Con colore e ‘calore’ «…nei non-luoghi»

Ci ha regalato il colore e il calore la 4ª Serata conviviale, focalizzata sul tema: «Connessioni dei giovani nei non-luoghi», ideata nella cornice della 7ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Negli spazi abitati dai giovani…», e svoltasi venerdì 9 novembre 2018 presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. Nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria», nella platea, spiccava il colore di p. Lawrence, zambiano, pur per poco, e presso la piccola tavola rotonda quello di Garcia, venezuelana, per l’intera durata dell’evento. Nello spazio del locale si espandeva il calore, originato dalle presenze straordinarie, tra cui quella di p. Joaquín Ángel Agesta Cuevas, francescano spagnolo, nativo di Castejòn (Navarra), membro della provincia francescana di Nostra Signora di Monserrat e assistente della federazione inter-mediterranea dei Ministri provinciali, in visita canonica alle fraternità conventuali in Calabria, su mandato del Ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali.

L’evento si è aperto con il videoclip «Perfetti sconosciuti» di Fiorella Mannoia, in reminiscenza della Serata del 12 ottobre e in sintonia con quella in corso. L’ha introdotta, con la lievità francese, Teresa Cona, segretaria del Circolo, presentando il programma e leggendo la lettera di Marisa Rizzello di Roma che l’ha consegnata poco prima e se n’è andata da sua mamma Patrizia, bisognosa ormai del suo «I care». «Quest’anno non ci è stato possibile partecipare agli incontri – ha scritto anche a nome di sua sorella Margherita – e ne siamo molto dispiaciute. Avremmo voluto ricordare insieme a voi il caro Peppino che tanto si è speso per la crescita del Circolo e a cui ha dedicato tanto del suo tempo e del suo amore. In sua memoria vogliamo dare il nostro piccolo contributo, con l’augurio che possiate portare avanti quest’iniziativa così importante per il territorio». Un «trio» affettuoso e caloroso. In premio, Dante Alighieri lo potrebbe mettere nel «Paradiso», in compagna di Peppino, e incoronarlo.

Ad esporre e illustrare l’argomento della Serata («Connessioni dei giovani nei non-luoghi»), presso la tavola rotonda, c’erano due talentuose ragazze: Clarissa Errigo e Tatiana Cricelli, insieme alla debuttante Garcia Oslaida, con la sua attraente testimonianza. La loro «performance», intercalata da due brevissimi, ma significativi video («I non-luoghi» di Francesco Nencini, fotografo, ispirato a Marc Augé, antropologo e filosofo francese, e «Non-luogo» di Valeria Della Valle, professoressa associata di linguistica italiana all’Università di Roma «La Sapienza»), è sfociata nel dialogo con il pubblico. Menzione specialissima meritano due interventi: quello di p. Joaquín Ángel sul significato dello sguardo dell’essere umano che come un barometro registra, rivela e riassume milioni di attimi e di parole, e quello di Mario Caccavari, perito chimico e pensionato felice, sui vantaggi di crescita in una famiglia numerosa. Il vantaggio più grande? A casa c’è sempre allegria, alleanza, solidarietà, amore…

Ma cosa sono effettivamente i non-luoghi? L’espressione ‘non-luoghi’– ci ha spiegato con acribia critica Clarissa, tenendo conto delle sfumature – non significa, come si potrebbe immaginare, “luoghi che non esistono”. Essa significa invece luoghi privi di un’identità, luoghi anonimi, luoghi amorfi, luoghi staccati da qualsiasi relazione con il contorno sociale, con una tradizione, con una storia, con una cultura. In genere, quando si parla di non-luoghi, si ricordano i centri commerciali, le stazioni, gli aeroporti, gli autogrill, tutti luoghi che hanno questa stessa caratteristica: una sorta di anonimato o una riproduzione in serie. Da qui uno dei paradossi dei non-luoghi: il viaggiatore di passaggio smarrito in un paese sconosciuto si ritrova solamente nell’anonimato delle stazioni, delle autostrade, dei centri commerciali e degli altri non-luoghi. Nonostante l’omogeneizzazione, i non-luoghi solitamente non sono vissuti con noia, ma con una valenza positiva (l’esempio di questo successo è il «franchising», ovvero la ripetizione infinita di strutture commerciali simili tra loro). Gli utenti poco si preoccupano del fatto che i centri commerciali siano tutti uguali, godendo della sicurezza prodotta dal poter trovare in qualsiasi angolo del globo la propria catena di ristoranti o la medesima disposizione degli spazi all’interno di un aeroporto. Quasi in ogni grande centro commerciale possiamo trovare cibo italiano, cinese, americano, messicano, turco, magrebino… Ognuno ha il suo stile e le sue caratteristiche nello spazio assegnato, senza contaminazioni e modificazioni prodotte dal non-luogo. Il mondo con tutte le sue diversità è tutto racchiuso lì.

In generale i non-luoghi sono gli spazi dello standard, in cui nulla è lasciato al caso: tutto al loro interno è calcolato con precisione: il numero di decibel e dei lumi, la lunghezza dei percorsi, la frequenza dei luoghi di sosta, il tipo e la quantità d’informazione. Sono l’esempio esistente di un luogo in cui si concretizza il sogno della “macchina per abitare”, spazi ergonomici efficienti e con un altissimo livello di comodità tecnologica (porte automatiche, illuminazione, acqua). Sono incentrati solamente sul presente, altamente rappresentativi della nostra epoca, caratterizzata dalla precarietà, provvisorietà, transito, passaggio, iperindividualismo, ipernarcisismo, iperconsumo. Le persone transitano nei non-luoghi, ma nessuno vi abita. I luoghi e i non-luoghi sono notevolmente interconnessi. Raramente esistono in “forma pura”: non sono semplicemente uno l’opposto dell’altro, ma fra di essi vi è tutta una serie di sfumature. Il rapporto fra non-luoghi e i suoi abitanti avviene solitamente tramite simboli (parole o voci preregistrate). L’esempio lampante sono i cartelli affissi negli aeroporti: Vietato fumare, oppure: Non superare la linea bianca, davanti agli sportelli. L’individuo nel non-luogo perde tutte le sue caratteristiche e i ruoli personali per continuare a esistere solo ed esclusivamente come cliente o fruitore. Il suo unico ruolo è quello dell’utente.

Le modalità d’uso dei non-luoghi sono destinate all’utente medio, all’uomo generico, all’individuo senza distinzioni. Non più persone, ma entità anonime. Non vi è una conoscenza individuale, spontanea e umana. Non vi è un riconoscimento di un gruppo sociale, come siamo abituati a pensare nel luogo antropologico. «Una volta l’uomo aveva un’anima e un corpo – scriveva Stefan Zweig († 1942), giornalista, novelliere e poeta austriaco naturalizzato britannico, cosmopolita ed europeista. – Oggi ha bisogno anche di un passaporto, altrimenti non viene trattato da essere umano»: da quel tempo il processo di disindividualizzazione della persona è andato via via progredendo. Si è socializzati, identificati e localizzati solo in occasione dell’entrata o dell’uscita (o da un’altra interazione diretta) nel/dal non-luogo. Per il resto del tempo si è soli e simili a tutti gli altri utenti/passeggeri/clienti che si ritrovano a recitare una parte che implica il rispetto delle regole, poche e ricorrenti. Farsi identificare come utenti solvibili (e quindi accettabili), attendere il proprio turno, seguire le istruzioni, fruire del prodotto e pagare.

I non-luoghi sono prodotti della società ‘surmoderna’, sempre più complessa, sfuggente, «liquida» e invasiva, definita dallo stesso Augé attraverso la figura dell’eccesso: eccesso di tempo, eccesso di spazio ed eccesso dell’individuo o dell’ego (cfr. Non-Lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité, 1992; trad. it. Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Elèuthera, 1996). L’individuo si considera un mondo a sé: da se stesso e per se stesso interpreta tutte le informazioni che gli vengono offerte (cfr. ad es. G. Lipovetsky-S. Charles, «Les Temps hypermodernes», Grasset, Paris 2004). I potenti modelli, imposti dalla pubblicità, dalla vita dei vip, dai reality show, generano un forte appiattimento e svuotamento della memoria e della vita interiore (si è parlato addirittura di evaporazione dell’inconscio) e della capacità di rapportarsi con gli altri o di affrontare il piacere e il dolore, il trauma e la morte. Portano inoltre ad una diversa percezione del tempo e dello spazio e ad un indebolimento di qualsiasi slancio utopico verso forme di vita e benessere che non sono narcisisticamente individuali, ma sociali e collettive.

Al non-luogo, secondo Augé, sono doppiamente destinati i rifugiati. Essi tagliano i ponti con il luogo di provenienza, a volte per sempre, e si imbarcano senza identità verso qualcosa che non raggiungeranno mai. Sono in duplice negazione. Si crea, particolarmente nell’Europa, che tenta di fermare l’ingresso dei migranti, una coppia di non-luoghi: quelli dell’eccesso-abbondanza e quelli della miseria, come campi profughi e centri di detenzione dei migranti. In essi la tendenza spontanea riscontrabile nei centri commerciali o in altri non-luoghi a divenire, per alcuni, dei veri e propri luoghi, non si verifica, trattandosi di spazi strutturalmente esclusivi e transitori. L’identità è pericolosa per chi ci si trova (poiché espone al rischio di espulsione o incarcerazione) e questo elimina ogni possibilità di riconversione in luogo.

Cosa rappresentano i non-luoghi per i giovani? Una ricerca, effettuata in Italia su un vasto campione di studenti delle scuole superiori (M. Lazzari–M. Jacono Quarantino, «Adolescenti tra piazze reali e piazze virtuali», Sestante Edizioni, Bergamo 2010), ha mostrato come i centri commerciali siano uno dei punti di ritrovo d’elezione per gli adolescenti, che li pongono al terzo posto delle proprie preferenze d’incontro dopo casa e bar. Secondo Marco Lazzari i ‘nativi digitali’ sono ‘nativi’ anche rispetto ai centri commerciali, nel senso che non li percepiscono come una cosa altra da sé: sfuggendo la retorica del non-luogo e ogni snobismo intellettuale, i ragazzi sentono il centro commerciale come un luogo vero e proprio, di frequentazione non casuale e non orientata soltanto all’acquisto, dove si può esprimere la socialità, incontrare gli amici e praticare con loro attività divertenti e interessanti. Lo stesso Augé, in effetti, ha successivamente convenuto che «qualche forma di legame sociale può emergere ovunque: i giovani che si incontrano regolarmente in un ipermercato, per esempio, possono fare di esso un punto di incontro e inventarsi così un luogo».

