto amava, chiudendosi in un silenzio devastante: non parla più con nessuno, ha lo sguardo spento e soffre d’insonnia. L’unico rapporto che decide di avere è epistolare e non è con delle persone ma con coloro che per l’uomo sono la causa di questo strazio: l’amore, il tempo e la morte.

Howard alla morte recrimina la brutalità della condizione in cui versa perché è lei che le ha tolto Olivia, nonostante le abbia più volte pregato di scegliere lui come vittima invece della sua piccola. Al tempo condanna la sua sofferenza perché lo costringe a patire quotidianamente per l’assenza di sua figlia. Dall’amore è deluso perché ne aveva conosciuto la sua essenza e pienezza attraverso lo sguardo di Olivia quando lo chiamava papà. Oggi il suo cuore è pieno di rabbia, svuotato di tutto ed è solo colpa loro: non c’è nessuna spiegazione plausibile che riesca a darsi, perché il senso della sua vita era sua figlia ed ora non c’è più. Olivia è morta prematuramente a causa di una malattia rara, ma ad Howard questo non importa, perché pensa soltanto che la sua bambina aveva ancora tanto da vivere. Per Howard non esiste la bellezza collaterale, ora aspetta solo che i suoi giorni passino in fretta senza aspettarsi nulla dalla vita.

In Collateral Beauty lo spettatore viene catapultato d’impatto e senza preavviso all’interno di questo baratro nero, doloroso e senza vie d’uscita perché in fondo nessuno riuscirebbe a sopravvivere ad un dolore così grande. La perdita prematura di un figlio è devastante, soprattutto quando si è costretti a guardare inermi e senza poter fare nulla. I suoi amici nonché colleghi cercano un modo per poter far reagire Howard e fargli lasciare l’azienda di cui non si sta occupando più. Per sapere come Howard trascorra le sue giornate, Whit, Simon e Claire ingaggiano una detective privata ed è lei che scopre che Howard scrive a quelle entità che considera le cause del suo dolore.

Come risollevare l’amico, cercando di spronarlo? Parlare con lui ormai è impossibile e allora se Howard scrive al tempo, alla morte ed all’amore saranno loro a cercare di ristabilire un contatto con lui. L’idea che attuano è quella di dare un volto e un’anima a queste entità, servendosi dell’aiuto di un gruppo di attori teatrali: saranno loro che risponderanno di persona alle lettere di Howard.

Come la prenderà? Crederà di essere diventato pazzo? Ognuno degli attori avrà una parte da interpretare: Brigitte (Helen Mirren) impersonerà la morte, Aimee Moore (Keira Knightley) presterà il suo volto all’amore mentre Raffi (Jacob Latimore) sarà il tempo. Brigitte, Aimee e Raffi avranno rispettivamente come referenti Simon, Whit e Claire. Questi ultimi scopriranno a loro volta di avere un guerra in corso proprio con le entità interpretate dagli attori assunti per la messa in scena.

Simon che si interfaccia con Brigitte sta combattendo con la morte, Claire si confronta con Raffi e vorrebbe avere più tempo per poter esaudire un suo desiderio e Whit che ha contatti con Aimee desidera disperatamente l’amore di sua figlia che però lo odia. Come andrà a finire il resto lo potrete scoprire solo guardando il film uscito il 4 gennaio nelle sale italiane.

L’uscita di Collateral Beauty ha diviso le critiche tra il pubblico che ama la pellicola e gli esperti del genere, che lo hanno massacrato per la trama scontata e mielosa. Per molti il lavoro di David Frankel è debole e carente sotto molti aspetti, soprattutto per il paragone tra il lungometraggio ed il libro a cui esso si è ispirato: il famoso Canto di Natale di Charles Dickens. In realtà un lavoro cinematografico, pur ispirandosi ad un’opera letteraria, vive comunque di un’anima propria e Collateral Beauty riesce a farlo.

Questo è un film che tocca le paure universali, che pone delle domande e cerca di dare delle risposte che, ovviamente, non sono assolute. Il lungometraggio è drammatico e toccante perché mette in risalto le nostre fragilità e come, all’improvviso, tutto può cambiare senza preavviso, sgretolandosi come un vaso di cristallo.

Collateral Beauty affronta la tematica delicata del dolore e le varie lotte che quotidianamente affrontiamo con problemi, spesso più grandi di noi, a cui ci troviamo impreparati. Ciò che ci sussurra il film è che alla fine dei conti anche questa è vita e non va sprecata, perché anche il dolore è utile. E come scrive Palahniuk in Diary: La felicità non lascia cicatrici. Dalla pace non impariamo molto. (Alfonsina Merola)

✺ La bellezza “collaterale” è il timido splendore delle cose, il fascino inatteso di un gesto gentile, la luce che irradia da un incontro o da un luogo e che diventa accecante non appena nasce, si sviluppa ed esplode in chi si riapre alla vita un fortissimo senso di appartenenza.

