«Cold War»: guerra fredda riscaldata da un amore
Il Circolo ha messo in pista, venerdì 22 ottobre, una Serata avvincente e struggente: la 2ª della 9ª edizione del CineCircolo, con la pellicola «Cold War» (tit. orig. «Zimna wojna») di Paweł Pawlikowski e con il cinedibattito «Un amore totalizzante, ma perennemente ostacolato e osteggiato da una barriera politica e psicologica».
Quando la musica è soave, l’immagine perfetta, la storia commovente, ci si avvicina inevitabilmente a quella sostanza speciale che rende alcuni momenti indelebili. «Cold War», proiettato nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido, preceduto dal music video «Nei giardini che nessuno sa» di Renato Zero e seguito dal videoclip «La libertà» di Giorgio Gaber e un breve cinedibattito, è apparso così, come un’opera dalla traboccante bellezza, priva di colori, ma carica di senso e di significato. Un bianco e un nero dell’anima e del ricordo che infiammavano e lasciavano attoniti, una musica centrata sugli occhi che piangevano e non si incontravano mai e una regia che riusciva a carpire l’invisibile e a restituirlo sotto forma di emozione, avvolgeva i presenti nel Salone e li conduceva nella dimensione dell’incredibile storia d’amore di Wiktor Warski e Zuzanna, detta Zula: lui, musicista e storico musicale, con l’incarico di dirigere un corpo di ballerini-cantanti che possano portare nei teatri dei Paesi sotto il dominio sovietico i grandi classici della musica popolare polacca, e lei, giovane e ambiziosa cantante, che lo stregava tanto artisticamente quanto emotivamente; entrambi persi in un romantico e viscerale amore che si contrapponeva all’afflato stalinista di cui era partecipe la loro Polonia, durante la guerra fredda. I cuori dei due erano destinati ad appartenersi e a incendiare ciò che il regime cercava di controllare, ma, benché l’amore bruci ardentemente, il gelo della guerra non combattuta è sempre opprimente e soffocante e non lascia scampo: dall’essere un conflitto mondiale giunge fino alla più profonda intimità della coppia.
La pellicola è stata dedicata dal regista polacco alla memoria dei propri genitori, «persone forti e meravigliose». Sono loro i veri combattenti di questa intima guerra fredda, fra il 1949 e il 1964: uno di quegli amori a cui si fugge per tornare regolarmente indietro, senza poterci fare niente. Le distanze incolmabili e il loro tormentato e tragico amore sembrano essere il diretto riflesso dell’Europa del tempo, divisa e spaccata in due dalla cortina di ferro, dove nulla lascia presagire per il meglio. I due, follemente innamorati, non riescono a far funzionare il loro legame in Francia, nonostante gli sforzi profusi lungo 15 anni tra la Polonia postbellica, Berlino Est, Parigi e la Jugoslavia. Zula decide quindi di tornare a casa e Wiktor, incurante del rischio, decide di seguirla, ma, in quanto fuggiasco, viene condannato a 15 anni di carcere duro. «Zula e Wiktor – scrive Giorgio Crico – vivono tra loro metaforicamente ciò che l’Europa sta vivendo politicamente: la guerra fredda tra i due artisti è gelida e soffocante esattamente quanto quella con la G maiuscolo in cui sono invischiati i famosi blocchi, orientale e occidentale».
Non è fatto di solo tragiche passioni «Cold War», vincitore di cinque Oscar europei (European Film Awards) e di premio miglior regia al Festival di Cannes 2018. «La raffinata potenza narrativa di quest’opera – si legge nella recensione pubblicata su eco del cinema. com – “si sporca” dell’affannosa, faticosa e a tratti violenta ricerca della libertà. Un desiderio che si fa inappagabile nel momento in cui la persona amata, non condivide i metodi per il raggiungimento dell’agognato obiettivo e si percepisce come un ostacolo. Si imbastisce così una storia fatta di fughe, di rincorse, di improvvise assenze, in cui la musica, bellissima, lenisce le ferite, ma non risolve tutto e assurge a luogo privato in cui nascondersi per riflettere sulla propria vita e sul proprio destino. Anche la poesia trova il suo spazio insinuandosi nella macchina da presa, nei dialoghi sopra le righe e in un mirabile non detto». «Cold War» è un gioiello che abbiamo seguito tutto d’un fiato, investendoci di un’ondata di commozione, meraviglia ed empatia.