Riandando alla Serata, vi è stata a conclusione la recita della preghiera della 34ª GMG di Panama, l’annuncio del prossimo evento (venerdì 16 novembre: 4ª Serata cinematografica, con la proiezione del film «A casa con i suoi» e la cineconversazione «Nuova formula relazionale: ‘singletudine’»), la foto di gruppo e «aperitivo», con il video musicale «Assisi che bella città» in sottofondo. Una Serata bella e cordiale: si è tinta di colore e si è distinta per calore. In più, internazionale, lanciando un ponte tra i tre continenti: europeo, africano e americano.

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Profilo dei giovani 2.0

Il Circolo Culturale San Francesco, dopo la pausa estiva, ha riaperto i battenti, e lo ha fatto regalando una pregnante Serata conviviale con «aperitivo», la 132ª di seguito, tra quelle conviviali e quelle cinematografiche. Venerdì 21 settembre 2018, con il tema «Il profilo dei giovani 2.0», ha avviato la 7ª edizione del WikiCircolo: 9 Serate ‘immerse’ «negli spazi abitati dai giovani», tutte gratuite e aperte a tutti: soci, sostenitori, amici, credenti e «laici», vicini e lontani, introdotte da un brano musicale o un videoclip, intervallate da un momento di condivisione e concluse con un «aperitivo», ispirate all’Instrumentum laboris della 15ª assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale (3-28 ottobre 2018), al Messaggio «”Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc 1,30)» di Papa Francesco per la 33ª GMG 2018 e alla preghiera-poesia Cantico delle creature di frate Francesco. A configurarle in dettaglio e a scegliere i relatori di rilievo per la piccola tavola rotonda, i componenti del nuovo «team», ringiovanito e rinvigorito: Clarissa Errigo, Valentina Gullì e Teresa Cona, in collaborazione con Alex Scicchitano e Luigi Cimino, tutti innamorati dell’ideale del Circolo e pronti a fare i ‘salti mortali’ per tenerlo in alto, vivo ed attraente. Il Salone «S. Elisabetta d’Ungheria», presso la sede del Circolo, al lato destro della chiesa «Sacro Cuore» a Catanzaro Lido, è il luogo abituale degli incontri che si tengono un venerdì sì e un venerdì no, alternandosi con il ciclo cinematografico.

Ad aprire la 1ª Serata, alla vigilia del viaggio apostolico di Papa Francesco in Lituania, Lettonia ed Estonia, nel 25° anniversario della visita di Giovanni Paolo II, è stato il video hardcore 2.0 «I giovani di una volta» della storica band torinese COV, tornata nel 2015 sulla scena con l’intento di fare nuova musica, intesa come atto creativo, con nuove consapevolezze e nuove sensibilità, ma con la stessa forza e lo stesso spirito di sempre, narrando la vita, l’amore, i cambiamenti, la società, ma anche i moti dell’anima che erano lo specchio delle storie e delle sensazioni vissute dai giovani dei quartieri popolari della Torino di un tempo.

A presentare l’edizione e il programma della Serata, la segretaria del Circolo, Teresa Cona. «Il fil rouge dell’edizione e il tema della Serata sono scottanti – ha detto –, ed è importante che esista un’edizione che vuole introdurci negli spazi abitati dai giovani», ritrovare i «link» tra loro, gli adulti e gli anziani, tra ieri e oggi, e unirci tutti in una grande famiglia. Incontrarsi, comunicare, dialogare «vis-à-vis» è un dovere. È l’alternativa alla frammentazione delle società occidentali e alla nascita di tanti «ghetti», «grumi» e mini-aggregazioni, favoriti dal web di cose incrociate, sfaccettate, mescolate, come Facebook, forum e chat settoriali, tv «on-demand», l’opposto dell’«agorà» (= piazza, spazio aperto frequentato dal popolo, luogo di relazioni interpersonali), dove cittadini di ogni estrazione e idea si riunivano per discutere e decidere del futuro della «polis» (=città). Il frequentatore-tipo di ogni piccolo «ghetto» non fa che rinforzare le proprie idee, e spesso i propri pregiudizi, senza metterle mai alla prova del confronto, colpendo al cuore quella che è l’idea stessa di democrazia: il dibattito. Queste enclavi del pensiero, impermeabili alle idee esterne, auto-rinforzano le convinzioni dei propri affiliati in una sfrenata corsa all’inevitabile «redde rationem» (=resa dei conti). Un giorno usciranno dai propri «ghetti» e si troveranno nell’«agorà», non per discutere, ma per spaccarsi le teste, dando luogo ad una non-società, sempre più polverizzata e, quindi, pronta all’esplosione. A noi non scoraggiarsi, ma «prendere il largo», come il giovane Pietro con la sua barca, trascinando nell’avventura gli altri, «gettare le reti» (Lc 5,4) e ‘spacciare’, con la nuova linfa, i valori alti, evangelici, sanfrancescani, trapiantandoli nei cuori di tutti.

Magistrale è stata la tavola rotonda, con interventi di carattere sociologico, pedagogico e giuridico sull’identità del #giovane 2.0 tutto web, touch screen, chat, blog, twitter, social forum (Clarissa Errigo, Valentina Gullì e Vanessa Aprile) e con video («Don Tonino Bello – Freedom», «Santità 2.0: Storie belle di giovani» e «Catechesi ‘Giovani 2.0’»).

Clarissa, aprendola, ha ricordato che l’uomo è un essere più debole del mondo, perché appena nato ha bisogno delle cure e degli affetti di un altro essere. A volte questo bisogno se lo porta dietro per tutta la sua vita. È necessario ri-nascere, il più presto possibile, come individuo autonomo ed indipendente. Vanessa ha spiegato come si sviluppa la coscienza del sé ripercorrendo le varie età della crescita. Valentina invece ha sottolineato l’importanza del passaggio dall’identità personale all’identità digitale, aprendo una panoramica sui rischi connessi al mondo virtuale ed elencando le maggiori precauzioni da adoperare, in una fase preventiva, per non incorrere nei numerosi e variegati reati informatici che stanno dilagandosi «on-line».

Si è parlato quindi di ciò che riguarda la vita dei giovani 2.0, cresciuti in ambiente tecnocognitivo e quindi abili nel gestire flussi informativi tecnomediati, in multitasking con una miriade di altre attività parallele, e nel combinare comunicazione face to face e virtuale. Proprio loro sono chiamati a non piangere sulla propria situazione, ma a fare la loro parte: coltivare (↬ cultura) e sviluppare in pieno, con responsabilità, i talenti seminati nella loro vita. Certo, ci sono situazioni e contesti che più li favoriscono e altri che li ostacolano, ma in ogni giovane c’è sempre un punto positivo su cui si può far leva per crescere questi talenti. Papa Francesco spesso ricorda ai giovani di non farsi ‘rubare’ la speranza. I ‘ladri’ sono esterni per cui i giovani devono custodire e fruttificare il proprio estro, genio, bernoccolo. In questa dinamica devono essere oltremodo responsabilizzati e sensibilizzati. Il futuro dovrebbero costruirselo anche loro, in sinergia con gli altri, sognando la cultura della speranza, della gioia, dell’accoglienza, mai cedendo a fatalismo e alla logica dell’irredimibile.

I genitori sono spesso iperprotettivi. Si sentono più tranquilli e meno ansiosi con i figli immersi nei «social» a casa che fuori immersi nel sociale, esigente, ma vitale per il loro equilibrio psichico e per la costruzione di relazioni reali e durature, non virtualizzabili o cliccabili. Privilegiando solo relazioni virtuali, attraverso i media, si impoverisce, si favorisce il narcisismo e si espone ad una «orfanezza spirituale»: «La mancanza di contatto fisico (e non virtuale) – constata amaramente Papa Francesco – va cauterizzando i nostri cuori, facendo perdere ad essi la capacità della tenerezza e dello stupore, della pietà e della compassione. L’orfanezza spirituale ci fa perdere la memoria di quello che significa essere figli, essere nipoti, essere genitori, essere nonni, essere amici, essere credenti. Ci fa perdere la memoria del valore del gioco, del canto, del riso, del risposo, della gratuità» (Omelia alla Messa nella solennità di Maria, Madre di Dio, 1 gennaio 2017).

Infatti, si pensi alle mamme e ai papà travolti dai sensi di colpa e distrutti dal chiedersi: “Se avessi visto, se avessi capito, se avessi fatto…”. Certo, non si può arrivare dappertutto e proteggere a oltranza dai rischi e dalle degenerazioni dei media. I media hanno conquistato la nostra esistenza, scandiscono i ritmi delle nostre giornate, sono i custodi delle chiavi dei nostri spazi. «La loro presenza ci mette, certamente, a disposizione funzioni e opportunità impensabili fino a pochi anni fa, anche se il prezzo da pagare – afferma Dario Edoardo Viganò, assessore del Dicastero vaticano per la comunicazione – è una modifica sostanziale dei lineamenti del nostro profilo», un elevato costo in termini di umanità (Connessi e solitari. Di cosa ci priva la vita online, Bologna 2017, 17-18). Per quanto ci facciano bene, non si può dimenticare quanto essi siano carenti dal punto di vista dell’«educazione ai sentimenti». Per questo occorre che i genitori stiano vicino ai propri figli, sempre, al loro fiano, fin dalla più tenera età, e sappiano ascoltare, dialogare e rispettare i loro spazi e tempi. Insieme si può costruire un mondo e un futuro più bello, più umano, più relazionale, più affettuoso, più rispettoso, più giusto, più equo.