Ecco spiegato il titolo del nuovo film di David Frankel, già regista di alcuni episodi di Sex & The City e soprattutto (fra gli altri) de Il diavolo veste Prada, con cui questo Xmas movie (e poi spiegheremo perché lo è, al di là della data di uscita, che da noi però è leggermente slittata) condivide l’ambientazione newyorchese, anche se la città dell’Empire State Building è meno scintillante e romantica, meno frenetica e soprattutto dotata di una personalità meno ingombrante. Il che è anche giusto, perché in Collateral Beauty molto si gioca nella mente e nel cuore (o comunque nel ristretto entourage) di un uomo che si è ammalato di una depressione “eccentrica”, un pubblicitario non più di grido che ha perso la sua adorata figlia di sei anni e trascorre le giornate in stato quasi catatonico.

Il lutto, eccolo qui! E per di più legato alla scomparsa di una bambina… che argomento difficile da affrontare, e che situazione “ostile” da raccontare, a meno che non si voglia annegare nel melmoso stagno del trito melò o non si desideri essere ricattatori come un qualsiasi cancer-movie o come il campione di pessimismo cosmico 21 grammi. Collateral Beauty, invece, per merito dell’originale sceneggiatura di Allan Loeb, il melò in parte lo evita, inventandosi i personaggi di tre attori di teatro a cui i migliori amici e colleghi del protagonista chiedono di fingersi “il tempo”, “l’amore” e “la morte”, tre concetti astratti ai quali lo sventurato ha scritto lettere di protesta. Muovendosi così fra realtà e finzione, fra maschere più o meno pirandelliane e individui concreti che provano testi sconosciuti in polverosi teatrini Off-Broadway, il film riesce anche a trasformare il dolore in commedia, affidando fra l’altro a una regina come Helen Mirren una meravigliosa (e ironica) tirata e intrecciando sempre due modi di recitare diversi: uno più naturale, l’altro più caricato.

Ma non basta. Nonostante l’interprete principale del film sia un Will Smith dolente e intenso proprio come lo abbiamo visto nei mucciniani La ricerca della felicità e Sette anime, Frankel e Loeb non si fanno problemi a metterlo in secondo piano, alternando alle sue “biciclettate” e alle sue inutili visite a gruppi di supporto una serie di scene a due nelle quali i compagni di lavoro di Howard e le tre “personificazioni” dialogano su argomenti importanti. E’ qui che Collateral Beauty è diverso da tante storie che abbiamo visto sul grande schermo, in particolare durante le festività. Certo, amore, morte e tempo hanno un po’ l’aria dei dickensiani Spiriti dei Natali passati (perché arrivano in momenti topici), ma invece di insegnare la bontà allo Scrooge di turno o di spaventarlo, dicono cose vere e schiette: a una donna sola troppo vecchia per avere figli, per esempio, o a un uomo che soffre di un brutto male.

E tuttavia, forse a causa di una durata di soli 97 minuti, questo incastro di storie, filosofie di vita e consigli su come stare al mondo nella maniera migliore fa promesse che non mantiene, aprendo troppe piste, non risolvendo qualche mistero, sviluppando 4 personaggi su 8, mettendo in secondo piano un “monstrum” come Kate Winslet e lasciando una generale impressione di vaghezza e di evanescenza. E sebbene alla fine arrivi una sorpresa, non tutto e tutti trovano la giusta collocazione.

E allora, di questo film che ci ha comunque emozionato, facendoci ripensare ai nostri cari che non ci sono più o ai bivi che abbiamo ormai irrimediabilmente superato, ci teniamo con piacere un Edward Norton in pieno possesso di un talento da commedia, la scoperta Jacob Lattimore e il messaggio – anch’esso natalizio e molto poco legato all’individualismo e alla smodata ambizione del Nord America – che non è sempre necessario farcela da soli. Esistono gli altri, e nei periodi terribili possono davvero aiutarci. (Carola Proto)

✺ Howard è il manager di maggior successo di una grande azienda. Colpito dalla tragedia della morte della figlia di sei anni, non riesce a tornare a vivere. I suoi tre migliori amici e colleghi di lunga data vengono a sapere che ha scritto delle lettere, al Tempo, all’Amore e alla Morte, e assoldano tre teatranti perché impersonino queste entità astratte e dialoghino con Howard, scuotendolo e riportandolo alla consapevolezza che la sua vita non è finita.

Nemmeno in mano ad un grande autore visionario, un copione come questo, sarebbe stato al sicuro; meno che mai nelle mani di David Frankel e di un cast troppo curiosamente assortito, dove i grandi attori -Norton e Winslet- rimangono malamente schiacciati nelle loro potenzialità e soltanto Helen Mirren riesce a emergere come merita, ma la fa con un personaggio da commedia, lanciato come una trottola impazzita su un tappeto ultra drammatico.