La Serata si è svolta nel giorno pregno di grandi eventi: 1. in Vaticano si stava svolgendo il convegno internazionale sul tema: «Solidarietà, cooperazione e responsabilità: gli antidoti per combattere ingiustizie, ineguaglianze ed esclusioni»; 2, a Taranto era in corso la 49ª Settimana sociale dei cattolici italiani su «Il Pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro e futuro. #tuttoèconnesso»; 3. nella memoria liturgica della Chiesa si celebrava s. Giovanni Paolo II († 2.04.2005), il 263° successore di Pietro che iniziò il suo ministero petrino il 22 ottobre 1978, «papa pellegrino del mondo», promotore di riconciliazione, dialogo e pace («spirito di Assisi»), «cantore della civiltà dell’amore». Cruciale fu il suo ruolo nella caduta del Muro di Berlino (9.11.1989) e il suo contributo al superamento della guerra fredda e alla nascita della nuova Europa.
Tutto è iniziato nel giugno del 1979, quando egli è andato in Polonia. Lì a Varsavia, in Piazza della Vittoria, davanti ad un milione di polacchi, ha detto che con l’elezione di un Papa polacco la Polonia era chiamata ad essere terra di una responsabilità cristiana particolarmente forte. E poi, congedandosi davanti ad una folla immensa, ha invocato la Spirito Santo: «Vieni e rinnova la faccia della terra». Si è fermato per un attimo e poi ha aggiunto: «Di questa terra!». Quella sera un grande filosofo, don Jósef Tischner, ha detto: «Qualcosa deve accadere. Nessuno sa cosa, ma nulla potrà essere come prima». Nell’agosto dell’80, un anno dopo, Lech Wałesa ha scavalcato i cancelli dei Cantieri Navali di Danzica ed è iniziata l’epopea di Solidarność. L’ordine (o, forse meglio, il disordine) europeo sancito a Yalta, che aveva consegnato metà del continente al totalitarismo comunista ed all’imperialismo sovietico, è stato sfidato da una rivoluzione cristiana pacifica e non violenta che non ha mai sparso il sangue dei suoi avversari, ma solo quello dei propri martiri ed ha fatto appello alla coscienza degli oppressori. È stata la rivoluzione delle coscienze. Con il crollo del Muro si è sbriciolata, in seguito, la frontiera ferrea, politica e psicologica, che osteggiava e ostacolava ogni amore totalizzante tra le persone.