In sintonia con questi rilievi erano, a nostra sorpresa, i tre sintomatici eventi della giornata celebrati ad Assisi e a Bologna:

  1. «Disegni di affettività» per coppie di giovani sposi e di fidanzati, promossi nel Centro Congressi «Casa Leonori» di Assisi dall’Azione Cattolica. «’Life is sweet’: musica e parole, il nostro progetto di amore» è stato il titolo di quel fine settimana di lavori in cui, fino a domenica 23 settembre, i partecipanti da ogni parte d’Italia avevano la possibilità di riflettere sulla bellezza e il significato profondo della propria vocazione. Nella scelta del tema si sono rifatti all’Esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia di Papa Francesco (2016), al progetto di voler formare una famiglia come «il coraggio di far parte del sogno di Dio» (n. 321) e alla conseguente capacità della coppia di essere un «pascolo misericordioso», che genera vita, accoglienza ed ospitalità (cfr. nn. 322-324). A fare da filo conduttore dell’evento è stata la musica, con il suo ritmo e i suoi silenzi, tempi e codici, l’immagine perfetta delle relazioni affettive. Ogni coppia è chiamata a generare, come su un pentagramma, il proprio ‘spartito’, aperto al bene, all’accoglienza della vita e alla costruzione di una società più relazionale ed ospitale, contro ogni tentazione disgregativa che si vorrebbe imporre.
  2. «Cortile di Francesco» sul tema «Differenze», con più di 40 i relatori e ben 24 gli incontri, sviluppato dai partecipanti attraverso 6 sezioni: arte e cultura, cinema e teatro, architettura e design, economia, giornalismo ed attualità, l’evento realizzato dal Sacro Convento di Assisi, dalla Conferenza Episcopale Umbra e dall’Associazione «OICOS Riflessioni» e in collaborazione con la Regione Umbria.
  3. Presentazione della 10ª edizione del Festival Francescano sul tema «Tu sei bellezza», in programma dal 26 al 30 settembre a Bologna, con più di 200 iniziative. È stato questo il richiamo forte che i componenti del Comitato scientifico del Festival hanno rivolto a tutti. Il tema della manifestazione, “la bellezza”, ha assunto fin da subito una dimensione relazionale. Il contributo che i francescani si sono sentiti di dare, infatti, è stato quello di riconoscere il totalmente Altro (Dio) e gli altri come “belli”, degni del Suo e del nostro amore. L’esclamazione «Tu sei bellezza» ci arriva dalle Lodi di Dio altissimo: una preghiera che frate Francesco compose sul Monte della Verna nel 1224, quando ricevette le stimmate (FF 261). L’esclamazione è ripetuta due volte per sottolineare l’importanza del concetto di bellezza nel rapporto con Dio, il rapporto che per l’Assisiate passa necessariamente attraverso gli uomini e le altre creature: belli sono il sole, il fuoco, la luna e le stelle, così come bello è il lebbroso, l’emarginato, lo scartato. Di conseguenza il movimento francescano coltiva un atteggiamento positivo nei confronti del mondo: trova bellezza laddove altri trovano scarto. Certo, il concetto di bellezza non è univoco. Bello è qualcosa che attrae, che colpisce, che spinge a soffermare lo sguardo senza reprimere un senso di meraviglia, di stupore, di estasi. Spesso si definisce il bello come qualcosa che è buono e in questo caso si attribuisce alla bellezza una caratteristica utilitaristica, che non è propria del termine. Altre volte una cosa bella è una cosa desiderabile, apprezzata, ma non posseduta, e che proprio per questa mancanza di possesso risulta ancora più ricercata.

Umberto Eco († 2016), semiologo, filosofo, bibliofilo e medievista, dopo aver scritto la Storia della bellezza (Milano 2004), si dedicò alla Storia della bruttezza (Milano 2007). Con la sua raffinata capacità di leggere il presente, scrisse: «Un altro caso in cui si riscontra la dissoluzione dell’opposizione brutto/bello è quello della filosofia cyborg. Se all’inizio l’immagine di un essere umano in cui vari organi sono stati sostituiti da apparati meccanici o elettronici, risultato di una simbiosi tra uomo e macchina, poteva ancora rappresentare un incubo della fantascienza, con l’estetica cyberpunk il vaticinio si è avverato. […] è davvero scomparsa la distinzione netta tra brutto e bello? E se certi comportamenti dei giovani o degli artisti (anche se generano tante discussioni filosofiche) fossero fenomeni marginali praticati da una minoranza (rispetto alla popolazione del Pianeta)? Se cyborg, splatter [zombi] e morti viventi fossero manifestazioni di superficie, enfatizzate dai mass media, attraverso le quali esorcizziamo una bruttezza ben più profonda che ci assedia, ci atterrisce e vorremmo ignorare?».

La risposta francescana, nel Duecento così come oggi, è sempre la stessa: trovare la bellezza tornando alla realtà. E dove sta la realtà? Nei luoghi del sentire e di senso. Cercare il bello significa capire che ci sono cose prive di scopo, ma ricche di senso. Un senso che possiamo solo contemplare e non possedere. La bellezza, dunque, ci porta oltre ai canoni estetici e oltre alla fisicità che ci viene proposta consumisticamente. È una sensazione che nasce dal profondo, ci colpisce e ci educa alla gratuità e alla prossimità.

Forse dovremmo ripensare il tema della prossimità nel contesto digitale, senza demonizzare la rete come luogo distruttivo, e scoprire nuovi modi di stare con gli altri, senza rinunciare alle relazioni dirette, personali, con presenze reali e non esclusivamente virtuali, imparando a contemperare il senso di una stretta di mano con il click dei tasti del pc (cfr. L. Bruni, La ferita dell’altro. Economia e relazioni umane, Trento 2007, 159-163). «La rete – afferma Papa Francesco – è un dono di Dio, ed è anche una grande responsabilità» (Messaggio per la 50ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo, 8 maggio 2016). Il suo appello è quello di «costruire ponti tra gli uomini», di essere inclusivi, di farsi «prossimi dell’umanità ferita ed esclusa, per rendere visibile l’amore di Dio e la gioia del Vangelo», di dialogare en face per essere un gruppo». «Un dialogo per essere un gruppo aperto – ribadisce – deve essere un dialogo con la mente, con il cuore e con le mani» (Discorso ai ragazzi della Diocesi di Viviers, 29 ottobre 2018).

Lo Staff del Circolo è pieno di gratitudine nel vedere che le Serate conviviali e cinematografiche sono un luogo dove, quasi per una misteriosa osmosi, si comunica la positività, il desiderio di dialogo e di comunione, il rispetto delle differenze, la curiosità del conoscere che vince la pigrizia, l’orgoglio e l’indifferenza. È una benevolenza che lo precede e un favore che gli viene anche da frate Francesco, «maestro di reti», da intendersi, nel suo caso, come reti di relazioni e, nel nostro caso, come reti di connessioni, «abitate» dai giovani 2.0.

Piotr Anzulewicz OFMConv/Valentina Gullì/Teresa Cona

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Frate Francesco, un intramontabile

Francesco d’Assisi, un intramontabile, un catalizzatore, un «trainatore», un fascinoso? Immaginatevi a Catanzaro Lido, presso la chiesa «Sacro Cuore», attorno a cui ruota la «galassia francescana»: OFS, Gi.Fra., MI. È impensabile che non gli corrono indietro, come l’amato frate Masseo, suo follower fin dagli inizi (cfr. Fior 10: FF 1838)? Tutti o soltanto qualcuno? Al Circolo Culturale San Francesco che venerdì 5 ottobre 2018 gli ha dedicato un’altra Serata dal titolo: «Il profilo di frate Francesco d’Assisi e dei suoi ‘follower’» – ideata nell’ambito della 7ª edizione del WikiCircolo il cui filo conduttore è: «Negli spazi abitati dai giovani», collocata nel solco dell’anno dei giovani e ispirata all’Instrumentum laboris della 15ª assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi in corso dal 3 ottobre – non hanno esitazioni: Francesco, per i fan del Circolo, continua ad essere una chiara e brillante stella che illumina e trascina verso l’alto e gli altri, sempre e ovunque, e malgrado il maltempo, il temporale, l’allerta rossa o arancione. «Laudato si’, Signore…», per chi si è lasciato trascinare e correre indietro a frate Francesco nel Circolo: Clarissa e Valentina, Luigi, Ghenadi e Olga, Angela Anna Rita e Luigi Albano, Maria e Roberto, p. Lawrence e fr. Alessandro, Pinuccio e Leo, Lina, Antonella e Carmelina…

Così suonava la nota pubblicata il giorno dopo l’evento, insieme ad un video, su Facebook del Circolo. A distanza di due settimane vogliamo restituire ai nostri amici e ai lettori di questo portale alcuni contenuti dei due interventi (il terzo, purtroppo, è ‘saltato’, per il temporale): quello del sottoscritto e quello di Angela Anna Rita Serramazza, ritrovando in essi una stretta comunanza con il sentire delle nuove generazioni.

Il primo intervento. Come presentare ai giovani 2.0 il «profilo» di frate Francesco e dei suoi primi «follower»? Come essi sono riusciti a trasformare la società di allora, crudele, violenta e avida, in una società di benessere, di pace e di fraternità per tutti? E come ritrovare quel movimento di rinnovamento delle persone e delle istituzioni, che hanno innescato, e rifondare la nostra società, pasto di lupi famelici? Il sottoscritto ha tentato di affrontare queste e simili domande, partendo dal video «Forza, venite gente». È un musical teatrale, fresco, intenso, galvanizzante, più di 30 anni sulle scene, ma sempre attuale, richiesto ovunque e rappresentato fino in Polonia, Austria e Messico, ormai ben presente nella letteratura artistica del nostro tempo. La storia del Poverello d’Assisi portata in scena da Michele Paulicelli, Piero Palumbo e Mario e Piero Castellacci, alternando momenti di tenera comicità ad altri di profonda commozione, che traduce in termini attuali il conflitto eterno tra padri e figli, tra ragione e fede, tra meschina prudenza e generoso coraggio. Un grande successo che ha il potere di suscitare una miriade di emozioni e spunti di riflessione. La parte musicale mette in risalto gli stili di vita dell’Assisiate: semplicità, povertà, perfetta letizia, affidamento alla ‘sorella’ Provvidenza, e gli eventi che hanno caratterizzato il corso della sua vita. È fantastica la prima scena in cui egli si spoglia dei suoi abiti borghesi, davanti al padre, Pietro Bernardone, per indossare il saio, e la seconda in cui i suoi amici sono rattristati dalla sua scelta (Stanotte, ragazzi) che, stando a quanto viene detto nella canzone, il loro amico era una colonna portante nella comitiva. Ecco il primo «profilo» di Francesco e dei suoi «follower» (Sorella Provvidenza). E l’ultimo? Nella Laudato si’, nel Cantico delle creature. Man mano che la canzone scorre compaiono sulla scena tutti i personaggi e le comparse del musical, ad eccezione di Pietro di Bernardone che entra in scena verso la fine del Cantico dal fondo della platea, portando in alto una pagnotta – simbolo dell’Eucaristia – e consegnandola al figlio, abbracciandolo.