Non che una dose di leggerezza non sia contemplata in partenza, lo è senza dubbio, ma non è quella della commedia, bensì quella sentimentale del “Canto di Natale” dickensiano, che il film riprende esplicitamente nelle figure dei tre attori che, come angeli, vedono in profondità nelle vite dei loro interlocutori. Anche qui, però, le forzature non mancano, e soprattutto diventa sempre più chiaro, strada facendo, che in Collateral Beauty sono contenuti due film che non s’incontrano se non in maniera illusoria, soltanto apparente. Da un lato, il melodramma con Will Smith e Naomie Harris, film “impossibile” per il suo portato tragico, affrontato senza mai levare le lacrime dagli occhi, a colpi di invenzioni singhiozzanti (il domino, le lettere) e con un twist finale che sarebbe stato più adatto ad un cortometraggio che ad un progetto con queste ambizioni. Dall’altro lato, un film dal sapore più indipendente e dal soggetto più singolare, su una piccola compagnia di attori pagati per uscire dalla comfort zone del loro teatrino off Broadway e misurare la loro arte con un’esigenza della vita vera, un terreno su cui non possono sbagliare, pena l’aggravamento di una sofferenza già insopportabile. Una prova difficile, che Keira Knightley rischia di fallire, non tanto nella finzione, ma sul palcoscenico principale, quello del film stesso. (Marianna Cappi)

✺ Dopo aver raccontato il burrascoso dietro le quinte del mondo della moda con Il diavolo veste Prada, David Frankel abbandona ritmi frenetici, dialoghi brillanti e personaggi sopra le righe per raccontare una New York diversa: addobbata, ma silente, meno festosa e più riflessiva. Composto da personaggi feriti Collateral Beauty parte da un’immagine inizialmente evocativa, ovvero centinaia di tasselli di un enorme domino che crolla poco alla volta. Quella del domino, sintesi emblematica di un lutto che fa crollare tutto e tutti, diventa man mano un’allegoria sottolineata di continuo, troppo insistita, insistente e didascalica come tutto il film. Frankel si sforza di rendere i suoi protagonisti anime bisognose di un contrappunto, tutte dipendenti da un confronto prezioso con qualcun altro, come se tutti, appunto, fossero tasselli di quel grande domino. Quello che manca a Collateral Beauty è proprio il giusto equilibrio per tenere in piedi la sua impalcatura umana.

Indeciso tra il tono spensierato della commedia e quello dilaniante del dramma più intimo, questa storia corale non perde mai occasione di mettere alle strette un cast sulla carta straripante. Se Helen Mirren è l’unica a dare un tocco di umanità e di empatia al suo personaggio, crediamo che Kate Winslet non sia mai stata così in difficoltà e Edward Norton mai così in affanno per tenere le redini di un film che straripa verso una valle di lacrime, un corso impetuoso di acqua salina in cui lo spettatore è gentilmente invitato ad annegare.

La materia è delicata: si parla di dolore. Una dimensione talmente personale (e universale insieme) da richiedere il giusto tatto, la necessaria introspezione, uno sguardo pieno di dignità nei confronti di questa sofferenza paterna patita da Howard. Collateral Beauty, invece, ci va giù pesante, senza guanti, ma con guantoni da pugile, pronto a colpire basso pur di guadagnarsi l’attenzione dello spettatore. Le premesse e la trovata narrativa farebbero anche ben sperare, grazie ad una moderna rivisitazione del grande classico natalizio Canto di Natale di Charles Dickens.

Se nell’amato romanzo ottocentesco l’avaro Scrooge veniva preso per mano dai fantasmi del Natale passato, presente e futuro per guardare in faccia la sua umanità ormai perduta, qui Will Smith affronta tre entità che dovrebbero proiettarlo verso l’accettazione, la scoperta di un nuovo senso nel vivere, ma finiscono per esibirsi in sterili sketch dove ogni battuta sembra fuoriuscita da un bigliettino d’auguri natalizio. Collateral Beauty è stracolmo di buone intenzioni e di grandi attori, tutti penalizzati da una scrittura purtroppo sciatta e, soprattutto, davvero troppo didascalica. Troppe cose vengono dette e poi ripetute, mostrate e poi rimostrate, istigando chi guarda a cercare fazzolettini nelle proprie tasche. Chi ne esce peggio è proprio Will Smith. Spaesato, passivo, costretto a subire i danni di una scrittura sciatta, il gigante buono questa volta non basta a tenere su un film che collassa nelle sue stesse aspirazioni; un film che, ci dispiace dirlo (visto il cast a disposizione) ci sembra indifendibile. Forse più ruffiano che ingenuo, in Collateral Beauty la vera bellezza è solo nel titolo. (Giuseppe Grossi)