Ed è stato questo l’argomento del cinedibattito della Serata. Bravo Ghenadi che l’ha trasformata, in parte, in un incontro virtuale, rendendola visibile, in diretta «streaming», sulla pagina social del Circolo, ai lontani. Nei presenti alla proiezione ha lasciato comunque forte l’impressione che si è nel Salone in carne ed ossa per qualcosa di più grande: per ricostruire insieme un ‘noi’, per ricreare punti di contatto e di dialogo faccia a faccia, per ritessere le relazioni interpersonali, frantumate dalla pandemia, senza ricorso a uno schermo e una tastiera, per tenersi vicini, per stringersi in un abbraccio, e trovare che sia bello…
Piotr Anzulewicz OFMConv
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 Il film «A casa con i suoi» di Tomy Dey e la cineconversazione «Nuova formula relazionale: ‘singletudine’» – intorno alla tendenza mondiale dei giovani a vivere soli in casa dei genitori fino a età improbabili e intorno a questi ultimi a inventarsi una strategia per sloggiarli dalle calde e comode coperte di famiglia – hanno condotto i convenuti fino al cuore del problema: Non siamo creati per essere soli, orfani di origine, di storia e di traiettoria, «sfigati», «choosy», «bamboccioni» (l’etimo della parola «bamboccio», di cui «bamboccione», è la forma accrescitiva che reca con sé il marchio dell’infanzia e dunque della sprovvedutezza: «bambo» e «bambino» sono alla radice di «bamboccio») e «fannulloni» (la parola composta dall’imperativo di fare [«fa’»], da «nulla» e dal suffisso accrescitivo «one»), vecchie e care parole del lessico familiare, quest’ultime due, rispolverate, rilucidate come certe tabacchiere d’argento nel salotto dei nonni, rilanciate splendenti in mezzo al dibattito politico, amplificate dai social media, riprese come simbolo di “italianità” (sub)culturale e antropologica perfino dal quotidiano britannico «Times» e da quello statunitense «New York Times». Siamo creati in dono gli uni per gli altri e ci realizziamo impegnandoci ad amarli con quell’amore che viene prima di ogni risposta d’amore. Infatti, «l’uomo non può ritrovarsi pienamente, se non mediante il dono sincero di sé» (
Il film «A casa con i suoi» di Tomy Dey e la cineconversazione «Nuova formula relazionale: ‘singletudine’» – intorno alla tendenza mondiale dei giovani a vivere soli in casa dei genitori fino a età improbabili e intorno a questi ultimi a inventarsi una strategia per sloggiarli dalle calde e comode coperte di famiglia – hanno condotto i convenuti fino al cuore del problema: Non siamo creati per essere soli, orfani di origine, di storia e di traiettoria, «sfigati», «choosy», «bamboccioni» (l’etimo della parola «bamboccio», di cui «bamboccione», è la forma accrescitiva che reca con sé il marchio dell’infanzia e dunque della sprovvedutezza: «bambo» e «bambino» sono alla radice di «bamboccio») e «fannulloni» (la parola composta dall’imperativo di fare [«fa’»], da «nulla» e dal suffisso accrescitivo «one»), vecchie e care parole del lessico familiare, quest’ultime due, rispolverate, rilucidate come certe tabacchiere d’argento nel salotto dei nonni, rilanciate splendenti in mezzo al dibattito politico, amplificate dai social media, riprese come simbolo di “italianità” (sub)culturale e antropologica perfino dal quotidiano britannico «Times» e da quello statunitense «New York Times». Siamo creati in dono gli uni per gli altri e ci realizziamo impegnandoci ad amarli con quell’amore che viene prima di ogni risposta d’amore. Infatti, «l’uomo non può ritrovarsi pienamente, se non mediante il dono sincero di sé» ( «Sta qui – per citare Jacques Lacan (+ 1981), filosofo e psicoanalista francese – l’esperienza dell’azione umana»: riconoscere la propria natura, davanti alla quale siamo ultimamente responsabili, e agire conformemente ad essa. «Essere il dono sincero di sé» per gli altri non è quindi un semplice slogan, una mera amicizia, una pura filantropia. È un imperativo di vita che dà motivazione all’essere e agire oltre se stessi. Senza questo imperativo-respiro la persona si snatura e implode. Così anche la famiglia, separata dai legami con le generazioni e chiusa difensivamente su se stessa, implode e diventa luogo dove accadono i femminicidi, dove si respira l’individualismo, dove si perde la capacità di essere grembo ospitale. Fedele invece al suo nucleo pulsante, in cui c’è la diversità-alterità, genera e, incorporando anche il limite e il fallimento, trasforma le ferite in occasione di rigenerazione e di rinnovamento. Il perdono caratterizza la famiglia, anche in chiave laica, perché la vita sociale non esiste senza quella gratuità che eccede la logica del contratto e dell’occhio per occhio. La famiglia oggi è uno dei pochi luoghi dove si sperimenta la gratuità e si getta i semi di futuro. Essa non è quindi un nido o una tana dove rifugiarsi, un porto sicuro in cui fermarsi, una bolla in cui proteggersi, ma è una dimora ospitale, un grembo accogliente, un luogo di porte spalancate, non blindate. Lo dice anche la sua etimologia: «faama» è la casa che accoglie persone unite da legami di sangue, ma non solo. È qualcosa di piccolo che si apre, e ci apre, su qualcosa di grande. «È un nodo – afferma Chiara Giaccardi, sociologa e antropologa dei media – non solo fra i due partner, ma anche fra le generazioni, con chi ci ha preceduto e con chi ci seguirà». È un nodo di una rete più ampia, cui contribuisce e da cui ha sostegno. È un movimento di reciprocità. Un movimento che, purtroppo, abbiamo disimparato nel mondo dell’«io», del “tutto presente”, del “tutto subito”, dell’etichetta senza resto, dell’immanenza senza apertura, senza speranza, senza mistero.