Francesco – è doveroso precisare – partì però dalle rovine. Una voce divina gli chiedeva di restaurare la chiesa ed egli pensava che fosse la cadente chiesetta di S. Damiano ad Assisi. In seguito capì che la chiesa da ricostruire era la Chiesa con la C maiuscola, ridotta a macerie religiose e morali: papi, vescovi, abati che a suon di soldi si compravano le cariche e a suon di spade detenevano e aumentavano il proprio potere. Non era da meno la situazione politica e sociale: guerre, incendi, massacri e vendette erano l’esperienza quotidiana delle famiglie, delle fazioni cittadine, delle città in lotta. Imperatore, re, baroni, principi, papi, vescovi: tutti contro tutti, avidamente, cinicamente, crudelmente. «Lo schifo era tale – afferma Claudio Bernardi, docente di storia del teatro al DAMS di Brescia – che i veri seguaci di Cristo preferivano fuggire non solo dal mondo, ma anche dagli stessi monasteri. Preferivano gli eremi, lontano da tutti, nell’ombra delle selve, nel silenzio dei monti. Solo lì si poteva incontrare Dio e soprattutto riuscire a non fare del male agli altri, a non sporcarsi». Anche il giovane Francesco pensò di ritirarsi dal mondo, ma quella era una fuga e non un impegno per ricostruire la Chiesa e la società. Che cosa si doveva allora fare? Semplice. In tutto occorreva seguire Cristo, il più grande rivoluzionario di tutti i tempi. Così Francesco portò, con i suoi primi «follower», una rivoluzione culturale, religiosa e sociale. Predicò e praticò valori opposti a quelli dominanti della società feudale e comunale: contro l’odio e la guerra dei violenti, l’amore e la pace; contro l’avidità e la ricchezza dei mercanti, la povertà e la generosità; contro la volontà di godere e possedere, la perfetta letizia della libertà e dell’espressività; contro l’ascetismo e rifiuto del mondo, la bellezza dell’universo, opera di Dio, e la significazione della sua bontà. Tutto il creato era per lui un canto d’amore da sentire e da vivere in profondità.

Non è facile comunque stabilire la serie dei suoi primi «follower». Nei Fioretti si parla di dodici (così nei racconti del viaggio a Roma dal Papa, per la prima approvazione della Regola), ma sembra più un numero simbolico per fare il parallelo con i dodici apostoli. Infatti, non si riesce a dare un nome a questi dodici «follower» (cfr. anche nota 3 a FF 1826). Di alcuni, tra i primi, le Fonti francescane danno, oltre il nome, una breve narrazione della “chiamata” (ad es. Bernardo, Pietro, Egidio, Silvestro), ma di altri si ha solo il nome: Giovanni da San Costanzo, Barbaro, Bernardo di Vigilante e Angelo Tancredi (1 Cel 31: FF 371, nota 58), Sabbatino, Morico, Giovanni de Capella (3 Comp 35: FF 1438). Ci sono poi altri «follower» che, pur non essendo tra questi primi, furono però molto vicini a frate Francesco, ad es. Leone, Rufino, Angelo, che si autodefiniscono «noi che siamo vissuti più a lungo insieme con lui». A loro, ovviamente, si aggiunge sorella Chiara. In ogni modo, con loro egli proponeva la partecipazione di tutti – uomini e donne, sposati e non, ricchi e poveri, santi e peccatori, chierici e laici – al rinnovamento radicale delle persone, delle istituzioni, della società. Fu l’avvento della democrazia solidale, della fraternità universale, della responsabilità individuale, della lingua in volgare, della pittura italiana, delle scienze umane, del movimento non violento, del dialogo tra culture, popoli e religioni diverse, del non conformismo e di mille altre cose nuove.

Un Francesco folle, scandaloso, trasgressivo e antimoderno, sia pur «ante litteram». Infatti, «quando si parla della “povertà francescana”», si dimentica che la sua povertà è esattamente in linea con il discorso delle beatitudini di Gesù: non già «puro e limitato rifiuto della ricchezza materiale», ma «totale e radicale rinunzia a qualunque tipo di “volontà di potenza” individuale, a partire dalla sapienza e dalla cultura, a loro volta forme fondamentali di ricchezza e di potere». Ecco perché il modello e l’esempio di Francesco e dei suoi primi «follower» colpiscono al cuore la radice stessa della postmodernità che «in ultima analisi – afferma il medievista Franco Cardini nel suo blog – è il culto sfrenato e unilaterale di qualunque forma di individualismo e di “volontà di potenza”». Il suo “farsi pusillo”, “piccino”, povero ed umile, il proclamarsi ultimo, il mettersi al servizio degli scartati, «configura non solo una teologia, ma soprattutto un’antropologia» che si pone «in totale, assoluto e insanabile contrasto con quanto è prevalso in Occidente nell’ultimo mezzo secolo e con quanto il travolgente e prepotente revival liberal-liberistico postmoderno va proclamando da alcuni anni a questa parte».

Frate Francesco va comunque di moda: gli si dedicano romanzi, film, fiction televisive, ma va di moda in una società che «di fatto ne disattende, ne offende e ne calpesta di continuo il modello e l’esempio». Lo storico Cardini ne è convinto: «La [post]modernità è antifrancescana, e come tale anticristiana», in quanto «sostituisce sistematicamente il fiat voluntas Tua [sia la Tua volontà] del Pater noster con un blasfemo fiat voluntas mea [sia la mia volontà]». Oltre che il più affascinante, Francesco sarà anche il più amato dei santi, «ma resta anche il più disatteso, il più tradito, il più inascoltato», anche tra i suoi «follower» di oggi. Se lo si capisce, «da qui deve cominciare la rivoluzione», per mettere fine al declino, scongiurare il rischio della barbarie postmoderna e ricostruire una civiltà dignitosa. Al padre, ricco e avido di prestigio, di successo, di onori e soldi, come tutti noi, egli aveva ridato tutto quello che aveva ricevuto, perfino i vestiti. Aveva capito che chi ha tutto, è nulla come uomo: ricco fuori, ma vuoto dentro. Chi invece non ha nulla e non vuole nulla, è l’uomo più ricco al mondo: ricco di spirito, di gioia, di passione, di amore, e l’amore è tutto, perché «solo l’amore è creativo». Il problema è averlo.

Il secondo intervento. A precederlo è stato il videoclip «Massimiliano Kolbe: solo l’amore crea», pubblicato il 13 settembre 2016 sul portale web «Bibbia Francescana». Massimiliano è stato chiamato anche «Francesco del XX secolo», perché si è incamminato sui suoi passi, intraprendendo il percorso che lo ha portato ad amare Cristo, sua Madre Immacolata e gli altri in modo sempre più totalizzante, generando meravigliose imprese apostoliche. È noto per la sua geniale e innovativa opera nel campo dei mezzi di comunicazione. Ha usato in modo preponderante la stampa per diffondere i valori evangelici, ma non si è fermato ad essa. Ha evangelizzato anche attraverso il «nascente» mezzo radiofonico. In concreto, ha fondato molte riviste in Polonia e in Giappone e, in quei medesimi luoghi, le due Città dell’Immacolata (Niepokalanòw e Mugenzai No Sono), grandi strutture conventuali che si dedicavano e si dedicano tuttora a una missione d’avanguardia. Un «fiume» d’amore che scorreva tra le colonne dei suoi giornali e dalle sue creazioni. Una vita nel segno dell’amore, inteso come dono di sé, il cui vertice più alto si compì, ad appena 47 anni di vita, il 14 agosto 1941, ad Auschwitz. Un santo quindi poliedrico: patrono del movimento per la vita, delle famiglie, dei giornalisti, dei carcerati, dei tossicodipendenti. Ed anche dei giovani 2.0? Può essere per loro un modello? A queste domande ha cercato di rispondere, con grazia, dolcezza ed eleganza, Angela Anna Rita Serramazza, già responsabile regionale della Milizia dell’Immacolata.

«L’amore – ha rimarcato in un batter d’occhio – è l’elemento dominante della sua spiritualità». Non un amore che viene dal basso, dall’uomo, da una filantropia umana, da una pietas emotiva e sentimentale. Il suo luminoso motto: «Soltanto l’amore crea», è linguaggio che può venire solo dall’alto, dall’amore smisurato di Dio: l’amore sorgivo e donante del Padre, l’amore accogliente e oblativo del Figlio, l’amore comunione e dono dello Spirito. Di questo amore-agàpe Massimiliano, «martire della carità», ha dato prove in ogni campo. Un vero folle di quell’amore divino che crea, libera e redime, gratifica e ricompensa. «Quando il fuoco dell’amore si accende – scrisse – non può trovare posto nei limiti del cuore, ma divampa al di fuori e incendia, divora, assorbe altri cuori» (SK 1325). I ragazzi 2.0, che vivono sovente in un contesto carente di amore, hanno bisogno di sapere che è possibile amare, come lui, in modo divino. Ecco perché egli può essere anche per loro un modello splendido, ma ciò accadrà se la capacità di amare sarà «allenata» ogni giorno da piccoli gesti di amore che, passo dopo passo, li prepareranno ad essere portatori della cultura dell’amore e costruttori di un mondo più bello, relazionale, solidale, inclusivo, opposto a quello grondante di feticci, di simulacri, di trucco, di plastica, di pura rappresentazione. È proprio dei giovani l’essere sulla strada dei sogni, dei progetti, dei desideri, dell’amore. A noi l’essere all’altezza dei loro sogni, «ponendoci accanto a loro, perdendo tempo con loro, infiammando i loro cuori» (…), senza dimenticare che essi cercano anche l’accompagnamento dei loro coetanei, in un’ottica di condivisione delle esperienze peer-to-peer», cioè da pari a pari (Sinodo dei Vescovi, 10 ottobre). E se noi non vogliamo muoverci tra le ‘splendide’ rovine della grande crisi della postmodernità, come turisti o parvenu, stringendo rapporti liquidi con i nostri ragazzi e con le cose, dobbiamo sapere a che «profili» e modelli votarci: Francesco, Chiara, Massimiliano, appunto… Buona memoria, allora. Ognuno di loro è bellezza, ma anche… «Tu sei bellezza».

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Agenzie formative dei giovani…

La 3ª Serata conviviale [136ª], focalizzata sul tema: «Storiche agenzie educative dei giovani: famiglia, scuola, amici, Chiesa», e ideata all’interno della 7ª edizione del WikiCircolo dal «file rouge»: «Negli spazi abitati dai giovani…», ha regalato venerdì 19 ottobre 2018 un «surplus» di emozioni, sorprese e contrattempi. Alla piccola tavola rotonda sono mancate, per il contrattempo, le due relatrici: dott.ssa Vanessa Aprile e maestra Ester Talarico. Il «team» con maestria è riuscito a ridisegnare il programma della Serata e renderla ancora più bella, più vivace e addirittura superiore a quella precedente. È stata quindi completa, con tutti i crismi, come la musica con la Scala di Milano, Francesco d’Assisi con il «Cantico di frate Sole», il Rinascimento con Leonardo da Vinci, Romeo con Giulietta di Verona. È iniziata con il ‘tenero’ video «Everytime we touch» («Ogni volta che ci tocchiamo») del gruppo musicale «Cascada», originario di Bonn, noto a livello internazionale, e si è conclusa con l’entusiasmante «Laudato si’» di fr. Gianni Mastromarino, guardiano del santuario della Madonna della Vetrana di Castellana Grotte. Proprio così, «laudato si’, Signore, per la bellezza che sa vincere l’orrore (…), per il mondo che hai creato (…), per la carezza che scioglie ogni dolore, perché ti sei donato. Perdona l’uomo se lo ha dimenticato!».