«Sta qui – per citare Jacques Lacan (+ 1981), filosofo e psicoanalista francese – l’esperienza dell’azione umana»: riconoscere la propria natura, davanti alla quale siamo ultimamente responsabili, e agire conformemente ad essa. «Essere il dono sincero di sé» per gli altri non è quindi un semplice slogan, una mera amicizia, una pura filantropia. È un imperativo di vita che dà motivazione all’essere e agire oltre se stessi. Senza questo imperativo-respiro la persona si snatura e implode. Così anche la famiglia, separata dai legami con le generazioni e chiusa difensivamente su se stessa, implode e diventa luogo dove accadono i femminicidi, dove si respira l’individualismo, dove si perde la capacità di essere grembo ospitale. Fedele invece al suo nucleo pulsante, in cui c’è la diversità-alterità, genera e, incorporando anche il limite e il fallimento, trasforma le ferite in occasione di rigenerazione e di rinnovamento. Il perdono caratterizza la famiglia, anche in chiave laica, perché la vita sociale non esiste senza quella gratuità che eccede la logica del contratto e dell’occhio per occhio. La famiglia oggi è uno dei pochi luoghi dove si sperimenta la gratuità e si getta i semi di futuro. Essa non è quindi un nido o una tana dove rifugiarsi, un porto sicuro in cui fermarsi, una bolla in cui proteggersi, ma è una dimora ospitale, un grembo accogliente, un luogo di porte spalancate, non blindate. Lo dice anche la sua etimologia: «faama» è la casa che accoglie persone unite da legami di sangue, ma non solo. È qualcosa di piccolo che si apre, e ci apre, su qualcosa di grande. «È un nodo – afferma Chiara Giaccardi, sociologa e antropologa dei media – non solo fra i due partner, ma anche fra le generazioni, con chi ci ha preceduto e con chi ci seguirà». È un nodo di una rete più ampia, cui contribuisce e da cui ha sostegno. È un movimento di reciprocità. Un movimento che, purtroppo, abbiamo disimparato nel mondo dell’«io», del “tutto presente”, del “tutto subito”, dell’etichetta senza resto, dell’immanenza senza apertura, senza speranza, senza mistero. La Serata si è svolta tra le due domeniche – l’11 novembre con la 68ª
La Serata si è svolta tra le due domeniche – l’11 novembre con la 68ª  Il Circolo, per inserirsi nelle manifestazioni di solidarietà e di attenzione agli ultimi, i poveri, i senza tetto, gli abbandonati, gli ‘scartati’, gli immigrati, ha voluto rievocare anche la 5ª Serata della 5ª edizione del WikiCircolo che si è tenuta un anno fa, venerdì 17 novembre 2017, dal tema «
Il Circolo, per inserirsi nelle manifestazioni di solidarietà e di attenzione agli ultimi, i poveri, i senza tetto, gli abbandonati, gli ‘scartati’, gli immigrati, ha voluto rievocare anche la 5ª Serata della 5ª edizione del WikiCircolo che si è tenuta un anno fa, venerdì 17 novembre 2017, dal tema «









 La Serata «Sessanta Jazz», che si è svolta il 29 giugno 2018 presso la sede del Circolo Culturale San Francesco a Catanzaro Lido, a detta di molti, è riuscita a sprigionare lo charme a 360 gradi. E’ stato proprio il M° Luigi Cimino, con il suo sax, ad emanarlo. Di per sé ha una fiamma dentro di sé. Essa però divampa per un ambito in cui si è “specializzata”: il