Il tema centrale della Serata è stato reso fortissimamente attrattivo e stimolante da due talentuose protagoniste: Clarissa Errigo e Valentina Gullì. C’era in esse la grinta, lo slancio, il cuore e la mente, e la notevole ricchezza contenutistica: 1. Le finalità del sistema formativo nella società contemporanea e l’educazione permanente, 2. La famiglia come agenzia formativa e i nuovi modelli di famiglia, 4. La scuola e la sua “crisi”, 5. Il gruppo di pari e l’associazionismo educativo (Il gruppo a scuola: Peer-tutoring, Peer-education e Cooperative Learning), 6. Il “villaggio globale” dei media (Web 2.0, “nativi digitali” e scuola), 7. La Lettera di Benedetto XVI sull’educazione e un’intervista al card. Zenon Grocholewski, già prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica.

Il dibattito, moderato dalla segretaria Teresa Cona, ha reso la Serata ulteriormente gradevole. Maria Rainone, Nunzio Familiari e Luigi Cimino interagivano entusiasticamente e a lungo con le due ‘icone’ della Serata, facendo saltare addirittura i tre videoclip previsti nel programma: «Papa ai genitori sull’educazione dei figli, dialogo e fiducia con la scuola», «Amici io e te» e «Tu sei bellezza». Li rivedremo prossimamente. Non è mancato un momento di sorpresa e di gioia speciale: la consegna, da parte di Valentina, a nome dei presenti, di un minuscolo ‘segno’ alla Segretaria che il 15 ottobre ha festeggiato la sua Santa: Teresa d’Ávila, mistica spagnola, dotata di grande forza spirituale e teologica. «La vita è una sfida con mille sorprese – vivila con amore!».

Non c’era il solito «aperitivo» a conclusione: il Circolo non ha nessun sponsor, fin dagli inizi, e di conseguenza il suo budget rimane perennemente in rosso, specie dopo la pubblicazione dei dépliant delle nuove edizioni. È dura fare i conti con i limiti del genere, ma in compenso vi è tanta cordialità, affabilità e voglia di tenere alto l’ideale del Circolo: «la cultura e la cura dell’altro». Ed è bellissimo e moltissimo.

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Programma completo del WikiCircolo

Amici, è disponibile il programma completo della 7ª edizione del WikiCircolo con il file rouge: «Negli spazi abitati dai giovani…». La nuova edizione s’inserisce nella marcia verso il Sinodo dei Vescovi sul tema: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale» (3-28 ottobre 2018), e verso la 34ª Giornata Mondiale della Gioventù a Panamá (22-27 gennaio 2019). Per questo si ispira all’Instrumentum laboris della 15ª assemblea generale ordinaria del Sinodo, al Messaggio di papa Francesco per la 33ª GMG 2018 dal titolo: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30), ed anche alla preghiera-inno Cantico delle creature di frate Francesco d’Assisi.

Nel programma, 9 Serate conviviali, dal 21 settembre 2018 al 18 gennaio 2019, tutte gratuite e aperte a tutti, vicini e lontani, introdotte da un brano musicale o/e video, intervallate da una pausa di condivisione e concluse con un «aperitivo». A configurarle in dettaglio e a scegliere, per la piccola tavola rotonda, i relatori di rilievo sarà lo Staff dell’edizione: Clarissa Errigo, Valentina Gulli e Teresa Cona, in collaborazione con Alex Scicchitano e Luigi Cimino. Il Salone «S. Elisabetta d’Ungheria», presso la sede del Circolo situata al lato destro della chiesa «Sacro Cuore» a Catanzaro Lido, sarà il luogo degli incontri che si terranno un venerdì sì e un venerdì no, alternandosi con il ciclo cinematografico.

Non dimenticate di accompagnare la loro preparazione remota e prossima seguendo la pagina Facebook e fate un ‘regalo’ al Circolo: diventate suoi paladini, promotori, collaboratori e sostenitori. Contiamo su di voi. Non ci abbandoni mai la voglia di diffondere l’ideale del Circolo: «la cultura e la cura dell’altro», portando avanti i programmi già attivati e lanciando quelli elaborati, ma mai avviati, per il bene della collettività e di «sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba» (Cant, v. 9: FF 263).

Piotr Anzulewicz OFMConv

a nome del Consiglio direttivo

 

 

 




«Sessanta Jazz»

La Serata «Sessanta Jazz», che si è svolta il 29 giugno 2018 presso la sede del Circolo Culturale San Francesco a Catanzaro Lido, a detta di molti, è riuscita a sprigionare lo charme a 360 gradi. E’ stato proprio il M° Luigi Cimino, con il suo sax, ad emanarlo. Di per sé ha una fiamma dentro di sé. Essa però divampa per un ambito in cui si è “specializzata”: il jazz, quel genere musicale che si distingue per l’uso estensivo dell’improvvisazione, di «blue notes», di poliritmie e di progressioni armoniche insolite, ineguali, elastiche, “saltellanti”, “dondolanti” (ingl. swing). Bastava esserci per provarne attrazione, e non erano pochi, nel corso della performance, a lasciarsi attrarre ed incantare.

Durante il «break», due sorprese: 1. l’ascolto dell’inno «’Siamo Qui!’. Proteggi Tu il mio cammino» dell’incontro dei giovani italiani con Papa Francesco che si svolgerà a Roma l’11 e il 12 agosto, reso noto appena tre giorni fa, scritto dall’Istituto Diocesano di Musica e Liturgia di Reggio Emilia e diretto dal M° Giovanni Mareggini: un’invocazione di protezione verso tutti coloro che attraversano la vita cercando di dirigere al meglio i propri passi; 2. la proiezione delle foto archiviali con Peppino Frontera, saggio consigliere del Circolo e solerte curatore delle Serate del WikiCircolo, che se n’è andato inaspettatamente il 24 gennaio scorso, alla vigilia della 2ª Serata conviviale dedicata a «I ‘ragazzi fantasma’, soli e isolati dalla società».

Una Serata incantevole, splendidamente condotta da Teresa Cona e Clarissa Errigo, a coronamento della 6ª edizione del Wiki– e CineCircolo dal «file rouge»: «I giovani con ‘sorella’-‘madre’ Terra», e conclusasi con una foto comune e la bottiglia di champagne, abbinata ad auguri, ringraziamenti e… proiezioni. (pa)

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Evviva la ‘galassia’ francescana, ma…

«Lasciatevi sorprendere dal ‘volto’ dei giovani francescani!». Tale poteva essere lo slogan della Serata conviviale che si è tenuta il 15 giugno 2018 presso la sede del Circolo. Chi ama il Santo d’Assisi e il suo carisma non avrebbe resistito a non accendersi di fronte ai ‘volti’ luminosi dei giovani francescani (Gi.Fra.) accorsi entusiasticamente a questa Serata, 11ª ed ultima della 6ª edizione del WikiCircolo creata apposta per loro e per tutta la ‘galassia’ francescana ex-giovanile (OFS), che ‘ruota’ intorno alle chiese francescane, e in particolare a quella del «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, e resa nota già il 26 dicembre scorso sul sito web e sulla pagina social del Circolo, con la pubblicazione del dépliant. Un’opportunità straordinaria di presentare a tutto il mondo, con poche “pennellate”, il ‘volto’ dei gifrini, araldini e francescani secolari, anche per valorizzare il fascino di frate Francesco e «ricuperare l’alleanza inter– e intragenerazionale, universale e cosmica, praticata da lui e promossa da Papa Francesco, e, attraverso lo scambio di idee e il confronto delle voci dei giovani con le istituzioni, le comunità, gli educatori e i pastori, progettare insieme un possibile avvenire, unendo creatività, energia, forza e saggezza per il bene della comunità religiosa e civile, della società, dell’umanità e della ‘sorella’-’madre’ Terra. Un’opportunità singolare di dialogo, di proposte, di iniziative… e un momento in cui «tessere relazioni improntate alla fiducia, alla condivisione, all’apertura fino ai confini del mondo». Un’occasione eccezionale che, purtroppo, non è stata colta… Lo Staff delle Serate, indirizzate a tutti: soci, sostenitori, amici, credenti e «laici», vicini e lontani, ha contato moltissimo sul loro entusiastico coinvolgimento nella preparazione remota e prossima e sulla loro appassionata presenza all’evento, insieme ai loro assistenti… In prossimità di questa Serata, la 129ª di seguito, ha stilato il programma, con i videoclip avvincenti e trainanti, e ad alcuni di loro ha inviato le lettere-inviti speciali…

Grazie immense a chi ne ha accolte: a p. Pio Marotti, assistente custodiale dell’OFS che a volo ha reimpostato i suoi impegni ed era presente con l’intervento di grande interesse. Grazie ad Anna D’Alta, viceministra della Fraternità «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore», per la sua testimonianza. Grazie all’unico gifrino, Giuseppe Panariello, che suppliva l’assenza di Emmanuele Rotundo, responsabile del gruppo della gioventù francescana marinota. Il loro exploit ha reso meno acuta l’emblematica assenza ‘francescana’ a una delle edizioni più accurate, laboriose e diligenti. Grazie anche a p. Mauro De Filippis Delfico, assistente nazionale della Milizia dell’Immacolata, e a Margherita Perchinelli, presidente nazionale di questo straordinario ‘sogno’ di s. Massimiliano Kolbe, frate francescano e martire di Auschwitz, per la loro presenza, anche se soltanto per alcuni minuti.

La sfida di fronte ai giovani ed ex-giovani francescani, con i loro responsabili ed assistenti spirituali, è immensa. Il Circolo ha lanciato nella parrocchia «Sacro Cuore» un’edizione che poteva essere il fiore all’occhiello dei loro incontri formativi settimanali o bisettimanali. Non ci voleva molto per capire che essa aveva grandi potenzialità. È ormai chiaro a tutti che non c’è futuro senza cultura. Non coltivarla o, peggio, accantonarla, è lo sbaglio più grosso che si possa fare. Per tornare a crescere, essere significativi ed offrire al mondo «amato e tormentato» il tesoro ricevuto gratuitamente, la ‘galassia’ francescana ha urgente bisogno di riappropriarsi delle intuizioni e del carisma di frate Francesco, intesi l’une e l’altro non in senso astratto e sistematizzante, ma dinamico e contestuale. Il suo carisma e il «volto»/«identità» delle sue fraternità sono davanti, al servizio degli altri, e non nel passato. Questo impone l’impegno nell’indagare in modo rigoroso e spregiudicato quali siano le intuizioni originarie e originali di frate Francesco, partendo dai suoi Scritti con il suo Testamento come testo base, anche per tenere lontano tentazioni mistificanti, falsificanti, teocratiche, ierocratiche e gerarchiche, tentazioni ben presenti nelle nostre fraternità.