La Serata «Sessanta Jazz», che si è svolta il 29 giugno 2018 presso la sede del Circolo Culturale San Francesco a Catanzaro Lido, a detta di molti, è riuscita a sprigionare lo charme a 360 gradi. E’ stato proprio il M° Luigi Cimino, con il suo sax, ad emanarlo. Di per sé ha una fiamma dentro di sé. Essa però divampa per un ambito in cui si è “specializzata”: il  Durante il «break», due sorprese: 1. l’ascolto dell’inno «’Siamo Qui!’. Proteggi Tu il mio cammino» dell’incontro dei giovani italiani con Papa Francesco che si svolgerà a Roma l’11 e il 12 agosto, reso noto appena tre giorni fa, scritto dall’Istituto Diocesano di Musica e Liturgia di Reggio Emilia e diretto dal M° Giovanni Mareggini: un’invocazione di protezione verso tutti coloro che attraversano la vita cercando di dirigere al meglio i propri passi; 2. la proiezione delle foto archiviali con
Durante il «break», due sorprese: 1. l’ascolto dell’inno «’Siamo Qui!’. Proteggi Tu il mio cammino» dell’incontro dei giovani italiani con Papa Francesco che si svolgerà a Roma l’11 e il 12 agosto, reso noto appena tre giorni fa, scritto dall’Istituto Diocesano di Musica e Liturgia di Reggio Emilia e diretto dal M° Giovanni Mareggini: un’invocazione di protezione verso tutti coloro che attraversano la vita cercando di dirigere al meglio i propri passi; 2. la proiezione delle foto archiviali con 




















 In ogni scelta non dobbiamo mai lasciarci guidare dalla logica della violenza, e neppure da quella del taglione, cioè dell’«occhio per occhio» e «dente per dente». Non ne hanno avuto dubbi i presenti alla
In ogni scelta non dobbiamo mai lasciarci guidare dalla logica della violenza, e neppure da quella del taglione, cioè dell’«occhio per occhio» e «dente per dente». Non ne hanno avuto dubbi i presenti alla  Guardando l’intenso film di Sollima – uno spaccato di realtà che getta una luce cruda su un mondo in cui oppressori ed oppressi, carnefici e vittime, si scambiano rapidamente i ruoli e vengono osservati da un punto di vista che esclude pregiudizi e stereotipi, scandagliando in profondità la psiche dei protagonisti e le problematiche di una società orfana di regole e abbandonata all’insicurezza e all’anarchia − per certi versi ci siamo sentiti posti sul banco degli imputati. Spessissime volte anche noi siamo oppressivi e persecutori. Eppure professiamo un Dio uno e trino, antidoto alla violenza e causa di riconciliazione, manifestazione in Cristo di un amore che non cerca il dominio, ma rende per sempre contraddittoria la violenza tra gli uomini. Crediamo in un Dio che è comunione, unione, amore. Pace e nonviolenza sono parte integrante e decisiva del nostro credo cristiano. Fortunatamente sono rari i cattolici che vorrebbero armarsi contro un nemico. C’è tuttavia una violenza più sottile e più diffusa, quella fatta di parole, di atteggiamenti, di modi di relazionarsi. È quella a cui fa riferimento Papa Francesco quando dice di evitare il proselitismo, l’ingerenza spirituale, la costruzione di muri di risentimento, di odio e di vendetta…
Guardando l’intenso film di Sollima – uno spaccato di realtà che getta una luce cruda su un mondo in cui oppressori ed oppressi, carnefici e vittime, si scambiano rapidamente i ruoli e vengono osservati da un punto di vista che esclude pregiudizi e stereotipi, scandagliando in profondità la psiche dei protagonisti e le problematiche di una società orfana di regole e abbandonata all’insicurezza e all’anarchia − per certi versi ci siamo sentiti posti sul banco degli imputati. Spessissime volte anche noi siamo oppressivi e persecutori. Eppure professiamo un Dio uno e trino, antidoto alla violenza e causa di riconciliazione, manifestazione in Cristo di un amore che non cerca il dominio, ma rende per sempre contraddittoria la violenza tra gli uomini. Crediamo in un Dio che è comunione, unione, amore. Pace e nonviolenza sono parte integrante e decisiva del nostro credo cristiano. Fortunatamente sono rari i cattolici che vorrebbero armarsi contro un nemico. C’è tuttavia una violenza più sottile e più diffusa, quella fatta di parole, di atteggiamenti, di modi di relazionarsi. È quella a cui fa riferimento Papa Francesco quando dice di evitare il proselitismo, l’ingerenza spirituale, la costruzione di muri di risentimento, di odio e di vendetta…




































 Tanti eventi venerdì 23 marzo 2018: a Manchester, l’amichevole disputa degli azzurri con i sudamericani, pur privi delle sue stelle più brillanti, Messi e Aguero; a Roma, la riunione presinodale di 315 ragazzi e ragazze, in rappresentanza dei coetanei di cinque continenti, per conoscersi come generazione, scoprire in cosa ritrovarsi, capire su cosa contare e da cosa prendere le distanze, definire e accogliere le differenze, guardare in avanti e intuire cosa li aspetta, chiedersi come entrare in contatto con la propria interiorità e aprire il proprio cuore alla spiritualità nel mondo ipercomunicativo e iperconnesso, trovare un equilibrio tra spazi di progresso estremo e spazi di introspezione profonda, essenziale, autentica, in vista del
Tanti eventi venerdì 23 marzo 2018: a Manchester, l’amichevole disputa degli azzurri con i sudamericani, pur privi delle sue stelle più brillanti, Messi e Aguero; a Roma, la riunione presinodale di 315 ragazzi e ragazze, in rappresentanza dei coetanei di cinque continenti, per conoscersi come generazione, scoprire in cosa ritrovarsi, capire su cosa contare e da cosa prendere le distanze, definire e accogliere le differenze, guardare in avanti e intuire cosa li aspetta, chiedersi come entrare in contatto con la propria interiorità e aprire il proprio cuore alla spiritualità nel mondo ipercomunicativo e iperconnesso, trovare un equilibrio tra spazi di progresso estremo e spazi di introspezione profonda, essenziale, autentica, in vista del  rimaste fino all’epilogo. A tutti è stata offerta una variazione nel
rimaste fino all’epilogo. A tutti è stata offerta una variazione nel  Un argomento interessante, nuovo, utile, anche per capire l’intensa storia del protagonista del film, l’ex campione di scacchi e, in particolare, di partite lampo, il neozelandese
Un argomento interessante, nuovo, utile, anche per capire l’intensa storia del protagonista del film, l’ex campione di scacchi e, in particolare, di partite lampo, il neozelandese  «Lo sguardo − continua Casini − è chirurgico e mette in evidenza una società che cede alla via criminale, perché delinquere è considerato un modo per restare a galla, ma The dark Horse (così è soprannominato Genesis per le sue abilità strategiche) sa perfettamente che sopravvivere senza dignità e rispetto non equivale a vivere, e benché abbia un’esistenza piuttosto complicata, crede fermamente nel potere dei sogni e della volontà, tant’è che una volta impartiti i primi insegnamenti alla giovane combriccola di svantaggiati, annuncerà loro il suo progetto. Già… perché Genesis ha un piano, non uno qualsiasi; ne ha uno bello grosso: farli arrivare al campionato nazionale di scacchi. Ovviamente, non sarà affatto facile, perché strappare i ragazzi da situazioni potenzialmente pericolose, costituirà un’impresa ardua. E così, mentre lotterà per uscire dall’isolamento psicologico dovuto alla malattia, cercherà anche di far fronte a diverse avversità, tutte insite nelle gang di quartiere. In definitiva, The dark Horse si configura come una pellicola capace di toccare il cuore con grande sensibilità, perché, grazie all’esempio di Genesis, è in grado di emergere un messaggio fondamentale per questo mondo così disastrato, ovvero il valore della forza identitaria e delle seconde opportunità».