C’è il pericolo che le cosiddette Fonti francescane (Scritti e biografie di s. Francesco d’Assisi. Cronache e altre testimonianze del primo secolo francescano. Scritti e biografie di s. Chiara d’Assisi. Testi normativi dell’Ordine Francescano Secolare, Padova 2004) – quella miniera agiografica in cui si può trovare di tutto e il contrario di tutto – siano trattabili in modo omologo, addirittura alla stregua dei testi biblici. Nello specifico, c’è un pregiudizio diffuso che agisce e condiziona la vita o, meglio, l’uso rapsodico e combinatorio della vita di frate Francesco. Così l’Assisiate si colora delle più svariate tinte, diventando un santo decontestualizzato, svirilizzato e proiettato nell’universo dell’immaginario individuale e collettivo: Francesco rosso, anticapitalista e antimperialista; Francesco rosa, femminile e femminista; Francesco nero, nazionalista e fascista, definito «il più santo degli italiani e il più italiano dei santi»! Si dà per acquisito che le Fonti riproducano fedelmente le varie tappe di quella vita e che ogni momento, ricordato in esse, abbia la stessa autorità testimoniale. Le cose non stanno assolutamente così, tant’è che il lettore attento non sfugge a incongruenze e contraddizioni quando non miscela e non integra avvenimenti diversi, realtà, mistificazione e fantasia. È indispensabile allora fornire ulteriori spunti di conoscenza e di riflessione, anche in modo sintetico e rapido, a partire dagli Scritti dello stesso frate Francesco. Rispettarli e studiarli richiede fatica intelligente, oltre che assunzione consapevole e dolorosa delle proprie responsabilità qui e ora, anche nei confronti dell’intera ‘galassia’ francescana che ruota attorno ai frati (Gi.Fra., OFS, MI).

Ciò di cui abbiamo veramente bisogno – ha ribadito Papa Francesco il 21 giugno scorso nel Centro Ecumenico del World Council of Churches [Consiglio Mondiale delle Chiese] a Ginevra – è «un nuovo slancio evangelizzatore». «Siamo chiamati a essere un popolo che vive e condivide la gioia del Vangelo», un popolo che «serve i fratelli con l’animo che arde dal desiderio di dischiudere orizzonti di bontà e di bellezza inauditi a chi non ha ancora avuto la grazia di conoscere veramente Cristo», un popolo che loda «il Creatore e Redentore e Salvatore, solo vero Dio il quale è il bene pieno, ogni bene, tutto il bene, verso e sommo bene, che solo è buono, pio, mite, soave e dolce, che solo è santo, giusto, vero, santo e retto, che solo è benigno, innocente, puro, dal quale e per il quale e nel quale è ogni perdono, ogni grazia, ogni gloria di tutti i penitenti e giusti» (Rnb XXIII 9: FF 70).

La Serata, che doveva essere animata e contrassegnata anche dai francescani secolari di solido percorso formativo, portava con sé altresì la domanda: Come comunicare e trasferire ai giovani francescani, nei canali prediletti da loro, dunque soprattutto quelli digitali, il «know how», il saper essere e il saper fare, francescanamente, in questa «inquieta età secolare» e, più in particolare, nel mondo che non è più dicotomico (reale o virtuale), ma unico, con le due dimensioni (reale e virtuale), che a volte co-esistono e a volte si sovrappongono e/o si sostituiscono?

Frate Francesco non cercava un ideale astratto per offrirlo ai propri frati. Da ciascuno di loro ricavava invece, come in una sorta di gruppo terapeutico ante litteram, la parte migliore, più promettente, più seria, «componendone – puntualizza Paolo Floretta – uno sfolgorante patchwork di virtù vissute (Saluto alle virtù, 1-18: FF 256-258). In questa proposta, estetica ed etica, esse si armonizzano in modo mirabile, quasi felicemente ovvio, alla fine, con molta e attesa “aria di casa”» (Le reti di Francesco, Padova 2015, 96). Tra tutte le virtù brilla inattesa l’ultima: l’inquietudine, quella che meno ci attenderemmo, quella più fastidiosa, mai messa sugli altari prima di frate Francesco, attribuita per di più a frate Lucido, che, in tutte le Fonti francescane, compare con il suo nome luminoso soltanto nello Specchio di perfezione, un’opera illuminante di scrittore anonimo, scritta intorno al 1318 (cfr. Spec 85: FF 1782). La santa inquietudine che come pedagoga pungente e amorevole si pone a nostro servizio, in cerca della verità di noi stessi e di Dio. «Forse essa è il vero motore di ricerca vitale – scrive ancora Floretta – che dovrebbe accomunare e accompagnare credenti, non credenti e increduli. Forse la scopriremo cortese nel prendere per mano noi e i nostri dubbi, il nostro piccolo o grande ateo che ci abita e si sforza di ricominciare a credere […]. Forse ne apprezzeremo il suo umile servizio al pensare che non si arrende di fronte all’assenza, alla mancanza o anche all’abbandono di Dio. Forse, ancora, ne potremo stimare la sana incontentabilità rispetto a soluzioni o consolazioni a buon mercato. Una sorella, insomma, certo un po’ scomoda, talvolta pure molesta e imbarazzante, che ci mantiene tutti, credenti e no, sulla soglia delle domande vere che ci fanno pensare la tragicità del vivere per portarvi o riconoscervi senso e bellezza» (Le reti…», 96-97).

L’inquietudine è per il francescano una cosa seria. Se egli è inquieto, è, oltreché sano, anche più vicino al mistero e tra di noi, capace di ospitare i nostri naufragi, i nostri dubbi, i nostri drammi di fede, che, se accolti, ci impediscono provvidenzialmente di barricarsi dietro le autistiche certezze, più o meno targabili divinamente o teologicamente, ma gravide di morte perché prive della passione del domandare. Forse è davvero giunto il «kairòs» – il momento opportuno – per una nuova «devotio», che porta il profilo inquieto della nostra debolezza, riconosciuta e redenta, che ci mantiene «pellegrini e forestieri in questo mondo» (Rb VI 1: FF 90), orientati alla Terra che sarà il nostro approdo definitivo. Questa inquietudine, santa, provvidenziale e postmoderna, la possiamo accostare a quell’umiltà con cui frate Francesco chiude, riconciliato con se stesso, con gli altri, con il creato e con l’«altissimo, onnipotente, bon Signore», il suo Cantico delle creature: «Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate» (v. 14: FF 263). Francescanesimo è porsi così al servizio dell’inquietudine per poter incontrare gli «abitanti» che si sentono a casa in una visione della vita e della realtà che prescinde da Dio, e accompagnarli a diventare «cercatori» di senso. Tutto ciò suppone rispetto reciproco, attenzione vicendevole, prossimità, dialogo, generosità, solidarietà. Accompagnare gli «abitanti» della nostra Casa comune significa anche porsi in una dimensione contemplativa dove poter cogliere le loro specifiche ricchezze e le loro nuove possibilità, amorevolmente offerte da Chi sta guidando tutto il creato verso la pienezza di senso, di amore, di vita…

Per garantirsi l’inquietudine, bisogna accogliere la chiamata universale a quella «cella» o «chiostro»-laboratorio di unità, dove si abitua a smarcarsi dall’ovvio, interrogarsi e ascoltare il mistero della vita e la sua indelebile sacralità. L’ascolto è certamente l’atteggiamento più proprio ed efficace, come afferma frate Bonaventura da Bagnoreggio (+ 1274), filosofo e teologo, uno tra i più importanti biografi di frate Francesco, quando scrive: «Verbum divinum omnis creatura» («Ogni creatura è una parola divina»). L’ascoltare è il primo vero culto e il primo vero atto del dialogo, perché lo apre, lo rende possibile, per credenti e miscredenti, alleati perché inquieti, come a più riprese ci ha ricordato anche Papa Francesco (si leggano, ad es., le sue due omelie: quella tenuta il 28 agosto 2013 nella chiesa romana di S. Agostino in occasione dell’apertura del Capitolo generale degli agostiniani [Dall’inquietudine fecondità pastorale] e quella pronunciata il 3 gennaio 2014 ai gesuiti nella ricorrenza del SS. Nome di Gesù presso la chiesa del Gesù [«Senza inquietudine siamo sterili»]).

Serve l’inquietudine dell’amore che ci spinge ad uscire da noi stessi e andare incontro all’altro. È un promettente presupposto per impostare un’efficace azione evangelizzatrice, e in particolare la (web)pastorale francescana, in questa «età secolare delle reti» dove – come afferma Taylor – si è passati da una società, in cui la fede in Dio era incontestata, assiomatica e non problematica, a un’altra società, in cui la fede viene considerata un’opzione tra le tante. Credenza e non credenza oggi non sono più percepite come rivali. Sono modi alternativi di vivere la vita morale e spirituale, in cerca di pienezza. Ed è ascoltando queste diverse esperienze che si potrà aiutare a cogliere il totalmente Altro, Dio, già all’opera anche nella vita degli altri, credenti e non credenti. Frate Francesco faceva rete con tutti. Ci chiediamo allora come possiamo farla insieme? Se una mission è urgente, perché non progettarla e compierla insieme, cominciando a sperimentare una fraternità più intensa nell’esercizio della «carità intellettuale» (A. Rosmini), spirituale e corporale?

Lo Staff del Circolo ha già deciso di impostare le nuove edizioni del Wiki- e CineCircolo sui giovani in cammino verso il Sinodo dei Vescovi e la 34ª Giornata Mondiale della Gioventù, che si terrà a Panamá dal 22 al 27 gennaio 2019. È quanto mai prezioso ed importante aiutarli ad affacciarsi da protagonisti su possibili sentieri e panorami inediti. La ‘galassia’ francescana ha un messaggio di amore e di pace da proclamare e il Circolo con il suo sito web è una formidabile camera di risonanza, un grande megafono, un potente evidenziatore. Sarà saggio cogliere questa ennesima opportunità e affezionarsi, organizzando le proprie attività in base al programma del Circolo, in vista di una «mission» di qualità…

Evviva quindi lo Staff del Circolo: Clarissa Errigo, Valentina Gulli, Alex Scicchitano, Teresa Cona (segretaria del Circolo), Luigi Cimino (consigliere) e Ghenadi Cimino (tecnico fonico)!

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Con il Cuore al centro

Una Serata speciale, quella che si è svolta l’8 giugno 2018, presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, con il Cuore al centro. È stata creata dal Circolo Culturale San Francesco in concomitanza con la solennità del Sacro Cuore di Gesù e a coronamento delle celebrazioni liturgiche e paraliturgiche. Tutta all’insegna della tenerezza, spiritualità e convivialità. Divinamente si è inserita nella «Lunga Notte delle Chiese»: una manifestazione per avvicinare la comunità, che godeva del patrocinio del Pontificio Consiglio per la Cultura e del Ministero dei Beni Culturali, e della collaborazione delle diocesi italiane.