«Lo sguardo − continua Casini − è chirurgico e mette in evidenza una società che cede alla via criminale, perché delinquere è considerato un modo per restare a galla, ma The dark Horse (così è soprannominato Genesis per le sue abilità strategiche) sa perfettamente che sopravvivere senza dignità e rispetto non equivale a vivere, e benché abbia un’esistenza piuttosto complicata, crede fermamente nel potere dei sogni e della volontà, tant’è che una volta impartiti i primi insegnamenti alla giovane combriccola di svantaggiati, annuncerà loro il suo progetto. Già… perché Genesis ha un piano, non uno qualsiasi; ne ha uno bello grosso: farli arrivare al campionato nazionale di scacchi. Ovviamente, non sarà affatto facile, perché strappare i ragazzi da situazioni potenzialmente pericolose, costituirà un’impresa ardua. E così, mentre lotterà per uscire dall’isolamento psicologico dovuto alla malattia, cercherà anche di far fronte a diverse avversità, tutte insite nelle gang di quartiere. In definitiva, The dark Horse si configura come una pellicola capace di toccare il cuore con grande sensibilità, perché, grazie all’esempio di Genesis, è in grado di emergere un messaggio fondamentale per questo mondo così disastrato, ovvero il valore della forza identitaria e delle seconde opportunità».





 Serata emozionante, impressionante, toccante e didattica, istruttiva, pedagogica, quella 112ª di seguito, che si è tenuta venerdì 9 febbraio 2018, nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. E’ valsa la pena parteciparvi? Sì, ne è valsa veramente la pena! La 2ª
Serata emozionante, impressionante, toccante e didattica, istruttiva, pedagogica, quella 112ª di seguito, che si è tenuta venerdì 9 febbraio 2018, nel Salone «S. Elisabetta d’Ungheria» presso la chiesa «Sacro Cuore» di Catanzaro Lido. E’ valsa la pena parteciparvi? Sì, ne è valsa veramente la pena! La 2ª  L’argomento del film del regista finlandese: «L’accoglienza, una caratteristica dl cristianesimo», presentato a grandi pennellate dalla curatrice Teresa Cona, dopo l’ascolto delle parole di Papa Francesco «Non lasciatevi rubare la speranza», tratte da un album musicale, ha subito innescato interesse e ha generato calore umano. Ci è ormai evidente che sulla capacità di accoglienza si gioca la nostra condizione di esseri umani o, al contrario, il nostro scivolare sempre più in quelle barbarie bestiali che affiorano qua e là, in questa terra − contrassegnata dai flussi migratori, con tutto il loro carico di sofferenza − che deve essere casa per tutti. Tutti avvertiamo, nella concreta quotidianità dell’esistenza, quell’istanza che è sempre più decisiva: in un tempo in cui vi sono forme di povertà nuove e diversificate (oltre ai migranti, i giovani vulnerabili, le famiglie fragili, i carcerati) e in cui appare con chiarezza come sia faticoso per tutti il duro mestiere di vivere, è fondamentale riscoprire l’esigenza della prossimità, del farsi prossimo, dell’essere vicino l’uno all’altro. «È sull’impegno quotidiano alla
L’argomento del film del regista finlandese: «L’accoglienza, una caratteristica dl cristianesimo», presentato a grandi pennellate dalla curatrice Teresa Cona, dopo l’ascolto delle parole di Papa Francesco «Non lasciatevi rubare la speranza», tratte da un album musicale, ha subito innescato interesse e ha generato calore umano. Ci è ormai evidente che sulla capacità di accoglienza si gioca la nostra condizione di esseri umani o, al contrario, il nostro scivolare sempre più in quelle barbarie bestiali che affiorano qua e là, in questa terra − contrassegnata dai flussi migratori, con tutto il loro carico di sofferenza − che deve essere casa per tutti. Tutti avvertiamo, nella concreta quotidianità dell’esistenza, quell’istanza che è sempre più decisiva: in un tempo in cui vi sono forme di povertà nuove e diversificate (oltre ai migranti, i giovani vulnerabili, le famiglie fragili, i carcerati) e in cui appare con chiarezza come sia faticoso per tutti il duro mestiere di vivere, è fondamentale riscoprire l’esigenza della prossimità, del farsi prossimo, dell’essere vicino l’uno all’altro. «È sull’impegno quotidiano alla  prossimità, l’unico vero antidoto a quella che papa Francesco ha definito a più riprese la “globalizzazione dell’indifferenza” [a partire dal viaggio a Lempedusa dell’8 luglio 2013], che sta o cade anche la capacità di accoglienza» (L. Monti). La verità dell’accoglienza cristiana è tutta qui: nel cammino della prossimità. «Accoglietevi gli uni gli altri − ci ha ammoniti l’apostolo Paolo − come anche Cristo ha accolto voi, per la gloria di Dio» (Rm 15,7). Tutta la nostra vita sotto il sole è nient’altro che la risposta a questa unica, quotidiana, eterna domanda: «Ti sei fatto prossimo al tuo fratello e alla tua sorella in umanità?». Tutta la nostra vita e tutta la nostra accoglienza è la responsabilità di questa risposta.
prossimità, l’unico vero antidoto a quella che papa Francesco ha definito a più riprese la “globalizzazione dell’indifferenza” [a partire dal viaggio a Lempedusa dell’8 luglio 2013], che sta o cade anche la capacità di accoglienza» (L. Monti). La verità dell’accoglienza cristiana è tutta qui: nel cammino della prossimità. «Accoglietevi gli uni gli altri − ci ha ammoniti l’apostolo Paolo − come anche Cristo ha accolto voi, per la gloria di Dio» (Rm 15,7). Tutta la nostra vita sotto il sole è nient’altro che la risposta a questa unica, quotidiana, eterna domanda: «Ti sei fatto prossimo al tuo fratello e alla tua sorella in umanità?». Tutta la nostra vita e tutta la nostra accoglienza è la responsabilità di questa risposta.











 La 6ª edizione del Wiki– e CineCircolo «ci invita a ricuperare l’alleanza inter– e intragenerazionale, universale e cosmica, praticata da frate Francesco e promossa da papa Francesco, e, attraverso lo scambio di idee e il confronto delle voci dei giovani con le istituzioni, le comunità, gli educatori e i pastori, a progettare insieme un possibile avvenire, unendo creatività, energia, forza e saggezza per il bene dell’umanità, della società e della ‘sorella’-’madre’ Terra. Un cantiere di dialogo, di proposte, di iniziative… e un luogo in cui tessere relazioni improntate alla fiducia, alla condivisione, all’apertura fino ai confini del mondo».
La 6ª edizione del Wiki– e CineCircolo «ci invita a ricuperare l’alleanza inter– e intragenerazionale, universale e cosmica, praticata da frate Francesco e promossa da papa Francesco, e, attraverso lo scambio di idee e il confronto delle voci dei giovani con le istituzioni, le comunità, gli educatori e i pastori, a progettare insieme un possibile avvenire, unendo creatività, energia, forza e saggezza per il bene dell’umanità, della società e della ‘sorella’-’madre’ Terra. Un cantiere di dialogo, di proposte, di iniziative… e un luogo in cui tessere relazioni improntate alla fiducia, alla condivisione, all’apertura fino ai confini del mondo».