Il Circolo, che nel suo logo ha il simbolo di cuore, non poteva non “chinarsi” sul cuore: il centro operativo più intimo, la scaturigine delle relazioni dinamico-personali con l’altro, l’organo esatto della comprensione integrale, la sede privilegiata dell’uomo non-ancora-rivelato – infatti, in ognuno c’è «l’uomo nascosto del cuore» (cfr. 1 Pt 3,4). Esso non è l’illogico o l’irrazionale che si contrappone al logico o al razionale. È invece un’attitudine conoscitiva diversa da quella della ragione. Il cuore ha il suo «ordine» (R. De Monticelli) e le sue «ragioni che la ragione non conosce» (B. Pascal). Solo le ragioni del cuore hanno la chiave per entrare nel mistero dell’altro. Non si può conoscere l’altro «io» se non lo si avvicina con il sentimento positivo dell’amore che è il punto più alto e più profondo della funzione del cuore. Forse è venuto il tempo in cui si debba riscoprire il cuore come punto di sintesi di tutte le dimensioni della persona, da quella affettiva e volitiva a quella razionale e religiosa, come «luogo dell’integrazione viva, come spazio in cui l’uomo è già intero, non frantumato o smembrato» (M. I. Rupnik), come luogo dove l’intelletto ha il suo sentimento e dove il sentimento intende e comprende… Il cuore o l’«uomo-cuore» (S. Palumbieri) è l’uomo «tutto intero». Egli, vivendo nel corpo, pensando, progettando, decidendo, disperandosi e collezionando sconfitte, continua tuttavia a rilanciare speranze. L’uomo è un essere speciale. Il suo essere è il sentirsi-essere, in moto permanente, in vibrazione costante, in tensione perenne. È l’in-quietudine, l’incapacità di placarsi, la vibratilità costitutiva, l’«abisso» da colmare, la «finitudine» da completare, l’«ammasso di fallibilità» da purificare, l’«interrogativo» da ascoltare… È come un ago calamitato che continua a vibrare finché non è puntato verso il suo Nord, l’Infinito, l’Assoluto. «Inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te» (Agostino d’Ippona), l’Amore di Dio incarnato ed «umanato» (Angela da Foligno), l’unica risposta perfetta al nostro «inquietum cor».

Nel programma della Serata ci stava a cuore tutto ciò che riguardava il cuore, in tutte le sue sfumature e dimensioni: «intelligente» (1 Re 3,12; Prov 14,33; 15,14; 18,15), «saggio» (Sal 90,12), «retto» (1 Re 3,6), «integro» (1 Re 11,4), «mite e umile» (Mt 11,29), «risoluto» (At 11,24), «creativo»… Ne hanno parlato con passione e competenza i protagonisti della tavola rotonda: Valentina Gulli, Clarissa Errigo e Teresa Cona, ed altri ed altri ancora: Stefania, Gino, Marisa, Maria… I videoclip, proiettati da Ghenadi, hanno reso la Serata ancora più toccante e vibrante. Le parole erano amore e noi continuavamo ad assorbirle abbondantemente, perché questa era l’aria che si respirava nella giornata del Sacro Cuore. Le immagini e le melodie ci offrivano stimoli e indicazioni grazie ai quali sentivamo che il Sacro Cuore richiamava il nostro cuore. Tutti abbiamo bisogno di un cuore forte, saldo, chiuso al tentatore, ma aperto al Cuore divino; di un cuore tenero, generoso, «intelligente» che non si lascia chiudere in sé e non cade nella vertigine della globalizzazione dell’indifferenza; di un cuore «sociale» che si spende per l’altro e il totalmente Altro. Una Serata davvero con il Cuore al centro. 

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Un battito di cuore alla sfida delle sette…

«A me gli occhi, prego», direbbe l’8ª Serata conviviale con «aperitivo» focalizzata sul tema «I giovani: facile bersaglio delle sette occulte e dei nuovi movimenti religiosi» e collocata nell’ambito della 6ª edizione del WikiCircolo dal motto «I giovani con ‘sorella’-‘madre’ Terra», che si è svolta il 4 maggio 2018 nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido.

Il tema, esposto da don Vincenzo Agosto, Alex Scicchitano e il sottoscritto, e illustrato con i due video (Illuminati. Spiegazione del loro «simbolismo» e Il lato oscuro dei social network), per ben due ore ha tenuto incollate persone che pian piano riempivano il Salone. Tra loro, i fantastici membri del Rinnovamento nello Spirito.

Serata straordinariamente intensa per chi ha regalato un battito di cuore alla sfida delle sette e dei «nuovi movimenti religiosi» o dei «culti» e, in particolare, ai giovani vulnerabili, «sconnessi», «senza legami», in pericolo, a rischio di fascinazioni occulte o già «pescati», trascinati e finiti negli ingranaggi di una finta spiritualità, plagiati dai guru, «deprogrammati» contro la loro volontà e resi schiavi delle sette, eppure sempre «appetibili», in cerca di un «dulcis in fundo», cioè di un’offerta di senso, di perché, di valori che entusiasmino, foss’anche in forma di surrogato rispetto al caffè, che altrove esiste, ma non è stato mai gustato a fondo.

Togliamoci però dalla testa che a finire negli ingranaggi della finta spiritualità sono solo i giovani vulnerabili e sprovveduti, gli anelli deboli della società. «Ciascuno di noi può cascarci» − scandisce Giuseppe Ferrari del Gruppo di Ricerca e Informazione Socio-religiosa (GRIS) di Bologna, l’osservatorio anti-sette della Chiesa cattolica. Sfoglia l’archivio delle segnalazioni: avvocati, dirigenti, impiegati, professori, persino magistrati. Altrimenti non sarebbero oltre un milione le persone che in Italia nutrono una galassia di oltre 600 sette religiose e di ancora più numerose le psico-sette, dalla facciata un po’ eccentrica (49%), di quelle sataniste (18%) o stregonesche (18%). Sono italiani medi gli “irretiti”, i “plagiati”, i “succubi” di oggi. La dott.ssa Lorita Tinelli del Centro Studi Abusi Psicologi (CeSAP) di Bari, tra i più attivi centri d’assistenza psicologica e legale per vittime di plagio, desolata ed avvilita confida: «Perfino un collega psicologo…». E don Aldo Buonaiuto della Comunità Papa Giovanni XXIII, l’unica associazione a offrire un numero verde anti-sette sempre disponibile, conferma: «Il 70% dei nostri casi riguarda persone istruite, perfino laureati, spesso facoltosi».

I santoni d’accatto e i ciarlatani dell’anima vanno sul sicuro. Preferiscono pesare le vittime tra i clienti dei fitness club, dei corsi di Shiatsu e di Qi Gong, nella classe media consumatrice di salutismo psicofisico. Ad esempio, Elena di Milano, una libera professionista, riferisce: «Mia sorella mi iscrisse a un ciclo di pranoterapia. Sembrava tutto normale, ma poi spuntò la santona, affabile. Ci parlava del “terzo occhio” e della “luce sopra di noi”. Era piacevole ascoltarla. Ci annunciò che poteva “canalizzare Gesù” dentro di noi e ammetterci a un circolo esclusivo di prescelti, pieno di persone importanti, attori, soubrette, nomi famosi… Perché no? Chissà, magari funziona. Sembrava un regalo. Cinquanta euro a incontro, non sono poi tanto. Ed era così bello sentirsi circondati di apprezzamento, avvolti d’amore. Solo che, via via, la gentilezza spariva e subentravano prima le prove di perfezionamento, gli esercizi spossanti e poi le sgridate, l’autorità, le imposizioni. Ci mettevano contro i nostri cari e ci impedivano di coltivare altre amicizie. Io uscivo dalle sedute terrorizzata e piangente, ma non riuscivo a staccarmi. Quella minacciava: “Se te ne vai, Cristo ti abbandona, perderai la vita”. Ero la reietta, l’apostata. Ci ho messo tre anni ad uscirne. E altri tre a liberarmi dal senso di fallimento».

Il discount della felicità in vetrina e l’abisso della spersonalizzazione nel retro. Secondo Massimo Introvigne, sociologo e saggista, fondatore e direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni (CeSNuR), dice che la parola “setta” è obsoleta, perché ricorda massonerie e riti fumosi: «Ora vanno fortissimo le religioni neobuddiste giapponesi, il cui motto è Genze riyaku, “beneficio immediato”. Ecco la lusinga: un benessere spirituale pronta cassa, da bere d’un fiato, come una bevanda dietetica». A suo parere non siamo una società secolarizzata. Siamo invece una società di «credenti senza appartenenza», di fedeli a caccia di parrocchie easy-fit, assetati di esperienze più che di credenze, più clienti che adepti. È un bisogno crescente di spiritualità, ma di quella semplice, aerobica ed efficiente, già disponibile nell’aldiquà e non rimandata all’aldilà, di un wellness interiore che ti fa finire dritto in braccio a quelli che la criminologia non definisce più sette religiose, ma “gruppi distruttivi”. L’offerta è vastissima ed ossessiva: lusingando arriva in tutte le case, sul web, WhatsApp, Facebook, Twitter… e le difese sono bassissime.

Una rara sospettosa chiede al GRIS: «Potete dirmi cos’è il “lavaggio energetico emozionale”? Sono una buona cattolica e non vorrei cacciarmi in un pasticcio». Chi però va a sospettare del crocefisso? Paolo, laureato da poco, voleva festeggiare il suo ritorno alla fede e iniziare la preparazione alla cresima, ma quel gruppo che aveva sede in una parrocchia era un po’ strano. «Dopo la bella accoglienza iniziarono certi discorsi sui “nemici della fede”, sulle tentazioni carnali. Me ne andai e subito cominciarono le persecuzioni: irrompevano in negozio e mi telefonavano a casa di notte: “Sei un prescelto, sei un eletto. Se abiuri, farai una brutta fine”. No, non era un corso per cresimandi…».

«L’inferno − scrive il giornalista Michele Smargiassi − comincia di solito con un leggero gesto consumista: si sceglie un percorso spirituale come un paio di carine scarpe sportive». Il tuffo nel tunnel di Alessandra, ad esempio, iniziò con un volantino sul bancone di una libreria: un innocente corso di Reiki, “prima lezione gratuita”, che male c’è? Accoglienza allegra e luminosa. «Ci dipinsero l’esperienza come un paradiso». E via, aprire i cuori e i portafogli: una serata − 260 euro, un corso “residenziale intensivo” − 1200 euro, e le attività che diventavano sempre più strane e scabrose: «Si parlava quasi solo di sesso», i «lavori» sfiancanti, le notti quasi insonni. Così quando arriva il momento dell’esperienza no-limits, quella del gong, «sei in una condizione di offuscamento mentale». Anna, di Bari, finì nel tunnel per seguire il fidanzato. «Se non andavo, mi avrebbe lasciato. Il guru voleva così e io per amore avrei fatto ogni cosa, a ventidue anni». In quel gruppo era il guru a fare e disfare la vita di ciascuno. Ubbidire o essere puniti, e la punizione era la «trasgressione creativa». «Il guru stabiliva con chi il tuo ragazzo doveva tradirti. Un giorno mi disse che dovevo prestarmi per una “trasgressione creativa”. Gli dissi: “Siete matti”, e trovai la forza per mollare tutto».

Quanti però non hanno coraggio di reagire e abbassano la testa? All’e-mail di don Aldo Buonaiuto arrivano storie come quella di una signora, moglie di un medico e madre di tre figli, che sparisce dopo un misterioso seminario a Milano, lasciando solo un talismano con un serpente. «La polizia ci ha detto che non si può fare nulla perché è diritto di un maggiorenne…». Simil-cristiani, para-buddisti, pseudo-scientifici, misteriosofici… La metodologia è la stessa: un letale mix tra tecniche di marketing e arsenale da torturatori di Abu Ghraib. Franca, madre con due figlie, raccontò a «Famiglia Cristiana» della dieta rivoltante imposta da un sedicente “angelo reincarnato”: «Pasta, solo pasta, aggiungendone se non finivo il piatto, mi faceva mangiare anche quella che vomitavo».

«L’incapacità di ribellarsi − scrive ancora Smargiassi − sembra inverosimile solo a chi non ha toccato con mano l’infernale meccanismo della sudditanza psicologica, come Franco a cui hanno rubato un fratello: “Incontrò questo santone. All’inizio me ne parlava entusiasta, tutto bello, puro, etereo… Avevamo appena avuto un lutto in famiglia. Può capitare a tutti, ma se qualcuno si infila nella tua crepa, l’abisso è lì, caderci è un attimo, e non risali più. Quello diceva di essere Dio, niente di meno, e come si fa a tradire Dio? ‘Se te ne vai, il tuo karma soffrirà, evolverai per saturazione!’. Cosa volesse dire, non so, ma mio fratello ne era paralizzato. Non c’è più il reato di plagio in Italia, è vero, ma questa è riduzione in schiavitù, si potrà fare qualcosa”». Che cosa?

«Attilio di Verona ha mobilitato anche l’Interpol, ma di suo figlio ventiseienne non sa più nulla. “Due anni fa perse il lavoro. Si mise a cercare su Internet. Trovò questa comunità, sorrisi, crocefissi al collo, cieli azzurri. Non ebbi il cuore di trattenerlo. Mesi di silenzio. Mesi fa, una telefonata: lui, piangente. Mi disse: ‘Papà, dimmi le cose più brutte, ma vienimi a prendere, salvami’. Mille chilometri di distanza, li avrei fatti anche di corsa, gli dissi di prendere i documenti e scappare. Lo fece, ma lo ripresero. Mi richiamò con una voce falsa: ‘Papà, mi ero sbagliato, sto bene’. Ora al cellulare rispondono altre persone e buttano giù”. Gli trema la voce. Il far West delle anime ha avuto un altro scalpo».

E cosa dire del «satanismo acido» che sta travolgendo gli adolescenti? Spesso loro stessi sono «a caccia» di satana sul web. Gli ‘adepti’ di satana, reclutati attraverso i social network e i profili di Facebook blindati, cioè non accessibili a tutti, sono in forte crescita. E’ proprio Facebook, il social per eccellenza ad essere utilizzato, più di tutti gli altri presenti in Internet, per contattare i ragazzi sensibili al fascino del “Signore delle Tenebre”. Ed è anche il ‘luogo’ dove la Polizia di Stato ogni giorno scova decine di nuovi simpatizzanti. L’età a rischio è quella compresa tra i 12 e i 22 anni. «Frasi ad effetto, musiche dark spinto, fotografie di sangue e teschi, e questi ragazzi soli davanti al pc, e spesso per la maggior parte della giornata, vengono risucchiati dal vortice dell’oscuro − spiega a Panorama.it Maria Carla Bocchino, dirigente responsabile della Divisione Analisi del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato. − Vengono quasi ipnotizzati con musiche “realizzate” al computer dove si sentono lamenti strazianti e voci sofferenti ed agonizzanti». Un ruolo importante possono giocare anche i tratti definibili come ‘schizoidi’ e ‘antisociali’ dei ragazzi. Un adolescente, che aumenta il suo isolamento fisico e psichico dalla società normativa e manifesta comportamenti antisociali (vandalismo, furti, violenza…) e abusi di alcol e droga, merita senz’altro attenzione anche rispetto alla possibile adesione a una setta, ma la meriterebbe comunque, indipendentemente dalla eventuale soluzione satanica. Certo, anche la propensione per l’occulto, il gotico e la necrofilia sono segni che vanno tenuti d’occhio.

E’ estremamente importante che i genitori monitorizzino il computer e il cellulare del figlio o della figlia, prestando la massima attenzione a che cosa guarda sul web e con chi interagisce. Spessissimo queste sette sataniche acide si nascondono dietro profili di Facebook, ma anche dietro ad semplici associazioni onlus. Questi sono i casi più complessi da individuare, ma con un po’ di attenzione un adulto riesce ad intercettarli. «Se un genitore lo ha già scoperto − afferma Nadia Francalacci, collaboratrice dei servizi informativi centrali della Radio Vaticana −, deve rivolgersi alla Polizia postale che è in grado di entrare nel sito o profilo sospetto ed eventualmente oscurarlo. Con questi ragazzi non è consigliabile mai avere un atteggiamento duro e intransigente perché sono proiettati in una realtà che è difficile da gestire.

Ebbene, i giovani hanno bisogno di un chiaro orientamento e di vera spiritualità, di entusiasmarsi per un grande ideale e di sentirsi protagonisti di una società futura, più umana e più solidale. In caso contrario rischiano di diventare adulti non vivendo, ma lasciandosi vivere dietro la corrente, baloccandosi tra moto e flirts, assordandosi in discoteca o nei pub, sempre e comunque a caccia di sensazioni epidermiche che li facciano uscire da sé, oltre un sano “divertirsi”, fino a darsi allo “sballo”, agli sport estremi e, nei casi peggiori, perfino all’alienazione della droga e all’«abbraccio» delle sette… Ecco perché la moderna Caritas li inserisce nella categoria dei «poveri appettibili». E l’attuale edizione del Wiki– e CineCircolo continua a regalare a loro e a favore di tutti, ostinatamente e gratuitamente, ogni venerdì, un battito di cuore…, insieme all’«aperitivo» e al «cocktail».

Piotr Anzulewicz OFMConv

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Serve un webpastore…

Una Serata conviviale illuminante, quella focalizzata sul tema «I giovani: webpastore come tessitore di dialoghi», che si è svolta venerdì 20 aprile 2018, nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» a Catanzaro Lido. Con il claim «capire, cambiare, osare», siamo stati invitati a guardare a Internet con entusiasmo, fiducia e audacia, a riappropriarci del ruolo di animatori/webpastori di «comunità», che «si esprimono ormai attraverso tante voci scaturite dal mondo digitale», ad offrire a tutti − anche ai non credenti, ma sopratutto ai preadolescenti e agli adolescenti − «i segni necessari per riconoscere il Signore» (Benedetto XVI). Capire l’era presente (virtuale), cambiare se stessi − ed anche un po’ la nostra terra, per quanto incolta e poco fertile − e osare ad evangelizzare il grande “continente” cibernetico, in continua ed irrefrenabile espansione, dalle elevate potenzialità comunicative, dalla progressiva apertura sociale e dalla frequentazione sempre più crescente. Il web si configura ormai come un universo culturale informativo e formativo ed è di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari e sociali. Operare pastoralmente in questo cyberspazio è non solo opportuno, ma anche necessario.

Tutti abbiamo bisogno però di un cambiamento di mente e di cuore e di una conversione pastorale… E’ una sfida per tutti, dai presbiteri agli educatori: entrare in sintonia con i media digitali ed elevarli a strumenti al servizio dei valori alti, umanistici e cristici. È urgente formare gli evangelizzatori a saper capire il linguaggio dei “nativi digitali” e andare a cercarli nei “luoghi” e nelle “piazze” che frequentano: Facebook, il cybercaffè, i blog, i chat… A loro che si debba strizzare l’occhio, tessendo i dialoghi e prendendosi cura delle loro parole, vite, storie.

Serve un webpastore, e una Chiesa, che non abbia paura di entrare nella loro notte, capace di incontrarli nella loro strada, in grado di inserirsi nella loro conversazione. Serve un webpastore, e una Chiesa, che «sappia dialogare con quei discepoli, i quali, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, con il proprio disincanto, da soli, con la delusione di un cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso». Serve un webpastore, e una Chiesa, capace di accendere il loro cuore e ricondurli a Gerusalemme. «Per questo è importante − ha detto Papa Francesco a Rio, il 27 luglio 2013, rivolgendosi ai vescovi brasiliani − promuovere e curare una formazione qualificata che crei persone capaci di scendere nella notte, senza essere invase dal buio e perdersi; di ascoltare l’illusione di tanti, senza lasciarsi sedurre; di accogliere le delusioni, senza disperarsi e precipitare nell’amarezza; di toccare la disintegrazione altrui, senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità». Ai tempi di Internet queste parole risuonano con una forza e un’efficacia intramontabili. La sfida è arricchire la vita che appella in rete, raggiunta con domande semplici, di significati profondi, di pietre preziose, di perle. Frate Francesco non si troverebbe male nel grande mercato del web. Dialogando, egli saprebbe vendere bene la propria merce: la perla che ha trovato tra i lebbrosi e nei Vangeli.

Una Serata ricca di spunti, suggestioni, stimoli, sollecitazioni… Colma di slanci per colonizzare vecchi comportamenti e reindirizzare linguaggi ammuffiti e barocchi, debitori di una retorica e di un’autoreferenzialità ormai ignote alla scattante società contemporanea. Corredata di due video musicali e di tre video-conferenze. Arricchita dalla presenza di un ospite d’eccezione: p. Vasyl Kulynyak, di Crotone, cappellano della comunità ucraina di rito bizantino presso l’arcidiocesi di Crotone-S. Severina. Resa saporita con la sottile focaccia di farina, spianata a mano, variamente condita e cotta nel forno a legna. A presto, con slancio della speranza.

Piotr Anzulewicz OFMConv

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